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di Marco Albertaro
su redazione del 09/12/2008
A colloquio con Armando Petrini, neo segretario regionale del PRC del Piemonte

Armando Petrini (Torino, 1967) è, da poche settimane, il nuovo Segretario regionale del Piemonte. Ricercatore in Discipline dello spettacolo all’Università di Torino, è iscritto al PRC dal 1991, ha fatto parte dell’esecutivo nazionale del Dipartimento università ed è stato membro della Segreteria provinciale di Torino con l’incarico cultura e università. Attualmente svolge il ruolo di Coordinatore della Segreteria provinciale torinese. Lo abbiamo incontrato poche ore dopo la sua elezione raccogliendone alcune impressioni a caldo.


L’ultimo Congresso è stato probabilmente il più importante della sua storia. La discussione è infatti ruotata attorno al significato dell’esistenza di Rifondazione comunista per il presente e per il futuro. Come si è volta questa discussione in Piemonte?

Sono d’accordo intanto sull’importanza del nostro congresso. Dopo il tracollo elettorale dell’aprile scorso una discussione vera, profonda -e dunque anche in parte aspra- era inevitabile. E anche auspicabile. Con le elezioni politiche della primavera, oltre alla drammatica scomparsa del nostro partito dal Parlamento, sono venuti al pettine molti nodi sedimentati nel corso degli anni. Possiamo dire che la durezza della realtà ci ha costretti a un bilancio “vero” di una linea politica che ormai da diverso tempo puntava al superamento di Rifondazione Comunista. Il congresso dunque ha posto una domanda in fondo semplice (ancorché impegnativa): bisogna abbandonare definitivamente il progetto politico che ci ha visti coraggiosamente e ambiziosamente impegnati a partire dal 1991 nel tentativo di operare una “rifondazione comunista”? Anche in Piemonte –nei congressi di federazione dell’estate- la discussione è ruotata intorno a questo interrogativo. Si è trattato di una discussione che ha visto una partecipazione appassionata dei compagni in decine e decine di congressi che per fortuna –tranne rarissime eccezioni- non hanno registrato le asprezze determinatisi in altre parti d’Italia. Com’è noto, il risultato è che in Piemonte è prevalsa la mozione 1 (e lo stesso è accaduto nella Federazione numericamente più importante, quella di Torino). Per ciò che riguarda gli sviluppi più recenti, il congresso regionale, svoltosi domenica scorsa, ha dato in realtà un’indicazione ambivalente. Per un verso ha registrato ancora –credo negativamente- il protrarsi di una fase post congressuale, con polemiche e divisioni sterili e poco comprensibili. Per un altro ha però iniziato a spostare la discussione –e qui vedo invece un segnale positivo- sulla concretezza delle iniziative da intraprendere e sul progetto politico del partito a livello regionale.


Attorno a che progetto si è raccolta la nuova maggioranza piemontese?

Abbiamo lavorato a un documento politico, condiviso e discusso dai compagni della terza mozione (di fronte al quale abbiamo registrato però l’indisponibilità a un confronto da parte della seconda mozione), che ribadisce la continuità con la linea politica decisa a Chianciano e fissa delle priorità per il nostro lavoro. Innanzi tutto alcuni temi principali sui quali concentrare l’iniziativa politica: lavoro, scuola, welfare, sanità, ambiente e territorio, politiche culturali. In questo senso abbiamo ribadito la necessità di rilanciare immediatamente l’iniziativa politica a livello piemontese. Le forti competenze regionali su questi argomenti necessitano una presa di posizione da parte nostra molto chiara, determinata e il più possibile visibile. In secondo luogo abbiamo sottolineato la necessità di uno sforzo nella direzione del coordinamento delle otto federazioni. Data la complessa fase politica, la delicata discussione interna al partito e l’imminenza delle elezioni amministrative (in Piemonte verranno rielette fra l’altro 6 amministrazioni provinciali su 8), è necessario ribadire ciò che già lo statuto chiede al comitato politico regionale, e cioè di “orientare, sul piano politico ed organizzativo, le attività delle federazioni”. Infine tenteremo di dare nuovo vigore al lavoro crucialissimo della formazione politica (un altro compito che lo statuto assegna specialmente al livello regionale). Nelle nostre discussioni ripetiamo spesso che la sconfitta della sinistra, e dei comunisti in particolare, è soprattutto una sconfitta culturale. Lo ripetiamo giustamente, perchè è lì che c’è il vero nodo, il problema più di fondo e allo stesso tempo più insidioso. Lo sfondamento di Berlusconi e della Lega fra i ceti popolari, fra gli operai, sono il segno evidente di una vittoria culturale. Dunque dobbiamo attrezzarci, e siamo già molto in ritardo. La formazione politica in questo senso è fondamentale. Dobbiamo saperlo, e dobbiamo dircelo: senza un lavoro culturale serio, profondo, impostato sul medio e lungo periodo non risaliremo la china.


