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    Predefinito Antonio Simon Mossa. Galu si nd'atzapan omines che a issu?

    S'atera die ch'ipo in libreria e apo vistu unu libreddu: "Le ragioni dell'indipendentismo" de Antoni Simon Mossa. Imbertu dae sa curiosidade l'apo leatu, m'est piaghitu meta, che l'apo finitu in d'una paja de oras dae cantu mi c'at picatu.
    Carchi cantzu:

    “… una cultura ancestrale, per quanto arcaica e anacronistica, non può essere cancellata nemmeno nel tenero infante, il quale, porta il marchio di essa fin dalla nascita. E pertanto il suo substrato culturale, apparentemente cancellato dalla imposizione coattiva della cultura importata (vedi scuole italiane in Sardegna), riaffiora in seguito. E poiché il sardo sin dall’infanzia viene inibito, in quanto gli si insegna a considerare male tutto ciò che gli viene dal passato o dal di dentro, e bene tutto quello che gli viene insegnato per volontà esterna, a un certo punto, quando deve muoversi da solo, si trova in un mare di contraddizioni terribili, perde la fiducia in se stesso, non ha spirito di iniziativa autonoma, perde i legami tribali che costituivano la sua forza di individuo in quella società, e preferisce servire, perché così scompaiono i problemi e il suo tozzo di pane è assicurato.
    Ditemi dunque se questo non è genocidio. Perché quello è un morto che cammina, un individuo senza anima, un robot manovrato dal padrone d’oltremare.
    […]
    Ma quindi la riforma è da farsi nella scuola. Non è possibile che noi accettiamo la scuola imposta dai dominatori. La scuola deve essere nostra; questo è un principio fondamentale per risvegliare lo spirito comunitario dei sardi sul piano della cultura moderna. E’ l’unica possibilità che ci resta per dare ai sardi la coscienza comunitaria, perché cessino di credersi servi ma intendano che possono essere uguali agli altri.”


    Bilinguismo significa soltanto l’uso contemporaneo della lingua del paese occupato con la lingua dei dominatori per un periodo, più o meno lungo, sino a che le nuove generazioni non abbiano più necessità della lingua madre e si esprimano nella parlata dei dominatori. Anche questa è una forma di genocidio in quanto con l’uso accorto del bilinguismo si riesce, nello spazio di una generazione, a distruggere la lingua del paese.
    […]
    Poco più di un secolo fa il catalano era diventato un dialettaccio: non esisteva letteratura, non esistevano scuole, giornali ecc. eppure un piccolo gruppo di intellettuali raccolsero vecchi scritti catalani, organizzarono concorsi letterali, cominciarono a scrivere. Oggi vi sono milioni di persone che parlano e scrivono correttamente il catalano che è ritornato ad essere una lingua vitalissima e modernissima.
    Potrei dirvi lo stesso per il guaraby, la lingua nazionale del Paraguay, seconda lingua insieme con lo spagnolo, per il basco, per il gallese, per il bretone, per l’irlandese, per l’ebraico di Palestina, per quale motivo dobbiamo trascurare la lingua sarda e affermare, come i deficienti del ministero della pubblica istruzione, che sono tutte sciocchezze? Noi ci battiamo perché la lingua sarda abbia la dignità di lingua nazionale, venga insegnata nelle scuole e diventi di uso pubblico anche negli atti ufficiali.”

    “L’autogoverno della nazione sarda.

    Sulla base di quanto abbiamo sommariamente esposto veniamo ora a parlare dell’indipendenza della comunità sarda. Noi riteniamo che questa sia indispensabile per la riforma radicale della struttura sociale e la possibilità di una reale crescita economica del popolo sardo.
    Ottenere l’indipendenza significa acquisire i poteri dello stato, quindi promuovere e attuare riforme, disporre dell’avvenire del popolo sardo. L’indipendenza significherebbe per i sardi essere collettivamente padroni del loro destino in un mondo di liberi e di uguali, sottraendosi definitivamente alla tutela di una potenza coloniale.
    Le obiezioni che la classe intellettuale isolana, perfetta ripetitrice delle ragioni italiane, è – in principio- una sola, apparentemente dogmatica: come farebbe la Sardegna a vivere da sola?
    Fra le mille risposte una sola è sufficiente per chiarire le nostre ragioni: forse che oggi la Sardegna non vive da sola? E aggiungiamo: che cosa ci ha dato lo stato italiano di più di quello che gli abbiamo restituito, con gli interessi?
    Ma ci domandiamo, ancora: quale paese del mondo riesce a vivere da solo? Forse che la Gran Bretagna o gli Stati Uniti non hanno bisogno dei mercati di tutto il mondo? Forse che l’Italia, il paese che temporaneamente ci amministra come un qualsiasi possedimento coloniale potrebbe vivere senza la solidarietà di altri paesi?”



    “Se noi non ci battessimo per il riscatto del popolo sardo, per la sua indipendenza totale, per cosa ci dovremmo battere? Quale bandiera dovremmo agitare? O restare inerti in un mondo che cammina, ove le minoranze nazionali e le comunità etniche acquistano coscienza giorno per giorno?
    Forse che la causa del Biafra non è giusta, forse che la lotta antisegregazionista americana, rodesiana o sudafricana non è giusta?
    E’ mai possibile che noi, che siamo un popolo schiavo, umiliato, sfruttato, perseguitato, disperato, dobbiamo continuare a schierarci al fianco dei dominatori?”


    Tenet rejone cando narat chi bisonzat torrare a cumintzare dae s''iscola. Ite nde pessates vois?

