Parte 4
Già è visibile in tutti i procedimenti dell'Assemblea una grande povertà di concezione insieme con una volgarità grossolana, che fa riscontro a quella dei suoi ispiratori culturali. La loro pretesa libertà non è ispirata da veraci sentimenti liberali. La loro scienza si riduce a ignoranza fatta di presunzione. Il loro umanitarismo è selvaggio e brutale.
Non è bene accertato se quei magnanimi e decorosi principi di tradizione, dei quali ancora rimangono considerevoli tracce, noi inglesi li abbiamo imparati da voi francesi o se invece siete voi che li avete imparati da noi. Io tendo a credere che piuttosto noi abbiamo attinto da voi. Direi che voi siete "gentis incunabula nostrae". La Francia ha sempre più o meno influenzati i costumi inglesi; e quando la sorgente della vostra vita sia inaridita o resa torbida questo influsso non potrà durare più a lungo e non potrà più svolgersi limpidamente né sopra voi né sopra alcun'altra nazione. Tutto ciò fa sì che l'Europa intera si trovi, a mio giudizio, fortemente interessata e vincolata con quello che accade in Francia. Quindi voi mi perdonerete se mi sono a lungo soffermato a considerare l'atroce spettacolo consumatesi il 6 Ottobre 1789, o se ho dato troppo svolgimento a quelle riflessioni che nel mio pensiero sono scaturite in occasione della più grave tra tutte le rivoluzioni, quella che reca appunto tale data, in quanto intacca e sovverte sentimenti, costumi, idee morali. Trattandosi di eventi attuali che vengono a distruggere ogni valore degno di rispetto e minacciano di sradicare anche in mezzo a noi ogni principio di onore, ci si trova quasi costretti a prendere la parola m difesa di quelli che sono i sentimenti comuni dell'umanità.
Perché penso io così diversamente dal Rev. Dott. Price e da tutto il gregge dei suoi laici seguaci, i quali hanno deciso di accettare i sentimenti manifestati nel uno discorso? Per un motivo molto semplice: perché è naturale che io faccia così; perché noi siamo fatti in modo che a simili spettacoli ci sentiamo turbati da pensieri malinconici, considerando come precaria sia la prosperità dei mortali e quale terribile incertezza gravi sulla grandezza umana; perché da queste naturali esperienze noi possiamo trarre profonde lezioni; perché assistendo ad avvenimenti di questo genere i nostri stessi sentimenti ammaestrano la nostra ragione; perché quando si vedono i re precipitare giù dai loro alti troni per volontà di Colui che dirige questo grande dramma umano, divenendo oggetto di insulto da parte della canaglia e di pietà da parte della gente bennata, noi non possiamo considerare questi disastri, da un punto di vista morale, se non alla stessa maniera con la quale consideriamo un fenomeno prodigioso nell'ordine dei fatti fisici.
Questi allarmi spaventosi ci inducono a riflessione; le anime nostre (secondo un fenomeno che da lungo tempo è stato osservato) si trovano purificate attraverso il terrore e la pietà; il nostro debole ed incosciente orgoglio si trova umiliato di fronte al dispensarsi di una saggezza misteriosa. Se un tale spettacolo mi si fosse mai presentato, i miei occhi si sarebbero forse inumiditi. Avrei avuto sinceramente vergogna di scoprire in me stesso una emotività così futile e teatrale e di commuovermi per malanni fittizi, mentre avrei dovuto esultare considerando al di sopra di essi la realtà della vita. Se io avessi una psicologia così morbosa non oserei mai scoprire la mia faccia assistendo ad una rappresentazione tragica. La gente potrebbe credere che fossero lagrime d'ipocrisia quelle che mi avevano cavato dagli occhi anticamente "Garrich" e non molto tempo addietro M.me. Siddons; e quanto a me penserei che quelle fossero le lagrime di un matto.
Senza dubbio, il teatro é migliore scuola di sentimenti morali di quanto non siano le chiese, dove si compiono tanti oltraggi a danno della fede umana. I poeti che hanno a fare con un pubblico non ancora iniziato alle dottrine dei Diritti dell’uomo e che sentono il dovere di conformarsi ai principi della coscienza morale, non oserebbero esibire sul teatro lo spettacolo di un tale trionfo come materia di esultanza. Per questo, quando gli uomini seguono il loro impulso naturale non soffrono di conformarsi alle massime odiose della filosofia politica machiavellica, comunque intesa alla costituzione di una tirannia vuoi di carattere monarchico, vuoi di carattere democratico. Essi rigetterebbero tale ordine di pensieri dall'ambito del moderno teatro così come una volta fecero dall'ambito di quello antico; come accadeva allorquando le enunciazioni scellerate di una tale dottrina non riuscivano tollerabili neppure in bocca di un tiranno personificato che le pronunciava soltanto in via di ipotesi e per conformità a una certa parte assunte sulla scena. Nessuna assemblea di spettatori avrebbe mai tollerato di assistere ad una rappresentazione, la quale riproducesse il corso delle tragiche vicende consumatesi nella trionfante realtà dei giorni nostri; giorni nei quali par di vedere il protagonista del dramma soppesare, quasi sui piattelli di una bilancia issata in un negozio di turpitudini, tanti delitti effettivi contro tanti vantaggi ipotetici, togliendo o rimettendo i pesi di controllo fino a dichiarare che la bilancia propende dalla parte dei vantaggi.
