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    Predefinito Storia del partito radicale (da Wikipedia)

    Wikipedia non è sempre attendibile, questo si sa. Ma la voce dedicata ai radicali è stata curata e approvata da noi stessi, quindi la riporto in questo thread.

    Origini culturali
    Le origini culturali del Partito Radicale sono ravvisabili nel nucleo teorico del radicalismo ottocentesco e del Partito Radicale Storico promosso da Felice Cavallotti e Agostino Bertani, eredi della cultura risorgimentale e promotori di uno spirito laico e liberale, teso a promuovere l'estensione del suffragio, la laicità del sistema scolastico, il federalismo amministrativo e la riduzione dell'orario lavorativo alle otto ore. Nel 1904, sotto la guida di Ettore Sacchi, la matrice anticlericale, che aveva animato il pensiero politico radicale sin dal principio, non indulge a posizioni antireligiose, ciò che consente al movimento di raccogliere il consenso di don Romolo Murri.

    Durante il fascismo gli ideali e la cultura radicale sono accolti e rivendicati da numerosi intellettuali antifascisti: già a partire dal 1925, quando "la piccola confraternita" dei salveminiani – Nello Traquandi, Tommaso Ramorino, Carlo Rosselli, Ernesto Rossi e Nello Rosselli – danno vita all’esperienza fiorentina del "Circolo della cultura" e, in seguito, a quella ancor più rischiosa di "Italia Libera" (associazione di reduci antifascisti indirizzata a propagandare la disobbedienza civile e ad organizzare azioni dimostrative, nata nel 1923 nello studio dell’avvocato Enrico Bocci e diretta da Dino Vannucci, Ernesto Rossi, Carlo Rosselli, Piero Calamandrei e Nello Rosselli). Nella ricostruzione genealogica del PR non bisogna tralasciare l'importanza dell'esperienza del "foglio clandestino di battaglia", il Non Mollare, e del movimento, di orientamento liberal-socialista, Giustizia e Libertà; nato a Parigi nel 1929 per volontà dell'esule Carlo Rosselli, si propone come un movimento rivoluzionario e insurrezionale, e non come partito, in grado di riunire tutte quelle formazioni non comuniste che intendano combattere e porre fine al regime fascista cavalcando la pregiudiziale repubblicana.

    Nel dopoguerra, intorno al settimanale "Il Mondo", diretto da Mario Pannunzio, si crea un vero e proprio club politico-culturale d'ispirazione radicale; gli "Amici del Mondo" e il Partito Radicale condividono, ad un primo sguardo, un orizzonte comune di problematiche, percorsi e obiettivi politico-sociali. Le istanze di maggior vicinanza sono ravvisabili, in primo luogo, nella necessità di abrogare talune leggi fasciste ancora presenti all'interno della nostra Costituzione, di approvare leggi antitrust, di difendere una cultura e un pensiero laico soprattutto all'interno della scuola statale, di "l'abolire la miseria" e, nell'urgenza di normare gli ambiti relativi al divorzio e al riconoscimento dei figli illegittimi. Nel Taccuino "Il resto è silenzio", apparso nel dicembre 1955 su "Il Mondo", circa la comunione d'intenti tra uomini di salda cultura liberale – come Ernesto Rossi, Riccardo Bauer, Aldo Garosci e i "nuovi radicali"- Bruno Villabruna, Mario Pannunzio, Nicolò Carandini e Francesco Libonati – verrà scritto: «Accomunati dal vincolo fraterno delle amare esperienze, non rassegnati, non perplessi, si accingono a costituire una nuova larga formazione politica che s'ispiri ad una concezione moderna e civile del liberalismo, a quella concezione che Benedetto Croce ebbe a definire ad una parola radicale […] In questo campo, i "padroni del vapore" non troveranno certo mercenari e staffieri pronti a vender le idee per un assegno mensile»[1].

  2. #2
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    Nascita

    Nacque nel 1955 con la denominazione di Partito Radicale dei Liberali e Democratici Italiani (PRLDI), per effetto di una scissione delle correnti di sinistra del Partito Liberale Italiano, avendo fra i suoi fondatori Leopoldo Piccardi, Mario Pannunzio, Ernesto Rossi, Leo Valiani, Guido Calogero, Giovanni Ferrara, Paolo Ungari, Eugenio Scalfari, Marco Pannella. L'oggetto fondante, sviluppato da un comitato esecutivo provvisorio cui prendevano parte Valiani, Pannunzio ed altri, comprendeva l'attuazione della Costituzione e la effettiva instaurazione dello Stato laico e liberale, quello stato di diritto che fa tutti i cittadini uguali innanzi alla legge, senza discriminazioni politiche e religiose, e che ne garantisce la libertà attiva dall’arbitrio governativo e poliziesco.

