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  1. #11
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    Citazione Originariamente Scritto da Alex Bottero Visualizza Messaggio
    voyager, il tuo discorso mi è ben noto, perché è proprio su questo punto che il dibattito/confronto tra psicoanalisi e teologia è accesissimo.

    quello che dici (il peccato originale come primo atto di autonomia umana, e quindi come principio di un agire morale personale e non più eterodiretto) si ritrova chiaramente nei testi di Eric Fromm, come Anatomia della distruttività umana, o Avere ed Essere.

    Fromm dice proprio (riflettendo esplicitamente sul racconto della genesi) che il peccato di Adamo ed Eva è l'atto che pone la base dell'autonomia e della RESPONSABILITA' dell'uomo.

    ma questo è un modo di vedere la questione, secondo me, fuorviante.

    qui dovremmo tirare in ballo i concetti di /libertà/ e /libero arbitrio/ , ma quelli che usa la teologia, e allora dovremmo dire che la vera ed autentica libertà, per il pensiero cattolico, è quella che fa il bene.
    la libertà di fare il male, o respingere il bene, non è una "vera ed autentica" libertà. è una libertà MATERIALE (ossia l'uomo è in grado di AGIRE in m odo libero) ma non è una libertà SOSTANZIALE (ossia l'uomo che si conforma al progetto di dio per lui). la libertà, per l'uomo, nel progetto di Dio, è la libertà di fare il bene, ossia di accettare e confromarsi al disegno che Dio ha per lui. tutto il resto può essere AUTONOMIA, ma non è LIBERTAì nel senso pieno del temine, seconmdo la teologia.


    mi fermo, ma ci sarebbero da dire molte altre cose.

    Certo che ci sarebbe tantissimo ancora da scrivere e dire, soprattutto in termini di confutazione, poiché le tue tesi, non proprio quelle della teologia (poi sarebbe opportuno stabilire quale teologia…. Sai ne esistono diversissime e spesso non convergenti), sempre che non abbia io frainteso o tu non abbia semplificato eccessivamente, non mi paiono affatto coerenti con il racconto di Genesi. Fra l’altro citi un pensatore che sinceramente non ricordo che si fosse espresso in questi termini nelle due opere da te citate (ma potrebbe trattarsi di una mia carenza di memoria… solo per una mia curiosità, dove, in quale punto della sua opera forse più importante?).

    Ma andiamo oltre.

    Fai riferimento al concetto di libertà, alla cui nozione è strettamente connessa quella di libero arbitrio, e attribuisci, implicitamente, la giusta concezione della condizione di libertà esclusivamente alla teologia. Qui però commetti un arbitrio – abbastanza usuale, soprattutto in ambito cristiano – perché soffusamente (forse inconsapevolmente, probabilmente nella concitazione di una risposta) non t’avvedi che parti da un presupposto che è parziale, se non addirittura sostanzialmente errato. La nozione di libertà, quindi della libera disponibilità della propria volontà – a questa, e solo a questa si lega inscindibilmente il concetto in esame, nell’accezione corrente -, non ha il suo fondamento esclusivo nella nozione o nell’esigenza di disponibilità piena da un qualcosa, non si radica nella “libertà da…”, non risponde esclusivamente alla necessità di liberarsi da…(‘libertà da…’), ma, in modo precipuo e prioritario (umanamente prioritario e precipuo), è intrinsecamente e inscindibilmente legata al concetto di disporre pienamente ‘di…’; nel senso che non è massimamente corretto, come vorrebbe certa teologia da te citata, inferire che la libertà sia sempre e solo quella che affranca da un qualcosa (nella fattispecie dal peccato e dal Male), essendo, senza dubbio, più consono al concetto di libertà quello che attiene alla libertà di poter disporre pienamente.

