Vittorio Bonanni


Laico, progressista, fautore del diritto di voto alle donne ma anche un militare, nemico della multietnicità. Stiamo parlando di Mustafa Kemal Atatürk, padre della Turchia moderna nata dalla ceneri dell'impero ottomano, del quale ricorre in questi giorni il settantennale della morte, avvenuta il 10 novembre del 1938. Una figura, quella di Atatürk, tra le meno studiate del Novecento. Per questo la biografia realizzata dallo storico Fabio L. Grassi, Atatürk. Il fondatore della Turchia moderna (Salerno editrice, pp. 443, euro 29,00), colma questa vistosa lacuna. Grassi, autore di numerosi studi sulle relazioni tra Italia e Turchia negli anni del primo dopoguerra, vive e lavora ad Istanbul ma i giorni scorsi era a Roma, dove lo abbiamo intervistato, in occasione del Forum italo-turco. «La mia è la prima biografia italiana su Atatürk - precisa lo studioso - nel senso più completo del termine perché non solo non c'era stato un libro sullo statista turco scritto da uno storico italiano ma neppure biografie scritte nelle altre lingue erano state mai tradotte. C'era insomma una lacuna molto strana tanto più se consideriamo che le relazioni italo-turche sono diventate via via sempre più importanti. Il vuoto storiografico del quale abbiamo parlato era tanto più grave in quanto l'opera di Kemal Atatürk è stata una delle più grandi espressioni della cultura illuminista e giacobina europea. Possiamo dire che il suo è stato un regime di "giacobinismo reale", per parafrasare il termine "socialismo reale"».

Esportato però in Asia...

Sì. Il kemalismo è stato uno specchio importante delle pulsioni, degli ideali, dei risultati della cultura giacobina, illuminista, razionalista e progressista europea in un contesto non europeo. Ed è una vicenda oggi più che mai attuale, probabilmente più attuale di altre esperienze storiche, sociali e politiche che a suo tempo sono apparse invece più centrali. A suo tempo la vicenda kemalista non è stata così conosciuta perché Atatürk scientemente ha voluto dedicarsi alla Turchia e solo alla Turchia. Non ha mai avuto interesse a fare proseliti. Si è impegnato a creare una vera e propria compatta nazione turca. E ha trasformato il suo paese in un laboratorio, in cui vediamo in vitro tutta una serie di questioni di cui oggi ci occupiamo continuamente. L'universalismo della cultura occidentale e la risposta spesso contraria di altre culture che hanno le loro tradizioni e i loro schemi mentali. Una vicenda paradigmatica che proprio per questo va esaminata molto attentamente.

Gli aspetti progressisti del kemalismo si sono però associati nel corso dei decenni con quelli più autoritari e impresentabili. Elementi questi più volti utilizzati per dire che la Turchia non può ancora entrare nell'Unione Europea. Alla luce di tutto questo come possiamo valutare il kemalismo oggi?
Oggi in Turchia parlare di kemalismo vuole dire molte cose. Tuttora è certamente un'ideologia di Stato. E' un'eredita a cui quella parte della società turca che ha accettato profondamente la cultura occidentale comunque si richiama. Ed è naturalmente anche qualcosa che, per forza di cose non apertamente, viene combattuto da altri settori della società turca. In estrema sintesi possiamo dire che nella società, nella politica, nel mondo culturale turco osserviamo tre posizioni: la prima è quella di un kemalismo dogmatico, che si limita alla riproposizione rigida di un'opera storica che oramai è di tanti decenni fa. La seconda è quella di coloro che sono culturalmente e sociologicamente solidali con ciò che Mustafa Kemal ha voluto realizzare, e cioè una società aperta, moderna e basata sulla civiltà occidentale, ma vogliono coniugare molto più e molto meglio di prima questo aspetto con le esigenze della società e con le libertà democratiche. Per finire, naturalmente c'è una parte che invece non ha mai veramente accettato la rivoluzione occidentalizzatrice di Atatürk e che in qualche modo esprime dissenso se non proprio un'ostilità.

Quest'ultima parte della società sembra esprimere un dissenso storico nei confronti di quella fu molto probabilmente una forzatura da parte del kemalismo, paragonabile in qualche modo ad altre forzature novecentesche. Che cosa ne pensa?
Certamente nell'emergere, in chiara prevalenza, di forze che sono in polemica con le vestali del kemalismo coesistono tantissime istanze diverse. Da quella liberale a quella fondamentalista islamica passando per un'enorme gamma di sfumature. Una cosa mi preme dire: dopo aver osservato tutti i problemi e tutte le contraddizioni che ci sono state nella vicenda della Turchia repubblicana, penso ci sia un nucleo importante e positivo del pensiero dello statista turco che è il profondo legame con la scienza. Penso che ancora oggi, dopo aver appunto fatto tutte le critiche alla dialettica dell'illuminismo, a tutto quello che si vuole, resta il fatto che qualunque seria possibilità di emancipazione dell'uomo non può prescindere da un profondo legame con la cultura scientifica e razionalista quale è stato elaborato da una parte della cultura occidentale. Questo è il messaggio forte che di Atatürk rimane e che possiamo ancora oggi tranquillamente rivendicare.

Il forte prevalere di una tendenza islamista, sia pure moderata, entra naturalmente in contrasto con questa eredità positiva del pensiero di Atatürk...

