Parte 7
In ogni comunità prosperosa si dà sempre un quantitativo dì produzione che eccede la porzione richiesta dall'immediato bisogno del produttore. Questa eccedenza costituisce l'interesse del capitale fondiario. Esso sarà usufruito dal proprietario capitalista, il quale personalmente non lavora; ma proprio la sua inoperosità è essa medesima la fonte del lavoro e su di essa s'impernia lo stimolo essenziale dell'industria. L'interesse dello Stato è uno solo: che il capitale prodotto dall'accumularsi delle rendite fondiarie sia tosto devoluto a vantaggio di quella stessa operosità industre che lo ha generato; e che il modo con cui tale ricchezza viene spesa torni quanto meno possibile a detrimento morale di coloro che la rimettono in circolazione, e anche del popolo nelle cui mani essa ritorna.
Per tutto ciò che riguarda la capitalizzazione, la circolazione e l'impiego personale di quella ricchezza, un legislatore assennato avrà, prima di ogni altra cosa, cura di fare un paragone tra l'attuale proprietario che si vorrebbe espulso e il capitalista straniero che si vorrebbe mettere al suo posto. Prima dì incorrere negli inconvenienti che necessariamente conseguono a tutte le rivoluzioni attuate nel regime di proprietà per mezzo di una violenta e generale confisca, noi dovremmo avere un motivo ragionevole per garantirci che i nuovi compratori dei beni confiscati siano di gran lunga più virtuosi, più laboriosi, più sobri, meno disposti ad estorcere illegalmente una parte dei guadagni dei lavoratori o a consumare per il proprio piacere una parte di ricchezza che superi il fabbisogno individuale, o che siano capaci di spendere quell'eccedenza in modo più costante e più eguale così da corrispondere meglio alle finalità politiche dell'economia collettiva, a paragone di quanto facevano i vecchi proprietari, si chiamassero questi vescovi oppure canonici oppure abati commendatari oppure monaci o in guai altro modo meglio vi piaccia.
Ma si obbietta: "i monaci sono fannulloni". Ammettiamolo pure. Ammettiamo che essi non sappiano fare altro che stare seduti nel coro. Ma anche ammesso questo essi hanno un'occupazione altrettanto utile quanto quelli che non sanno né cantare né parlare. E, se vogliamo, altrettanto utile quanto quelli che cantano sul teatro. Altrettanto utile quanto sarebbe se essi lavorassero da mane a sera in quelle innumerevoli qualità di servizi degradanti, indecenti, disumani e molto spesso nocivi e pestilenziali, a cui per le condizioni dell'economia sociale si trovano inevitabilmente condannati tantissimi infelici. Se generalmente non fosse cosa perniciosa interrompere il corso naturale e arrestare in un modo qualunque la grande ruota di circolazione che è mossa dalla diretta fatica di questo popolo sventurato, io sarei infinitamente più incline a riscattare il popolo da quella sua miserabile attività anziché turbare colla violenza il tranquillo, riposo della quiete monastica. Il sentimento umanitario e forse anche il criterio politico potrebbero più facilmente giustificare in me questa seconda alternativa anziché quella prima.
È questo un argomento sul quale ho sovente riflettuto, ritraendone ogni volta una forte commozione. Sono sicuro che nessuna considerazione potrebbe giustificare in uno stato ben regolato la tolleranza riguardo a certi commerci e a certi impieghi, se non fosse l'imperiosa necessità di far portare a qualcuno il giogo della ricchezza e quella dispotica fantasia che impone una distribuzione forzosa delle rendite cavate dal sovraprodotto del suolo. Ma riguardo a questa distribuzione a me sembra che le spese oziose del monaci siano altrettanto ben dirette quanto le spese inutili del nostri fannulloni laici.
Quando i vantaggi che derivano dalla conservazione dello stato attuale sono equivalenti a quelli che deriverebbero dal cambiamento progettato, non vi è motivo per cambiare. Ma nel caso presente questo bilancio preventivo non si chiude In pareggio, bensì in favore dello status quo. Io non so vedere lo qual modo le spese compiute da coloro che voi perseguitate colla espulsione siano per il loro impiego tali da rendere quelli che le compiono odiosi e degradati a paragone di quanto faranno i nuovi privilegiati che, in fungo dei primi, voi state introducendo nel possesso delle loro case e del loro beni.
Non comprendo come mai il fatto di spendere le rendite ricavate da una grande proprietà fondiaria, vale a dire il sovraprodotto del suolo, possa sembrare cosa intollerabile a voi o a me, dal momento che esso si traduce nella fondazione di grandi biblioteche le quali contengono la storia della coscienza umana nelle vicende di vittorie e sconfitte; si concreta pure in forma di grandi collezioni di ricordi antichi e di raccolte numismatiche le quali attestano e documentano l’esistenza della legge e dei costumi; rende possibile la fondazione di grandi gallerie artistiche, nelle quali quadri e statue, imitando l'opera della natura, paiono estendere i limiti della creazione. Per quelle medesime rendite è possibile l'erezione di grandi monumenti che ricordando i trapassati istituiscono una connessione con la vita post-mortale; e rendono possibile anche la fondazione di vasti musei di scienze naturali, che raccolgono gli esemplari rappresentativi delle diverse categorie e delle diverse famiglie appartenenti al mondo organico e inorganico, così da facilitare l'incremento degli studi, sollecitare lo spirito di ricerca, aprire le strade della scienza. È molto meglio che queste grandi istituzioni di carattere permanente, tutti questi motivi di dispendio, siano assicurati e protetti contro l'incostanza del capriccio personale anziché abbandonati al gusto volubile e capriccioso dei singoli individui.