Quegli spettatori non avrebbero tollerato di vedere i delitti di una nuova democrazia elencati, come nella partita di un libro mastro, di contro all'elenco dei delitti consumati dal vecchio dispotismo, giungendo al risultato che la democrazia moderna apparisse ancora, agli occhi dei bottegai registratori, in debito rispetto all'esperienza precedente, in nessun modo capace o propensa a rimettere in equilibrio il bilancio. In teatro uno spettacolo di questo genere avrebbe dimostrato al primo colpo d'occhio, senza alcun ulteriore processo elaborativo di ragionamento, che un tal criterio di valutazione politica finiva per giustificare ogni sorta di delitti. E avrebbe dimostrato pure che, dato un tale ordine di principio, anche quando fosse stata risparmiata la consumazione dei peggiori delitti, ciò si sarebbe dovuto piuttosto alla accidentalità di circostanze in cui si venivano a trovare i cospiratori anziché alla loro intima intenzione di evitare il compiersi di sanguinosi eccessi. Sarebbe stato anche evidente che l'impiego di mezzi criminali, tollerato che sia una volta, diviene ben presto oggetto di deliberata preferenza. Questi ultimi infatti presentano un modo più sbrigativo per raggiungere lo scopo, a confronto dì quello offerto dalla retta via della virtù. Una volta giustificata la perfidia e legittimato l'assassinio a fine di pubblico beneficio, quest'ultimo non tarderà a diventare un pretesto, laddove perfidia e assassinio rappresenteranno lo scopo; finché la rapacità, la malizia, la vendetta, e la paura che è ancor più terribile della vendetta, non avranno saziato l'implacabile appetito di quelle passioni. Tale è il risultato a cui si perviene allorché sia smarrita, in mezzo al luccicore trionfale dei Diritti dell'Uomo, ogni naturale idea distintiva tra il diritto e il torto.
Ma il reverendo pastore si entusiasma descrivendo quella "Marcia trionfale", giacché, a suo giudizio, Luigi XVI doveva essere considerato come "un monarca arbitrario"; il che, in altre parole, vuol dire né più né meno che questo: avere avuto quel re Luigi XVI la sfortuna di essere quello che era, e cioè un re di Francia insignito di tutte le prerogative, che una lunga serie di antecessori e un diuturno consentimento di popolo gli avevano attribuito senza che egli compiesse alcun atto per il raggiungimento di questo scopo. Questa disgrazia di essere nato re di Francia è stata ora accanitamente ritorta contro di lui. Ma una disgrazia non è un delitto e una indiscrezione non sempre costituisce colpa di massima gravità. Un principe, il quale durante l'intero corso del suo regno non ha fatto altro che una serie di concessioni ai suoi sudditi, non ha avuto altra mira se non quella di sminuire la propria autorità, rinunciare alle proprie prerogative, rendere il proprio popolo partecipe di tali libertà quali i suoi antenati non avrebbero né riconosciute né desiderate; un principe che (pur non essendo immune dalle debolezze inerenti alla condizione normale degli uomini e da quelle particolari dei regnanti) ha ritenuto necessario una volta sola di fare ricorso alla forza, per fronteggiare in caso disperato i disegni di coloro che manifestamente congiuravano ai danni della sua persona intaccando anche gli ultimi residui della autorità regia, un tal principe, io dico, (pur tenendo presenti tutte le circostanze sopramenzionate) non può essere ritenuto degno né meritevole delle celebrazioni crudeli ed insultanti alle quali egli fu assoggettato in Parigi e di cui appunto fa cenno il Dott. Price.