    Dicevo, poco sopra, che questa fraintesa concezione della libertà, arbitrariamente eletta a valore universalmente valido, è mutuata in larghissima misura dal dialogo che, in Giovanni 8, Gesù ebbe con i discepoli. Anche l’enciclica di Giovanni Paolo II, Veritatis Spendor, risente fortemente di quanto emerge dalle pagine del Vangelo di Giovanni, anche se, a parer mio, con un forte accenno di arbitrarietà. Il passaggio da tenere ben presente è collocato fra i loghion 31 e 47. Ovviamente non si tratta dell’unico cenno al concetto di libertà presente nella tradizione neo-testamentaria, ma questo lo ritengo sicuramente il più significativo, proprio perché riferibile immediatamente all’insegnamento di Gesù: <<31. Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; 32. conoscerete la verità e la verità vi farà liberi>>. Poco dopo, replicando alle osservazioni avanzate dai discepoli, chiarisce: <<34. Gesù rispose: "In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato>> (va da sé che chiunque compia sempre e comunque il bene sarebbe senza meno schiavo del Bene, e non mi parrebbe di rilevare o registrare nell’uomo un’inclinazione naturale verso il bene, più spesso verso il suo omologo contrario). Con evidenza, Gesù dunque si appella alla possibilità reale di una libertà da qualcosa (il peccato), non di una libertà di potere e non poter scegliere autonomamente e in piena coscienza. Ma ciò che esige l’uomo, dopo la caduta, non è la libertà da un qualcosa, bensì di potersi autodeterminare. Tale particolare disposizione nei confronti della libertà (in senso negativo) la si ritrova anche nel celeberrimo racconto del Grande Inquisitore, dell’insuperato romanzo di Dostoevskji. Da ciò deriva l’intero percorso argomentativo, che imputa alla Chiesa di Roma – in special modo – l’aver espanso oltre ogni dovuto l’espressione di Gesù, che si rivolgeva alla liberazione dal peccato, mantenendo ad un livello di sudditanza la libera determinazione individuale rispetto alle istanze divine. Quindi, non di una libertà piena si tratta, bensì di una libertà condizionata. Ma quel che è narrato in Genesi stravolge il concetto espresso da Gesù. L’atto di superbia che, secondo il mito, ha dannato la Creazione, è una pretesa piena e completa di autodeterminazione. In tale ambito e in quel senso, la teologia (resta da capire sempre quale teologia), per affermare l’esistenza e la superiorità di una legge naturale inscritta nella coscienza individuale, non può far altro che esautorare la pretesa di libertà piena e completa, proprio conseguente e consanguinea al peccato d’origine, esautorarla e asservirla ad una diversa specie, il cui tenore è assai più contenuto, riducendola, infatti, all’insegnamento di Cristo che, senza dubbio, è solo un’esortare a conquistare una “libertà da”. Nel contempo, pur nella riduzione operata, la Chiesa (o la teologia), espande, universalizzandola, la nozione di libertà contratta che emerge dalle pagine del vangelo di Giovanni (in ciò è rilevabile una palese contraddizione).

    In poche parole, poiché ho intuito che taluni sono affezionati agli schemi, la creazione pretende una libertà a 360 gradi, ovvero “libertà di…”, la Chiesa propone come mezzo di salvezza una libertà a 180 gradi, ovvero “libertà da…”. (troppo spesso ci troviamo disposti sempre e solo a 90 gradi , ma questa è davvero altra storia)

    P.S.: affermare con eccessiva perentorietà che non esistono verità, equivale ad esprimere una verità – sebbene sia l’unica ammessa -, quindi è anch’essa una posizione dogmatica. Sostenere, invece, che si dubita che esistano verità, dischiude la porta a più di una possibilità. Questa posizione non è per nulla dogmatica. Men che meno è dogmatico affermare che, qualora esistesse una Verità, questa è però inconoscibile e non conseguibile.


    PPS: qualcuno, non senza ragioni, sosteneva un tempo che libertà è partecipazione. Il termine partecipazione è assolutamente ambiguo, prestandosi a diverse letture.