Mi sembra che la sudata fatica del muratore e del carpentiere, i quali lavorano non meno del contadino, sia impiegata più felicemente e in modo più salubre nella costruzione e nella restaurazione dei magnifici edifici consacrati al culto religioso, anziché degli angiporti ritinti e sordidi che sono ricettacolo del vizio e della lussuria; e sia adoperata più onorabilmente ed a miglior profitto nella conservazione di quelle sacre cose che sono rivestite di lustro secolare, anziché nel ricettacoli estemporanei di voluttà fuggitive, cioè nei teatri d'opera, nelle case da giuoco, nei clubs clandestini, nei luoghi di perdizione, negli obelischi al Campo di Marte. Forse che il sovraprodotto dell'olivo e della vite è malamente impiegato quando lo si destini al sostentamento frugale di persone che, essendosi consacrate al servizio della divinità, sono elevate a un alto grado di sentimento religioso, a una forte dignità spirituale, anziché sperperarlo per compiacere alla voluttà di una moltitudine, degradata al servizio sterile di un singolo individuo?
Forse che le decorazioni dei templi costituiscono una spesa meno degna di uomo saggio di quanto non sia la spesa fatta per l'acquisto di nastri, di ricami, di coccarde nazionali, di piccole cose, di piccole mense, e di tutte le innumerevoli futilità e follie in cui l'opulenza sovente si compiace di dispensare la superfluità dei propri mezzi?
Noi tolleriamo anche questi inconvenienti; non già perché li approviamo, ma perché abbiamo paura di incorrere in mali peggiori. Li tolleriamo perché la proprietà e la libertà in alto grado impongono questa sopportazione. Ma perché impedire che delle ricchezze si faccia un impiego con grande probabilità e sotto ogni punto di vista più lodevole? Perché compiere una violazione generale di tutto il principio di proprietà commettendo un oltraggio contro le norme fondamentali della libertà, il che necessariamente porterà ad un deterioramento sensibile della situazione?
Questo parallelo tra gli individui nuovi e le vecchie organizzazioni è tracciato nel presupposto che queste ultime non siano suscettibili di alcuna riforma. Ma in materia di riforme io ho sempre pensato che le organizzazioni collettive, siano esse rappresentate da un solo individuo o da parecchi, presentino una adattabilità alle migliorie imposte dallo stato, riguardo all'uso della proprietà e alla condotta dei propri membri, infinitamente più grande di quanto avviene e forse anche di quanto deve avvenire nel caso di singoli privati cittadini; e questa considerazione mi sembra molto importante per tutti coloro che intraprendono alcuna attività la quale meriti il nome di impresa politica. E questo valga per ciò che concerne il patrimonio dei monasteri.
Per ciò che riguarda i beni posseduti dai vescovi, dai canonici, dagli abati commendatari, io non posso capire per quale motivo non possa venire loro riconosciuta la proprietà di beni fondiari se non per altro titolo che non sia quello della successione ereditaria. Nessun critico filosofico potrebbe cercare di dimostrare in via assoluta o relativa il male derivante dal possesso di una porzione larga e definitiva di proprietà fondiaria, che venga successivamente trasmessa a persone le quali per supposizione teorica e sovente anche in via di fatto sono caratterizzate da un grado eminente di preparazione religiosa, morale e scientifica; proprietà che per destinazione, per modo di circolazione, per merito intrinseco, offre alle famiglie più nobili una possibilità di incremento e di garanzia, alle famiglie più umili la possibilità di elevarsi in grado e dignità; proprietà della quale non si usufruisce se non per adempiere a taluni doveri (qualunque sia il valore che voi attribuiate a questi), e tale da imporre a coloro che la detengono quanto meno una apparenza di decoro esteriore e di nobile comportamento, così da indurii ad esercitare una ospitalità generosa ma temperata ed a considerare buona parte delle loro rendite come impegnate a scopo di carità. Cosicché, anche ammesso che tal gente manchi al proprio impegno degenerando in un tenore di vita analogo a quello della nobiltà secolare e dei gentiluomini laici, tuttavia sotto nessun aspetto apparirà peggiore di quelli che ad essa succederebbero nel possesso dei beni confiscati.