    Come si vede, fra i primi iscritti figuravano personaggi di tutto rilievo dell'ambiente socio-culturale del tempo, confluenti alla nascente formazione anche da aree più direttamente di sinistra, come per Ernesto Rossi, già messosi in luce nelle file del Partito d'Azione, lo stesso movimento di cui era prestigioso leader Leo Valiani. Valiani non sarebbe restato a lungo nel Partito Radicale, rinserrandosi nuovamente nel "suo" più sobrio partito di provenienza quando fra i radicali cominciò a consolidarsi la leadership di Marco Pannella. Rossi era invece fra i fondatori, e forse il più fervido stimolatore degli "Amici del Mondo", un raggruppamento di intellettuali associatisi per approfondire ricerche politico-istituzionali (i cui dibattiti venivano seguiti dal settimanale diretto da Mario Pannunzio "Il Mondo" da cui ne derivanoil nome). Gli "Amici del Mondo" seguirono le fasi iniziali della crescita del partito ed a margine della campagna elettorale in corso nel 1956 per elezioni amministrative, nella quale i radicali (col nome abbreviato in "Partito Radicale") si erano schierati contro la speculazione edilizia ed i c.d. "palazzinari", gli "Amici di Rossi" (come venivano denominati da destra, giocando sul nome dell'intellettuale e sulle sue presunte contiguità ideologiche) organizzarono un convegno sulle speculazioni immobiliari attribuite al Vaticano.

    Nel 1957, sempre affiancati dagli "Amici del Mondo", i radicali lanciarono nel dibattito politico, che presto ne divenne alquanto scomposto, la proposta dell'abolizione dei Patti Lateranensi integrati nella Costituzione. Nacque con questa fase, supportata da autorevoli interventi tecnici di personalità di varie discipline, una linea politica equanimemente anticlericale, non-comunista e anti-partitocratica. Ma certamente restò più vivido, e più a lungo, il segno dell'accento anticlericale. Fu nel 1959 che questo accento prese la piega di una vera e propria campagna antidemocristiana, accusando il partito di maggioranza, la DC, di aver costruito un regime in seno ad un sistema di democrazia repubblicana. Vi fu un importante dissenso all'interno del partito, cominciando a manifestarsi la frattura che ne avrebbe di lì a poco allontanato Leo Valiani e Giovanni Ferrara

  3. #3
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    Gli anni Sessanta

    Sul principio degli Anni 1960, si unirono al partito altri nomi illustri, fra i quali lo scrittore Elio Vittorini, l'attore Arnoldo Foà, Stefano Rodotà, Lino Jannuzzi, ed Antonio Cederna. Mentre l'arrivo di nomi noti anche ad un pubblico non solo elitario consentiva di migliorare le strategie di comunicazione del partito, al suo interno maturava però una contrapposizione che vide consolidarsi la "sinistra radicale", capeggiata da Bruno Villabruna ed Ernesto Rossi.

    Nel 1962, a seguito della scissione interna al Partito fra gli alternativisti, coloro che intendevano costituire la “sinistra radicale” (Spadaccia, Pannella, Roccella, Mellini, Bandinelli, Teodori) e i filo-lamalfiani (Giovanni Ferrara, Stefano Rodotà, Piero Craveri) lo stesso gruppo degli “Amici del Mondo” si lacera e vede scindersi dal suo interno personalità quali Pannunzio, Carandini e Cattani. A provocare la rottura definiva tra Rossi e Pannunzio fu in modo peculiare il "caso Piccardi". Lo storico Renzo De Felice aveva scoperto nel corso delle sue ricerche sul razzismo in Italia, che Leopoldo Piccardi, in qualità di consigliere di stato, aveva partecipato ad un convegno giuridico italo-tedesco destinato ad essere il luogo dell’elaborazione teorica delle leggi razziali. Mentre Pannunzio e altri “ Amici del Mondo” condannarono irrevocabilmente Piccardi, Rossi che aveva sulle spalle anni di collaborazione con “l’amico del Mondo”, fu solidale, insieme a Ferruccio Parri, con Piccardi; Parri e Rossi avviano da quel momento un sodalizio intellettuale che li vede collaborare sulle colonne del settimanale.