  2. #12
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    qualcuno, non senza ragioni, sosteneva un tempo che libertà è partecipazione.
    giogio gaber, "la libertà"

  3. #13
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    Già, pensavo proprio a lui. Ma il nucleo teorico di una libertà partecipativa è ben sviluppato in Sartre (mamma, il demonio in persona nella casa del Signore), per esempio.


    Fromm????

  4. #14
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    fromm parla del peccato originale in Avere o Essere.

  5. #15
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    francamente sartre mi lascia abbastanza freddo.
    per sartre, volendo sintetizzare, la vera libertà è la libertà dagli altri, visto che l'inferno sono gli altri.

    ma al di là delle battute, come dicevo è un problema di termini e di significati che si danno ai termini.

    in teologia per libertà piena si intende la libertà di fare il bene.
    la libertà di fare il male NON è considerata una libertà autentica.
    si può non essere d'accordo, ma se si vuole parlare all interno della RETE LINGUISTICA (ti piace barsanufio?) della teologia cattolica allora per "libertà" si deve assumere questo significato.

    è come se io dicessi "per me in inglese NON si deve dire /cat/ per indicare gatto, ma /BLAT/".

    poi non mi devo stupire se nessuno mi capisce quando indico un gatto e dico "see? here's a BLAT!"

  6. #16
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    Citazione Originariamente Scritto da teo scarpellini Visualizza Messaggio
    Se vuoi argomenta.
    Possiamo parlare di Ruini, possiamo parlare di Bagnasco, possiamo discutere della differenza tra Ruini e Bagnasco ma sino a che non ci portiamo alle radici teorico-concettuali dell'agire sociale della chiesa ci si limita ad un'analisi fenomenologica e di superficie e possiamo prevedere ben poco di quanto avverrà.
    Nn bisogna dimenticare che alla base di tale agire sta il pensiero di Tommaso, la dottrina ufficiale della chiesa.
    Gran parte della cultura contemporanea denuncia lo scarto tra il pensiero e la prassi cattolica rispetto all'insegnamento di Gesù, eppure bisogna forse dire che in realtà la chiesa è perfettamente coerente cn il messaggio evangelico: è vero che Cristo ha detto che ciò che spetta a Cesare deve andare a Cesare e ciò che spetta a Dio deve andare a Dio ma ha anche detto ke nn si posson seguire due padroni.
    Qsto significa che ciò che spetta a Cesare nn può essere contrario a ciò che spetta a Dio, che lo stato nn può andare contro il firmamentum, cioè che le leggi dello stato devon adeguarsi a quelle divine, lo stato deve cioè fare la volontà di Dio, deve essere stato cristiano, cioè teocratico, nn c'è cioè libertà senza verità (l'esatto opposto della democrazia).
    La filosofia di Tommaso esprime esattamente tale contesto: la filosofia nn può che esser ancilla teologiae, la ragione è concorde cn i misteri della fede e li giustifica, la ragione che va contro la fede è falsa ragione (stato illeggittimo)..d'altra parte la ragione è comune a tutti, è naturale..tutti capiscono autonomamente e razionalmente che la ragione dimostra Dio (e conferma i contenuti della fede) e dunque che lo stato è stato giusto solo cn determinate leggi.
    Nn a caso la chiesa intende imporle a tutti e nn solo ai credenti proprio perchè naturali: proprio perchè naturali (di ragione) tutti le posson comprendere ed hanno alenza universale, proprio x qsto nn ci può esser dialettica e libertà di scelta in tema di bioetica ecc..