Infatti chi mai potrebbe preferire che la ricchezza fosse detenuta da individui i quali non riconoscono alcun dovere, anziché da quelli che al dovere si sottomettono? E non è meglio che essa venga consegnata a persone che per intima inclinazione d'animo conservano la virtù, anziché a persone le quali non riconoscono alcuna regola né alcun principio fuorché il proprio voluttuario capriccio? E per altro questo patrimonio non presenta né le caratteristiche né i danni che si suppongono come caratteristici della manomorta. La ricchezza passa di mano in mano con una circolazione più rapida di quanto non avvenga in alcun altro caso. È bensì certo che ogni esagerazione deve essere evitata e per questo una grande parte della proprietà fondiaria deve essere ufficialmente tenuta a libera disposizione della vita; ma non mi sembra che il benessere di un paese soffra alcun danno materiale qualora una parte della ricchezza presenti altro modo di acquisto che non sia quello di una compera in contanti.
Questa lettera è diventata molto lunga, quantunque in proporzione all'immensa vastità dell'argomento possa apparire breve. In varie riprese sono stato costretto a distrarre il mio pensiero da questo oggetto. Non mi sarebbe dispiaciuto se negl'intervalli del mio lavoro mi fosse stato possibile osservare nei comportamenti dell’Assemblea Nazionale qualche cosa che mi inducesse a cambiare o attenuare alcuni dei miei sentimenti originari. Ma ogni circostanza mi ha invece riconfermato nelle prime opinioni. La mia prima intenzione era quella di considerare i principi dell'Assemblea Nazionale in rapporto con le grandi istituzioni fondamentali del regime e di paragonare il complesso di ciò che voi avete eretto (in sostituzione di ciò che avete distrutto) con alcuni aspetti della costituzione inglese; ma questo proposito era di estensione maggiore di quanto prima non avessi creduto; e mi sono accorto che voi desiderate ben poco di profittare degli esempi altrui.
Attualmente mi devo contentare di aggiungere alcune osservazioni riguardo ai vostri istituti riservando ad altro tempo ciò che io mi propongo di dire riguardo allo spirito e all'esempio della nostra monarchia d'Inghilterra e dell'aristocrazia e della democrazia, così come esse esistono in pratica.
Ho passato in rivista tutto ciò che è stato fatto dal potere oggi governante in Francia. Indubbiamente mi sono espresso con piena libertà. Quei tali che hanno per principio di disprezzare il sentimento antico e tradizionale dell'umanità per sostituirvi uno schema di società fondato su nuovi regimi, devono naturalmente aspettare che coloro, i quali al pari di noi hanno miglior opinione del giudizio della razza umana, sottopongano tutti questi esperimenti alla prova del loro giudizio. Devono sapere che noi possiamo fare gran conto dei loro ragionamenti astratti, ma nessun conto della loro autorità. Essi non hanno a proprio favore uno dei grandi pregiudizi che influiscono sul genere umano, giacché dichiarano esplicitamente la guerra alla pubblica opinione. Non devono dunque sperare che l'opinione sia in loro favore poiché, al pari di ogni altra forma d'autorità, essi l'hanno rimossa dalla sede della propria giurisdizione.
Io non potrò mai considerare questa Assemblea per qualche cosa di più che una volontaria associazione di uomini i quali hanno approfittato delle circostanze per impadronirsi dello stato. Non possiedono né la sanzione né l'autorità del titolo sotto il quale originariamente si sono congregati. Ne hanno assunto un altro di natura ben differente ed hanno completamente alterate ed invertite tutte le relazioni nelle quali originariamente si erano stretti. L'autorità che essi esercitano non promana da alcuna legge costituzionale dello stato. Si sono scostati dalle istruzioni che avevano ricevute dal popolo, da quello stesso popolo che li aveva mandati al potere; istruzioni che costituivano la sola fonte di autorità, giacché l'Assemblea non operava in virtù di alcuna tradizione antica né di alcuna legge stabilita. Le più importanti delle deliberazioni prese dall'Assemblea non sono state accolte da una grande maggioranza; anzi la proporzione dei voti contrari fu tanto alta da menomare l'autorità fittizia delle deliberazioni medesime, cosicché quelli che sono rimasti estranei potranno dare ugual peso alle ragioni della opposizione ed ai deliberati finali.
Se il nuovo governo fosse stato eretto in forma sperimentale, a guisa di sostituto necessario in luogo della monarchia detronizzata, l'umanità avrebbe anticipato il termine prescrittivo che, dopo un certo lasso di tempo, attribuisce riconoscimento e dignità legale a quei governi che ebbero origini violente. Tutti coloro che si appassionano e si interessano a che l'ordine civile venga riconfermato avrebbero riconosciuto come legittimo, ancor nella sua culla, questo frutto neonato, prodotto dalle stesse impellenti necessità a cui tutti i governi legittimi devono il loro nascimento e sulle quali giustificano la loro persistenza. Ma saranno invece molto riluttanti nel porgere qualsiasi ratifica agli atti di un potere che non ripete la sua origine né dal diritto né dalla necessità; ma che al contrario scaturisce da quei medesimi vizi e da quelle sinistre attività che sovente turbano e talora anche distruggono il vincolo sociale.