Io tremo per la causa della libertà quando vedo che si offrono ai sovrani esempi di tal genere. Temo per la causa dell'umanità quando vedo che rimangono impuniti i delitti oltraggiosi perpetrati: dai più malvagi tra gli uomini. Ma vi è certa gente che ha una mentalità così pervertita e degenerata da essere indotta a guardare con una sorta di compiacente rispetto e di timorosa ammirazione verso quei tali sovrani che hanno fama di reggersi fortemente al proprio posto, gravando con rigidezza la mano sui sudditi onde asserire le loro prerogative, e, con la vigilanza circospetta del più severo dispotismo, fronteggiare preventivamente le avvisaglie iniziali di qualsiasi moto di libertà. Contro sovrani di questo genere, quei tali non elevano alcuna protesta. Essendo uomini privi di qualunque principio e avventurieri per natura, costoro non sanno mai riconoscere alcun merito nella virtù sofferente né alcun delitto nell'usurpazione trionfante.
Se qualcuno fosse riuscito a dimostrarmi che il re e la regina di Francia (voglio dire: coloro che erano tali prima della celebrazione del trionfo) erano due tiranni crudeli e inesorabili, i quali avevano concepito il deliberato proposito di massacrare tutti i membri dell'Assemblea Nazionale (e infatti io credo d'aver visto accuse di questo genere insinuate di recente in certe pubblicazioni), io potrei pensare che la loro captività fosse giustificata. Se queste accuse fossero veraci molto di più avrebbe dovuto esser fatto a loro carico; ma fatto, a mio giudizio, in altra maniera. La punizione inflitta ad un tiranno, che sia realmente tale, costituisce un atto di giustizia nobile e degno di rispetto; e giustamente si è detto che questo torna di consolazione alla coscienza dell'umanità. Ma se io dovessi punire un re malvagio, nel tempo stesso che vendicherei il delitto avrei riguardo alla dignità e al grado. La giustizia è compito grave e maestoso; e in quanto realizza una funzione punitiva essa appare piuttosto stretta dalla necessità anziché libera nella scelta delle proprie azioni. Fossero stati Nerone, o Agrippina, o Luigi XI, o Carlo IX, oggetto di questa giustizia; oppure Carlo XII Re di Svezia dopo l'assassinio di Fatkul, o ancora la Regina Cristina dopo l'assassinio di Monaldeschi, ammesso — io dico — che tutti costoro fossero cascati nelle mani vostre, caro Signore, oppure nelle mie, sono sicuro che ci saremmo comportati in modo ben differente.
Se il re francese, o Re di Francia (o con qualsivoglia altro nome egli venga indicato nel vocabolario nuovo della vostra Costituzione) avesse veramente, o nella propria persona o in quella della sua sovrana consorte, provocati gli attuali tentativi inconfessati e invendicati di assassinio, con tutti i susseguenti oltraggi che sono ancor più crudeli dell'assassinio, tale re non sarebbe neppure degno di quelle funzioni subordinate ed esecutive che, a quanto mi si dice, sono ancora oggi attribuite al sovrano; né tanto meno sarebbe egli degno di chiamarsi capo di una nazione che avesse in tal modo oltraggiata ed oppressa. Non si poteva fare scelta peggiore che attribuire nello stato nuovo una carica di tal sorte al sovrano deposto. Ma denigrare ed insultare un uomo come il peggiore dei criminali e poi di bel nuovo affidare a lui la rappresentanza della vostra stessa collettività nei suoi valori più alti, come fosse il più fedele, onesto e zelante servitore dello stato, è cosa che contraddice alla logica del pensiero, alla prudenza della politica, alla sicurezza della patria. Coloro che si sono resi capaci di siffatta attribuzione devono essere ritenuti colpevoli di una violazione di fede più grande di quella che mai sia stata commessa a danno del popolo.
Essendo quello il solo delitto attribuito al re, gli agitatori della politica francese avrebbero agito rispetto ad esso con incongruenza; io quindi concludo che quelle orribili insinuazioni non hanno fondamento di sorta. E non ho opinione migliore di tutte le altre calunnie.
