Originariamente Scritto da
robertoguidi
Il conflitto sociale, è la premessa per una analisi sull'affermazione dei diritti della Nazione Sarda. Dall’analisi dei nostri limiti culturali e politici, dalla riflessione sulla società che viviamo, la Sinistra deve rilanciare l’autodeterminazione del popolo sardo contrastando il massacro sociale generato dal neoliberismo, e ricercando e sperimentando costantemente nuove forme di lotta e connessione con la realtà sociale che ci circonda.
Fare analisi sulle peculiarità socio-economiche della Sardegna è molto difficile, dare risposte e ricette che determinino la liberazione politica, economica e culturale dei Sardi diviene addirittura impossibile, nel momento in cui ci limitiamo a indicare soluzioni che devono valere per tutti. Per questo è necessario produrre metodi di inchiesta costante e permanente per capire e percepire l’utilità sociale della Sinistra nei confronti della società sarda e sopratutto capire e percepire cosa è utile alla società sarda nel suo complesso.
Senza inchiesta del vivere quotidiano che ci circonda, non andiamo da nessuna parte, cominciamo a chiederci come ci vede, come ci percepisce, quali esigenze e bisogni hanno gli esclusi, il precario del comune, il lavoratore socialmente utile, l’operatore del call center, il migrante, il pensionato, lo studente, il disoccupato, l’artigiano, il pastore e l’agricoltore.
Come ho avuto modo di scrivere più volte su questo forum, mi piacerebbe vedere una sinistra pacifista, ambientalista, femminista, comunista, autonomista e sardista con una sinistra nazionalitaria combattere assieme, contro le basi militari, contro il G8 in Sardegna, lottare per una terra smilitarizzata, una terra di incontro e dialogo tra le culture del Mediterraneo, una terra che cresca e si sviluppi producendo lavoro buono, indeterminato e sano, legato alle peculiarità dei nostri territori, nel rispetto dell’ambiente e dei diritti civili e sociali.
La Sardegna, come il resto del mondo, è la protagonista passiva di un modello di sviluppo selvaggio, che produce solitudine e precarietà, un modello di sviluppo dominato da un capitalismo predatore, che viaggia di pari passo con una tendenza culturale che ci vorrebbe tutti da soli, ognuno per conto suo, in una dimensione egoista e individualista, non solo nel lavoro, ma anche nella quotidianità della vita. La Sardegna vive in maniera drammatica e violenta un processo di deindustrializzione costante, un processo parallelo alla distruzione della cultura operaia e contadina, visibile nel tentativo di mercificazione dei beni comuni, dalla privatizzazione dell’acqua, alla svendita della conoscenza, della cultura e dei saperi.
Solo lottando per la rigenerazione della cultura comunitaria, mutualistica e ribelle che storicamente ha contraddistinto il movimento operaio sardo, possiamo chiudere per sempre il capitolo del colonialismo culturale ed economico, e possiamo contribuire a ricostruire una coscienza collettiva di classe e di popolo.