Codesta Assemblea a malapena può vantare la durata di un anno. Per suo stesso riconoscimento sappiamo che essa ha compiuta una rivoluzione. Orbene: fare una rivoluzione significa compiere una impresa che, prima fronte, richiede di essere apologeticamente giustificata. Fare una rivoluzione significa sovvertire la condizione antica del proprio paese e per giustificare un processo così violento non basta addurre degli argomenti comuni. La coscienza stessa dell'umanità ci autorizza a prendere in esame i modi coi quali il nuovo potere è stato conquistato e a criticare l'uso che di esso fu fatto, con uno spirito più spregiudicato e meno riguardoso di quanto non si farebbe esaminando le azioni di una autorità legalmente stabilita ed attribuita.
Per conseguire ed assicurare il proprio potere l'Assemblea ha agito secondo principi diametralmente opposti a quelli dai quali in apparenza voleva mostrarsi ispirata nel corso della propria attività. Una semplice osservazione su questa divergenza di fatto ci consentirà di comprendere l'intima essenza della situazione. Tutto ciò che l'Assemblea ha fatto e continua a fare, a fine di ottenere e garantire la propria potestà, consta di espedienti comunissimi. I suoi componenti si comportano esattamente come si erano comportati tutti quelli che li avevano preceduti nelle gare dell'ambizione. Considerando tutti gli artifici, le frodi, le violenze che essi hanno compiute, nulla possiamo trovare che sia nuovo. Quei signori seguono i vecchi esempi con la pedanteria minuziosa dei plagiari. Mai si sono allontanati di un filo dalle formule classiche ed autentiche della tirannide usurpatrice. Ma in tutto ciò che concerne il bene pubblico le loro intenzioni si sono rivolte a fine diametralmente opposto. Essi abbandonano tutto alla mercé di esperimenti sconsiderati; gettano i più gelosi interessi del pubblico a repentaglio di quelle vane teorie alle quali nessuno di essi vorrebbe individualmente affidare una parte sia pur piccola delle proprie fortune private. La ragione di questa differenza sta in ciò, che essi hanno la più seria sollecitudine di conseguire ed assicurarsi il potere e a questo fine battono strade ben conosciute. Mentre invece, non avendo quanto al pubblico interesse alcuna preoccupazione sostanziale, lo abbandonano interamente al caso fortuito; e dico al caso fortuito in quanto i loro schemi teorici non hanno trovata alcuna esperienza capace di confermare una loro qualsivoglia tendenzialità benefica.
Dobbiamo sempre considerare con sentimento di pietà, non priva di qualche rispetto, gli errori di coloro che si sono mostrati incerti e dubitosi nell'assumere deliberazioni che degradavano il benessere del genere umano. Ma in costoro non si trova neppure un'ombra di quella tenera e fraterna sollecitudine che teme di mettere a rischio la vita di un infante al solo scopo di compiere un esperimento. Nella vastità delle loro promesse e nella faciloneria delle loro predizioni essi superano di gran lunga tutti i più enfatici empiristi. L'arroganza delle loro pretese è talmente provocante da indurci a compiere un'inchiesta sul fondamento che esse possono avere.
Sono convinto che tra i capi del movimento popolare nell'Assemblea Nazionale vi siano uomini di grande levatura. Alcuni di essi fanno sfoggio di eloquenza nei loro discorsi e nei loro scritti. Ciò non avverrebbe ove mancassero di un ingegno potente e coltivato. Ma anche l'eloquenza può esistere senza ch'essa sia proporzionata a un grado conforme di saggezza. Se si fa questione di abilità, allora devo distinguere. Ciò che essi hanno compiuto per l'attuazione del proprio piano è indice di capacità superiore alla media degli uomini. Considerando poi il loro sistema in sé stesso, cioè considerandolo come il modello di una repubblica costituita per procurare la prosperità e la sicurezza dei cittadini e per promuovere la forza e la grandezza dello stato, mi dichiaro incapace di scoprire in esso alcun elemento che dimostri, sia pure sotto un singolo aspetto, l'opera di uria mente capace e comprensiva e neppure quel minimo di saggezza che è proprio della prudenza comune.
Sembra che dovunque il loro proposito sia stato quello di eludere ed evitare le difficoltà. Eppure è stata gloria dei grandi maestri in ogni campo di arte e di attività l'affrontare e il superare appunto ciò che appare difficile; e quando hanno vinta la prima difficoltà, si sono valsi di questa come di strumento inteso a combattere e superare difficoltà ulteriori, così da rendersi capaci di estendere l'impero della propria sapienza ed anche di sospingere oltre i limiti delle loro originarie convinzioni il campo espansivo dell'intelletto umano in via assoluta. La difficoltà è una maestra severa imposta a noi per suprema ordinanza di un legislatore paterno e tutelare, il quale ci conosce e ci ama più di quanto noi non facciamo verso noi stessi. Pater ipse colendi haud facilem esse viam voluit. Colui che lotta contro di noi rafforza i nostri nervi e tempra la nostra perspicacia. Il nostro antagonista è un nostro aiutante. La tenace lotta contro le difficoltà ci obbliga ad acquistare intima conoscenza dell'oggetto contrario costringendoci a considerarlo nella complessità delle sue relazioni. Non ci è consentito essere superficiali.