Io non desidero ci sia nessun dogmatismo da nessuna parte. Sicuramente all'interno di questa cultura che in qualche modo si oppone al mantenimento come tale dell'ideologia kemalista ci sono tante anime. E sicuramente ci sono quelli che hanno cercato di scrivere nei manuali scolastici che l'acqua dell'abluzione ha proprietà terapeutiche. Ripeto, sono contro ogni fanatismo, ma confesso, senza avere paura delle parole, di essere, come dice molto bene Ernest Gellner, un fondamentalista razionalista, ossia una persona che ritiene che esista un sapere, quello scientifico, che trascende le culture e che effettivamente fornisce una spiegazione della realtà intersoggetiva più plausibile di qualunque altra. Questo modo di interpretare la realtà è nato e si è affermato all'interno della cultura occidentale. Atatürk affermava che soltanto da lì poteva arrivare l'emancipazione del suo popolo. Questo lo ha portato a fare quello che ha fatto. A questa considerazione se ne è aggiunta un'altra che invece lo ha portato a fare scelte non felici. Lui nasce nella Salonicco multiculturale, multietnica e multireligiosa dell'impero ottomano, che aveva realizzato con notevole successo la convivenza tra i popoli. E sperimenta la catastrofe della convivenza, la vive nella sua giovinezza, sperimenta il fatto che i turchi progressisti dell'impero vogliono rinnovare l'impero e che invece oramai le altre comunità sono tese alla conquista di un proprio stato nazionale e ne trae le conseguenze a modo suo, ovvero nel modo più drastico possibile: Stato ultranazionale e massima integrazione, che è cosa ben diversa dalla convivenza.

Un vero choc per intere comunità...
Consideriamo che stiamo parlando di un uomo che in 57 anni ha cambiato il suo nome (dico nome per semplificare) parecchie volte! Questo per dire che il cambiamento fu indubbiamente impressionante, tra i più traumatici che storia umana abbia mai osservato. Tra cui c'è proprio questo passaggio tra questa secolare convivenza all'idea che ci doveva essere un'unica nazione turca con un'estrema integrazione. Da questo punto di vista, contrariamente a quello che si può pensare, il dramma dei kurdi non nasce da una discriminazione ma paradossalmente dal suo contrario, ovvero da una ossessiva volontà di integrazione. Atatürk voleva che i kurdi diventassero turchi. In realtà la doppia identità nella Turchia kemalista è stata sempre praticata. Il ruolo che altre popolazioni avevano avuto nella guerra di liberazione non era stato mai negato. A nessun circasso era stato mai impedito di far sapere che era circasso purché questo fosse un elemento aggiuntivo, un qualcosa in più rispetto ad essere comunque un cittadino turco che si sentisse turco. Tutte queste comunità si trovarono di fronte ad una volontà di uniformazione e di integrazione, di pressione dello Stato come non c'era mai stata nell'impero ottomano. Si trovarono insomma di fronte allo Stato moderno, allo Stato leviatano. Ma per alcune, questo Stato rappresentava comunque rifugio e salvezza, per i kurdi molto meno.

Come può la Turchia del ventunesimo secolo lasciarsi alle spalle gli aspetti negativi del kemalismo, riassumibili in uno Stato autoritario che si sostiene ancora oggi con il supporto delle forze armate e della magistratura?
Il dramma strutturale della storia turca contemporanea è il legame profondo e costante tra progressismo e autoritarismo. Nel senso che esiste un nucleo dirigente che si assume questo compito storico di guidare questo popolo, ritenendo di avere il diritto di farlo. Lo Stato dunque, a partire dalla rivoluzione dei giovani turchi, tende ad avere questo ruolo di forte pressione sulla società. C'è un rapporto centennale tra lo Stato, con il suo progetto, e quello che spontaneamente la società sente. A questo punto bisogna far quadrare il cerchio: riuscire cioè a fare sì che ci sia un recupero nel rapporto tra società e Stato e che determinati valori non debbano essere più affermati attraverso un'imposizione. Si tratta appunto di una difficilissima quadratura del cerchio! Ci sono in Turchia delle forze generose ed intelligenti che perseguono questo obiettivo e, a questo proposito, sono molto importanti i segnali che arrivano da questa parte del mondo e dall'Unione Europea in particolare. Va detto che, per fortuna, anche gran parte del mondo economico turco ha questa propensione, perché vuole tranquillità e stabilità. Bisogna insomma far sfiatare questa pentola a pressione in modo che non si vada di nuovo verso esiti drammaticamente conflittuali e che la Turchia diventi veramente la casa di tutti, fatti salvi alcuni paletti che anche in una normale società democratica debbono essere mantenuti.

Come dire che la Turchia di oggi deve mantenere quel che di positivo ha lasciato Atatürk, ovvero uno Stato laico e progressista, depurandolo dagli aspetti che lo fanno assomigliare ad un regime... Certamente. Da questo punto di vista è evidente che il kemalismo dogmatico è rovinoso, perché rende spesso antipatici dei valori che invece dovrebbero essere apprezzati. Questo è un aspetto molto triste e spiacevole, legato anche alla presenza di parti dello Stato che frenano uno sviluppo democratico del paese. E anche il partito che si richiama strutturalmente al kemalismo, che si presenta come un partito di sinistra ed è membro dell'internazionale socialista, osteggia certi sviluppi democratici. Io so anche perché e non voglio dire che lo si faccia necessariamente con cattive intenzioni. L'ambiente nel quale io vivo e sono normalmente in rapporto è composto da persone che tutto sono fuorché naturalmente favorevoli a forme dittatoriali. Ma hanno una forte, continua paura della marea islamista, soprattutto le donne. Questa paura è comprensibile, tuttavia ritengo non sia l'ottica più valida ed efficace per affrontare la situazione.


13/11/2008

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