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  1. #1
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    Predefinito Più democrazia, meno nemici. Obama presenta Hillary e Gates.

    Che ne pensate dell'amministrazione Obama e soprattutto della presenza in essa della Clinton e di Gates?

    http://liberazione.it/giornale_artic...rticolo=419538
    http://liberazione.it/giornale_artic...rticolo=419566

    Per l'America «è tempo di un nuovo inizio per affrontare le sfide globali del mondo», prima fra tutte quella al terrorismo. E il nuovo inizio il presidente eletto, Barack Obama, lo ha presentato a Chicago, con la sua squadra. E con un discorso a tutto campo, nel quale ribadisce il ruolo chiave degli Stati Uniti nella politica e nell'economia mondiale. Nella squadra risalto alle nomine di donne. Hillary Rodham Clinton da "nemica" sarà uno dei pilastri dell'amministrazione di Obama: ricoprirà infatti il ruolo di Segretaria di Stato.
    Parlando della squadra e del team di sicurezza nazionale il presidente ha ribadito che le persone che ha scelto condividono il suo «pragmatismo sull'uso dei poteri» e il suo obiettivo di «un ruolo dell'America come leader nel mondo». E qui spunta un'altra donna: Susan Rice sarà l'ambasciatrice degli Usa all'Onu. Sulle Nazioni Unite inoltre il presidente statunitense ha commentato che sono «un forum indispensabile, e imperfetto», e hanno un ruolo decisivo in un mondo in cui «sfide globali richiedono istituzioni globali che funzionino».
    Roberts Gates resterà alla Difesa, ma dovrà lavorare con Janet Napolitano, governatrice dell'Arizona, considerata una delle leader più in vista del partito democratico.
    La scenografia è la solita. Il piccolo podio con la scritta "Ufficio del presidente eletto", le bandiere dietro e i collaboratori da presentare in fila. Ieri il prossimo presidente degli Stati Uniti ha presentato un nuovo comparto della sua amministrazione, quello dedicato alla sicurezza interna e internazionale. Il tempismo è perfetto: per mesi si è parlato solo della crisi economica e, di colpo, la strage di Mumbai ha riportato in testa alle notizie il terrorismo.
    Ieri, dietro a Barack Obama c'erano almeno due facce che lasciavano spaesati. Non che la nomina di Hillary Clinton a Segretario di Stato e la conferma di Robert Gates al Pentagono siano stati una sorpresa, ma Obama ha dovuto fare qualche sforzo per spiegarne le ragioni. Sul palco, oltre all'avversaria di Obama nelle primarie democratiche più combattute e partecipate della storia e il Segretario alla Difesa che ha rimpiazzato Donald Rumsfeld, c'erano anche la futura Segretaria alla sicurezza interna Janet Napolitano, l'ex generale James Jones, che sarà consigliere per la sicurezza, la consigliera di sempre per la politica estera Susan Rice, futura ambasciatrice all'Onu. Gli occhi, le orecchie e le domande, però, erano tutti per le due figure più importanti della futura politica internazionale Usa.
    Gates ha ringraziato senza aggiungere quasi nulla, mentre la senatrice di New York ha svolto il suo compito disegnando un'idea di politica estera che è una fotocopia delle parole usate dal futuro presidente. «Eleggendo Barack Obama la gente ha chiesto una nuova strada sul fronte interno, ma anche una nuova politica internazionale - ha detto Hillary - I nostri interessi non si possono promuovere solo con la forza, dovremo usare molta più diplomazia, farci più amici e meno nemici». Come il suo ex avversario, Clinton - e anche tutti gli altri che hanno parlato, compreso il vicepresidente eletto Biden, altra vecchia volpe della politica estera Usa - si è soffermata sulle «sfide globali che attendono gli Stati Uniti»: citando sempre il terrorismo e l'attentato di Mumbai come primo della lista, ma ricordando il riscaldamento globale, la povertà, il funzionamento delle istituzioni internazionali. Una frase del futuro capo della diplomazia è utile a capire quale sarà l'atteggiamento - almeno a bocce ferme - della amministrazione Obama: «L'America non può risolvere le crisi senza il mondo, e il mondo non può risolverle senza l'America». «I cittadini americani hanno chiesto una nuova direzione non soltanto sulle questioni interne» ha aggiunto Clinton «ma anche un nuovo sforzo per rinnovare la reputazione dell'America nel mondo come forza per un cambiamento positivo».
