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    the dark knight's return
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    Predefinito L'infatuazione Maoista di Julius Evola

    L'infatuazione Maoista
    di Julius Evola
    fonte: Il Borghese del 18 luglio 1968
    Un fenomeno curioso, meritevole di essere esaminato, è la suggestione che esercita il "maoismo" su alcuni ambienti europei, in quanto non si tratta soltanto di gruppi di dichiarata professione marxista. In Italia si possono perfino menzionare certi ambienti che rivendicano una esperienza "legionaria" e un orientamento "fascista", pur opponendosi al Movimento Sociale in quanto lo ritengono non "rivoluzionario", imborghesito, burocratizzato, irretito dall'atlantismo. Anche costoro parlano di Mao come di un esempio.

    Un tale fenomeno ci ha indotto a prenderci la pena di leggere il famoso libretto rosso di Mao Tse-tung per cercare di vederci chiaro, per scoprire che cosa mai può giustificare siffatte suggestioni. Il risultato è stato negativo. Fra l'altro, non si tratta nemmeno di un a specie di breviario appositamente scritto con una certa sistematicità ma di un insieme eteroclito di passi e di discorsi e di scritti vari compresi in un lungo tratto di tempo. Di una vera, specifica dottrina maoista non è affatto il caso di parlare. Che vi è da pensare quando fin dalle prime pagine del libercolo si leggono frasi categoriche, come questa: "Il fondamento teorico su cui si basa tutto il nostro pensiero è il marxismo-leninismo"? Basterebbe questo per mettere da parte il nuovo vangelo, dove peraltro i soliti vieti slogans della sovversione mondiale -"lotta contro l'imperialismo e i suoi servi", "liberazione del popolo dagli sfruttatori", ecc.- s'incontrano ad ogni piè sospinto.

    Così stando le cose, se fra sovietici russi e comunisti cinesi vi sono contrasti, divergenze e tensioni, bisogna pensare che si tratta di pure beghe di famiglia, di faccende interne del comunismo (a parte moventi realistici molto prosaici: i vasti territori sottoposti della Russia asiatica che fanno gola alla Cina sovrappopolata) che a noi dovrebbero interessare un bel nulla, se non per quel che riguarda la speranza, che i due compari alla fine si accoppino a vicenda.

    A poter esercitare una suggestione è, pertanto, un puro mito del maoismo, da cui esulano formulazioni ideologiche precise, con interrogazioni avventate e soprattutto con rilievo dato alla cosiddetta "rivoluzione culturale" della Guardie Rosse. Esaminiamo le principali componenti di tale mito.

    Da alcuni ambienti "filo-cinesi", dinanzi accennati, come base della dottrina maoista viene considerato "il nazionalismo". Ma a parte il fatto che il nazionalismo si era già affermato con l'"eresia" di Tito e sembra stia facendo strada fra i tanti satelliti dell'URSS, si trascura il punto essenziale, ossia che nel maoismo si tratta essenzialmente di un nazionalismo comunista; la base è la concezione collettivistica, di massa, quasi da orda, della nazione, non diversa, in fondo, da quella giacobina. Quando Mao vuol combattere il processo di concrezione di rigide strutture partitico-burocratiche per una connessione diretta col "popolo", quando egli parla di un "esercito che fa tutto con il popolo" riprendendo la formula a noi ben nota, della "mobilitazione totale", egli manifesta più o meno lo stesso spirito, o pathos, di massa della Rivoluzione Francese e della levèe des enfants de la Patrie, mentre il binomio massa-capo (il "culto della personalità", combattuto nella Russia post-stalinista, è risorto, potenziato, nella persona di Mao, idolo delle Guardie Rosse) riproduce uno degli aspetti più problematici dei totalitarismi dittatoriali. Comunismo più nazionalismo: è l'esatto opposto della concezione superiore,articolata e aristocratica della nazione.