  7. #17
    simposiante
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    Citazione Originariamente Scritto da teo scarpellini Visualizza Messaggio
    Come se ritenere che non ci siano verità non fosse un dogma anch'esso. Quanta incoerenza.
    Ma che nn c sian verità nn è un dogma, è un'affermazione autocontraddittoria perchè si pone essa stessa come verità

  8. #18
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    Citazione Originariamente Scritto da Πλάτων Visualizza Messaggio
    Possiamo parlare di Ruini, possiamo parlare di Bagnasco, possiamo discutere della differenza tra Ruini e Bagnasco ma sino a che non ci portiamo alle radici teorico-concettuali dell'agire sociale della chiesa ci si limita ad un'analisi fenomenologica e di superficie e possiamo prevedere ben poco di quanto avverrà.
    Nn bisogna dimenticare che alla base di tale agire sta il pensiero di Tommaso, la dottrina ufficiale della chiesa.
    Gran parte della cultura contemporanea denuncia lo scarto tra il pensiero e la prassi cattolica rispetto all'insegnamento di Gesù, eppure bisogna forse dire che in realtà la chiesa è perfettamente coerente cn il messaggio evangelico: è vero che Cristo ha detto che ciò che spetta a Cesare deve andare a Cesare e ciò che spetta a Dio deve andare a Dio ma ha anche detto ke nn si posson seguire due padroni.
    Qsto significa che ciò che spetta a Cesare nn può essere contrario a ciò che spetta a Dio, che lo stato nn può andare contro il firmamentum, cioè che le leggi dello stato devon adeguarsi a quelle divine, lo stato deve cioè fare la volontà di Dio, deve essere stato cristiano, cioè teocratico, nn c'è cioè libertà senza verità (l'esatto opposto della democrazia).
    La filosofia di Tommaso esprime esattamente tale contesto: la filosofia nn può che esser ancilla teologiae, la ragione è concorde cn i misteri della fede e li giustifica, la ragione che va contro la fede è falsa ragione (stato illeggittimo)..d'altra parte la ragione è comune a tutti, è naturale..tutti capiscono autonomamente e razionalmente che la ragione dimostra Dio (e conferma i contenuti della fede) e dunque che lo stato è stato giusto solo cn determinate leggi.
    Nn a caso la chiesa intende imporle a tutti e nn solo ai credenti proprio perchè naturali: proprio perchè naturali (di ragione) tutti le posson comprendere ed hanno alenza universale, proprio x qsto nn ci può esser dialettica e libertà di scelta in tema di bioetica ecc..
    Dunque in un ipotetico indice di traduzione dell'etica in politica, dell'uso della forza per realizzare la morale la chiesa cattolica avrebbe un punteggio di 100%?

    A quel punto che valore avrebbe il libero arbitrio?
    Mi spiego meglio: oggi peccati come il furto, lo stupro o l'omicidio sono puniti dalle leggi. Il non esercitarli significa non subire determinate conseguenze collegate ai vari ordinamenti giuridici, non significa necessariamente la scelta di seguire gli insegnamenti di Dio. Altri peccati come la bestemmia o l'aborto sono invece permessi dalle leggi, e lì astenersi dal loro esercizio è pienamente libero (da coercizione) arbitrio.

    Lo stesso imperativo morale di condividere il pane e il mantello con il povero, scegliendo se cacciarlo e condannarsi all'eterno dolore, o se aiutarlo e camminare nella via della luce, oggi non esiste più in larga misura: il welfare ha abolito ogni libero arbitrio, ed ha abolito ogni merito nel fare beneficienza perché obbligati dalla minaccia della forza.

    Che salvezza è quella che viene acquistata sotto la minaccia corporale?
    Realmente è quello l'orizzonte della chiesa? O dove esiste un limite tra giustizia divina e terrena, tra arbitrio e repressione?

    Tra la legalizzazione dell'omicidio, e la repressione penale della bestemmia dov'è il confine? Di quali peccati esclude una punizione che faccia uso della forza?

  9. #19
    simposiante
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    Citazione Originariamente Scritto da teo scarpellini Visualizza Messaggio
    Dunque in un ipotetico indice di traduzione dell'etica in politica, dell'uso della forza per realizzare la morale la chiesa cattolica avrebbe un punteggio di 100%?