In Inghilterra noi non diamo ad esse alcun peso. Siamo generosi come nemici, fedeli come alleati. Respingiamo con disgusto e con indignazione gli aneddoti diffamatori di quelli che ci offrono la loro confidenza mascherata di innocente candore. Noi teniamo ancora rinchiuso Lord George Gordon in Newgate; e né il fatto di essere egli uomo che pubblicamente si dichiara seguace del giudaismo, né l'avere egli nel suo furore anticattolico ed anticlericale raccolta un'armata di mascalzoni (scusate il termine che qui è ancora in voga) col proposito di abbattere tutte le nostre prigioni di stato, è valso a conservargli quella libertà della quale ha dato prova di non sapersi rendere degno facendone buon uso. Abbiamo ricostruita la prigione di Newgate e la teniamo in piena efficienza. Abbiamo delle prigioni che sono almeno altrettanto solide quanto la Bastiglia per coloro che osano lanciare libelli contro le regine di Francia. Lasciate che il nobile libellista rimanga in questo recesso spirituale. Lasciate che egli là dentro mediti sopra il suo Talmud fino a che non abbia imparato a condursi in modo meglio adatto alla sua nascita e al suo temperamento e non così sconveniente rispetto alla antica religione della quale egli è diventato seguace; o fino a che qualche persona dall'altra sponda della Manica, per compiacere ai vostri nuovi confratelli ebrei, non prenda impegno di riscattarlo. Egli potrà essere allora in grado di acquistare, con l'antico patrimonio della Sinagoga e con una percentuale molto piccola sopra gli interessi lungo tempo accumulati delle trenta monete d'argento (il Dott. Price ci ha mostrato quali miracoli possono produrre degli interessi accumulati durante 1790 anni), di acquistare — dico — quelle terre che, secondo la recente scoperta, sono state usurpate dalla chiesa gallicana. Mandateci qui il vostro arcivescovo " papista" di Parigi e noi vi manderemo in cambio il nostro rabbino protestante. Tratteremo il vostro inviato secondo i suoi meriti di gentiluomo e di galantuomo; ma lasciate, di grazia, che egli porti con sé i fondi della propria ospitalità, della propria liberalità caritatevole; e voi potete star sicuri che non ci approprieremo un solo scellino di quanto appartiene a quel fondo onorato e pio, e non penseremo mai di arricchire il pubblico tesoro defraudando la cassa dei poveri.
Quando devo dirvi la verità, mio caro Signore, io credo che l'onore della vostra nazione sia in certo modo interessato a sconfessare tutto quanto si va facendo in questa società di Old Jewry e nella "Taverna di Londra". Io non ho ricevuto procura da alcuni. Parlo unicamente per conto mio quando rinnego (e lo faccio con tutta l'energia possibile) ogni sorta di relazione verso coloro che sono attori di quella celebrazione trionfale o comunque ammiratori di essa. Quando asserisco qualche cosa che riguarda ulteriormente il popolo d'Inghilterra, parlo in base all'esperienza mia e non già in nome di una qualsiasi autorità; questa esperienza l'ho acquistata grazie ad una serie di estese relazioni e di complesse corrispondenze con gli abitanti di questo regno, appartenenti ad ogni rango e ad ogni classe sociale, e dopo una serie di osservazioni attente, che nella mia vita ho cominciato a fare molto presto ed ora ammontano ad una continuità di quasi quarant'anni. Spesse volte io rimango meravigliato se considero il fatto che noi inglesi siamo separati da voi solo da un breve intervallo di circa ventiquattro miglia e le comunicazioni reciproche tra i nostri due paesi sono divenute negli ultimi tempi molto intense; e tuttavia sembra che voi ci conosciate ben poco. Sospetto che ciò derivi dall'essere voi francesi inclini a formarvi un giudizio intorno al nostro paese deducendolo da certe pubblicazioni le quali vi danno invece una idea affatto erronea (se pure siano capaci di fornirne alcuna) delle correnti di pensiero e delle disposizioni generali di spirito che prevalgono in Inghilterra.
La vanità, la turbolenza, la petulanza, lo spirito di intrigo che caratterizzano certe piccole consorterie, le quali cercano di supplire alla loro intrinseca mancanza di contenuto a forza di clamori, di chiassate, di retorica, di esaltazioni reciproche, tutto questo vi lascia forse credere che la trascuranza dispregiativa nutrita dalla maggioranza del popolo inglese a riguardo di costoro sia tacito segno di una generale acquiescenza rispetto alle loro opinioni. Ma non è così, ve lo assicuro io. Per il fatto che una mezza dozzina di grilli nascosti sotto le felci fanno risuonare il campo con i loro importuni stridori, mentre mille solidissimi armenti riposano sotto l'ombra della grande quercia d'Inghilterra ruminando in silenzio, vi prego di non credere che quelli che stridono siano i soli abitatori del campo e nemmeno che siano molto numerosi; o che, dopo tutto e nonostante il frastuono molestissimo sollevato, siano altra cosa se non una schiera di miserabili e grinzosi insettucci che hanno la vita di un'ora.
Oso affermare che neppur uno su cento di noi partecipa al "trionfo" della Revolution Society. Se il re e la regina di Francia insieme coi loro rampolli dovessero cadere nelle nostre mani in caso di guerra (sia deprecato un tale evento e deprecata una tale cagione di ostilità) si accorderebbe ben altra sorta di trionfo alla loro entrata in Londra. Già anticamente noi abbiamo avuto il re di Francia in tale condizione; voi avete letto come questo re sia stato trattato dal vincitore sul campo di battaglia e in quale maniera egli sia stato di poi ricevuto in Inghilterra. Quattrocento anni sono passati sulla nostra storia; ma credo che il carattere inglese non sia intrinsecamente mutato da quel giorno. Grazie alla dura resistenza che opponiamo contro tutte le innovazioni, grazie alla cautelata freddezza del nostro carattere nazionale, noi ancora portiamo l'impronta dei progenitori. Non abbiamo, secondo il mio modo di vedere, perduta quella generosa dignità di sentimento che caratterizzava il nostro decimoquarto secolo e non abbiamo ancora sofisticato tanto da ridiventare selvaggi. Non siamo discepoli di Rousseau, né scolari di Voltaire; Hélvetìus non ha trovato credito in mezzo a noi. Non ci lasciamo evangelizzare dagli atei; non accettiamo che le signore dettino legge.
