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    Predefinito Senza etica la finanza fallisce

    Senza etica la finanza fallisce



    di Ettore Gotti Tedeschi
    Si dice che non fosse possibile prevedere i rischi della finanza globale e le sue conseguenze. Non è vero. È vero invece che le previsioni di questi rischi hanno spiegazioni di carattere morale. Per questo sono state trascurate e delegittimate. La finanza ha in qualche modo voluto imporre una sua autonomia morale, con risultati che sono sotto gli occhi di tutti.
    Già trent'anni fa era stata prevista l'impossibilità di assicurare lo sviluppo economico sostenibile con una crescita demografica pari a zero. Ci si domandava se fosse logico ed etico proporre l'illusione di uno sviluppo fondato solo sulla crescita individuale dei consumi. Se fosse logico ed etico far assorbire dalla crescita dei consumi la crescita dei costi sociali (pensioni e sanità) provocando l'aumento delle tasse. Se fosse logico ed etico trasformare un popolo di risparmiatori in un popolo di consumatori indebitati. Se fosse logico ed etico imporre all'uomo globalizzato di andare a cercare lavoro lontano da casa.
    Si accettava poi come molto etico (anche se non molto logico) permettere a tutti di avere una casa, anche a chi non poteva permetterselo. Furono così inventati i mutui subprime, con le conseguenze che conosciamo. Questo modello è un classico esempio di fine buono - la casa per tutti - perseguito con mezzi cattivi, cioè con una struttura finanziaria insostenibile.
    Ci si domandava quindi se fosse etico finanziare questo modello con i risparmi dei cittadini, investiti spesso in prodotti finanziari incomprensibili. E ci si domandava anche se fosse logico ed etico accettare che le banche adottassero modelli concorrenziali centrati sulla crescita di valore per gli azionisti, costringendole così a produrre rischi eccessivi e poca trasparenza pur di dimostrare la crescita degli utili.
    Le domande, dunque, erano moltissime. Ma a esse si è risposto con altre domande: cosa c'entra l'etica? E quale etica, poi? Ora però s'impone un altro quesito: quale sarà il costo di questo deficit etico? Dopo l'illusione di ricchezza di questi anni la prima conseguenza è che per un po', finché non sarà assorbito il disavanzo prodotto, le banche finanzieranno meno il sistema economico, che, a sua volta, produrrà meno e pagherà meno. Noi consumeremo meno e risparmieremo meno. In pratica vivremo più poveramente. E saremo inoltre costretti ad accettare una qualche forma di statalismo a sorpresa, secondo gli strumenti che verranno adottati: maggiori tasse e inflazione, minori tassi e remunerazione dei risparmi - probabilmente sotto il tasso di inflazione - che rappresenteranno così un'imposta occulta di trasferimento della ricchezza.
    L'invito di Benedetto XVI è quindi opportuno. Il Papa ci ricorda innanzitutto che il denaro è solo uno strumento e, in quanto tale, non deve distrarci dai fini. È vero che se non si crea ricchezza non la si può distribuire, ma se si crea male - come è successo in questi anni - si distrugge un doppio valore: quello della ricchezza e quello dell'uomo. Il modello di capitalismo inconsistente degli ultimi anni ha dato vita a un'utopia economica che a sua volta ha causato gravi degenerazioni.
    Il valore dell'individuo è stato infatti valutato su quanto egli potesse guadagnare, spendere, consumare. Ma anche a questo, ormai, non crede più nessuno e regna la sfiducia. Nella società la fiducia è un valore economico fondamentale, ma lo si capisce quando viene a mancare. La fiducia si fonda sulla condotta etica degli operatori e produce miglioramento della concorrenza, credibilità, motivazione e cooperazione; consente stabilità, garantendo valore finanziario all'impresa e permette sviluppo, stimolando creatività ed efficienza.
    Il mercato oggi chiede soprattutto certezze e rispetto delle regole: la scorrettezza nella finanza produce infatti un costo inaccettabile per la collettività. Ma per risanare l'economia e generare nuova fiducia è necessario prima di tutto superare il deficit di logica e di etica che ha segnato questi anni. Altrimenti le soluzioni saranno solo temporanee.

