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    non abbiamo paura delle rovine
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    Raido - Recensioni eventi di Milano e Roma

    Sabato 29 novembre 2008, Milano – SpazioRitter e Associazione Culturale Raido, “Berto Ricci, l’Ortodossia della Trasgressione”. Conferenza di Maurizio Rossi. La recensione del Viaggio

    La sveglia suona alle 6,30 tra le brezze marine della costa laziale. Colazione al volo e siamo già in macchina, pronti a partire, destinazione Milano, tappa intermedia Firenze.
    Prendiamo con noi il relatore e gli accompagnatori si va, tra i ricordi di chi ha qualche anno e soprattutto qualche esperienza in più. Racconti senza fine, che ci accompagnano tra risate e riflessioni, tappa veloce per il pasto e siamo a Milano. Salutiamo, ci si rivede con le Colonne dello SPAZIORITTER, Marco e Alberto, coi ragazzi che ci seguono a distanza e con le realtà lombarde. Si organizza il banchetto, ci si scambia il materiale, si progettano le prossime iniziative, si conosce e ci si fa conoscere.
    Scambio di saluti e sguardi, la lontananza fisica non corrisponde sempre a quella dell’anima, la conferenza comincia, qualcuno approfitta per scambiare due silenziose chiacchiere con chi non vedeva da un po’. L’introduzione è curata da Marco che dopo aver passato la parola a Massimiliano, accenna alle prossime attività. Tutto procede per il meglio, il pubblico attentissimo segue la voce elettrica di Maurizio che ripercorre le tappe della straordinaria vita di Berto Ricci, facendoci assaporare le atmosfere di un ventennio ricco di fermento e correnti interne straordinarie, a differenza di quanto le menzogne antifasciste possono far credere. A fine conferenza gli invitati sono entusiasti, i fascicoletti prodotti da Raido si fanno spazio tra gli acquisti e lo Spazio Ritter si dimostra un’ottima fucina per le future collaborazioni.
    La cena ci vede più rilassati, le storie si susseguono e la conoscenza reciproca s’approfondisce. Il tempo scorre veloce, ricordandoci che ci aspettano macchina, casa e altre sei ore di viaggio: si deve tornare. La stanchezza non ci impedisce di continuare a parlare, di tempi passati ma anche e soprattutto costruire azione, formazione e Tradizione.
    Si riparte, la pioggia ci accompagna per tutto il tragitto: arriviamo a firenze e la pioggia fitta impone saluti essenziali, dopo la città toscana il tempo si fa più mite. Le ultime chiacchiere, sono più rilassate, il tempo più calmo ci aiuta. 24 ore di militanza sicuramente hanno contribuito a cementare le convinzioni, sodalizzare con amici e camerati lontani, creare un momento di formazione e di informazione. Lo scopo prefissato è stato raggiunto. A presto Camerati!

    Venerdì 28 Novembre 2008, Raido - Presentazione editoriale in anteprima di "Acca Larentia - il 78 dimenticato" con Valerio Cutonilli, Luca Valentinotti e Beatrice Ricci. La serata è continuata con il Concerto di Ben e Fabian insieme a Riccardo e Francesco " La musica che non si è arresa 2".

    Edizioni Trecento, una nuova casa editoriale “fresca di torchi” e attenta a proporre tematiche “scottanti” osservate da prospettive mai considerate in precedenza e spesso snobbate dai grandi trust della stampa nazionale. Questo l’argomento illustrato da Valerio Cutonilli nel convegno tenutosi venerdì scorso a Roma, presso i locali di Raido, in via Scirè 21-23. Si tratta di Editrice “300”, un’idea partorita fin dai tempi del processo di Bologna e che, dopo una lunga gestazione, è in piena fase operativa. La storia del nostro ambiente per la prima volta narrata e scritta da noi, una formidabile occasione di sfruttare e valorizzare talenti letterari scaturiti dal nostro milieu, l’opportunità di incidere sul panorama editoriale e culturale italiano onde risvegliare fin nel profondo coscienze addormentate, denunciare miserabili meschinerie, svelare travisamenti furbeschi e infrangere schemi mentali ormai logori, per riuscire a cambiare radicalmente le cose. Questa la sfida entusiasmante lanciata da Cutonilli. L’evento è stato organizzato in occasione della prossima uscita del libro che s’intitola: <Acca Larentia-Il ’78 dimenticato>. Dimenticato, per quanto concerne la letteratura di genere, anche dall’ambiente di destra, che vede il dolorosissimo episodio romano mai sfiorato neppure dalla nostra intellighentia. Ha preso la parola poi Luca Valentinotti, che ha trattato con un’analisi puntuale e meditata il “caso” Acca Larentia, una delle pagine più vergognose della storia italiana del dopoguerra.

