Topolino Noir - Storie scritte da Tito Faraci
Mickey Mouse nell’Italia che cambia
Spesso ci si dimentica oggi com’era l’Italia dal dopoguerra alla caduta del muro di Berlino. In quell’epoca a dividere la nostra nazione non era ancora Berlusconi, ma la politica estera. C’era chi stava con i partiti governativi legati all’Occidente, al Patto Atlantico, e chi faceva opposizione guardando ad est, al Patto di Varsavia. Questa spaccatura si rifletteva nei media dove si confrontavano una cultura nazionalpopolare a carattere familiare ed una controcultura militante, d’impronta giovanile, che rifiutava in blocco la prima ritenendola portavoce di messaggi conformisti o peggio reazionari. I fumetti di Topolino rientravano di diritto nel genere nazionalpopolare, ma avevano molti e accesi sostenitori tra i fruitori della controcultura. Questi ultimi erano divisi dall’amore verso i personaggi disneyani e l’odio per il loro essere intrinsecamente americani, dunque ideologicamente nemici, dato che la linea sociale e politica dell’Occidente si riverberava necessariamente nelle loro storie.
Negli anni in cui il personale doveva essere politico (celebre slogan comunista) non ci si poteva esimere dall’etichettare a destra o a sinistra ogni aspetto della nostra vita, compresa la cultura pop. Fu così dunque che la critica fumettistica, storicamente nata a sinistra con il celebre Linus, iniziò a porsi il problema di come collocare politicamente Topolino e Paperino. I moderati erano come sempre in altre faccende affaccendati e lasciarono libero il campo ai critici comunisti.
Famosi furono i saggi disneyani di Franco Fossati, caratterizzati da un sentimento ambivalente verso Mickey Mouse, e tanti altri critici seguirono questa scia (le varie riletture politiche sono state riportate esaurientemente nel volumetto di Alessandro Barbera, Camerata Topolino, edito da stampa Alternativa). Fino a quando il comunismo sovietico rimase in piedi, questa parte politica giudicherà Topolino come uno sbirro reazionario, Minni una donnetta tradizionalista e Paperone ovviamente il bieco capitalista. Su Paperino vertevano invece parecchie simpatie in quanto figura di nullafacente soggetto alle tirchierie dello zione e alla fortuna sfacciata del cuginastro Gastone. Viceversa quella parte di società liberale e democratica, che aveva scelto il sistema capitalistico in luogo di quello collettivistico, era portata a riconoscersi pienamente nell’universo disneyano e parteggiava per topi e paperi senza dividersi in merito ad analisi socio-politiche.
Dopo l’89, in seguito alla rovinosa caduta del comunismo, cambia invece tutto, ma non nella direzione che sarebbe stato lecito immaginarsi. Infatti è l’ex PCI, che già con Berlinguer si era voluto di lotta e di governo, a capitalizzare le conseguenze del mutato scenario internazionale, una volta sdoganato dalle inchieste giudiziarie di Mani Pulite. Mani Pulite, la rivoluzione giudiziaria che affossa la Prima Repubblica e dà inizio alla seconda, favorisce l’occultamento del mondo postcomunista nel rispettato alveo socialdemocratico e liberalprogressista. Per i militanti cambia solo il volto dell’avversario, che da Craxi diventa ora Berlusconi, che del leader socialista aveva in qualche modo ereditato lo stile personale e la linea politica.
Se in precedenza, però, i partiti della sinistra si erano identificati in larga misura col movimentismo giovanile ed erano essenzialmente forze libertarie e contestatarie, negli anni novanta queste vengono ad acquistare aspetti per molti versi inediti, dovuti ai nuovi impegni governativi. Il nuovo ruolo impone alla cultura post-comunista di accantonare le istanze libertarie e radicali e di accentuare alcune tendenze d’ordine, mutuate dal vecchio apparato democristiano e socialista.
Lo sfascio successivo a Tangentopoli e la caduta del Pentapartito determinarono anche lo sgretolarsi definitivo della debole cultura d’impronta cattolica - che aveva caratterizzato ufficialmente l’Italia fino al sessantotto -, la quale venne sostituita dall’imponente struttura mediatica post-comunista subito pronta ad esercitare nella nuova Italia la sua egemonia culturale.