    La leadership resta l'ossessione americana. Sembra di capire che i democratici cercheranno di ristabilirla con il consenso. E che si preoccuperanno di alcune grandi questioni globali neglette durante gli otto anni di Bush. Almeno la retorica della conferenza stampa è tesa a far intendere scelte condivise. Dopo otto anni di guerra al terrore, Saddam Hussein, Guantanamo e porcherie simili, è un cambiamento.
    «Ho chiesto a Gates di rimanere. Ha assunto il suo incarico al Pentagono in tempi duri ed ha fatto tornare la fiducia tra i militari e in Congresso», così Obama ha spiegato il boccone più duro da mandare giù per la parte di sinistra della sua base. Obama ha poi aggiunto: «A Gates darò una nuova missione: terminare la guerra in Iraq per riuscire contro Afghanistan e Taleban». Il problema guerre in corso è talmente preoccupante da non far rischiare cambi della guardia. Tenendosi Gates, Obama rassicura l'esercito e mette in un angolo l'opposizione repubblicana. Inoltre, l'attuale capo del Pentagono è quello che ha scelto la strada del dialogo con i sunniti, una strada che forse gli americani si preparano a percorrere anche in Afghanistan.
    Obama ha risposto a diverse domande su Gates e Clinton, la risposta è stata piuttosto chiara: «Molte delle persone di questo gruppo hanno già lavorato assieme. Non avrei chiesto loro di far parte di questa amministrazione se non condividessimo un'idea di comune di quale debba essere il nostro ruolo nel mondo - ha detto il 44esimo presidente - Credo molto nelle personalità forti che esprimono opinioni forti. Un pericolo alla Casa Bianca è che nessuno obietti alle idee degli altri. Con il gruppo che presentiamo oggi non corriamo questo pericolo. Ma sarò io a stabilire la linea politica, mi aspetto che la mia amministrazione la implementi».
    Ma perché Obama ha scelto questo gruppo? Andiamo con ordine. Napolitano e Rice sono sue sostenitrici e consigliere fidate. Specie la nuova ambasciatrice all'Onu, che parlando del suo ruolo al Palazzo di Vetro ha detto: «Per far crescere l'America dovremo investire sul mondo». Se qualcuno ricorda ancora John Bolton, l'uomo di Bush nel consiglio di sicurezza, sa che siamo su un pianeta diverso. A questo proposito, la presenza sul palco del prossimo Procuratore generale, Eric Holder, è servita a sottolineare che «non ci può essere tensione tra sicurezza e rispetto delle leggi e delle garanzie costituzionali».
    Le altre scelte sono il frutto, oltre delle cose che ha detto Obama, di mediazioni e di un calcolo politico. Con il tratto comune di essere un team esperto e molto qualificato. Obama si preoccupa, in «tempi straordinari» - come li ha chiamati Joe Biden - di costruire un'amministrazione fortissima, sia politicamente che in materia di competenze. Clinton è molto amata da una parte della base democratica e molto rispettata all'estero. Russ Feingold, il senatore più di sinistra di Washington, uno che alle primarie e dopo non ha appoggiato nessun candidato, ha detto a The Nation di essere rimasto impressionato dalla sua bravura durante un viaggio in Iraq e Afghanistan. Tutti elementi che hanno giocato un ruolo, assieme naturalmente alla necessità di ripagare il debito contratto durante la campagna elettorale. Obama ha comunqe detto: «Se io non credessi in lei e lei non credesse che sono in grado di fare il presidente, io non l'avrei scelta e lei non avrebbe accettato l'incarico».
    Obama ha davanti un'agenda molto dura ed ha scelto gente forte e preparata. Ma anche dotata di grande personalità. Riuscirà a far convivere i suoi fedelissimi, che nelle primarie hanno imparato a odiare Hillary, con lo staff della ex avversaria? Riuscirà a tenere a bada le diverse anime che si è messo attorno. La vicenda personale del futuro presidente dice che saper mediare, ascoltare e decidere è una sua caratteristica. Nei prossimi mesi vedremo come riuscirà a usare le sue doti cercando di uscire dall'Iraq e provando a mettere mano al caos centro asiatico.

  2. #2
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    Citazione Originariamente Scritto da Lisergic Visualizza Messaggio
    Che ne pensate dell'amministrazione Obama e soprattutto della presenza in essa della Clinton e di Gates?
    Tutto il male possibile.