    (©L'Osservatore Romano - 9 novembre 2008)

  2. #2
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    Continuo a dire che degli elementi di resistenza culturale, all'interno di questo mondo cattolico, ma non saprei proprio come entrare in contatto con un mondo così chiuso.

  3. #3
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    OMNIA SUNT COMMUNIA

    Già inserito sul forum, ma lo rimetto


    CRISTIANESIMO E COMUNISMO

    L’attacco di Joe Fallisi al cristianesimo è frontale, irriducibile, senza appello, poiché esso sarebbe «… fra tutte le grandi religioni, quella che si è rivelata non solo la più antropocentrica, ma la più malefica nel corso della storia ».
    Qui abbiamo un esempio lampante di quanto dicevo riguardo al carattere assolutistico e integralistico del paradigma antispecista. Siccome il cristianesimo pone l’uomo al centro del mondo esso è, ipso facto, malefica spazzatura. Questa condanna a morte sommaria è appunto emessa, non considerando un fenomeno nella sua complessa storicità, ma solo pigliando in considerazione un elemento, l’antropocentrismo, il che equivale appunto a fare dell’anti-antropocentrismo un paradigma ontologico, metafisico, assoluto.
    Oltre che sul metodo dissento radicalmente tuttavia con la sostanza del giudizio anticristiano.

    Anzitutto non è lecito fare di tutt’erba un fascio. Joe afferma che in effetti esistono “altri cristianesimi”, come appunto quello cataro (sterminato dalla crociata del 1209 voluta dal papato romano), ma allora dovrebbe evitare di parlare del cristianesimo come un fenomeno unitario e rifiutare di considerarlo, con rozzezza spirituale, allo stesso modo che Berlusconi considera il comunismo.
    Nell’affrontare la questione io ritengo sia doverosa una premessa: che la storia della chiesa, di quella cattolica apostolica romana (non di quelle ereticali già numerose nei primi secoli), dal momento in cui essa entra in un rapporto simbiotico con l’Impero romano (e le cui date simboliche sono il 313, anno con cui Costantino legalizza il cristianesimo ufficiale, e il 314, anno della scomunica da parte dei cattolici dei disertori dell’esercito imperiale), si è svolta all’insegna di un progressivo allontanamento dal dettato originario di Gesù, per essere più precisi all’insegna di un sordido anticristianesimo.

    Questa premessa è determinante, poiché non solo ci consente di capire il senso e l’importanza delle tremende lotte svoltesi in campo cristiano sin dai primissimi anni, e le ricorrenti “eresie”, ma ci obbliga a mettere a fuoco quale sia l’essenza del cristianesimo —essenza che non ci viene affatto rivelata dal criterio monomaniacale dell’antropocentrismo e che risiede, io ritengo, in quello evangelico o delle prime comunità cristiane

    Quest’essenza, io credo, consiste in un comunismo ante litteram, ma pauperistico e soteriologico; in cui la Redenzione è liberazione solo immaginaria, rimandata al paradiso, e dove la comunione dei beni riguarda solo la comunità dei credenti e non la società.