Siamo persuasi di non aver fatta nessuna scoperta; ma siamo anche persuasi che in materia morale non se ne possono fare, né, tanto meno, in rapporto a quei grandi principi di governo e a quelle idee di libertà, che erano conosciuti molto tempo prima che noi venissimo al mondo e rimarranno in vigore ancor dopo che la morte avrà castigata la nostra presunzione sotto un cumulo di terra ed il silenzio della tomba avrà imposta la sua legge sopra la nostra frivolezza loquace. In Inghilterra non siamo ancora stati spogliati dei nostri visceri naturali e sentiamo pur sempre dentro di noi, con devota compiacenza, quegli innati sentimenti che sono i guardiani fedeli e i monitori vigilanti del nostro dovere e al tempo stesso i fondamenti di ogni etica salda e liberale.
Noi non siamo stati né imbalsamati né imbottiti come uccelli da museo con un ripieno di paglia e di stracci e di sudici pezzi di carta, sui quali stiano scritti i Diritti dell'Uomo. Conserviamo intatto il patrimonio dei nostri sentimenti integri e nativi, non contaminati da sofisticherie pedanti e sleali. Sentiamo d'avere un cuore vero di carne e di sangue che palpita nel nostro petto. Noi temiamo Dio; guardiamo con riverenza ai re, con affezione agli istituti parlamentari, con devozione alla magistratura, con deferenza al clero, con rispetto alla nobiltà (7). E perché? Perché quando tali idee si affacciano alla nostra mente noi proviamo in via naturale sentimenti di questo genere; perché tutti gli altri modi di sentire sono artificiosi e spuri e tendono a corrompere i nostri spiriti, a viziare le fonti del nostro sentimento morale, a renderci disadatti di fronte all'esigenza razionale della libertà; e insegnando il linguaggio di una insolenza altrettanto servile e licenziosa quanto rilassata, buono per lo spasso triviale di una breve gazzarra, rendono gli uomini meritevoli di subire il giogo della servitù durante il corso intero della loro vita.
Voi vedete, o Signore, che in questo secolo di lumi io ho abbastanza coraggio per confessare che noi inglesi siamo nella grande maggioranza uomini di sentimento ingenuamente spontaneo; e che invece di respingere tutti i nostri antichi pregiudizi noi siamo affezionati ad essi in modo considerevole; e che quanto più essi risalgono a data antica tanto più ampiamente vengono accolti e devotamente rispettati. Noi ci spaventiamo all'idea che ogni uomo debba vivere e far negozio con il solo patrimonio della sua ragione privata e particolare, perché sospettiamo che questo sia individualmente ben piccolo; e pensiamo che i singoli farebbero molto più utilmente ricorso al grande capitale collettivo della nazione e dei secoli. La maggior parte dei nostri pensatori anziché tendere alla distruzione dei pregiudizi generali, impiegano la loro sagacità a discoprire la recondita saggezza che vive in quei pregiudizi. E se scoprono realmente ciò che andavano cercando (è raro che essi manchino allo scopo) pensano che sia più saggio insistere nel pregiudizio nel quale sta involto un motivo razionale, anziché strappare via la veste del pregiudizio non lasciando sopravvivere altro che un nudo razionalismo; e questo perché il pregiudizio, involgendo la propria ragione, possiede un movente che rende attiva quest'ultima e determina un'affezione che ad essa conferisce persistenza duratura. Il pregiudizio è di pronta realizzazione all'emergenza necessaria; esso previdentemente impegna lo spirito in una disciplina di stabile e virtuosa saggezza e non permette che l’uomo al momento decisivo oscilli nella irresoluzione scettica. Il pregiudizio fa della virtù umana un dato consuetudinario, anziché una serie di azioni frammentarie. E appunto attraverso una serie di pregiudizi legittimi il dovere degli uomini entra a far parte della loro stessa natura.