    Ma se è una formula del genere ad attirare gruppi "filo-cinsi" che vorrebbero non essere marxisti, non si vede perché essi non si rifacciano piuttosto alle dottrine del nazionalsocialismo di ieri, dove quel binomio era già presente nella formula: "Fuhrer- Volksegemeinschaft" (= guida+comunità nazionale ). Diciamo "alla dottrina", perché nella pratica nel Terzo Reich fecero sempre sentire la loro forza rettificatrice elementi derivanti del prussianesimo e dalla tradizione del Secondo Reich. Ed anche di "volontarismo", altro elemento che definirebbe il maoismo, là se ne sarebbe trovato abbastanza. Non ci sarebbe stato bisogno di spettare Mao per la "concezione attiva della guerra" come "mezzo per affermare e far trionfare la propria verità": quasi che prima dell'avvento degli obiettori di coscienza, di un ipocrito pacifismo e del crepuscolo dello spirito guerriero e dell'orgoglio militare la si fosse pensata diversamente, in tutte le grandi nazioni occidentali. Sennonché bisogna vedere le cose più da vicino ed ascoltare ciò che dice il grande Mao, testualmente: "Noi lottiamo contro le guerre ingiuste che frappongono ostacoli al progresso, ma noi non siamo contro le guerre giuste, cioè contro le guerre progressiste". Non occorre dire che cosa voglia dire "progresso" , in questo contesto: il facilitare l'avvento, in ogni popolo di marxismo e comunismo. Facciamo dunque anche noi tesoro della "concezione attiva della guerra", per la nostra "guerra giusta", che è quella ad oltranza contro la sovversione mondiale , lasciando pure che gli altri si sfoghino nel denunciare "l'imperialismo" nell'esaltare "l'eroico Viet-cong", il generoso castrismo e via dicendo, tutte stupidaggini buone solo per cervelli che hanno subito il "lavaggio"

    Ecco altri elementi del mito maoista. Il maoismo confiderebbe nell'uomo nuovo come l'artefice della storia, si schiererebbe contro la tecnocrazia nella quale convergono sia l'URSS sia l'America. La "rivoluzione culturale" sarebbe positivamente nichilista , mirerebbe ad un rinnovamento che parte dal punto zero. Tutte queste non sono che parole. Anzitutto, non è all'uomo che Mao propriamente si rivolge, bensì al "popolo": "il popolo, il popolo soltanto è la forza motrice , il creatore della storia universale". Il disprezzo per la persona, per il singolo non è meno violento che nella prima ideologia bolscevica. Si sé che nella Cina rossa la sfera privata, l'educazione familiare, ogni forma di vita a sé, gli affetti e lo stesso ( se non è ridotto alla minima espressione e alle forma più primitive) sono ostracizzati. L'integrazione (cioè la disintegrazione) del singolo nel "collettivo" la parola d'ordine. La famosa rivoluzione culturale è, propriamente, una rivoluzione anticulturale. La cultura nel senso occidentale e tradizionale (perfino tradizionale cinese: si ricordi l'ideale confuciano dello jen, che si potrebbe tradurre con humanitas), cioè come una formazione collettiva eteronoma, viene combattuta.