    Furono in molti ad uscire dal partito, compreso lo stesso Rossi che insieme a Piccardi ed a Ferruccio Parri si sarebbe dato ad altre esperienze vagolanti nelle risacche ideologiche della sinistra post-resistenziale.

    In realtà della rottura si poterono dare molte interpretazioni, essendovi in atto anche un contrasto (con costellazione di differenti posizioni) sulle visioni del ruolo della sinistra in quella fase politica: vi era, ad esempio, chi vedeva con favore un avvicinamento al PSI, nel quale Pietro Nenni con Bettino Craxi apriva ad una "non sfiducia" al Patto Atlantico, così come vi era chi anticipava tematiche che sarebbero poi state riprese in termini di eurocomunismo, e vi era anche chi, dalle colonne de Il Mondo, si volgeva apertamente al filo-americanismo. E vi era bastante numero di altre posizioni per poter considerare certamente non unitaria la linea del partito in materia di rapporti con le altre forze politiche, oltre a far dubitare che ve ne fosse una di cui si disponesse. Il caso Piccardi, insomma, fu solo un elemento scatenante, capace di far affiorare dissidi interni espressivi di distanze non solo ascrivibili alla gioventù della formazione, ma gravi segnali di mancanza di un reale fattore comune. Emarginati o "autoepuratisi" gli anziani, il partito restò in mano ai giovani, ai "giovani guastatori", come furono definiti dai fuoriusciti..

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    Marco Pannella e i "nuovi radicali"

    La sinistra radicale

    Il primo segno esterno della sinistra radicale fu l'apparizione nel "Paese" del marzo 1959 di un articolo di Marco Pannella su "Sinistra democratica e Pci" [2] in cui venivano posti i due temi centrali che avrebbero caratterizzato successivamente la strategia dei nuovi radicali: la necessità di un'alleanza di tutta la sinistra, compreso il PCI, e la formulazione di una proposta di candidatura al governo della sinistra attraverso un'"alternativa democratica".

    All'interno del partito, la sinistra portò ufficialmente le sue tesi a un consiglio nazionale del novembre 1960 [3] con un documento che si articolava in quattro sezioni, ognuna delle quali affrontava quelle che apparivano le questioni cruciali su cui qualificare una politica radicale. La prima, sui rapporti con il mondo cattolico e per l'abolizione dell'art. 7"; nella seconda, sul "significato dell'alleanza del Pr con il PSI e della volontà di perseguire una politica di "sinistra democratica", si respingevano le interpretazioni che volevano l'alleanza tra socialisti e radicali (ampiamente verificatasi nelle amministrative del 1960) come l'incontro dei ceti intellettuali e borghesi con le forze popolari; nella terza sezione, il documento ricordava l'insurrezione ungherese; infine, venivano indicati in positivo una serie di obiettivi: "la federazione europea da perseguirsi immediatamente attraverso elezioni dirette; il disarmo atomico e convenzionale dell'intera area continentale europea con la conseguente abolizione degli eserciti nei paesi di quest'area; la pace separata e congiunta con le due Germanie; la conseguente denuncia del patto militare Nato e dell'Unione Europea; la proclamazione del diritto all'insubordinazione e alla disubbidienza civile; la federazione o comunque la comune organizzazione di tutti i movimenti socialisti, popolari e rivoluzionari nell'Europa occidentale".

    A ottobre 1961 uscì il primo numero di "Sinistra Radicale", bollettino mensile di informazione politica che fu pubblicato per un intero anno. L'iniziativa verso l'esterno si accompagnava, per la sinistra radicale, all'azione all'interno del Partito Radicale il quale, dopo il congresso del maggio 1961, si andava progressivamente dividendo e disgregando. Nel novembre 1961 i due gruppi di maggioranza presenti nella direzione e nella segreteria entravano in conflitto, rivolgendo gli uni (facenti capo a Leone Cattani) l'accusa al maggior esponente degli altri (il segretario nazionale Leopoldo Piccardi) di eccessivo dinamismo a sinistra. "[4].