I vostri uomini di lettere e i vostri politici, insieme con l'intera categoria dei nuovi illuministi inglesi, manifestano a questo riguardo un'opinione affatto contraria. Essi non nutrono alcun rispetto per l'opinione degli altri; ma in compenso hanno illimitata fiducia nella propria. Costoro ritengono che vi sia sufficiente motivo alla distruzione di un antico ordine di cose nel solo fatto di questa stessa antichità. E quanto alle istituzioni escogitate di recente, non dimostrano alcuna paura né preoccupazione intorno alla durevolezza che potranno avere simili edifici affrettatamente costruiti; questo, perché il problema della durata non interessa a coloro che tengono in piccolo od anche in nessun conto tutto ciò che è stato fatto nel tempo passato, e ripongono tutte le loro speranze nel gusto delle trovate e delle innovazioni.
Gente di tal fatta coltiva sistematicamente l'idea che tutte le cose aventi forza di perpetuità siano nocive; e per questo vengono ad essere eternamente in guerra contro tutte le istituzioni consolidate. Pensano che le forme del governo debbano variare come varia la moda dei vestiti, senza produrre per questo alcun effetto dannoso; e che non occorra nutrire alcuna ragione di attaccamento verso il sistema costituzionale di uno stato, tranne per qualche preoccupazione di opportunità occasionale. Essi parlano sempre come se fossero d'avviso che l'accordo contrattuale intervenuto tra il popolo ed i suoi reggitori avesse valore per una sola parte contraente, esercitando forza impegnativa a carico dei reggitori medesimi senza reciprocità di vincolo, cosicché la maestà del popolo avrebbe diritto di risolvere a suo piacimento quell'accordo anche senza ragione.
Persino l'amore che essi dimostrano alla loro Patria è valido solo per quanto viene ad accordarsi con taluni dei loro avventati progetti; ma comincia e finisce in conformità di quella ideologia politica che si adatta alla loro momentanea opinione. Dottrine o piuttosto passioni sentimentali di questo genere paiono oggi prevalere tra i vostri nuovi uomini di stato; ma sono radicalmente diverse da quelle che hanno ispirato la condotta politica del nostro paese.
Talvolta, io sento, si va dicendo in Francia che tutto quanto si compie laggiù è ispirato all'esempio dell'Inghilterra. Vi prego di lasciarmi dire che ben poche volte si è compiuta presso di voi alcuna cosa che, in via di fatto o in via di intenzioni, abbia avuto origine dall'esempio pratico o dall'opinione prevalente del popolo inglese. Aggiungo pure che noi siamo tanto mal disposti a ricevere simili lezioni dalla Francia che sicuramente non abbiamo mai avuto l'idea di darne in contraccambio. I vociferatori che oggi in Inghilterra acclamano agli eventi di Francia si riducono per ora ad una schiera, affatto esigua; ma se per disgrazia, a forza di intrighi, di predicazioni, di pubblicità, di speranze fondate sull'aspettativa di alleanze spirituali o materiali con la nazione francese, quella gente potesse mai ingrossare la propria fazione con un numero considerevole di nuovi aderenti, tentando seriamente di raggiungere qualche effetto pratico ad imitazione di quanto si è compiuto in Francia, da tutto questo (oso lanciare una profezia) deriverà soltanto una loro completa disfatta, come conseguenza di qualche disordine che saranno riusciti a provocare nel loro paese. Il popolo inglese in età remote ha ricusato di introdurre cambiamenti nel suo sistema di diritto, senza cedere rispetto alla infallibilità del Papa; non vorrà oggi introdurvi alterazioni per ingenua fede nel dogmatismo dei filosofi; e questo nonostante che il primo si facesse forte dell'anatema e delle crociate, che i secondi si armino di libelli e di patiboli.
In un primo tempo i vostri affari riguardavano soltanto voi. Noi ci siamo interessati ad essi solo in quanto siamo uomini, pur tenendoci sempre a debita distanza perché non siamo cittadini di Francia. Ma oggi che questi affari (vengono proposti come modello alla nostra imitazione, dobbiamo richiamarci al nostro sentimento di inglesi e tenere una condotta da inglesi. I vostri affari, nostro malgrado, vengono oggi ad interessarci, almeno quanto basta per metterci nella necessità di tenere a distanza le vostre panacee pestilenziali. Se anche si tratti di panacee, dichiariamo di non averne bisogno; conosciamo bene le tristi conseguenze di una cura non necessaria. Se si tratta di una pestilenza, essa è di tal natura che sarebbe necessario istituire in via precauzionale la più severa quarantena per difendersi da essa.
Da tutte le parti sento dire che una sofisticheria cabalistica, autodecorata col nome di filosofia, raccoglie le glorie maggiori delle vostre gesta recenti; e che le opinioni ed i sistemi in essa indicati contengono l'essenza ispiratrice di tutto il vostro movimento. Non ho mai sentito parlare in Inghilterra di alcun partito letterario o politico il quale si distinguesse per queste caratteristiche.
