I "prodotti locali" dovrebbero stravincere

di Pino Rauti
Si ha idea di quanto "costano" i prodotti esteri che invadono soprattutto i supermercati ( e uccidono letteralmente, i negozi piu' piccoli, le classiche tradizionali "botteghe") e cosa comportano in termini di ecologia? Ne scrive a lungo un dettagliato articolo di Federica Cavadini sul "Magazine , che ci spiace di non poter qui -per motivi di spazio - riportare per intero. Eccone le parti salienti
Metà settembre, spesa in un supermercato di Milano, bancone della frutta e della verdura. I mirtilli arrivano dal Cile, i porri dalla Germania, lo scalogno dalla Turchia, i ravanelli dai Paesi Bassi, di pere ce ne sono quattro tipi ma soltanto uno è Made in Italy, gli altri arrivano da Spagna e Suda-frica. Oggi importiamo anche i prodotti di stagione, non soltanto le primizie. Facciamo viaggiare mercé da un continente all'altro, ma è sempre necessario? E conviene ancora con il prezzo del petrolio alle stelle.-' I nostri agricoltori sostengono di no: anche i consumatori ci perdono, in qualità e sicurezza e oltretutto spendono di più, «pagano anche il gasolio quando comprano frutta e verdura d'importazione». A proposito: i mirtilli cileni li abbiamo pagati 18 euro al chilo, quelli italiani, in un altro supermercato, meno di 16; per le pere Forelle del Sudafrica abbiamo speso -1 euro al chilo e le William spagnole erano più care delle William italiane, 2,49 euro al chilo contro 2,19. E non è soltanto questione di soldi. "Comprando prodotti locali si possono risparmiare cento euro al mese (su 167 di spesa media) ma anche mille chili di CO> l'anno", è lo slogan strillato quest'anno da Col-diretti. E lo slogan è stato convincente. Ai consumatori piace l'idea di fare una spesa risparmiosa, di qualità e anche sostenibile. Piacciono i prodotti "chilometro zero ", quelli che arrivano dai campi vicini, che sono meno "energivori" perchè viaggiano meno e inquinano meno.
Quest'estate sono già state approvate due leggi a iniziativa popolare (25mila firme raccolte), in Veneto e in Calabria, per promuovere le produzioni locali. E Legambiente e Coldiretti hanno elaborato una proposta di legge già depositata alla Camera che sarà presentata entro la fine di settembre ("norme per la valorizzazione dei prodotti provenienti da filiera corta a chilometro zero e di qualità"). Spiega Ermete Realacci, ministro dell'Ambiente nel governo ombra del Pd: «Una legge quadro nazionale è necessaria per potenziare i prodotti del territorio e -per andare incontro alle esigenze dei consumatori che cercano prezzi contenuti ma vogliono prodotti di qualità, sicuri e anche ecosostenibili. Sarà una battaglia comune, mi sono già confrontato con parlamentari del centrodestra». La normativa veneta - ribattezzata "legge dei bisi" (per il piatto tipico locale risi e bisi, riso e piselli) —prevede un 50% di prodotti locali nelle mense di scuole, ospedali, caserme, case di riposo; spazi per la vendita diretta dei produttori agricoli nei mercati; controlli sull'etichettatura.
LE INFORMAZIONI SULL'ETICHETTA
Oggi sulle confezioni deve essere indicata l'origine, in futuro potremmo trovarci anche la distanza percorsa, i chili di petrolio consumati e le emissioni di COj e magari il logo di un aereo sulle confezioni che hanno volato da un Paese all'altro."
Qualche cifra: per arrivare dal sudafrica, le pesche hanno divuto essere trasportate per 8.000 chilometri " e per ogni pacco da un chilo sono stati emessi 13,2 chili di CO" Dalla Cina, l'aglio "percorre" oltre 9.000 Km e le prugne dal Cile, quasi 12.000.
Dice Sergio Marini, presidente di Coldiretti: "Nelle catene distributive a capitale straniero le centrali, d'acquisto prescindono dal territorio in cui i supermercati s, insediano e penalizzano i prodotti locali E in questo modo penalizzano anche i consumatori che rischiano di pagare più per ,il gasolio necessario al trasporto che per il prodotto. Il costo del petrolio ha messo in discussione il principio della globalizzazione per cui si consumano i prodotti realizzati dove costa meno. Oggi dobbiamo sostenere la produzione vicino ai luoghi di consumo». «Far viaggiare le merci da un continente all'altro è un lusso che non possiamo più permetterci », è quello che ripetono anche gli ambientalisti, a partire del premio Nobel Al Gore che nel suo libro Una scomoda verità scrive: "Oggi un pasto medio prima di arrivare sulla nostre tavola percorre più di 1.900 chilometri in aereo, nave o camion".