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    Il cambio della classe dirigente e Agenzia Radicale

    Nel corso di alcuni mesi (marzo-ottobre 1962) si erano praticamente ritirati quasi tutti coloro che avevano costituito il Partito Radicale nel 1955: i piccardiani, i laici moderati che tentarono senza alcun seguito un'"Unione Radicale degli Amici del Mondo", il gruppo dei giovani non di sinistra (Rodotà, Ferrara, Jannuzzi, De Mauro, Mombelli, Craveri), Ernesto Rossi e Eugenio Scalfari e, insieme a loro, la maggior parte dei soci attivi nazionalmente e localmente. La sinistra radicale, da sola, si assunse il compito di ereditare la sigla radicale con il simbolo del berretto frigio.

    Il gruppo romano, che nei tre anni precedenti aveva delineato le linee essenziali della nuova posizione, aveva pubblicato "Sinistra Radicale" e si era costituito in corrente, assunse la direzione di quel poco che rimaneva del partito, ereditandone in pieno la rappresentanza politica oltre che le esili strutture materiali. "Agenzia radicale", una nutrita agenzia di stampa, fu lo strumento delle prime campagne politiche,come quella indirizzata all'Eni, alla sua politica economica e al suo ruolo nella situazione italiana di quegli anni. Dal dicembre 1963 l'Agenzia fornì per alcuni anni, fino al 1966, una serie di informazioni e di dati ignoti all'opinione pubblica e a gran parte della stessa classe politica non di vertice, in base ai quali si andava delineando un'analisi del carattere negativo dell'attività dell'Eni sia in termini di scelte economiche che per l'intreccio con il potere politico di uno dei maggiori centri di potere del momento

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    La ripresa dell'anticlericalismo

    Negli Anni 1960 il Partito Radicale, attraverso un'impostazione nettamente anticlericale, cercava di creare in Italia un'alternativa laica. Il nuovo partito era ora alle prese con un contesto sociale non più risorgimentale.

    Il problema tra Stato e Chiesa doveva essere affrontato guardando alla società del XX secolo, che evolveva veicolando valori e bisogni nuovi, spesso relegati ai margini della società, spesso incompatibili con il modello proposto dalle gerarchie cattoliche. Partendo da questi presupposti, il Partito Radicale cercava di impedire la riconferma o la revisione dei Patti Lateranensi e di abolire il Concordato. L'obiettivo era non solo quello di limitare la pretesa del Vaticano di esercitare la sua giurisdizione sulla società civile, ma anche quello di "conquistare, per i cittadini e per lo Stato, per i credenti e per la Chiesa, un nuovo rapporto, radicalmente diverso, fondate sulle garanzie di libertà e sulle regole dello stato di diritto"[5]. Per questo, nel 1973 il Partito Radicale, all'interno dell'Assemblea Nazionale Anticoncordataria, che nel 1971 aveva fondato la LIAC (Lega Italiana per l'Abrogazione del Concordato), provava a indire un referendum anticoncordatario.

    Intanto la dura opposizione dei radicali, nel 1976, faceva arenare un progetto di legge per la revisione dei Patti Lateranensi presentato dall'allora Presidente del Consiglio Giulio Andreotti. Solo l'anno dopo, nel 1977, raccolte le firme necessarie, l'iniziativa referendaria viene avviata.

    Nel 1978 però la Corte Costituzionale con la sentenza n.16 aveva dichiarato inammissibile il quesito referendario, considerando il Concordato come trattato con uno stato estero, ed estendendo quanto previsto dall'articolo 75 della Costituzione, che vieta di abrogare per via referendaria leggi di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali.

    Abolire il Concordato per i radicali significa garantire la libera espressione della Chiesa Cattolica nello stato come soggetto religioso operante all'interno delle sue istituzioni, ma "slegare" allo stesso tempo lo stato italiano da questi rapporti di reciprocità e di influenza, lasciandolo totalmente indipendente nel suo ordinamento.

    Il Partito Radicale criticava in Parlamento proprio la legislazione e l'organizzazione economica dello Stato Pontificio ed i suoi rapporti politici ed economici con lo Stato italiano. Tra le altre questioni metteva in discussione il fatto che la Chiesa Cattolica Romana avesse riconosciuti diritti e privilegi negati ad altre confessioni religiose (per esempio l'otto per mille), che una confessione religiosa gestisse degli organismi bancari (APSA, IOR) capaci di emettere moneta e non sottoposti a controlli internazionali antiriciclaggio[6], che possedesse una mole incalcolabile di beni immobili (chiamata la "roba clericale" da Ernesto Rossi) e che nonostante tutto questo si dichiari in deficit non facendo comparire nel bilancio i santuari, come Loreto o Pompei, gli ospedali cattolici, o l'obolo[6].

