Editoriale di Liberazione: "Contratto d’ingresso... per licenziare"


13/05/2010 114 | LAVORO - ITALIA


di Luigi Cavallaro (Liberazione del 13 maggio 2010)
Mi onoro dell’amicizia personale di Pietro Ichino e dunque nulla può essere più lontano dalle mie corde di un’avversione preconcetta a quel che scrive o propone. Sed magis amica veritas e dunque non posso convenire con l’interpretazione che Ichino continua a offrire della proposta di legge sul contratto unico d’ingresso che egli ha presentato recentemente al Senato unitamente a Paolo Nerozzi, Ignazio Marino, Felice Casson e altri senatori del Pd.
Qual è la materia del contendere? Molto semplicemente, Ichino sostiene che la proposta di legge non condurrebbe ad alcun «aggiramento» dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, mentre è vero il contrario. Attualmente, infatti, chi viene assunto a tempo indeterminato alle dipendenze di un’impresa che occupi più di quindici dipendenti nella medesima unità produttiva o comunque nel medesimo comune (ovvero più di sessanta sul territorio nazionale) è tutelato sin dall’assunzione contro il licenziamento illegittimo mediante la reintegrazione nel posto di lavoro: e ciò a prescindere dal motivo per cui è stato illegittimamente intimato il licenziamento, si tratti cioè di motivo disciplinare o economico.
Secondo il ddl proposto da Ichino, invece, coloro che venissero assunti con il contratto unico d’ingresso e venissero illegittimamente licenziati entro il triennio dall’assunzione potrebbero aspirare al reintegro solo se licenziati per motivi disciplinari o discriminatori; in caso di licenziamento illegittimo per motivi economici, invece, non si farebbe luogo ad alcun reintegro, ma soltanto alla corresponsione di un’indennità variabile in funzione della pregressa durata del rapporto (art. 4 ddl).
Non vale obiettare che, essendo assunti con contratti a termine o di somministrazione o in virtù di collaborazioni a progetto, i giovani d’oggi l’articolo 18 non lo vedono neanche da lontano: a parte il fatto che le stime più recenti indicano che solo il 50% delle nuove assunzioni viene effettuato con tipologie contrattuali del genere, è appena il caso di osservare che la proposta di Ichino non farebbe altro che elevare a norma quel che attualmente è solo un (deprecabile) fatto. Cioè si limiterebbe a razionalizzare l’esistente nella forma di un’universalizzazione del precariato!
Naturalmente si può discutere se codesta universalizzazione sia opportuna o no. Ichino pensa di sì e come lui il Partito democratico, che per bocca di Paolo Gentiloni si è spinto recentemente a dire che se proposte del genere non ci fossero bisognerebbe inventarle. Personalmente, invece, ritengo che si tratti di una proposta sbagliata fin dalle sue premesse teoriche, che derivano da un noto pamphlet degli economisti Tito Boeri e Pietro Garibaldi; e avendone già scritto altrove (Un contratto precario per tutti?, Economia e Politica | Rivista online, 9 dicembre 2008) e non avendo avuto ancora uno straccio d’obiezione né da Ichino né tampoco da Boeri e Garibaldi non reputo di dovermi ripetere. In ogni caso, la proposta di Ichino, Nerozzi e co. è questa e, come si capisce facilmente, implica una sostanziale modifica in senso peggiorativo dell’art. 18. Caro Pietro, perché negarlo?

Editoriale di Liberazione: "Contratto d’ingresso... per licenziare" - ControLaCrisi.org