È la mancanza d'energia nervosa e mentale richiesta a tal fine, è la degenerata compiacenza di scegliere le strade più corte, allettati da una facilità ingannatrice, quella che in tante parti del mondo ha creati governi che sì fondano sopra un potere arbitrario. Appunto questa è stata l'origine della passata monarchia dispotica di Francia ; questa è stata l'origine dell'arbitraria repubblica parigina. Ciò che mancava di saggezza nell'una e nell'altra è stato supplito con la coazione forzata. Ma nessun guadagno si è fatto in questo modo. Cominciando i loro lavori con un principio di indolenza, i promotori di quel movimento hanno avuta la sorte di tutti gli uomini indolenti. Le difficoltà che in luogo di avere eliminate essi hanno soltanto sfuggite tornano nuovamente a presentarsi nel corso del loro lavoro. E vanno ingarbugliandosi e moltiplicandosi; e quei politicanti si trovano avviluppati in un labirinto di particolari confusi, in un guazzabuglio senza meta e senza, direzione; e in conclusione il risultato dell'opera loro diviene debole, viziato e malsicuro.
È questa incapacità ad affrontare la lotta contro le difficoltà che ha obbligato l'arbitraria Assemblea di Francia ad iniziare i propri piani di riforma con una abolizione radicale di tutto. Ma è forse in un'opera di distruzione e di sovvertimento che si manifesta la sapienza? Il vostro popolaccio potrebbe fare ciò altrettanto bene quanto la vostra Assemblea. L'intelletto più ottuso e la mano più rozza sono più che sufficienti a conseguire questo scopo. La violenza e la frenesia nell'intervallo di una mezz'ora distruggeranno più di quanto il senno e la prudenza non abbiano costruito nell'intervallo di un secolo. Gli errori e i difetti del vecchio regime sono visibili e palpabili; ci vuole poca abilità a denunciarli. E dal momento che l'Assemblea esercita il potere assoluto, basta una sola parola per abolire istantaneamente e il regime e i difetti che quello portava con sé. Quel medesimo spirito di oziosità irrequieta che ama l'ignavia pure odiando l'ordine e il riposo, dirige l'azione dei politici allorché essi dovrebbero lavorare per creare qualche cosa in luogo di ciò che hanno distrutto. Fare il contrario di quanto esisteva prima è presso a poco altrettanto facile quanto compiere un'opera di distruzione radicale. Non si presenta alcuna difficoltà nelle imprese che ancora non sono state oggetto di esperimento. Ogni spirito critico viene a cessare non essendo possibile scoprire i difetti di una riforma che non è ancora stata applicata; un facile entusiasmo ed una illusoria speranza possono dominare nel vasto campo della fantasia, spaziandovi senza incontrare opposizione di sorta.
Invece sapere al tempo stesso preservare le forme esistenti innovandole in ciò che è necessario costituisce impresa ben diversa. Quando gli elementi utili di una vecchia organizzazione sono mantenuti e le parti aggiunte si adattano alle persistenze antiche, si rende necessario l'esercizio di un'intelligenza vigorosa, di un'attenzione salda e perseverante, di una vigile capacità di raffronto e di combinazione, di risorse perspicaci nella scelta degli espedienti migliori; e tutto ciò deve essere esercitato nel continuo conflitto con le molteplici insidie dei vizi opposti, vincendo la ostinazione che respinge ogni impulso Innovatore e quello spirito di leggerezza che facilmente si stanca e si disgusta di tutto ciò che costituisce un determinato stato di possesso.
Voi potrete obbiettare: "Un procedimento di tal genere è lento; non si adatta all'azione di una Assemblea che si gloria di compiere nel giro di pochi mesi l'opera dei secoli. Un procedimento di riforma come quello che ci suggerite dovrebbe richiedere l'impiego di vari anni". Ma senza dubbio così dovrebbe essere. Uno del grandi vantaggi del metodo, secondo il quale la durata del tempo si annovera tra i coefficienti della riforma, è appunto la lentezza del suo operato; operato che in certi casi si svolge con una progressione quasi impercettibile. Se la circospezione e la prudenza fanno parte della saggezza necessaria allorquando si lavora sopra materie inanimate, certamente esse costituiscono un più torte dovere allorquando l'oggetto del nostri provvedimenti distruttivi o ricostruttori non è più offerto da materiali inerti ma è costituito da esseri animati, i quali subendo un'alterazione improvvisa nella propria condizione di vita e di costume sono suscettibili di cadere in massa nella rovina.
Ma a giudicare dalle opinioni che oggi prevalgono in Parigi si direbbe che le sole qualità richieste per un legislatore perfetto siano insensibilità di cuore e precipitata confidenza nelle proprie azioni. Ben diverse sono le mie opinioni intorno a quest'alto ufficio. Il vero legislatore deve avere un cuore pieno di sensibilità; deve amare e rispettare i propri sudditi e deve aver timore di se stesso.
