Originariamente Scritto da
Furlan
Dipartimenti federali Rivoluzione leghista
“La Lega ha il potenziale per diventare il primo partito del Nord”. Ne è convinto Roberto D’Alimonte, docente di Sistema politico italiano, che ha svolto una indagine sui flussi elettorali presentata nei giorni scorsi. L’insistere della Lega sul tema delle riforme segue un percorso duplice: da un lato insegue il federalismo, promuovendo il graduale superamento dell’attuale forma dello Stato; dall’altro lato prova a ostacolare il risorgere di tendenze centraliste. E se l’elettorato premia la linearità battagliera dell’impegno del Carroccio, non a caso le potenzialità di quest’ultimo sono considerate in continua ascesa. “La crescita della Lega – illustra D’Alimonte - è avvenuta tra il 2006 e il 2008. Dopo, comprese queste elezioni, si è stabilizzata: ha vinto politicamente ma non e’ aumentata e oggi ci sono meno leghisti delle europee 2009. Pero’ riesce a portare i suoi elettori a votare e quindi cresce in percentuale”. Comunque, per D’Alimonte, “la Lega ha la possibilità di diventare il primo partito del Nord, è già quasi il primo partito in Lombardia e Veneto e il PdL alle regionali 2010 ha mantenuto primato per 4.500 voti. La Lega è poi già il primo partito del Nord nei comuni fino a 15 mila abitanti, in cui vive poco più del 50% della popolazione. Per capire cosa è la Lega bisogna partire da qui e dal fatto che il Pd e’ debole nei Comuni fino a 15 mila abitanti e poi comincia la sua salita, fino a 100 mila abitanti (dove abita il 20% della popolazione)”. Aggiunge il professor D’Alimonte: “La Lega sta conquistando quartiere per quartiere le città e ha il potenziale per diventare primo partito del Nord. Del resto solo 4 punti percentuali separano Lega e PdL”. Punti percentuali che si guadagnano sul campo, con un impegno a rialzare i termini del confronto. E allora, fiato alle trombe, quelle del Federalismo, ovviamente. Sono in molti tra le camicie a ritenere che le Regioni, come centri di spesa ed enti legislativi, rappresentino il nuovo centralismo. Un referente storico dell’intellighenzia padana, l’ex ministro Giancarlo Pagliarini, non esita a etichettare le “regioni forti” come il nuovo centralismo del XXI secolo. “Qui di cessione di sovranità non c’è neppure l’ombra. Questa è una buona riforma: buona per il centralismo”, taglia secco.
E allora? Se federalismo dev’essere, allora che sia fino in fondo. La Lega Nord prepara un progetto di legge in direzione superfederalista: per sostituire alle regioni e alle provincie, mandando in archivio tutte e due i carrozzoni, dei ben più efficenti dipartimenti, capaci di ridurre le spese e ottimizzare i benefici. Una riforma alla francese? E sia, visto che oltralpe il modello si è rivelato efficace. E per iniziare i banchi di prova potrebbero essere quelli delle nuove terre di frontiera leghista, a partire dal centro Italia, dove la tradizione dei liberi comuni, dei ducati e delle repubbliche indipendenti ha lasciato un segno forte. Si potrebbe partire dall’Emilia-Romagna, dove il progetto della Lega Nord è quello di separare la Romagna dall’Emilia, istituendo un dipartimento Bologna-Imola, uno adriatico da Ravenna a Pesaro e Urbino; uno dell’Emilia Centrale che accorpa Reggio, Castelfranco, Modena ed uno in punta, che scavalca gli attuali confini e mette insieme Parma, Piacenza, La Spezia. Titolavano i giornali locali, al primo emergere della notizia: “La sanguigna Romagna ha deciso di dire bye bye alla florida Emilia, che non sembra intenzionata a fare le barricate”. In commissione Affari costituzionali alla Camera sono già in calendario due proposte di legge, firmate dal leghista Gianluca Pini e dal finiano Enzo Raisi: l’obiettivo è rendere autonome da Bologna le Province di Forlì-Cesena, Rimini e Ravenna, costituendo la Regione Romagna. Sia chiaro, la secessione non c’entra. Entrambe le proposte, spiegano i promotori, sono frutto del federalismo, perché l’obiettivo è interpretare le esigenze del territorio. Di quel territorio ancora in mano al centrosinistra, ma in cui il Popolo della Libertà ha raggiunto al 24,5% alle ultime Regionali mentre la Lega è arrivata al 13,7% e dal 2008 piazza progressivamente ad ogni elezioni un numero crescente di consiglieri a tutti i livelli.
Sono due proposte di legge distinte. Ed entrambi i promotori tengono a sottolinearlo. Il deputato Gianluca Pini, «emiliano per caso, perché i miei genitori sono romagnoli da generazioni e io vivo a Forlì», spiega che la sua iniziativa riprende «quanto fatto con Calderoli e Bossi nel precedente governo». È il frutto di un lungo lavoro che ha le proprie radici nelle istanze economiche di un territorio che si sente penalizzato dalle politiche di Bologna. Ultima tappa della proposta: referendum confermativo (trattandosi di riforma della Costituzione) solo per i romagnoli. Il Carroccio dell’Emilia non fa obiezioni. Il partito, che fin dall’origine si è costituito in due anime (Emilia e Romagna), rispetta le istanze dei vicini: «Ci sarebbero dei vantaggi reali — conferma Angelo Alessandri, segretario nazionale della Lega Nord Emilia e presidente federale del partito —. Sono due realtà diverse, l’Emilia però ha da sempre una struttura più federalista. Abbiamo sostenuto la richiesta della Romagna anche nella devolution. E una Emilia indipendente piacerebbe pure a noi. Ed è proprio questa richiesta dal basso che ha raccolto il deputato del Pdl Enzo Raisi: «La mia proposta nasce dalle istanze che arrivano dal mondo della Romagna. E ora che si parla di federalismo, facciamolo in senso positivo, andando incontro alle esigenze del territorio». Appunto, le esigenze del territorio: la formula magica che sottende anche i referendum per passare da una Regione all’altra e rimasti lettera morta.
Cortina che nel 2007 sceglie di passare all’Alto Adige, Asiago e i comuni dell’Altopiano che vogliono fare la valigia per Trento così come Lamon (il comune apripista nel 2005). Il punto è sempre lo stesso, conclude Pini: «Poter scegliere autonomamente dove destinare le risorse». Adesso si profila una proposta di legge capace di riassumere le diverse situazioni: permettere ai comuni più grandi di costituirsi in Dipartimenti metropolitani (sarebbero otto: Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna, Firenze, Genova, Bari) mentre la Sicilia sarebbe semplicemente divisa in due, una orientale sotto la guida di Catania e una occidentale sotto quella di Palermo. Niente più regione a statuto speciale, però, come per le altre: la Sardegna sarebbe divisa tra Cagliari e Sassari in due provincie, la mappatura dell’attuale Veneto totalmente ridisegnata e nel Lazio, complici le recenti spinte autonomistiche, il Carroccio prevede la riassegnazione delle quattro provincie non romane: dipartimento Tuscia e Maremma per Viterbo, con Grosseto; dipartimento ternanoreatino per Rieti, con Terni; Frosinone in un dipartimento sudappenninico con Isernia e Latina legata a Caserta, in un unicum territoriale. Dipartimenti ovunque, insomma. Come in Francia, una Rivoluzione.
L'Opinione delle Libertá