  3. #3
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    Citazione Originariamente Scritto da catartica Visualizza Messaggio
    Tutto il male possibile.
    Pregiudizialmente anche io. Se invece capissero che la guerra in Iraq è persa, mentre quella in Afghanistan può essere salvata solo dialogando con i talebani, potrei cambiare idea.

  4. #4
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    Citazione Originariamente Scritto da Lisergic Visualizza Messaggio
    Pregiudizialmente anche io. Se invece capissero che la guerra in Iraq è persa, mentre quella in Afghanistan può essere salvata solo dialogando con i talebani, potrei cambiare idea.
    Adesso che forse riescono a mettere d'accordo le fazioni in iraq? a questo punto vadano fino in fondo.
    In a'stan la guerriglia sarà endemica per sempre. ma mi pare che i taliban non abbiano molti appoggi all'estero quindi non vedo nel lungo periodo quale forza possano avere. dialogarci significherebbe dargli quel riconoscimento che ora non hanno. mi spiace ma la situazione è ben diversa da quella per esempio del vietnam.

  5. #5
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    Citazione Originariamente Scritto da Lisergic Visualizza Messaggio
    Che ne pensate dell'amministrazione Obama e soprattutto della presenza in essa della Clinton e di Gates?
    Nulla di particolare. E' l' amministrazione di una nazione che si definisce imperiale, esattamente come quelle prima e quelle dopo.

    Mi fanno ridere coloro che pensano che Obama avrebbe governato con Hippy e figli dei fiori e, specularmente, coloro che pensano ad un imperialismo bisogno di rifarsi il look.

  6. #6
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    Citazione Originariamente Scritto da willyI Visualizza Messaggio
    Adesso che forse riescono a mettere d'accordo le fazioni in iraq? a questo punto vadano fino in fondo.
    In a'stan la guerriglia sarà endemica per sempre. ma mi pare che i taliban non abbiano molti appoggi all'estero quindi non vedo nel lungo periodo quale forza possano avere. dialogarci significherebbe dargli quel riconoscimento che ora non hanno. mi spiace ma la situazione è ben diversa da quella per esempio del vietnam.
    Secondo me, nonostante tutte le dichiarazioni di facciata più varie, gli sciiti difficilmente metteranno in disparte i loro progetti per il controllo del paese. E poi entro la fine dell’anno insieme agli USA rimarranno solo Gran Bretagna, Australia, Romania, Estonia e Salvador. E’ una palese ammissione di fallimento da parte di tutta la coalizione che seguì Bush nel conflitto.
    Se poi vogliamo dirla tutta, in Iraq, oggi come oggi, si combatte la guerra occulta (non ancora esplosa) tra USA e Iran…
    Per quanto riguarda l’Afghanistan il problema è che è vero che i taliban non hanno riconoscimento all'esterno. Ma all’interno ce l’hanno eccome, è innegabile…

  7. #7
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    Di Obama già se ne era parlato nei giorni seguenti la sua elezione e avevo espresso il mio parere; Di Hillary Clinton penso che è una terrorista che ha fatto la sua parte nella distruzione della Jugoslavia e nel massacro di migliaia di cittadini jugoslavi nel 1999 quando era la moglie del presidente, che cercherà di invischiare il gelatinoso e fantomatico popolo della sinistra europea con la sua propaganda umanitaria e penso che ci riuscirà abbastanza facilmente nei confronti della maggior parte di esso, chi più chi meno, dal momento in cui la guerra imperialista alla Jugoslavia, detta “umanitaria” e “per i diritti umani”, è stata gettata nel dimenticatoio e mai è stato affrontato sistematicamente su scala di massa il cumulo di menzogne e le strategie di guerra psicologica che furono portate avanti in quei anni e che si riproporranno nelle sue linee basilari con il ritorno al potere del partito democratico statiunitense.

  8. #8
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    da: Strategic Colture Foundation - http://en.fondsk.ru/article.php?id=1105

    Cosa dovremmo aspettarci da Hillary Clinton

    Leonid Ivashov*
    07/12/2007

    Hillary Clinton, moglie dell’ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton e tra i favoriti nella corsa alle presidenziali del 2008, ha recentemente svelato la sua agenda di politica internazionale in una dichiarazione su Foreign Affairs. (Hillary Rodham Clinton, Sicurezza e opportunità per il XXI secolo. Foreign Affairs, Novembre/Dicembre 2007). La pubblicazione offre considerazioni piuttosto critiche su diversi aspetti della presidenza di G. Bush.