    A quel punto che valore avrebbe il libero arbitrio?
    Mi spiego meglio: oggi peccati come il furto, lo stupro o l'omicidio sono puniti dalle leggi. Il non esercitarli significa non subire determinate conseguenze collegate ai vari ordinamenti giuridici, non significa necessariamente la scelta di seguire gli insegnamenti di Dio. Altri peccati come la bestemmia o l'aborto sono invece permessi dalle leggi, e lì astenersi dal loro esercizio è pienamente libero (da coercizione) arbitrio.

    Lo stesso imperativo morale di condividere il pane e il mantello con il povero, scegliendo se cacciarlo e condannarsi all'eterno dolore, o se aiutarlo e camminare nella via della luce, oggi non esiste più in larga misura: il welfare ha abolito ogni libero arbitrio, ed ha abolito ogni merito nel fare beneficienza perché obbligati dalla minaccia della forza.

    Che salvezza è quella che viene acquistata sotto la minaccia corporale?
    Realmente è quello l'orizzonte della chiesa? O dove esiste un limite tra giustizia divina e terrena, tra arbitrio e repressione?

    Tra la legalizzazione dell'omicidio, e la repressione penale della bestemmia dov'è il confine? Di quali peccati esclude una punizione che faccia uso della forza?
    Il libero arbitrio esiste (nn per me, per la filosofia cristiana) ma qsto nn significa che nn sia inscritto all'interno del senso immutabile della verità, dell'epistème, di Dio.
    una certa configurazione dell'agire rispecchia l'adeguamento a certe leggi, un'altro no, queste leggi sono legittime se vincolate al volere divino e tali configurazioni sono legittime se vincolate alle leggi legittime.
    Il libero arbitrio è possibile, ma libero arbitrio significa che l'uomo può errare (può allontanare i suoi occhi dalla contemplazione di Dio) ma nn significa che tale atto sia privo di conseguenze, altrimenti quale senso avrebbe la divina commedia? curioso che l'opera del sommo poeta sia estremamente affine all'impostazione Tomistica..un letterato greco simbolo della ragione antica che accompagna Dante sino al purgatorio e al giardino dell'Eden (percorso terrestre) e una donna angelica (fede-teologia) attraverso i cui occhi può scorgere la luce divina e risalire il paradiso celeste.

  10. #20
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    Citazione Originariamente Scritto da Alex Bottero Visualizza Messaggio
    fromm parla del peccato originale in Avere o Essere.

    Forse ricorderò male io, ma mi pare che in quell’opera l’unica citazione all’Antico Testamento, riguardi la diversa tipizzazione delle due modalità dell’avere e dell’essere in riferimento a Abramo e Mosè (forse in entrambi i casi intesi non come personaggi a se stanti, ma nella loro qualità e veste di patriarchi dinastici), o giù di lì. Ma nulla dice ed esprime, se non erro, in ordine al problema dibattuto, che al momento ci interessa. Tanto meno non ricordo riferimenti o rimandi a Genesi, bensì a Esodo. Sei certo che si trattasse di Fromm? In ogni caso, in alcuna parte del saggio, Fromm affronta il tema dell’insorgere della coscienza nei termini e nella medesima prospettiva da me suggeriti (cavolo, ne rivendico la paternità, salvo non noti precedenti eventualmente presenti nella teologia contemporanea). Considerato che quasi mai un pensiero è completamente originale e innovativo, presumo che esista o che sia esistito qualche altro pensatore che abbia insinuato i miei medesimi dubbi, ma di certo (quasi certamente) non si tratta di Fromm. Se davvero vuoi trovare dei precursori o ispiratori, potresti provare a sfrucugliare fra le opere di Givone, Pareyson, Galimberti, ma credimi, non ti assicuro un risultato certo.

 

 
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