Negli anni novanta anche la Disney deve fare i conti con l’evoluzione del costume sociale e, come è sempre avvenuto, le sue storie e i suoi personaggi hanno risentito dei cambiamenti avvenuti. Sono anni in cui il rapporto fra gli ambienti della sinistra al potere ed il linguaggio nazional-popolare cambia radicalmente. RaiUno, non più di proprietà esclusiva dei democristiani, si apre a nuove e diverse sensibilità; il Festival di Sanremo vede il tramonto della melodia e una maggiore sensibilità al sociale; personalità quali Baudo e Celentano da esempi del conformismo borghese diventano professionisti di spessore che la sinistra in doppiopetto è felice di arruolare tra le proprie fila.
Questo passaggio di figure ritenute tradizionalmente di destra alla sinistra investe anche i personaggi dei fumetti. Si vedano i casi di Topolino e Tex: per anni identificati espressione del potere costituito, che diventano ora le icone del progressismo democratico e poliziesco di marca girotondina.
La destra, che un tempo nell’immaginario popolare era rappresentata da borghesi, militari e preti, diventa ora l’habitat esclusivo di imprenditori mafiosi e fatue veline televisive. Di contro, è la sinistra a riappropriarsi dei valori tradizionali, un tempo sbeffeggiati ed ora adattati alle mutate esigenze politiche. Via quindi con la sfilza di fiction nazionalpopolari tutte in quota Ulivo, da Nonno Libero, a Un Posto al Sole, a La Squadra, che portano nelle famiglie italiane valori e temi prima di allora esclusivamente affrontati dalla più elitaria e militante produzione impegnata.
Questo cambiamento di prospettiva ha interessato, si è detto, anche il personaggio di Mickey Mouse. Questi, grazie al giovane e talentuoso autore Tito Faraci ha provato a smettere i consueti panni dell’infallibile detective legalitario nella perbenista e sonnacchiosa città di Topolinia, ed è stato catapultato in un posto sperduto del Centro-America a combattere una legge rappresentata da sceriffi corrotti e dittatori militari. Il Bene e la Legge, presenti a Topolinia nella figura dell’onesto Commissario Basettoni, vengono dunque scissi, come nei western revisionisti in cui il tradizionale scontro tra il Buono e il Cattivo viene capovolto.
Ecco dunque che il nemico per antonomasia di Topolino, ovvero il terribile Gambadilegno, pur rimanendo dalla parte sbagliata, acquista una coloritura inedita, buffa e simpatica, che gli permette di recitare il ruolo del good-bad boy, il bravo-cattivo ragazzo, che è costretto a chiedere aiuto all’integerrimo topo per combattere un cattivo più cattivo di lui. (Che rapportato alla società attuale sembra voler dire: noi eravamo filosovietici ma non rubavamo, voi invece…)
Tra i due antichi rivali, si instaura una complicità inedita che vede per la prima volta il forzuto (Gamba) sfoggiare intelligenza e il debole (Topolino) recitare la parte dell’ingenuo se non addirittura del tonto. Topolino, abituato a fiutare la minaccia per istinto, diventa adesso vulnerabile preda della furbizia altrui. Non solo, perde anche la sua centralità indiscussa nelle storie poliziesche successivamente ambientate a Topolinia. Faraci, infatti, abbandonato il consueto e un po’ trito stile giallistico per il più moderno e decadente noir, preferisce servirsi di personaggi fino ad allora comprimari (Manetta) per trame sorprendentemente ironiche e persino grottesche.
In una di queste (Topolino e il genio nell’ombra) la coppia Faraci/Ziche arriva a proporre sottotraccia una dissacrante rilettura dell’universo topesco: ovvero che la mente astuta nell’ambito della coppia sia Pippo, anziché Topolino, declassato miseramente al rango di spalla. Uno slittamento, questo del topo, da protagonista assoluto a co-protagonista, quindi a sparring partner dell’emergente Pippo, che avviene progressivamente nelle storie disneyane, in base anche alla difficoltà con la quale i nuovi sceneggiatori si trovano a padroneggiare un personaggio ritenuto difficile – in quanto intrinsecamente legato a tempi e valori ritenuti sorpassati - quale è Topolino.
Faraci dona a quest’ultimo una mimica nuova e un linguaggio del tutto inedito in Topolino e il fiume del tempo, storia in cui si ripercorre storicamente il rapporto dell’eroe con Gambadilegno, che nell’occasione riesce a rubare la scena all’odiato topastro. In questa storia Topolino assume pose sarcastiche, è permaloso, iracondo, persino insofferente nei confronti di Minni. Sembra a tratti un personaggio sull’orlo di una crisi di nervi, totalmente privo della razionalità e del naturale self control che hanno sempre caratterizzato il suo modo di essere. Gambadilegno lo prende in giro con frasi prima d’allora mai udite:
Damerino! Critica me, e poi guarda com’è conciato! Pantaloni con la piega! Dovrebbero vietarli con una legge federale!