    Un vento di cambiamento nella politica estera degli Stati Uniti? Non proprio. L'analisi delle critiche dirette all’Amministrazione Repubblicana da H. Clinton e dei piani tracciati nei suoi documenti dimostrano che nel futuro prevedibile non dobbiamo aspettarci un cambiamento integrale nella strategia globale di Washington.

    Quello che H. Clinton critica in G. Bush e nella sua amministrazione non concerne la loro tendenza al dominio globale o la soggiacente strategia formulata dal Congresso degli Stati Uniti nel 2005 su come «guadagnare un accesso senza limiti alle regioni chiave del mondo, alle comunicazioni strategiche e alle risorse globali» (in altre parole, assicurarsi il controllo di tutto quanto sopra).

    Il perseguimento dell’egemonia globale da parte degli Stati Uniti è costante da più di un secolo. Solo i metodi si sono evoluti. Mentre il Contrammiraglio A. Mahan, eminente geostratega statunitense della fine del XIX secolo, enfatizzava l'importanza della supremazia marittima, dell'attività militare e la strategia di strangolare in una «spira di serpente» le potenze continentali dell’Eurasia, il presidente degli Stati Uniti W. Wilson sposò l'idea di un «pacifico» smembramento dei paesi rivali e la loro successiva occupazione. Il presidente degli Stati Uniti W. Taft suggerì di usare il dollaro U.S. come strumento per soggiogare le altre nazioni. Elementi comuni di tutte queste strategie erano sia l'idea del dominio globale degli Stati Uniti sia la nozione che la Russia doveva essere scelta come primo obiettivo di tali sforzi.

    Gli approcci di H. Clinton ai problemi internazionali non sono essenzialmente nuovi. E non è una sorpresa- i suoi consulenti di politica estera, M. Albright e S. Talbott, sono gli autori dell'aggressione degli Stati Uniti contro i serbi.

    La continuità è un tratto indispensabile della politica estera degli Stati Uniti. La presidenza di B. Clinton fu marcata da un potente attacco Nato e U.S. alla Jugoslavia. Il corso preso dal suo successore G. Bush, prevede «una soluzione pacifica» della crisi balcanica: continua la spartizione dell’ex Jugoslavia nella forma della separazione prima del Montenegro, e, come passo successivo, del Kosovo dalla Serbia.

    Se sarà eletta, H. Clinton intende fare lo stesso in Iraq. Attualmente, sta sollevando critiche a G. Bush per il coinvolgimento militare degli Stati Uniti nel paese ma questo non dovrebbe essere preso troppo sul serio. G. Bush criticò allo stesso modo B. Clinton per la Jugoslavia quando era il rivale alla presidenza. Questo palleggiamento politico è uno schema abitualmente usato da Repubblicani e Democratici negli Stati Uniti. Senza dubbio, nel caso che H. Clinton andasse alla Casa Bianca nel 2008, sarà lei a portare a completamento il processo in corso di suddividere l’Iraq in tre stati minori pseudo-indipendenti. Questa è la logica generale della strategia globale degli Stati Uniti messa a punto a prescindere da chi sia il presidente in carica.

    H. Clinton sottolinea che la leadership si basa « più sul rispetto che sulla paura», spiegando intanto che «c'è un tempo per la forza ed un tempo per la diplomazia». In altre parole, gli interessi degli Stati Uniti devono essere promossi inizialmente con l'aiuto di metodi civili (come avvenne nel caso di S. Milosevic), e poi viene il momento di ricorrere alla forza (come nei casi di serbi, iracheni, ecc).

    Le frasi forti di H. Clinton che concernono il piano di pace per l’Iraq ed il ritiro delle truppe degli Stati Uniti dal paese sono immediatamente compensate dalla dichiarazione che «... uscendo dall'Iraq noi dovremo ricolmare il potere americano, ricostruendo il nostro esercito e sviluppando un arsenale molto più ampio di strumenti per la lotta contro il terrorismo». Il ragionamento è lo stesso di quello di G. Bush. Di conseguenza, dovremmo aspettarci di vedere indirizzare attacchi aerei contro Al-Qaeda (un pretesto davvero universale) e altri gruppi terroristici i cui nomi non sono difficili da inventare, non importa quale paese venga implicato insieme. Quindi, le basi militari degli Stati Uniti rimarranno nel Kurdistan iracheno anche dopo il loro ritiro dalle parti meridionali e centrali dell'Iraq. Non a caso G. Bush sta già creando le infrastrutture per schierare le truppe degli Stati Uniti nel ‘Kurdistan’, forse come dono da lasciare al suo successore.