Al suo temperamento dev'essere consentito di abbracciare l'oggetto della propria azione con un colpo d'occhio intuitivo; ma agire poi con deliberata circospezione. Ogni sistemazione politica ha una finalità sociale e deve essere attuata soltanto con mezzi che siano adatti alla società. In questo caso la energia deve cooperare con la saggezza. E si richiede un certo lasso di tempo per effettuare questa armonia di contrari che è condizione unica necessaria al raggiungimento del bene verso il quale noi tendiamo. Otterremo più con la pazienza che con la forza. Se mi è lecito fare appello a ciò che ora a Parigi sembra essere completamente caduto in disuso, vale a dire all'esperienza, vi dirò che nel corso della mia vita ho conosciuto parecchi nomini grandi, e proporzionalmente alle mie forze ho collaborato con loro; e non ho ancora visto attuare alcun plano di riforma il quale non sia stato sottoposto alle osservazioni di coloro che erano molto inferiori (quanto a capacità di intendimenti) alle persone stesse che intraprendevano l'esecuzione del progetto. Con una progressione lenta ma continua venivano controllati gli effetti di ogni nuovo piano compiuto; e secondo che il primo dava un esito buono o cattivo, si procedeva al secondo; per tal modo, seguendo un ordine illuminato e razionale, tutta la serie progressiva è stata condotta al sicuro fine. Noi ci preoccupiamo che i singoli elementi di un sistema, non si urtino tra loro, Man mano che si palesano del mali insiti nella attuazione del progetto meglio promettente, si provvede ad eliminarli. Si cerca di sacrificare quanto meno possibile un vantaggio a un altro vantaggio. Siamo soliti fare opera di conciliazione, di compensazione, di contemperamento. Siamo capaci di unificare in una consistenza unitaria le diverse anomalie e i contrastanti principi che si manifestano nella coscienza degli uomini e nelle loro attività. Sorge da tutte queste circostanze non già un capolavoro di semplicismo, ma un lavoro di complessità; il che vale assai meglio. Allorché i grandi interessi dell'umanità sono vagliati attraverso una lunga successione di generazioni, questa stessa successione deve essere in certo modo annoverata tra gli. elementi di giudizio deliberativo nei quali essa è così profondamente interessata. Se un principio di giustizia richiede tutte queste circospezioni, la natura stessa dell'opera impone che ad essa collabori una somma di ingegni più numerosa di quanti non possano essere forniti da una sola età. È appunto in conformità a questo principio che i più saggi legislatori molto spesso si sono accontentati di stabilire poche norme di governo sicure, solide, direttive (cioè un potere simile a quello che qualche filosofo ha definito come forza di plasticità naturale); e dopo aver fissato il principio hanno lasciato che esso agisse nel seguito automatico delle proprie conseguenze.
Procedere in questo modo, vale a dire procedere secondo principi direttivi animati da feconda energia, significa secondo me seguire un criterio di profonda saggezza. Al contrario ciò che i vostri politicanti credono sia la caratteristica di una ardita e baldanzosa genialità è soltanto prova di deplorevole mancanza di capacità. La loro precipitazione violenta e il misconoscimento di ogni processo naturale fanno sì che essi cadono ciecamente in balia di tutti gli avventurieri, di tutti i facitori di progetti, di tutti i ciarlatani empirici. Costoro rifiutano di trarre alcun profitto dai valori comuni. La dieta non fa parte del loro sistema terapeutico. E il peggio si è che la loro avversione a curare i mali collettivi facendo uso di metodi saggi e normali non deriva soltanto da una deficienza di comprensione ma, io temo, anche da una certa malignità intenzionale.
A quanto pare i vostri legislatori hanno attinte le loro opinioni intorno ai diversi uffici professionali e ai diversi ranghi di attività dalle buffonate declamatorie dei satirici; i quali per primi rimarrebbero stupiti se vedessero come le loro divagazioni letterarie sono state prese sul serio. Avendo prestato orecchio solo a questa campana i capi grossi della vostra politica, hanno considerati tutti i problemi solamente sotto l'aspetto dei loro vizi intrinseci e delle loro debolezze, ridipingendoli poi con accentuazioni esagerate. Quantunque possa sembrare un paradosso, è però profondamente vero che in linea generale coloro i quali si sono abituati a scoprire e deprecare continuamente i difetti, sono poi disadatti a intraprendere qualunque opera dì correzione; e questo perché non essendo la loro mentalità addestrata alla valutazione di ciò che è vero e dì ciò che è buono, essi non sono più capaci, per intima disposizione, di compiacersi nel riconoscimento di tali valori. Per avere eccessivamente odiati i difetti, gente di tal fatta finisce per amare troppo poco gli uomini. Per questo non deve far meraviglia se si mostra incapace e disadatta a servire la cosa pubblica. Di qui sorge quella caratteristica inclinazione a gettare ogni cosa in pezzi, che è propria di taluno tra i vostri capi rivoluzionari. A questa malvagia intenzione essi dirigono tutte le risorse di un'attività animalescamente distruttiva. Quanto al resto codesti messeri accolgono i paradossi dei più eloquenti scrittori (paradossi buttati là come esercitazioni della fantasia, per compiacere al diletto, per attrarre l'attenzione, per provocare sorpresa) non già secondo lo spirito e l'intenzione originaria degli autori, cioè come semplici strumenti di eleganza formale e di esercitazione stilistica. Al contrario quei paradossi furono presi alla lettera come incentivi per l'azione e interpretati con tutta serietà, quasi che fossero norme atte a regolare gli affari più importanti dello Stato.