I NUOVI FARMERS MARKET
Anche queste ragioni spingono i consumatori a puntare sui prodotti nazionali, meglio ancora, regionali. Ma spendono di più? No, quando la filiera è corta. Ed ecco spiegato il successo dei nuovi "farmers market", i mercati degli agricoltori dove la vendita è diretta, senza intermediari. La filiera corta inizia a rendere: secondo un indagine di Coldiretti sette italiani su dieci l'anno scorso hanno comprato direttamente nelle aziende agricole e il fatturato è stato di 2,5 miliardi di euro, i prodotti più acquistati sono stati vino, ortofrutta, olio, formaggi, carne e miele. Ormai sono più di 50mila (2()mila pera sono stagionali) le aziende che fanno vendita diretta. Qualcuno dagli Stati Uniti ha copiato anche la formula "pick your own": i clienti di alcune aziende agricole - hanno iniziato nel Lazio e in Sicilia - possono andare nei campi a raccogliere frutta e verdura, con la formula del self service risparmiano ancora di più. E passano qualche ora all'aria aperta. 1 clienti metropolitani ne vanno matti.
INVITO A CENA SOSTENTILE
E ormai chi crede al vantaggio dei prodotti locali li cerca anche al ristorante. Uno dei primi a proporre un menu "KmO" è stato l'Osteria Vitanova, nel centro storico di Padova: dall'olio alla grappa, tutto arriva dalle aziende agricole della zona. In Veneto ormai sono una ventina i locali che in vetrina hanno l'adesivo "Menu a KmO", questo significa che quando ci portano la carta scopriamo che l'olio del Garda ha viaggiato (per raggiungere Padova) 123 chilometri, che la gallina di Polverara utilizzata per preparare le polpette ne ha percorsi 16 e il risotto di zucca di Sottomarina con i funghi di Crocetta del Montello ne ha totalizzati meno di 130...
Ma " c'è in giuoco molto di più" come sostiene Carlo Petrini, con l'abituale lucidità ( e con passione polemica). Perchà parlare di energia, agricoltura, paesaggio, economia locale, identità. Eccol la parte saliente di una intervista a Petrini:"Carlo Petrini, fondatore di SlowFood, per una volta ci terrebbe a non parlare (soltanto) di gusto: «La rilocalizzazione dell'agricoltura è un tema mondiale e centrale in questo secolo. Non si tratta di difendere la bontà del prodotto italiano, c'è in gioco molto di più. Parlare di cibo oggi significa parlare di energia, agricoltura, paesaggio, economia locale, identità».
In Italia troviamo pomodori olandesi e mele della Nuova Zelanda, è questo il futuro?
«Non può essere il futuro. Possiamo decidere che per i computer conviene rifornirci all'estero. Ma questo non può valere per il cibo».
Nemmeno se fosse economicamente più conveniente?
«Ma non lo è. Riflettiamo. McDonald vende un panino a un dollaro: pochissimo. Ma poi qual è il costo sociale di un Paese di obesi? Gli americani che hanno già toccato il fondo prima di noi oggi sono più reattivi. Loro che non avevano biodiversità le stanno creando e le proteggono: avevano due tipi di birre, oggi hanno tremila microbirrerie. E noi che abbiamo molto più da perdere...».
E il peperone olandese potrebbe far fuori quello italiano, è cosi?
«L'erosione genetica e il motivo per cui e nato il movimento Slow Food, spostare alimenti da un continente all'altro è una follia che porta alla riduzione delle biodiversità. E poi questa merce per viaggiare da un continente all'altro deve essere più resistente, quindi è meno succosa e meno buona. Ma ripeto, lasciamo stare il gusto e pensiamo al resto. Per esempio: produciamo cibo per 12 miliar-di di persone e siamo la metà, 800 milioni soffrono di fame e un miliardo e settecentomila di obesità perché sono iperalimentati. Migliaia di tonnellate di merce vengono distrutte ogni giorno. E produciamo centinaia di migliaia di tonnellate di spazzatura. E il danno ambientale, le emissioni di C02, la perdita del paesaggio. Negli ultimi 18 anni in Italia il terreno rubato all'agricoltura è di un'estensione pari a quella dell'intero Lazio»



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