    Nelle iniziative di H. Clinton e di G. Bush per sviluppare la forza militare degli Stati Uniti si possono individuare solo divergenze minori. Per esempio: «... Intendo lavorare per espandere e modernizzare la forza militare... l’Amministrazione Bush ha minato questo obiettivo focalizzandosi ossessivamente sulla tecnologia costosa e da verificare della difesa missilistica... ».

    Cercare in qualche modo l’equilibrio internazionale non è ancora preso in considerazione- il piano è di perseguire l’assoluta superiorità militare e tecnologica degli Stati Uniti. Visto da H. Clinton il problema di G. Bush è solamente che lui non ha fatto un lavoro sufficientemente buono a quel fine. A proposito, proprio ultimamente, il Congresso degli Stati Uniti a prevalenza Democratica ha stanziato $100 milioni addizionali per creare uno shuttle spaziale in grado di andare a colpire dall'orbita spaziale obiettivi a distanze superiori ai 16.500 km.

    H. Clinton è anche impegnata ad elevare l'efficienza del comparto dell’intelligence degli Stati Uniti, per trasformarlo in «una forza clandestina che stia fuori sulla strada, e non seduta dietro a scrivanie», con particolare riferimento alle operazioni all'estero. H. Clinton naturalmente intende usare il bastone e la carota per trattare del programma nucleare dell’Iran; ma se Tehran dovesse rifiutare di accettare i termini degli Stati Uniti, poi nessun tipo di risposta sarebbe esclusa. A questo riguardo, non ci sono differenze con la politica dell'Amministrazione attuale.

    Infine, che cosa c’è di nuovo nell'approccio di H. Clinton alle relazioni russo-statunitensi? La sua opinione è che la Russia sia fra i paesi che «... non sono avversari ma che stanno sfidando gli Stati Uniti su molti fronti». Le questioni del contenzioso includono il Kosovo, il presunto uso di forniture di combustibile come leva politica contro i paesi confinanti con la CIS, e la Russia che sta spazientendo gli Stati Uniti e l'Europa per quanto concerne la non-proliferazione e il controllo degli armamenti (con un chiaro riferimento al congelamento da parte della Russia della sua partecipazione al Trattato sulle Forze Armate Convenzionali in Europa (CFE), che era comunque defunto).

    E naturalmente la signora Clinton critica V. Putin che ha «soppresso molte delle libertà ottenute dopo la caduta del comunismo». Trova inconcepibile che la Russia e gli Stati Uniti possano aderire ad interpretazioni diverse della democrazia e che la Russia non abbia ancora voluto optare per la democrazia in «stile» statunitense. Nondimeno, è convinta che la Russia dovrebbe essere impegnata a risolvere le questioni internazionali importanti per gli Stati Uniti. Così, il ruolo da lei riservato alla Russia è quello di un assistente (che Mosca abbia una strategia sua propria deve essere qualche cosa di impossibile da immaginare).

    Parlando dell'agenda delle relazioni estere di H. Clinton, si può concludere che gli obiettivi della politica internazionale degli Stati Uniti non sono cambiati da decenni. Perciò, non fa una grande differenza chi precisamente passa alla Casa Bianca.

    * Il Generale Leonid Ivashov è vicepresidente dell’Accademia di Problemi Geopolitici. E’ stato capo del dipartimento Affari Generali del Ministero della Difesa dell’Unione Sovietica, segretario del Consiglio dei Ministri della Difesa della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), capo del Dipartimento di Cooperazione Militare del Ministero della Difesa della Federazione Russa. L’11 settembre 2001 ricopriva l’incarico di capo di Stato Maggiore delle forze armate russe.



    http://www.resistenze.org/sito/os/mo...n10-002375.htm

  9. #9
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    Articolo vecchio ma interessante.

    Ovviamente bisognerà mediare le posizioni della Clinton con quelle di Obama, ma non mi risulta una differenza tale da smentire quest'articolo.

  10. #10
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    Inoltre è basato sul programma in politica estera di H.Clinton ed essendo lei ora il segretario di Stato, cioè quasi l'equivalente di ministra degli esteri, è più che mai attuale.

 

 

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