    Mao ha dichiarato che, come punto di appoggio ha preso l'indigenza, la povertà delle grandi masse, che è, egli dice, un fattore positivo "perché la povertà genera il desiderio de cambiamento, il desideri d'azione, il desiderio di rivoluzione": si ha come "un foglio di carta bianca" dove è possibile scrivere tutto. Anche ciò è piuttosto banale, e nessuno vorrà scambiare una tale situazione con un "punto zero" in senso spirituale, positivo. Può far colpo , sull'ingenuo, quel che è proprio della fase iniziale , attivistica, euforica che è il maoismo come movimento rivoluzionario può presentare, però in non maggior misura di qualsiasi movimento rivoluzionario. Ma una simile fase non costituisce una soluzione positiva, non può essere eternizzata. L'interessante non è il punto di partenza, ma il fine, la direzione, il termine ad quem. Ora, sono innumerevoli quanto precise le dichiarazioni di Mao, il quale nella "costruzione del socialismo" indica un tale fine. Così lungi dal poter scorgere una rivoluzione rigeneratrice, avente in vista soltanto l'"uomo", e partente dal punto zero anticulturale, troviamo un movimento su cui fin ad principio grava un pesante ipoteca, appunto quella del marxismo. Nessun giuoco di bussolotti può cambiare questo stato d fatto, e resta poi a Mao di dirsi come concili l'idea che l'uomo (lo abbiamo visto: l'"uomo-popolo") sia il soggetto attivo della storia, determinante la stessa economia, con il dogma basilare del marxismo, il materialismo storico, che è esattamente l'opposto.

    Chi si sente attratto da una rivoluzione che parta davvero dal punto zero, da un nichilismo rispetto a tutti valori della società e della cultura borghese, dimostra di essere proprio uno sprovveduto se non conosce altri a cui ispirarsi, fuori dal grande Mao. Quanto più validi punti di riferimento potrebbero offrirgli, ad esempio, le idee sul "realismo eroico" formulato fuori da ogni strumentalizzazione e devianza marxista da Ernst Jünger gia nel periodo successivo la Grande Guerra.

    Quanto all'altro elemento del mito dei "filocinesi", alla posizione antitecnocratica che, partendo più o meno dalle note analisi del Marcuse sulle forme delle società industriali più progredite , si vorrebbe valorizzare, si tratta di un illusione. Forse che Mao non tende ad industrializzare il suo Paese fino ad assicurarsi la bomba atomica e ad immagazzinare tutti i mezzi necessari per aiutare la sua "guerra giusta" nel mondo, mettendosi dunque sulla stessa via per cui la Russia comunista si è trovata fatalmente costretta a creare strutture tecnologiche e tecnocratiche analoghe a quelle delle società industriali borghesi? Di là da una fanatizzazione, che non può essere mantenuta come uno stato permanente, vorremmo proprio sapere se Mao, qualora potesse assicurare alla massa dei suoi seguaci e del suo popolo, rivoluzionaria perché, come egli ha detto, è miserabile, le condizioni di vita proprie ad una "civiltà del benessere" , vedrebbe rivolgersi contro tutta quella Cina sdegnosa della "putrida felicità delle società imperialiste". E se, ipoteticamente, una specie di ascetismo potesse venire suscitato in tutta una nazione da valori del livello di quelli propri del marxismo. La unica conclusione da trarsi è che ci si troverebbe di fronte ad un grado quasi immaginabile di regressione e di imbastardimento di una certa porzione dell'umanità. La completa incapacità di concepire veri valori di contro a quelli della "civiltà del benessere" e della "società dei consumi" è, del resto, la caratteristica di tutti i cosiddetti movimenti di "protesta" dei nostri giorni.

    Con osservazioni del genere, sarebbe agevole continuare . Ma già le considerazioni svolte fin qui indicano che l'infatuazione filocinese si basa su miti che per chi sa pensare sino in fondo e per chi si rifà proprio al libretto-vangelo di Mao appaiono privi di fondamento,. Coloro che, pur ritenendo di non essere marxisti e comunisti, subiscono la suggestione maoista, dimostrano invero tutt'altro che una maturità intellettuale; la natura della loro "contestazione totale" e delle loro ostentate vocazioni rivoluzionarie è più che sospetta, se essi non sanno trovare che simili punti di riferimento.

    Il presente brano è stato tratto da http://www.juliusevola.it

  2. #2
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    Non ho letto l'articolo, comunque per completezza sulla questione bisognerebbe leggere l'opinione di Freda, presente nel nuovo libro "In alto le forche!" e in parte ne "La disintegrazione del sistema".

 

 

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