Cicerone prende in canzonatura Catone in quanto quest'ultimo cercava di agire nello stato secondo i paradossi della scuola nei quali esercitava la sapienza dei suoi giovani allievi avviandoli allo studio della filosofia stoica. Se questo è vero nei riguardi di Catone, possiamo dire che gli uomini sovradescritti copiano il suo modello come quelle tali persone che nel tempo antico vivevano pede nudo Catonem. Il signor Hume mi disse che aveva appreso da Rousseau in persona il segreto dei suoi metodi di composizione. Quello spirito acuto, quantunque eccentrico, aveva notato che per solleticare l'interesse del pubblico era necessario esibire qualche elemento meraviglioso ; ma le meraviglie della mitologia pagana avevano da lungo tempo perduta la loro efficienza; ad esse erano succeduti i giganti, i taumaturgi, le fate e gli eroi della letteratura romanza, ma anche questi avevano esaurito quel tanto di credulità popolare che era proprio del loro tempo ; ormai non rimaneva allo scrittore che una sola specie di meraviglia ancor suscettibile di essere prodotta e capace di produrre effetti grandi quanto altri mai, quantunque in modo diverso; intendeva dire la meraviglia che scaturisce dalla descrizione dei modi di vita, dei costumi, dei caratteri, delle situazioni straordinarie, onde nascono effetti nuovi, imprevisti e sensazionali nel campo morale o in quello politico. Credo che se Rousseau fosse vivente e in uno dei suoi lucidi intervalli, rimarrebbe spiacevolmente colpito osservando le frenesie pratiche dei suoi discepoli, i quali sotto apparenza paradossale non sono altro che imitatori servili ed anche nella loro professata incredulità scoprono un'ingenua credenzoneria.
Gli uomini che si accingono ad un'impresa considerevole, anche coi mezzi più regolari, devono sempre darci il modo onde presupporre la loro capacità. Chi poi si presenta come medico dello Stato e non contento di correggerne i difetti esistenti pretende anche rigenerare la costituzione, deve dar prova di capacità superiore al normale. Coloro che pretendono fare a meno di qualunque esperienza pratica e non conformarsi ad alcun modello preesistente, è necessario che dimostrino in capo ai loro programmi di possedere un grado di saggezza non comune. Orbene in Francia si è mai manifestato nulla di simile? Io getterò un colpo d'occhio (che sarà molto rapido in rapporto all'estensione dell'argomento) su ciò che l'Assemblea ha fatto, anzitutto riguardo alla costituzione del potere legislativo; in secondo luogo riguardo a quella del potere esecutivo ; passando poi a esaminare ciò che tocca il sistema giudiziario e l'organizzazione delle forze armate; per concludere con un esame della struttura finanziaria. Tutto questo a fine di vedere se sia possibile scoprire in alcuna parte dei loro progetti un segno di tale portentosa abilità che possa giustificare l'audacia di quei riformatori, e riconoscere loro quel grado di superiorità che essi ostentano nei confronti di tutto il genere umano.
È appunto nella struttura della parte sovrana e dominante della nuova repubblica che noi aspetteremmo di trovare il segno di quella grande sapienza innovatrice. Qui i nuovi legislatori avrebbero dovuto provare la legittimità delle loro orgogliose pretese. Per quanto riguarda il piano costituzionale in linea generica e le ragioni che lo hanno suggerito, faccio riferimento agli Atti dell'Assemblea in data 29 settembre 1789 e ai procedimenti segreti che hanno prodotta qualche ulteriore modifica del programma. Per quanto io posso vedere chiaro in una materia talvolta ingarbugliata, mi pare che il sistema sia rimasto sostanzialmente conforme al progetto originario. Le poche osservazioni che avanzerò riguarderanno lo spirito di quel programma, la sua tendenza, la sua adattabilità alla costituzione di un governo popolare (secondo la definizione che essi danno del proprio regime) in relazione con le finalità che sono proprie di una repubblica e in particolar modo di una repubblica costituita come quella. Al tempo medesimo mi propongo di esaminare se codesto governo sia coerente con se medesimo e con i suoi stessi principi.
Le istituzioni di antica data si giudicano secondo i loro effetti. Se il popolo vive felice, compatto, ricco e potente, possiamo presumere tutto il resto; e concludiamo che sia buono ciò da cui deriva del bene. In quelle antiche istituzioni sono stati introdotti vari elementi correttivi a compensare le deviazioni compiute dai principi teorici. Sono i risultati di varie necessità e di vari espedienti. Molto spesso questi adattamenti pratici non derivano da alcuna premessa teorica; ma piuttosto le premesse teoriche seguono all'esperienza pratica. Sovente vediamo che lo scopo si raggiunge meglio là dove i mezzi adottati non appaiono perfettamente conformi a quello che riteniamo essere l'originario principio teorico; giacché gli strumenti suggeriti dall'esperienza possono avere a fine politico esito più felice di quelli astrattamente progettati in via preventiva. I medesimi anzi reagiscono sulla struttura del disegno primitivo apportando talora felici modificazioni a quel programma dal quale sembrano aver deviato. Credo che questo fatto trovi un esempio tipico e curioso nella costituzione britannica. Alla peggio gli errori e le deviazioni, di qualunque natura siano, vengono preventivamente calcolati e computati; e la nave procede nella sua rotta.