  2. #2
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    Predefinito

    Citazione Originariamente Scritto da Zoroastro88 Visualizza Messaggio
    S'atera die ch'ipo in libreria e apo vistu unu libreddu: "Le ragioni dell'indipendentismo" de Antoni Simon Mossa. Imbertu dae sa curiosidade l'apo leatu, m'est piaghitu meta, che l'apo finitu in d'una paja de oras dae cantu mi c'at picatu.
    Carchi cantzu:

    “… una cultura ancestrale, per quanto arcaica e anacronistica, non può essere cancellata nemmeno nel tenero infante, il quale, porta il marchio di essa fin dalla nascita. E pertanto il suo substrato culturale, apparentemente cancellato dalla imposizione coattiva della cultura importata (vedi scuole italiane in Sardegna), riaffiora in seguito. E poiché il sardo sin dall’infanzia viene inibito, in quanto gli si insegna a considerare male tutto ciò che gli viene dal passato o dal di dentro, e bene tutto quello che gli viene insegnato per volontà esterna, a un certo punto, quando deve muoversi da solo, si trova in un mare di contraddizioni terribili, perde la fiducia in se stesso, non ha spirito di iniziativa autonoma, perde i legami tribali che costituivano la sua forza di individuo in quella società, e preferisce servire, perché così scompaiono i problemi e il suo tozzo di pane è assicurato.
    Ditemi dunque se questo non è genocidio. Perché quello è un morto che cammina, un individuo senza anima, un robot manovrato dal padrone d’oltremare.
    […]
    Ma quindi la riforma è da farsi nella scuola. Non è possibile che noi accettiamo la scuola imposta dai dominatori. La scuola deve essere nostra; questo è un principio fondamentale per risvegliare lo spirito comunitario dei sardi sul piano della cultura moderna. E’ l’unica possibilità che ci resta per dare ai sardi la coscienza comunitaria, perché cessino di credersi servi ma intendano che possono essere uguali agli altri.”


    Bilinguismo significa soltanto l’uso contemporaneo della lingua del paese occupato con la lingua dei dominatori per un periodo, più o meno lungo, sino a che le nuove generazioni non abbiano più necessità della lingua madre e si esprimano nella parlata dei dominatori. Anche questa è una forma di genocidio in quanto con l’uso accorto del bilinguismo si riesce, nello spazio di una generazione, a distruggere la lingua del paese.
    […]
    Poco più di un secolo fa il catalano era diventato un dialettaccio: non esisteva letteratura, non esistevano scuole, giornali ecc. eppure un piccolo gruppo di intellettuali raccolsero vecchi scritti catalani, organizzarono concorsi letterali, cominciarono a scrivere. Oggi vi sono milioni di persone che parlano e scrivono correttamente il catalano che è ritornato ad essere una lingua vitalissima e modernissima.
    Potrei dirvi lo stesso per il guaraby, la lingua nazionale del Paraguay, seconda lingua insieme con lo spagnolo, per il basco, per il gallese, per il bretone, per l’irlandese, per l’ebraico di Palestina, per quale motivo dobbiamo trascurare la lingua sarda e affermare, come i deficienti del ministero della pubblica istruzione, che sono tutte sciocchezze? Noi ci battiamo perché la lingua sarda abbia la dignità di lingua nazionale, venga insegnata nelle scuole e diventi di uso pubblico anche negli atti ufficiali.”

    “L’autogoverno della nazione sarda.

    Sulla base di quanto abbiamo sommariamente esposto veniamo ora a parlare dell’indipendenza della comunità sarda. Noi riteniamo che questa sia indispensabile per la riforma radicale della struttura sociale e la possibilità di una reale crescita economica del popolo sardo.
    Ottenere l’indipendenza significa acquisire i poteri dello stato, quindi promuovere e attuare riforme, disporre dell’avvenire del popolo sardo. L’indipendenza significherebbe per i sardi essere collettivamente padroni del loro destino in un mondo di liberi e di uguali, sottraendosi definitivamente alla tutela di una potenza coloniale.
    Le obiezioni che la classe intellettuale isolana, perfetta ripetitrice delle ragioni italiane, è – in principio- una sola, apparentemente dogmatica: come farebbe la Sardegna a vivere da sola?
    Fra le mille risposte una sola è sufficiente per chiarire le nostre ragioni: forse che oggi la Sardegna non vive da sola? E aggiungiamo: che cosa ci ha dato lo stato italiano di più di quello che gli abbiamo restituito, con gli interessi?
    Ma ci domandiamo, ancora: quale paese del mondo riesce a vivere da solo? Forse che la Gran Bretagna o gli Stati Uniti non hanno bisogno dei mercati di tutto il mondo? Forse che l’Italia, il paese che temporaneamente ci amministra come un qualsiasi possedimento coloniale potrebbe vivere senza la solidarietà di altri paesi?”



    “Se noi non ci battessimo per il riscatto del popolo sardo, per la sua indipendenza totale, per cosa ci dovremmo battere? Quale bandiera dovremmo agitare? O restare inerti in un mondo che cammina, ove le minoranze nazionali e le comunità etniche acquistano coscienza giorno per giorno?
    Forse che la causa del Biafra non è giusta, forse che la lotta antisegregazionista americana, rodesiana o sudafricana non è giusta?
    E’ mai possibile che noi, che siamo un popolo schiavo, umiliato, sfruttato, perseguitato, disperato, dobbiamo continuare a schierarci al fianco dei dominatori?”


    Tenet rejone cando narat chi bisonzat torrare a cumintzare dae s''iscola. Ite nde pessates vois?
    CHI SEMUS TORRANDE e si semus UNIOS e KUSIOS a una sola voke VINKIMOS

    http://it.youtube.com/watch?v=a5PPNNsEj8U

 

 

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