    Erano le 19.00 di quel lontano giorno di gennaio di trent’anni fa, quando un commando di assassini dal volto coperto da passamontagna e armati di mitra Skorpion sorprese due ragazzi davanti all’entrata della sezione romana del Msi affacciata in un cortiletto di via Acca Larentia, quartiere Appio-Tuscolano. I due giovani, intenti nell’attività di partito, non ebbero scampo. Furono falciati uno - Franco Bigonzetti - istantaneamente, l’altro - Francesco Ciavatta - mentre disperatamente cercava scampo sulla rampa di scale situata a sinistra della porta d’ingresso del locale. Gli altri tre attivisti che in quel momento si trovavano nella sezione riuscirono con prontezza di spirito ad asserragliarsi all’interno, riuscendo così a salvarsi. I tre “fortunati” superstiti, Lupini, D’Autino e Segneri, narrarono con particolari raccapriccianti la vicenda di cui sono stati protagonisti, ricordando persino le voci degli assassini che, sorpresi dalla fulminea reazione dei tre, si scagliavano impotenti contro la porta esterna del locale, imprecando e bestemmiando rabbiosamente per l’”inconveniente” che impediva loro di portare a pieno compimento l’eccidio. Subito dopo l’accaduto, diffusasi la notizia per tutta la città, in un baleno moltissimi camerati romani affluirono sgomenti verso la sezione. Dall’assembramento che ne seguì, nessuno sa per quale motivo, forse la rabbia, lo sconcerto, la disperazione - ma pare che un giornalista del TG1 abbia impudentemente spento la cicca della sua sigaretta nella pozza di sangue lasciata sul selciato da una delle vittime - si passò presto agli scontri di piazza. Durante una carica della celere un capitano di polizia, tale Sivori, estrasse la pistola d’ordinanza e, assumendo la posizione di tiro premette il grilletto in direzione dei dimostranti. Il colpo non partì. L’arma s’era inceppata ma l’agente non si scompose. Fattosi consegnare un altro revolver dal suo attendente e riassunta la posizione di tiro sparò ad alzo zero centrando stavolta in piena fronte lo studente dei destra Stefano Recchioni. Dopo pochi giorni il padre di Francesco Ciavatta si tolse la vita distrutto dal dolore. Da quel giorno la vita di tanti giovani di destra si sarebbe incamminata verso la tragica stagione del terrorismo. Ma perché era potuto accadere tutto ciò? Si era trattato certamente di una “prova d’iniziazione”, di un battesimo del fuoco perpetrato dai componenti un nucleo brigatista. Una esecuzione iniziatica simile a quella avvenuta quattro anni prima a Padova e nella quale persero la vita Mazzola e Giralucci. Il 1978 era appena agli inizi e il peggio doveva ancora venire. Già dal 1977 se n’era avuto sentore. Il primo a cadere sotto il piombo br fu l’avvocato Croce, quindi venne il turno di Carlo Casalegno. Montanelli e Ferrero se la cavarono “solo” con una sventagliata di mitra alle gambe, ma l’allucinante mattanza subì presto una recrudescenza. E vennero l’agguato a Walter Rossi, l’assalto al bar torinese Angelo Azzurro, durante il quale fu arso vivo Roberto Crescenzio, la povera Giorgiana Masi colpita sempre a Roma, a ponte Garibaldi, senza un perché. L’anno si chiuse con Angelo Pistolesi freddato da una scarica di pallettoni sul portone di casa. Dopo la tragica sera di Acca Larentia - 7 gennaio del ’78 - massacro trattato con sufficienza da autorità istituzionali e mass media, sembrava che la situazione non potesse fare altro che migliorare, ma dopo un paio di mesi una doccia gelata ripiombò bruscamente il paese in un clima da guerra civile. A marzo, infatti, a subire l’olocausto fu l’intera scorta di Aldo Moro, sterminata a via Fani a Roma. Il ras della Dc, rapito dai terroristi, iniziò