Centro studi Giuseppe Federici - Per una nuova insorgenza
Comunicato n. 106/08 del 3 dicembre 2008, San Francesco Saverio
Armi di distruzione di massa: il DIVORZIO (1 parte)
Famiglia vittima del divorzio, di Francesco Agnoli.
Milàn - Discutere sull’indissolubilità del matrimonio, oggi, non è certo facile. Tutti abbiamo esperienza della fallibilità umana, della nostra miseria, della litigiosità che caratterizza certe coppie o certi momenti del rapporto coniugale. Nel passato pre-cristiano il divorzio esisteva, nella forma del ripudio dell’uomo nei confronti della donna. Il contrario non era possibile. In molti periodi i divorzi crescevano, e lo stato, gli imperatori, i re di turno, solitamente, cercavano di correre ai ripari, di mettere dei freni, di aumentare la dignità culturale, giuridica, rituale, del matrimonio. Perché tutti avevano consapevolezza che più il matrimonio tiene, più la società è stabile e serena. Nell’antica Roma ad assistere al matrimonio di una giovane coppia vi era una donna sposata una volta sola, come testimone e auspicio. La cerimonia era lunga, solenne, per sottolineare l’importanza di ciò che stava avvenendo. Questo significa che nonostante la duritia cordis di cui parla Gesù, riferendosi al ripudio concesso nell’Antico Testamento, vigeva l’idea che l’unione stabile e fedele fosse il meglio per tutti.
Col cristianesimo si afferma il matrimonio monogamico indissolubile, che è anche la consacrazione concreta della pari dignità tra uomo e donna. L’uomo non può più ripudiare la propria sposa, ma neppure la donna può sciogliere il vincolo matrimoniale assunto liberamente, in presenza di testimoni umani e di Dio stesso. L’uomo e la donna diventano veramente, almeno nell’ideale, complementari, “un solo corpo e una sola carne”. Il vincolo che li lega, li unisce tra loro, ed è garante della loro responsabilità verso figli e la comunità. Così, il divorzio, per secoli, non è neppure contemplabile come istituto pubblico. Certo, ci sono delle separazioni, ci sono famiglie che si rompono, ma dai matrimoni distrutti non nascono, di solito, nuovi matrimoni, altre famiglie; e comunque la separazione è sempre un’extrema ratio che non cancella il matrimonio precedente. Così sino ad Enrico VIII prima e Napoleone poi: costoro sono i primi a legalizzare il divorzio nel loro paese, a ben vedere servendosene come di una nuova forma di ripudio, per sbarazzarsi della loro legittima consorte.
Perché dunque per tanti secoli una simile contrarietà all’istituto del divorzio? Perché “in presenza di casi in cui una parte della realtà si svolge in difformità dai principi e dalle norme è socialmente meglio lasciare che questi casi si svolgano fuori della legalità, anziché modificare la legalità per ricomprendere quei casi”. L’eccezione, che pure è prevedibile, non deve determinare la regola, perché i casi “sfortunati” non possono divenire la norma, neppure da un punto di vista ideale, se non si vuole indebolire l’istituto, la norma stessa. La legalità, ciò che è riconosciuto come bene, il dover essere, infatti, hanno una funzione essenziale nella vita dell’uomo: lo influenzano, lo educano, lo spingono ad assumersi le responsabilità con una certa consapevolezza. Sapere che il matrimonio è una scelta per la vita, porta certamente a darle il giusto peso, a prepararlo con grande attenzione, a viverlo, anche nei momenti di difficoltà, con quella capacità di sacrificio e di rinuncia che possono rimuovere ogni ostacolo e rilanciare l’amore tra due persone. E poi il matrimonio non è solamente l’esperienza romantica e sentimentale di due persone: permane anche quando l’amore viene meno: ci sono infatti dei figli, verso i quali gli sposi hanno un dovere e che hanno bisogno di due genitori, di due figure complementari e diverse. La famiglia è infatti la mirabile unione di età, generi, e ruoli diversi: è qui che si imparano il rapporto generazionale, la propria identità sessuale, la solidarietà, la rinuncia, lo stare con gli altri…
Per questo si può essere contrari alla legalizzazione del divorzio anche senza essere credenti, cattolici. Piero Ottone, direttore liberale e laico del Corriere della Sera, nel 1964 scriveva: “Se fossi vissuto sempre in Italia probabilmente sarei un divorzista. Ho invece trascorso una quindicina di anni in paesi nei quali vige il divorzio (sappiamo del resto che vige quasi ovunque). Sulla base di quel che ho visto e sentito, ho acquistato alcune convinzioni che cercherò di riassumere, e che sono, comunque, contrarie al divorzio… non perché contrasti con la morale cristiana, che rispetto, ma che non intendo prendere in considerazione (Ottone si schiererà per l’aborto, ndr) . Bensì perché lo ritengo nocivo, nel complesso, alla società... Il divorzio ha il vantaggio di riparare l’errore di un matrimonio sbagliato e permette di ricominciare. D’accordo. Ma presenta anche uno svantaggio che è, a mio avviso, ancora maggiore. Esso uccide, o riduce fortemente, la volontà dei coniugi di compiere ogni possibile sforzo per salvare un matrimonio pericolante”.