Non ve n'ha uno presso di voi, composto di quel tali uomini che il popolo, colla sua parlata volgare e disadorna, comunemente definisce atei ed infedeli? Se si tratta di questo, ammetto che anche noi abbiamo avuti alcuni scrittori di simil genere: scrittori che al loro tempo hanno fatto qualche rumore, ma che oggi riposano nella più completa dimenticanza. Fra quanti sono nati nell'ultimo quarantennio chi mai ha letta una sola parola di Collins, di Toland, di Tindal, di Chubb, di Morgan e di tutta quella razza d'individui che definivano se stessi come liberi pensatori? E chi legge più Bolingbroke? Chi mai è riuscito a leggerlo per intero? Domandate a un libraio di Londra che successo hanno avuto tutti questi illuminatori dell'umanità. In pochi anni l'esigua schiera dei loro successori andrà a raggiungerli presso il sepolcreto famigliare di "Tutti i Capuleti"; ma chiunque siano stati o siano in mezzo a noi i rappresentanti di questa categoria, essi rimangono nelle condizioni di individui singolari ed isolati.
Non hanno mai agito come corpo organizzato, non sono mai stati riconosciuti come una frazione nello stato e non hanno mai presunto di esercitare influenze in nome collettivo o come rappresentanti di un partito sopra le vicende della nostra vita pubblica. Se poi fazioni di tal genere abbiano diritto all'esistenza o debbano comunque avere facoltà di azione, questo è un altro quesito. Ma siccome tali conventicole non hanno mai avuto esistenza in Inghilterra, così lo spirito di esse non ha mai esercitato alcuna influenza sulla formazione originaria del nostro sistema costituzionale né sopra alcuno di quei procedimenti riformativi ed integrativi che la costituzione ha subiti. Tutto quanto si è compiuto a questo riguardo, si è compiuto sotto gli auspici della religione e della pietà ed è stato confermato dalla sanzione di queste. L'intero sistema istituzionale è stato un'emanazione di quello spirito di semplicità che contraddistingue il nostro carattere nazionale ed ha una forma di nativa ingenuità e di retto intendimento, che per lungo tempo hanno caratterizzati gli uomini successivamente assurti a dignità autoritaria in mezzo a noi. Una cosiffatta disposizione d'animo si mantiene ancora, almeno nella grande maggioranza del nostro popolo.
Noi sappiamo e (ciò che è anche meglio) noi siamo intimamente persuasi che la religione costituisce la base della società civile e la sorgente di ogni beneficio e di ogni conforto (8). In Inghilterra noi siamo così convinti di questo principio che il novantanove per cento della nostra popolazione preferirebbe all’empietà la superstizione, per quanto essa abbia potuto accumulare nel corso dei secoli tutte le assurdità dello spirito umano. Noi non saremo mai così pazzi da fare ricorso ad un elemento nemico ogni qual volta occorra rimuovere qualche difetto, supplire a qualche manchevolezza od introdurre qualche perfezionamento nel corpo di un sistema. Se le nostre opinioni religiose dovessero mai richiedere alcuna ulteriore delucidazione, noi non faremo ricorso a principi ateistici per interpretarle. Non accenderemo nel nostro tempio bagliori di fuochi profanatori ma lo illumineremo con ben altre lampade, vi spargeremo i profumi di ben altri incensi che non quelli infettati da una adulterata metafisica di importazione. Se le nostre istituzioni ecclesiastiche avessero mai bisogno di una revisione, non sarà l’avarizia né la rapacità pubblica o privata che noi impiegheremo a fine di incamerare le sacre rendite di esse per usarne con rinnovati criteri. Senza scagliare condanna violenta né contro il rito religioso dei Greci, né contro quello degli armeni e neppure contro quello romano (dacché gli odi sono cessati), noi preferiamo essere protestanti; e questo non perché pensiamo che la nostra religione contenga una minore inspirazione cristiana, ma anzi perché, a nostro avviso, questa ispirazione è in essa più grande. E siamo protestanti non a cagione della nostra indifferenza ma a cagione del nostro zelo.