Pensa di essere in gita, ma non sa quanto si sbaglia! Scommetto che adesso inizia a fischiettare!
(Fischio di Topolino)
Matematico…
E poi quella posa irritante! Come tiene il timone! E quel naso per aria! Ma che cosa guarda?
E allora tiè, un colpo liberatorio sferrato dal Gamba dietro la nuca dell’irritante topo, per la soddisfazione del lettore che in tutta la scena si è immedesimato col buon ladrone.
In questa storia è possibile scorgere la sottile vendetta di un pezzo di società che non ha mai amato il Topolino legalitario e moralista e che adesso si prende nei suoi confronti la tanto sospirata rivincita. Come? Invertendo i ruoli tradizionali. Il villain diventa un bonaccione e l’eroe… meno eroe. Gambadilegno e Topolino recitano a tratti un po’ come Silvestro e Titti o Tom e Jerry, col topo antipatico che per la prima volta deve fare i conti con una critica esplicita del suo carattere e della sua personalità.
Considerato non a torto di rappresentare l’uomo comune occidentale del dopoguerra, il benpensante borghese con moglie (Minni), figli (Tip e Tap) e cane (Pluto) a carico, Topolino viene spogliato a poco a poco di questi tratti domestici e rassicuranti, e catapultato in realtà inedite dove si trova ad agire con figure sociali del tutto nuove per lui.
La grande svolta è del maggio 1999, anno in cui la Disney, per rilanciare in edicola un personaggio caduto in disgrazia presso le più giovani generazioni, decide di lanciare un comic book adulto e pretenzioso, MMMM (Mickey Mouse Mystery Magazine), naturale evoluzione delle storie revisioniste che Faraci aveva pubblicato sul settimanale nei due anni precedenti.
Topolino si trova catapultato in una città, Anderville, che ricalca i cliches della letteratura noir. Ha a che fare per la prima volta con tassisti, baristi e un universo popolato da figure più inclini al proletariato che alla tradizionale borghesia. Lo vediamo alle prese con un politico corrotto, graficamente tratteggiato con le fisinomie del tipico affarista che si vuole repubblicano (WASP e con la classica espressione tronfia stampata sul volto - una sorta di Steve Forbes per intenderci), ad essere spalleggiato da una tipa sveglia che è sicuramente emancipata. Il Topolino di Faraci perde la sua classica risolutezza per trovarla solo nei momenti essenziali, di maggior pericolo. Per il resto è un Topolino spesso confuso e dubbioso, notevolmente imbranato. Un Topolino che strizza l’occhio ai tradizionali fans di Paperino che ne hanno decretato l’impopolarità.
Il cambio di campo operato per il personaggio si evidenzia nella mutazione caratteriale, in quanto tratti quali la sicurezza, la solarità e l’ordinarietà - da sempre ritenuti tipici dell’uomo di destra – lasciano spazio alla riflessività, alla mutevolezza e all’introversione - caratteristiche invece dell’uomo di sinistra. Ma è la scelta di un giornale che simbolizza ancor più il cambiamento d’immagine del nostro eroe.
Ad Anderville vi è l’Anderville News Pioneer, definito rassicurante e conformista, e lo Star Tribune, scandalistico, urlato, con toni aggressivi. E’ possibile vedere in questi due quotidiani la parodia dei due maggiori newsmagazines italiani, il Corriere della Sera e la Repubblica. Topolino che in qualunque tempo e in qualunque luogo, per indole e personalità, opterebbe di certo per il Corsera, lo vediamo invece con non chalance sfogliare la Repubblica. Il dado è tratto e il Rubicone passato. Gli sbirri, una volta arruolati e indottrinati alla causa, perdono i vecchi tratti reazionari. Topolino muoverà contro la legge, se necessario, per mantenere specchiata la propria onestà, aiutando il lumpenproletariat che lo accompagnia in queste particolari avventure.
Grazie a queste storie Tito Faraci è assunto agli onori della cronaca e Topolino conquistato un posto d’onore nel catalogo Einaudi con il volume Topolino Noir, che si avvale della postfazione di Daniele Brolli.
Per la verità MMMM è stato per la Disney un flop editoriale ed ha dovuto chiudere con l’undicesimo numero, mentre il rivale PK ha avuto una ben più lunga ed onorata carriera. Sintomo che gli antichi pregiudizi sono duri a morire, e che in Italia c’è sempre una sinistra più a sinistra dell’altra, per la quale gli sbirri son sempre sbirri in qualsiasi parte di campo si trovino temporaneamente a giocare.
Florian