a scrivere dalla cattività una lunga serie di lettere con le quali si scagliava contro il suo stesso partito accusato di essersi troppo appiattito sulla linea intransigente del Pci, ostile a ogni ipotesi trattativista. Il leader dc dopo un mese fu ritrovato cadavere in un’autovettura parcheggiata in via Caetani, a Roma. Le istituzioni stavolta reagirono, eccome, e le Br furono brutalmente represse, ma ciò che avvenne in quella gelida sera di gennaio a via Acca Larentia non sarà mai chiarito. Si seppe solo che l’eccidio venne rivendicato da fantomatici “Nuclei proletari per il contropotere territoriale”, sigla pletorica e rimasta fino allora pressoché sconosciuta, ma per tutto quell’orrore non fu neppure tentato lo straccio di un’indagine e il delitto rimase impunito. Impuniti gli assassini dei “Nuclei”, impunito il boia Sivori, al quale il ministro degli Interni del tempo, Cossiga, suggerì senza ritegno una “vacanza per far decantare le cose”. Solo dopo molto tempo, era ormai il 1984, la testimonianza di una tale Tudini, giudicata attendibile dagli investigatori, gettò un raggio di luce sull’accaduto. Sostenne in un interrogatorio la Tudini che nel lontano ’77 lei e alcuni brigatisti parteciparono a una riunione e ad esercitazioni con armi da tiro tenutesi nella valle romana della Caffarella, un parco situato alla periferia della capitale. Fu fatto pure il nome di un certo Mario Scrocca, già detenuto a Regina Coeli e deceduto di lì a poco. Un sopralluogo effettuato alla Caffarella rivelò che le dichiarazioni della Tudini erano esatte. In una grotta di tufo come ce ne sono tante nella valletta dell’Almone, infatti, gli investigatori rinvennero sparsi sul terreno diversi bossoli di mitraglietta Skorpion, appartenenti cioè proprio all’arma con la quale era stata compiuta la strage di Acca Larentia e gli omicidi Tarantelli, Conti e Ruffilli. La situazione a questo punto avrebbe imposto indagini molto più accurate da parte delle autorità investigative, ma anche questa volta non se ne fece nulla. Niente riuscì a smuovere il muro di gomma opposto dalle autorità a qualsiasi richiesta di maggiore impegno in tal senso. Anzi, uno dei superstiti della strage, il D’Autino, rivelerà in seguito che, a una sua precisa richiesta rivolta al PM che indagava su quello scellerato episodio di terrorismo, si senti rispondere candidamente dal magistrato che per gli inquirenti si era trattato solo di un regolamento di conti interno all’ambiente missino. Come a Primavalle e come in tante altre occasioni in cui a lasciarci la pelle erano stati ragazzi di destra, era immancabile la tesi pilatesca della faida intestina. A questo punto, per capirci qualcosa, occorre delineare il quadro interno e internazionale del periodo storico che si trovava a vivere l’Italia del tempo. Un quadro fosco, che rivelava le sfatte sembianze di uno Stato che aveva perduto la guerra e che per colpa di politici cinici quanto incapaci stava perdendo anche la pace. Il fatto è che la nostra nazione, in quel periodo, non era altro che un’immensa scacchiera sulla quale i due maggiori schieramenti internazionali, quello atlantico e quello sovietico, giocavano una specie di cruenta partita le cui pedine eravamo noi stessi. I due avversari esterni, infatti, avevano le loro quinte colonne all’interno delle istituzioni, con una fazione che più o meno guardava agli Usa e a Israele e con l’altra che invece parteggiava per l’Urss e i palestinesi. Questa partizione era alquanto trasversale e spaccava in due tutti i partiti dell’”arco costituzionale”, quindi anche la DC, allora leader della coalizione governativa. Cossiga, Spadolini, Moro e Andreotti erano