Sappiamo, ed è nostro orgoglio sapere, che l'uomo per sua propria costituzione è animato da spirito religioso; sappiamo che l'ateismo contrasta non soltanto con la nostra ragione ma anche col nostro istinto e che non può prevalere a lungo. Ma se, in un momento di disordine ed in mezzo al delirio ebbro di una infatuazione ispirata alle più infernali alchimie, come è quella che oggi furiosamente ribolle in Francia, noi dovessimo scoprirci a nudo respingendo quella religione cristiana che è stata fino ad ora il nostro orgoglio e la nostra consolazione, oltre che una grande sorgente di civiltà così come è avvenuto in molte altre nazioni, se tutto questo avvenisse, noi, ben convinti che l'animo umano non sopporta una condizione di vacuità, dovremmo temere che qualche grossolana, perniciosa degradante superstizione non subentrasse al posto dell'antica fede. Per questa ragione prima di negare alle nostre istituzioni quel naturale tributo di stima che umanamente tributiamo ad esse e prima di rovesciar loro addosso l'espressione del dispregio come avete fatto voi (voi che oggi meritate di incorrere in una pena adeguata per ciò che avete fatto), noi desidereremmo che ci venisse presentato alcun altro surrogato onde poter compiere la sostituzione. Soltanto così avremmo la possibilità di formarci un’opinione.
In conformità di questi principi, anziché biasimare le istituzioni stabilite, come hanno fatto alcuni che eressero questa loro ostilità contro le istituzioni al grado di una nuova filosofia e di una nuova religione, noi ci stringiamo più fortemente a quelle. Siamo risoluti a mantenere una chiesa stabilita, una monarchia stabilita, un'aristocrazia stabilita e una stabilita democrazia; ciascuna cosa nel grado attuale, e non di più. Io vi mostrerei al presente in qual grado noi possediamo ciascuna delle cose indicate.
È stata la disgrazia del nostro secolo e non, come dicono quei signori, la gloria di esso quella per cui tutto deve essere rimesso in discussione; come se la costituzione del nostro paese dovesse eternamente rappresentare un argomento di alterco anziché un motivo di gioia. Per questo motivo ed anche per soddisfare coloro tra i vostri compatrioti, seppur ve ne sono, che sappiano trarre profitto dagli esempi, io corro il rischio di importunarvi aggiungendo poche considerazioni relativamente a ciascuna delle nostre istituzioni stabilite. Non credo che sia stata priva di saggezza l'usanza degli antichi romani i quali, allorché avevano in animo di riformare le loro leggi, inviavano commissari presso gli stati vicini che fossero meglio costituiti.
Anzitutto vi prego di lasciarmi accennare al problema della nostra chiesa stabilita, che costituisce il primo fra i nostri capisaldi; esso non è destituito di ragione, ma anzi implica una profonda e vasta saggezza. Parlo di esso prima che di ogni altra cosa, giacché questo problema occupa la mente degli Inglesi da capo a fondo. Basandoci sopra un sistema religioso come quello che ora possediamo, noi continuiamo ad operare secondo una antica ispirazione di umanità che ininterrottamente è pervenuta sino ad oggi. Questo sentimento non soltanto a guisa di sapiente architetto ha promosso il sorgere dell'augusto edificio statale, ma a guisa di proprietario previdente ne ha preservata la struttura da qualsiasi profanazione; e come un tempio sacro, lo ha detergo da tutte le impurità della frode, della violenza, dell'ingiustizia, della tirannia; ha consacrato solennemente e per sempre la base del vincolo sociale e tutte le funzioni che ad esso si riferiscono. Questa consacrazione è fatta allo scopo che tutti coloro i quali amministrano e governano altri uomini, rappresentando la figura stessa della divinità, abbiano alta e dignitosa coscienza del proprio operato e della propria missione; e che le loro speranze siano invase dal desiderio dell'immortalità; e che essi non si rivolgano a considerare il vantaggio miserabile del momento presente né l'apprezzamento occasionale e transeunte degli uomini volgari, ma soltanto a conseguire una solida ragione di permanenza in ciò che vi ha di eterno nella natura umana, raggiungendo una fama ed una gloria imperiture nell'esempio che danno di se al mondo, come ricca eredità.
Principi così sublimi dovrebbero essere infusi nello spirito di tutti coloro che si trovano in posizioni preminenti; e le istituzioni religiose dovrebbero essere indirizzate così da poter continuamente ravvivare ed intensificare quei principi medesimi. Ogni sorta, di istituzione, sia essa morale, civile o politica, in quanto intensifica come incremento ausiliare i vincoli naturali e razionali che elevano l'intelletto umano e il sentimento dei mortali fino alla Divinità, si dimostra profondamente necessaria al completamento di quell'organismo meraviglioso che è l'Uomo. Prerogativa di quest'ultimo è appunto quella di essere per gran parte una creatura formata dalla opera propria e che quando ha raggiunto il necessario grado di compimento è destinata ad occupare un posto non piccolo nella scala della creazione. Ma dovunque un uomo sia posto gerarchicamente al disopra di altri uomini, in conformità del principio selettivo che impone l'emergenza dei valori più alti, sarà particolarmente necessario che il gerarca elevato s'avvicini quanto più è possibile all'ideale della perfezione.
(continua)