    Noto è il sermone di Gesù sul Giovane ricco:
    «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quanto hai, dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo, poi vieni e seguimi. (…) Ma il giovane, udite queste parole, se ne andò via rattristato, perché aveva molti beni. E Gesù disse ai suoi discepoli: «In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Si ve lo ripeto: è più facile che un cammello entri per la cruna di un ago, che un ricco nel regno di Dio. (…) Anzi molti dei primi saranno gli ultimi, e molti degli ultimi saranno i primi »
    Vangelo secondo Matteo, 19,16-19,30

    La prova inconfutabile che le prime comunità cristiane si attenevano ad una rigida osservanza di un modus vivendi e operandi comunistico è negli Atti degli Apostoli:

    «Essi erano assidui alla predicazione degli Apostoli, alla riunioni comuni, alla frazione del pane e alle preghiere. Or tutti erano presi da timore, poiché molti segni e miracoli si concepivano dagli Apostoli. E tutti quelli che credevano stavano insieme e avevano tutto in comune. Vendevano i loro beni e ne distribuivano il prezzo fra tutti, secondo i bisogni di ciascuno»
    Atti degli Apostoli, 2,43-2,45

    Davanti a questa perentoria affermazione l’esegeta cattolico si è sentito in dovere di chiosare: «Questa pittura dimostra come diventerebbe il mondo, se tutti fossero veramente cristiani, e se il vangelo divenisse il codice della società. Ma questo santo comunismo esige la perfezione, non può mai abbracciare tutta la società ».
    La Sacra Bibbia, edizioni paoline, 1970, p1105

    In altre parole, agostinianamente (la Citta di Dio non è da confondere con quella terrena, destinata ad essere dominata dal male, e con la quale tuttavia la Chiesa coabita da secoli in perfetta armonia), questo pur “santo comunismo” non può essere di questo mondo, ma solo nel Regno di Dio.
    Al contrario, contro questa scissione, affinché questo mondo si fondi sulla totale comunione dei beni e sui precetti evangelici, sono sorte le più radicali eresie cristiane le quali, tutte, hanno perorato non solo il ritorno della chiesa allo spirito originario ma la cristisnizzazione di tutta la società. Di qui la lotta implacabile e, per quanto noi oggi si possa irridere al pauperismo, una reale lotta di classe oltre che religiosa. Lotta ereticale di cui Francesco d’Assisi, con la sua appassionata richiesta di un ritorno allo spirito più genuino del Vangelo, rappresentò la vetta più alta, fu cioè un esempio contagioso di una teoria e di una prassi ispirate ad una concezione radicalmente comunistica della vita sociale e non solo interiore. Un Francesco, vorrei ricordare, che era ben lontano dal vituperato antropocentrismo e che nel Cantico delle creature, al contrario, presenta una concezione del cosmo per cui, siccome tutto quanto è manifestazione divina è dunque sacro e inviolabile.

    Per questo possiamo condividere quanto affermava Ugo Spirito: «Non è contro Cristo che si combatte, ma contro coloro che in nome suo vogliono mantenere il dualismo di ricco e povero e di padrone e di servo »
    Ugo Spirito, Il comunismo, p.130, Sansoni 1965

    E’ tuttavia problematico che il cristianesimo delle origni abbia combattuto “contro il dualismo di ricco e povero e di padrone e di servo”
    Nota è la Prima lettera di Paolo di Tarso ai Corinti nella quale egli invita i suoi adepti a non ribellarsi e a rassegnarsi alla schiavitù:

    «Ognuno rimanga nella condizione [sociale, ndr ] che il Signore gli ha assegnata, e nella quale si trovava quando fu chiamato [battezzato, ndr ]. Questo è il modo con cui dispongo tutte le chiese. (…)
    Sei stato chiamato quand’eri schiavo? Non te ne preoccupare, anzi, trovandoti nella possibilità di diventare libero, approfitta piuttosto della tua condizione di schiavo, perché chi da schiavo è stato chiamato nel Signore, è libero in Cristo… Ciascuno, o fratelli, rimanga davanti a Dio nella condizione in cui era quando fu chiamato »
    Prima lettera ai Corinti, 7,17-7,23

    Per questo non si può ricavare la tesi di Ugo Spirito il quale, radicalizzando l’interpretazione di Engels, afferma: «Il cristianesimo rappresenta la più grande rivoluzione che la storia abbia mai conosciuto e il suo carattere rivoluzionario può riassumersi proprio nell’esigenza del più radicale comunismo. Nel precetto evangelico dell’amore verso il prossimo è racchiusa la più grande affermazione comunista che si sia avuto la capacità di concepire »
    Ibidem, p.147