    L'anticlericalismo radicale non si limitava ad essere una presa di posizione teorica, dispiegata unicamente nella storica lotta all'abolizione del Concordato, piuttosto si canalizzava in iniziative ben incastrate nella piattaforma di valori politici dei radicali, quelle iniziative che dimostravano sul piano pratico l'importanza di un adeguato "processo di secolarizzazione", mostrando quanto la mancanza di questo veicoli tutta una serie di violazioni delle libertà personali dell'individuo.

    In questo quadro si inserisce la battaglia per l'approvazione in Parlamento di una legge per il divorzio (1965-1974). In riferimento a questo diritto la Chiesa si richiamava all' articolo 34 del Concordato del 1929, ridefinito nell'articolo 7 della Costituzione della Reupbblica Italiana, che oltre ad impegnare l'Italia a riconoscere effetti civili al matrimonio religioso, così come regolato dal diritto canonico, affidava ai tribunali ecclesiastici anche la giurisdizione sulle vicende successive all'atto del matrimonio e quindi sul suo eventuale scioglimento.

    Negli Anni 1970 l'introduzione del divorzio non era per i radicali una manifestazione dei principi anticlericali, piuttosto era una battaglia per l'approvazione di un diritto, quello di disporre liberamente della propria vita e della propria intimità familiare.
    Non solo, l'iniziativa referendaria si legava anche a tutte le condizioni di disagio sia sociale, sia pratico ed economico, che accomunava ormai un gran numero di famiglie separate non tutelate della legge.

    Molto importante è stato l'impegno della "Lega 13 maggio" guidata da Marco Pannella per la promozione di un referendum abrogativo della legge sull'aborto, per la violazione della quale Adele Faccio, Emma Bonino e Gianfranco Spadaccia erano stati arrestati. In quell'occasione anche l'Espresso di Livio Zanetti aveva appoggiato l'iniziativa, con una copertina che sarebbe rimasta famosa nella storia del giornalsmo italiano[senza fonte]. Anche in quel caso il legame tra politica e problemi sociali, la convergenza tra la battaglia di laicità e disagio concreto del vissuto degli individui, il sodalizio, si può dire, tra diritti civili ed esigenze di libertà e responsabilità individuale, sono stati i fattori alla base dell'azione politica dei radicali.

    L'anticlericalismo dei radicali nasce a partire dalle esigenze di libertà sociali, di tipo religioso, politico, economico, sessuale; e fin dall'inizio pone come obiettivo fondamentale la realizzazione di uno stato laico e liberale che abbia conquistato i principali diritti civili e umani. L'anticlericalismo radicale non è la bandiera "del laicista, della gente di mondo che non va in chiesa, che professa un disinvolto e fatuo scetticismo, se non addirittura tende a professarsi atea"[7].

    Il nuovo anticlericalismo si dirige in una direzione diversa, esso "esercita la laicità, [...] parlando e dibattendo nelle piazze"[8], contrapponendo alla cultura politica della propaganda e della "scrittura per pochi" una cultura dell'oralità, una tecnica del narrare e del discutere per confrontarsi e battersi insieme. L'anticlericalismo radicale pone la religiosità non come fenomeno residuale, prodotto dell'incultura delle masse popolari, piuttosto si rivolge alla "laicità del credente, non al miscredente o all'ateo, facendo appello alla fede di tutti, perché mettano in discussione se stessi e la chiesa dunque, perché portino la contraddizione di essere insieme cittadino e credente"[8]..

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    Gli anni Settanta

    Fu negli anni '70 che la vocazione per le campagne moralizzatrici riprese vigore, imperniandosi, come da originaria missione, sulla difesa dei diritti umani, dei diritti civili, per il pacifismo e la non violenza, contro la corruzione e contro l'infiltrazione legislativa di ispirazione cattolica (o più propriamente il suo retaggio) nelle regolamentazioni del diritto di famiglia. Sono note le vittoriose campagne referendarie in tema di divorzio, condotta attraverso la "Lega per l'Istituzione del Divorzio" (LID), ed aborto, con il "Centro di Informazione Sterilizzazione e Aborto" (CISA), cui seguirono un nutrita schiera di quesiti refendari, di cui molti poi proposti all'elettorato.

