Protocollo segreto tra Shell e Iraq prevede il monopolio del gas per i prossimi 25 anni
Le ragioni della guerra in Iraq vengono alla luce

La compagnia petrolifera Royal Dutch Shell e il ministero del Petrolio iracheno hanno raggiunto un accordo segreto, e finora non vincolante, in cui si concede al colosso energetico il monopolio del gas naturale nei giacimenti a sud dell’Iraq
La compagnia anglo-olandese che vanta circa 110 mila dipendenti e una presenza in oltre 140 Paesi, arriva a conquistare il mercato più ambito. La ricca provincia di Bassora, attualmente sotto il controllo militare delle truppe britanniche. È la prima volta, negli ultimi 35 anni, che una compagnia occidentale assume un ruolo così rilevante nel Paese al decimo posto nel mondo per le riserve di gas. Dopo la nazionalizzazione da Saddam Hussein, infatti, tutte le compagnie internazionali vennero estromesse.
Firmato il 22 settembre scorso, il documento di intesa preliminare, il cosiddetto Heads of Agreement - il quadro giuridico del contratto - assegna alla sola Shell l’accesso alle riserve di gas per i prossimi 25 anni, con la possibilità di proroga. Di fatto, assume il diritto esclusivo nel «fornire gas per il mercato interno e per le esportazioni, e generare entrate dalle attività di commercializzazione». La partnership acquisterà il gas dai produttori, per lo più compagnie statali, per poi utilizzarlo sul mercato interno e per l’esportazione. Con la joint venture, di cui la Shell avrà il 49% e il governo di Baghdad il restante 51%, si mira ad un aumento complessivo della produzione di gas, sia di quello «associato» legato all’estrazione del greggio che di quello «non associato» derivante da giacimenti indipendenti da quelli petroliferi.
Come per molti altri importanti contratti industriali stipulati dall’Iraq, l’accordo è stato oggetto di contestazioni per la sua natura di “trattativa privata”. In primis, da parte del presidente della Commissione per il gas e il petrolio dell’Iraq, Ali Hussain Balou, che ha denunciato la mancanza di trasparenza di questo accordo e ha chiesto spiegazioni sul fatto che non siano state prese in considerazione altre compagnie a cui affidare l’appalto. Ma il ministero del Petrolio iracheno, Configur Jihad, ha subito replicato che non si creerà nessuna condizione di monopolio del gas e che l’accordo è stato siglato con una delle tante compagnie competitive sul mercato nell’interesse del Paese. Peccato che, almeno sin ora, nel protocollo d’intesa non compaiono per l’Iraq garanzie in merito al mantenimento dei diritti di sfruttamento delle riserve di gas naturale. Visto che alla Shell andrebbero i diritti su tutto il gas liquefatto, oltre al compito di valutare «la fattibilità di un progetto per la sua esportazione», anche se in Iraq non ci sono ad oggi le strutture per produrlo.
Dal febbraio 2007 il Parlamento non riesce a varare una nuova legge su petrolio e gas, ma il governo sta continuando con gare d’appalto per l’assegnazione di otto contratti entro giugno 2009. Nel mese di settembre, diversi contratti stipulati senza gare d’appalto sono stati annullati dopo le critiche avanzate da senatori Usa. Ciononostante quelle stesse compagnie sono state invitate dal governo iracheno a presentare nuove offerte per contratti. E guarda caso, di lì a poco, è stato annunciato che la Shell stava per diventare la prima compagnia occidentale, dai lontani anni ‘60, a raggiungere importanti accordi in Iraq. Ma non è la sola, perché anche a Chevron, ConocoPhillips ed altri gruppi sono destinati gli oltre 1.500 milioni di dollari di profitti derivanti dallo sfruttamento dei giacimenti iracheni.
E non si tratta di coincidenze ma di una soluzione negoziata segretamente tra il Pentagono e la più potente compagnia petrolifera nel Regno Unito sotto l’egida del dipartimento della Difesa americano. Dietro c’è un volume di affari di centinaia di milioni di dollari reso possibile dall’occupazione politico-militare di questi preziosi territori, che a sua volta permette la spartizione tra poche privilegiate multinazionali dei profitti dell’oro nero. Il business della guerra produce le condizioni di quello energetico, sempre in nome della libertà e della democrazia.
s.b.
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