    Il cristianesmo è si portatore di comunismo, ma in un senso radicalmente trascendentale e redenzionale: la salvezza, ovvero la possibilità di superare la situazione contaddittoria e di infelicità che distingue l’esistenza umana, non sta in terra ma solo nel regno dei morti viventi.
    Le prove sono proprio nei Vangeli.
    Prendiamo il sermone della Montagna o delle beatitudini:

    «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli! Beati gli afflitti, perché saranno consolati! Beati i miti, perché erediteranno la terra! Beati quelli che hanno fame perché sranno saziati! Beati i misericordiosi, perché otterranno misericordia! Beati i puri di cuore perché vedranno Dio! Beati i pacificatori, perché saranno chiamati figli di Dio! Beati quelli che son perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei ciali! Beati sarete voi, quando vi oltraggeranno e perseguiteranno, e falsamente diranno di voi ogni male per cagion mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli; perché così pure hanno perseguitato i profeti che sono stati prima di voi »
    Vangelo secondo Matteo, 5,11-39


    Nel suo Vangelo Luca aggiunge:
    «Ma guai a voi ricchi, perché avete ricevuto consolazione! Guai a voi che ora siete sazi perché patirete la fame! Guai a voi che ora ridete, perché sarete nel dolore e nel pianto! (…)
    Ma io dico a voi che mi ascoltate: Amate i vostri nemici; fate del bene a quelli che vi odiano, benedite quelli che vi maledicono, pregate per i vostri calunniatori. A chi ti percuote su una guacia, porgi anche l’altra. A chi ti porta via il mantello, non impedire di prenderti anche la veste »
    Vangelo Secondo Luca, 6,24-6,36

    Ma ancor più significatico è il discorso di Gesù titolato I cristiani e i beni del mondo:
    «Non vogliate accumulare tesori sulla terra, dove la ruggine e la tignola consumano e dove i ladri sfondano e rubano; ma accumulatevi tesori nel cielo, dove n’è la ruggine né tignola consumano, e dove i ladri non sfondano. Perché là dov’è il tuo tesoro, ci sarà pure il tuo cuore. (…) Nessuno può servire due padroni.. Non potete servire a Dio e a Mammona [il demone della ricchezza, nda ]. Perciò vi dico: non siate troppo solleciti per la vita vostra, di quel che mangerete, né per il vostro corpo, di che vi vestirete. La vita non vale più del cibo, e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il vostro Padre celeste li nutre. (…) cercate prima di tuto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date, per giunta. Non vogliate dunque mettervi in pena per il domani, poiché il domani avrà cura di se stesso: a ciascun giorno basta il suo affanno ».
    Vangelo secondo Matteo, 6,19-6,25

    Il comunismo di Cristo non era dunque un comunismo pratico-rivoluzionario ma mistico, trascendentale, escatologico e dunque antipolitico.

    Mistico, in quanto si fonda sull’imperativo per l’uomo di sciogliersi nel divino, attraverso un’amore che in quanto si esprime fin’anche verso il nemico, si astrattizza, diviene irrangiungibile, aleatorio, sovrumano: e la stessa fratellanza, per quanto comunistica, finisce per essere, o settaria in quanto rivolta solo ai propri correligionari, oppure una esaltazione spiritualistica del dolore e del martirio.

    Trascendentale, in quanto tende a concepire la beatitudine solo nell’al di là, dato che il mondo materiale è considerato o inessenziale o mero luogo di transito che l’anima deve patire per la sua salvezza eterna.