    Della stessa decade sono le forme inconsuete di pubblicizzazione delle campagne radicali, la più nota delle quali consiste dello sciopero della fame, principalmente messo in atto da Pannella per richiamare attenzione ora sull'antiproibizionismo in materia di droga (attraverso la fondazione del CORA, "Coordinamento Radicale Antiproibizionista"), ora sull'antimilitarismo e l'obiezione di coscienza (LOC, "Lega degli Obiettori di Coscienza" di Roberto Cicciomessere), ora sul femminismo e le libertà sessuali, con una spigolosa apertura al mondo omosessuale attraverso la federazione col "FUORI!" (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano), primo movimento italiano per i diritti degli omosessuali precedentemente fondato da Angelo Pezzana e Mario Mieli, che ruppe in totale dissenso da questa scelta.

    Sul fronte dell'accettazione sociale di un raggruppamento condotto da Pannella verso una ormai caratteristica tradizione scandalistica, nacque il fenomeno dei cosiddetti "Radical Chic". La definizione, coniata negli Stati Uniti da Tom Wolfe, fu giornalisticamente ripresa in Italia ad indicare esponenti dell'alta borghesia e comunque dei ceti monetariamente o culturalmente più rilevanti, che abbracciavano (ma mai senza qualche distinguo) la causa radicale per effetto di una fenomenologia forse più modaiola che ideologica. In compenso, la popolarità crebbe anche presso i ceti meno fortunati, grazie all'impiego di tecniche di sicuro effetto per "restituire", almeno in via di tentativo, forme di partecipazione popolare alla vita democratica. Il referendum era certo una di queste, e le raccolte di firme ne erano il segnale "stradale" più noto, ma anche l'affermazione di Radio Radicale, emittente privata coordinata da Marco Taradash, consentì di diffondere le dirette delle sedute parlamentari.

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    Oltre il partito e le nazioni

    Dopo lunghe discussioni in seno al Pr, il Consiglio Federale del Partito riunito a Trieste dal 2 al 6 gennaio 1989, decide di dar vita a un Partito Radicale Transnazionale e transpartitico. In pratica i radicali vengono lasciati liberi di candidarsi e/o iscriversi con altri partiti e al contempo si aprono le porte a iscritti di altri stati.

    Alle elezioni europee del 1989 alcuni tra i più importanti esponenti radicali si candidarono in quattro liste diverse:

    * Francesco Rutelli ed Adelaide Aglietta costituirono con alcuni ex-esponenti pacifisti di DP i Verdi Arcobaleno, ma solo la seconda venne eletta.
    * Giovanni Negri, candidatosi per il PSDI, non fu eletto.
    * Marco Taradash viene eletto come capo della Lista antiproibizionista sulla droga contro la criminalità politica e comune.
    * Pannella è eletto nella lista unica PRI-PLI.

    Pannella ed Emma Bonino, durante le elezioni amministrative del 1990, si sono anche candidati in due liste di alternativa democratica con il PCI, riuscendo ad essere eletti il primo a L'Aquila e la seconda a Bra.

  9. #9
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    Iniziative e campagne del movimento radicale

    L'antimilitarismo nonviolento e la lotta per i diritti umani nell'Europa dell'est

    Il disarmo unilaterale dell'area europea

    La prima campagna antimilitarista radicale si reggeva sulla richiesta di disarmo atomico e convenzionale dell'intera area continentale europea. I radicali sostenevano che la grande forza, morale e pratica, che l'Europa, ma anche un solo stato, avrebbe potuto ottenere svuotando gli eserciti e gli arsenali nazionali, sarebbe stata più efficace in confronto alle esigue capacità di adeguamento al riarmo, in corso in quegli anni. È a questo punto che i radicali incontrarono la proposta del senatore socialdemocratico austriaco Hans Thirring. Il disarmo unilaterale dell'Austria sarebbe dovuto essere un fondamentale presupposto del disarmo generale. Altri paesi avrebbero potuto seguire l'esempio austriaco, creando precedenti che avrebbero potuto coinvolgere anche Stati legati da patti militari. L'Austria - paese neutrale - avrebbe avuto però il diritto di esigere una tutela ai confini, con il ritiro, per alcuni chilometri, delle truppe dei paesi confinanti. Il Partito radicale fece suo immediatamente il progetto Thirring, lanciando un appello perché si creassero nel nostro paese non solo le condizioni per l'attuazione del disarmo austriaco, ma anche per la sua attuazione in Italia. I radicali sostenevano che i paesi comunisti, i quali facevano affidamento molto più sugli armamenti convenzionali schierati ai confini tedeschi che non sugli armamenti atomici, mai avrebbero accettato di adeguarsi all'ipotesi Thirring. Ciò avrebbe messo in difficoltà i comunisti italiani, i quali rifiutarono di aderire alla proposta radicale. Le divergenze erano tali che portarono il partito radicale ad uscire dalla Consulta della pace, di cui erano stati tra i primi aderenti.