Quali sono, secondo te, i segni di continuità e quali quelli di discontinuità rispetto al passato?

Penso ci sia stato nel passato recente in Piemonte un lavoro davvero molto buono svolto dai nostri consiglieri regionali e dal nostro Assessore, Eleonora Artesio. In una situazione difficile, in una alleanza con il PD che non è sempre comoda né tranquilla, la nostra presenza in Consiglio regionale e nella Giunta ha portato ad alcuni risultati preziosi, forse non sufficientemente valorizzati da noi stessi ma importanti. Credo che di questo si debba tenere conto quando si discute della bontà o meno della nostra presenza nella Giunta Bresso (poi naturalmente questo non vuol dire che ci si debba stare per forza, nulla è scontato: ragioneremo attentamente sui pro e sui contro e ascolteremo con molta attenzione le valutazioni che faranno i compagni dei circoli e delle federazioni). Ci sono però due terreni sui quali dovremmo provare a fare di più: la rilevanza politica del comitato regionale e il coordinamento delle federazioni a cui accennavo prima. Tutto questo dovrà accompagnarsi a un’attenzione speciale per il radicamento del partito nel territorio: rilancio del tesseramento, dell’attività dei circoli e delle federazioni, vicinanza della segreteria regionale e del Cpr alla vita concreta del partito, sin dalle sue istanze di base.


Quale pensi debba essere il ruolo del Prc nelle istituzioni regionali?

Penso innanzitutto che sia fondamentale realizzare un rapporto proficuo, e di interscambio, fra la presenza nelle istituzioni da un lato e il radicamento nella società e nei movimenti dall’altro. Spero davvero che alcune forti oscillazioni fra posizioni opposte a cui il nostro partito ci ha abituati nel passato recente siano definitivamente alle nostre spalle. Negli ultimi anni siamo infatti passati da un rapporto con i movimenti che non ha tenuto sempre nel debito conto l’importanza della presenza nelle istituzioni, fino a una posizione per certi versi speculare -e specularmente non dialettica- che ha spesso sacrificato il rapporto con i movimenti in nome della presenza nelle istituzioni. Sono convinto che si debba invece puntare su un rapporto di arricchimento reciproco, più dialettico e meditato, fra i due momenti. La nostra presenza nelle istituzioni ha bisogno infatti come il pane dell’alimento e della sponda nei movimenti e nell’iniziativa politica che si realizza ‘dal basso’. Allo stesso tempo, i movimenti e l’iniziativa politica dei territori devono poter trovare ascolto e appoggio nei nostri rappresentanti nelle istituzioni. Il difetto del politicismo –a cui il PRC ha tributato negli ultimi anni un pegno così alto- si rivela tanto in chi attribuisce troppa importanza alla presenza nelle istituzioni quanto in chi ne attribuisce troppo poca. Il nostro compito credo debba essere quello di evitare ogni forma di politicismo e allo stesso tempo di badare al merito di ciò che si può fare, o che immaginiamo di poter fare. Senza dimenticare la necessità assoluta di farci sentire all’esterno del partito, nel senso di rendere visibile il nostro progetto, i nostri obiettivi e i risultati che sapremo conseguire.