i “protagonisti” di riferimento di entrambi i blocchi. Moro e Andreotti, filoarabi, fautori di una politica “mediterranea”, e Cossiga e Spadolini, filoisraeliani e atlantisti. Si ipotizza appunto che sia stato Moro ad appoggiare il colpo di stato del colonnello Gheddafi, che strappò la Libia dall’orbita britannica, e che la strage di Piazza Fontana a Milano del dicembre 1969 sia stato un gentile “cadeau” presentatoci dai servizi di sua Maestà per il bel lavoro che lo statista pugliese avrebbe fatto all’Italia, favorendo l’ascesa a Tripoli di un tiranno che per prima cosa ha espulso da un giorno all’altro i nostri connazionali. Insomma, abbiamo subito un attentato per un’operazione politica che ci ha visti pure penalizzati. Questo la dice lunga sulla “lungimiranza” della classe politica democristiana. Non domo, poi, intorno al 1970, Moro bloccò anche un’iniziativa dei nostri alleati atlantici mirata contro il leader libico, e nel 1973 negò le nostre basi agli aerei con la stella di David nella guerra dello Yom Kippur. E fin qui poco male, se non fosse che all’intransigenza contro Tel Aviv corrispondeva però un’acquiescente politica di laissez-faire nei confronti del satrapo di Tripoli, che dopo avere sputato ripetutamente sull’Italia e sloggiato i nostri connazionali senza permettere loro di portarsi dietro neppure un centesimo, era entrato pure come azionista di maggioranza negli asset azionari della Fiat. L’ambigua politica dello statista DC, insomma, strizzando l’occhio agli arabi, ci garantì il petrolio e ci risparmiò - ma neppure del tutto - il terrorismo palestinese, sì, ma ci espose a quello opposto, di marca atlantica, le cui performance finivano immancabilmente col ricadere sulle nostre spalle, sia come cittadini vittime incolpevoli, sia come comunità militante di destra, immancabilmente accusata dai servi di regime di ogni nefandezza. Ma poi arrivò il ’78, l’anno nel quale, secondo il maghetto democristiano, il partito comunista sarebbe stato associato al governo, insieme con la DC, nella rischiosa operazione denominata “compromesso storico”, col quale un Pci privato degli “attributi” sarebbe convolato a nozze con una DC tosta come non mai. Stavolta l’antifascismo “doveva” diventare una religione, un culto, un dogma intangibile. Secondo i demo-comunisti, infatti, i manovratori non andavano disturbati per un banale incidente come la morte di due “teppistelli” neri. Essendo fascisti, Ciavatta e Bigonzetti quella fine se l’erano meritata e non valeva certo la pena di darsi da fare per individuarne i responsabili. Insomma, non si poteva urtare la suscettibilità dei comunisti, coccolati e vezzeggiati, e il cui ambiente, incubatore del peggior terrorismo, non andava sfiorato neppure dal dubbio. Ma poi venne la nemesi di via Fani, e tutto cambiò. Cossiga imporrà nel 1979 una svolta filo atlantica alla nostra politica estera, coadiuvato da Spadolini. E saranno gli anni della strage alla stazione di Bologna e dell’abbattimento dell’aereo dell’Itavia. Ogni servaggio, insomma, ha avuto i suoi inconvenienti. La serata è proseguita con il concerto “La musica che non si è arresa 2 ”. Ben e Fabian insieme a Riccardo e Francesco hanno proposto i brani storici della musica alternativa in versione acustica. Un fine serata coinvolgente e all’insegna della convivialità per mezzo dello spazio ristoro dei nuovi locali della libreria. Da segnalare che la conferenza ed il concerto sono stati trasmessi in streaming, qualificata novità per le insegne di Raido che si conferma avanguardia tradizionale anche dal punto di vista della comunicazione.

    SpAng

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