  10. #10
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    Contro i pacifismi unidirezionali

    Nella mozione del IV congresso del Partito radicale svoltosi a Firenze nel novembre 1967 per la prima volta veniva indicato come obiettivo la "conversione delle strutture militari in strutture civili". I radicali individuavano nel militarismo e nel clericalismo le due forze che impedivano il rinnovamento democratico e liberale del paese.

    Alla fine degli Anni 1960 il movimento per la pace, nelle diverse componenti, aveva acquisito una certa forza e capacità di mobilitazione, a livello anche internazionale. L'inizio della "escalation" americana in Indocina offrì alle sinistre la possibilità di dirottare la lotta pacifista delle sinistre in funzione di mero segno di solidarietà alla guerra "antimperialista" del Nord-Vietnam. Non si parlò più di lotta agli armamenti, non solo convenzionali, ma atomici, l'impegno anti-Nato scomparve dagli slogan come dal dibattito politico. I radicali condannarono l'invasione del Vietnam - anche in sintonia con le "nuove sinistre" americane, allora in forte espansione - ma non abbandonarono l'iniziativa antimilitarista. I loro obiettivi restavano innanzitutto l'ideologia militare, gli eserciti e il loro potere inquinante della democrazia.

    Per quanto riguardava lo specifico del Vietnam, i radicali posero al centro della loro attenzione, e individuarono come interlocutori, i monaci buddisti vietnamiti che avviavano una forma di iniziativa nonviolenta dai risvolti drammatici: il sacrificio della vita, nella forma spettacolare del darsi fuoco in pubblico. Il sacrificio personale aveva però un senso politico: i buddisti vietnamiti sollecitavano, appunto, una soluzione del conflitto non attraverso il conflitto militare, ma nella logica e sulle indicazioni del metodo nonviolento. Era una conferma della scelta gandhiana dei nuovi radicali.

    La marcia antimilitarista Milano-Vicenza dell'agosto 1967, con le sue iniziative città per città ebbe notevole successo. Per la prima volta, al nucleo iniziale dei radicali di origine "liberale" si univano altre energie, nuclei significativi di giovani in varia forma "libertari" e "diversi" che rivendicavano nuovi diritti civili. La marcia venne pubblicizzata da Lotta Continua, il quotidiano diretto da Adriano Sofri: sul terreno dell'antimilitarismo avvenne, tra le due esperienze di "nuova sinistra", un incontro che gli anni successivi, con il rapporto stabilitosi tra Pannella e Sofri, dimostrarono duraturo, produttivo sul piano ideale e politico.

    Nello stesso anno si verificò l'invasione della Cecoslovacchia da parte dell'esercito sovietico. I radicali denunciarono quei drammatici avvenimenti. Una costante dell'iniziativa antimilitarista dei radicali restava infatti l'analisi delle società sovietiche dell'Est europeo, con il fortissimo condizionamento costituito dalle strutture militari, caratteristico di un potere che "impedisce la conquista degli stessi obiettivi autenticamente democratici e socialisti" proclamati[9]. Vennero organizzate iniziative nonviolente in contemporanea, a Sofia, Mosca, Budapest e Varsavia, nelle quale vennero arrstati militanti radicali e della War Resisters International che avevano distribuito volantini in quelle città: "Basta con la guerra del Vietnam, basta con la Nato, basta con l'occupazione della Cecoslovacchia".

    A Roma, Milano, Pescara e Sulmona, gruppi radicali organizzavano uno sciopero della fame di 11 giorni, per sollecitare all'intervento quelle forze della sinistra che, al di là della deplorazione, non ritenevano opportuna una attiva solidarietà con i cecoslovacchi. "Notizie Radicali" scrisse: "La grandiosa prova di resistenza civile offerta dalla popolazione cecoslovacca dovrebbe insegnare qualcosa ai sostenitori della violenza e della rivoluzione armata in ogni circostanza ed in ogni condizione".

 

 
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