    Escatologico, in quanto concepisce il mondo empirico come non rinnovabile dagli uomini medesimi, destinato a finire per lasciare il posto al dominio di Dio, poiché solo esso ha le forze per cacciare il male e superarlo

    Antipolitico, in quanto all’uomo non resta che attendere la parusia, la fine dei tempi, in uno stato di fatalistica rassegnazione davanti agli eventi storici, visto che qualsiasi governo è di per sé maligno e destinato ad infrangere i postulati divini.

    Ma il mondo non si riduce alla politica. E il comunismo moderno non nasce dal nulla ma è anche figlio del crisstainesmo, il suo inveramento immanentistico e rivoluzionario. In barba agli animalisti, che disprezzano il genere umano e finiscono per non fare distinzione alcuna tra oppressi e oppressori, tra schiavi e padroni, io penso che la molla etica e spirituale che muove il comunista sia la medesima del cristiano più autentico. E questo è ben espresso da Ugo Spirito:

    «Ora, per il comunista, i gradi di spiritualità sono segnati dalla maggiore o minore capacità di sentire il bisogno altrui come bisogno proprio, e l’ideale è rappresentato da una società in cui gli individui avvertano l’dentità assoluta del singolo e della comunità: l’identità, cioè, della gioia di mangiare il pane e di dare il pane. Non si tratta, perciò, tanto di vivere o di non vivere di solo pane, quanto di vivere di pane in modo che tutti ne vivano. Si tratta in altri termini di sentire il bisogno del pane in sé e negli altri, di sentire la fame degli altri come fame propria e di mangiare il pane con questa coscienza. Qui è la radice della spiritualità dell’uomo e del bene»
    Ibidem, p.66
    Negli stessi anni, dall’altra parte del globo, non un filosofo ma un guerrigliero come Guevara esprimeva in maniera meno poetica ma non meno intensa, lo stesso concetto, che “occorre sentire sulla propria guancia lo schiaffo che ogni oppresso, in qualunque parte del mondo si trovi, subisce sulla sua”.



    Moreno Pasquinelli

    ARDITI NON GENDARMI

  4. #4
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    L’articolo dell’Osservatore che ho proposto mette in evidenza principalmente una questione. Cioè che lo “spirito” cattolico fatica ad accettare la supremazia del denaro e di conseguenza, nell’attuale epoca, la supremazia della finanza. Ragione per cui la Chiesa oggettivamente rimane non naturalmente assecondante il capitalismo e la sua etica.

    È l’etica quella che viene richiamata nell’articolo del quotidiano pontificio, è la sua assenza o, meglio, il suo asservimento ad una finanza che non è agganciata alla produzione e quindi alla produzione della ricchezza.

    Quello che manca è la critica conseguente al sistema che genera questo tipo di successione di eventi. Manca cioè la critica del capitalismo. Si potrebbe anche obiettare che non è la Chiesa che deve svolgere questa azione di critica e l’obiezione potrebbe anche essere giusta.

    Una cosa a me preme sottolineare, e questo articolo bene lo dimostra: è che oggi la Chiesa si trova a dover, al di là di tutto, porre un ostacolo al fluire delle dinamiche dello stesso capitalismo e questo non perché sia anticapitalista ma perché è lo stesso capitalismo assoluto a minacciare l’esistenza stessa della Chiesa.

    È per questo che i poteri “forti” dell’economia sono poco accondiscendenti verso la Chiesa cattolica, al di là delle rappresentazioni del potere che utilizza scenografie a base di porporati comandi militari e politici.

    La contraddizione sta qua, ed è questo il motivo per cui penso che un “sano” cattolico sia meglio di un laico laicista (il laicismo è all’oggi la religione monoteista del capitalismo). Il problema è, purtroppo, che oggi di “sani” cattolici non ce ne sono tanti in giro. Infatti i processi di secolarizzazione della chiesa sono ampi e radicali e l’etica capitalistica è penetrata profondamente. Ma questo è un argomento, molto interessante, che ci porterebbe lontano, almeno per il momento.

 

 

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