“Dobbiamo ricordare innanzitutto – proseguiva - che ogni matrimonio, prima o dopo, corre qualche serio pericolo. Uomini e donne sono troppo diversi gli uni dagli altri per andare costantemente d’accordo… Che cosa succede in questo momento pressoché inevitabile in qualsiasi unione matrimoniale, se esiste la possibilità del divorzio? Quel che succede l’ho visto in Inghilterra, in Germania, in Scandinavia. La possibilità di uscire da una stanza in cui si sta scomodi genera un potente, quasi irresistibile desiderio di uscire, senza tentare di rendere quella stanza, quanto più possibile, comoda e abitabile. E ogni indebolimento della volontà dei coniugi è gravissimo, anzi fatale, perché, nei matrimoni davvero pericolanti, solo un grande sforzo da parte di entrambi, senza indecisioni e incertezze, può salvarli. Ne consegue che l’istituto del divorzio, anche se ha il vantaggio di sanare di tanto in tanto le situazioni insostenibili, ha il gravissimo difetto di indebolire la fibra morale dei cittadini. Esso fa di loro, uomini e donne, persone che fuggono davanti alle difficoltà, e non persone che le affrontano con coraggio. Il danno si ripercuote su tutta la vita sociale”.
“L’indebolimento, inoltre – aggiungeva Ottone -, si ripete a ogni successivo matrimonio di chi si sia già divorziato. L’esperienza dei paesi col divorzio conferma quanto sa benissimo ogni studioso di psicologia. Le difficoltà del primo matrimonio risorgono quasi immutate nel secondo, perché la loro causa fondamentale non risiede nel partner, cioè nell’altro coniuge, bensì in noi stessi… Là dove vige il divorzio è più facile, come in Scandinavia, la gente passa di matrimonio in divorzio tutta la vita. Vi risparmio la descrizione delle conseguenze per i figli, perché furono descritte già migliaia di volte… Sono convinto che l’assenza di divorzio non può salvare tutti i matrimoni, ma ne salva molti che altrimenti finirebbero male. Lo Stato, per la salvezza della famiglia, che è un istituto di importanza ovvia, e per la felicità della maggioranza dei cittadini, fa quindi bene a mio avviso a non permettere il divorzio, anche se questo sacrifica l’esistenza di una minoranza verso i quali tutti sentiamo, si capisce, una profonda comprensione” (citato in Gabrio Lombardi, Perché il referendum sul divorzio?, Ares, 1988).
Nel 1970 viene approvata la legge Fortuna-Baslini, che rende legale il divorzio in Italia. Il mondo cattolico, ormai da un po’ di anni diviso e confuso, non sa come reagire: la Dc non vuole inghippi, non desidera trovarsi in campo aperto, sotto il fuoco della contestazione di quegli anni. Meglio un profilo basso, per non esporsi e non rischiare di perdere potere. Anche la gerarchia ecclesiastica è molto spaccata: sono in molti gli ecclesiastici di altro e basso grado che non comprendono l’importanza di una battaglia culturale in nome del diritto naturale. Abbiamo così una ampia schiera di cattolici famosi, come Franco Bassanini, Sabino Acquaviva, Pietro Scoppola, Paolo Prodi, Tiziano Treu, Giuseppe Alberigo, Raniero La Valle, Giancarlo Zizola, il rettore della cattolica Giuseppe Lazzati e fratel Carlo Carretto, che in occasione del referendum abrogativo del 1974 si schiereranno in favore del divorzio, sostenuti più o meno silenziosamente da prelati e religiosi, anche di rango.
(continua)
(Fonte; www.ilpadano del 20 novembre 2008)
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