Questa è la condizione di cose nelle istituzioni antiche; ma in una struttura nuova e puramente fondata su principi teorici, si potrebbe aspettare che ogni strumento adottato risponda come idoneo al proprio scopo, soprattutto là dove i nuovi progettisti non sono in alcun modo imbarazzati dal tentativo di accomodare i loro piani a un edificio preesistente, ne quanto alle mura ne quanto alle fondazioni del medesimo.
I costruttori francesi, rimovendo dal proprio cammino tutti i residui del passato come semplici ingombri e comportandosi come altrettanti giardinieri i quali spianano il terreno a un livello esatto, si sono proposti di fondare tutto il sistema della legislatura, sia locale che generale, sulla triplice base di tre principi differenti : un principio aritmetico, un principio geometrico, e un principio finanziario. Essi chiamano il primo base territoriale, il secondo base demografica, il terzo base fiscale. Per dare esecuzione al primo disegno hanno suddiviso l'intero territorio del loro paese in 83 parti di eguale superficie, ciascuna per l'estensione di 18 leghe per 18. Queste grandi divisioni sono chiamate dipartimenti. Questi a loro volta sono suddivisi in 1720 distretti di area uguale, chiamati comuni. E questi ultimi ancora, sempre per via di sottodivisione, sono ripartiti in tante sezioni ancor più piccole, chiamate cantoni ; il tutto per un numero di 6400.
A prima vista questo criterio di suddivisione non presenta argomento né di ammirazione né di biasimo. In sé non richiede un grande talento legislativo. Un agrimensore preciso con i suoi strumenti di misurazione saprebbe da solo mettere in opera un progetto come questo. Nelle antiche suddivisioni del paese vari accidenti intervenuti in circostanze diverse, il flusso ed il riflusso di proprietà e di giurisdizioni molteplici, costituivano il criterio di limitazione territoriale. Tali limiti certamente non rispondevano al principio fisso di una suddivisione sistematica. Erano soggetti a taluni inconvenienti; ma ad essi l’uso stesso aveva trovato rimedio e la consuetudine suppliva al difetto con un lavoro paziente di accomodamento.
In questa pavimentazione di nuovo genere, la quale consta di tanti quadrati giustapposti a quadrati, nella bennata organizzazione divisoria fatta secondo la mentalità di Empedocle e di Buffon e non già secondo un principio di intelligenza politica, non è possibile evitare che sorgano innumerevoli inconvenienti locali a cui gli uomini non sono abituati. Tuttavia io sorvolo su questo danno, giacché per sottoporlo a un processo critico bisognerebbe che avessi una precisa conoscenza del paese; conoscenza che di fatto non possiedo.
Quando quei geometri di stato furono indotti a una revisione della loro opera misuratrice, ben tosto scoprirono che in politica non vi era cosa più insicura che una dimostrazione di carattere aritmetico: Essi allora hanno ricorso a un'altra base o piuttosto a un puntello per sostenere l'edificio piantato su fondamenti fallaci. Era evidente che la bontà del suolo, la densità della popolazione, la ricchezza di quest'ultima e l'ammontare delle contribuzioni, creavano così incalcolabili gradi di variazione tra dipartimento e dipartimento, da dimostrare come la misurazione aritmetica sia un criterio ridicolo e insufficiente per giudicare della potenza di uno stato, e l'eguaglianza in linea geometrica costituisca la più disuguale di tutte le misurazioni relativamente alla distribuzione degli uomini. Per altro lato essi non potevano rinunciare a tale principio. Ma dividendo il sistema della loro organizzazione civile e politica in tre parti, ne destinarono una alla misura geometrica, senza preoccuparsi minimamente di calcolare se questo modo di proporzionamento territoriale fosse convenientemente determinato e dovesse, in conformità di alcun principio, realmente costituire la terza parte del sistema. Comunque sia di ciò, dopo avere accordato al computo geometrico questa proporzione (quasi tacitandolo con una quota legittima) e questo, io credo, solo per tributare omaggio a quella scienza sublime, essi abbandonarono gli altri due terzi ai criteri della popolazione e della contribuzione, perché se li contendessero tra loro.
Quando passarono al criterio della popolazione non si trovarono più in grado di procedere con tanta facilità come avevano fatto nel campo della loro beneamata geometria. Qui la scienza aritmetica dovette venire alle prese con la metafisica del diritto. Se si fossero attenuti ai principi metafisici, il processo aritmetico sarebbe stato affatto semplice. Secondo la loro teoria tutti gli uomini sono strettamente uguali e vantano verso il governo uguali diritti. Secondo questo sistema ogni testa avrebbe avuto diritto al proprio voto ed ogni cittadino avrebbe votato direttamente per la persona che avrebbe dovuto rappresentarlo al parlamento legislativo. "Ma dolcemente.... per gradi, senza precipitare". Questo principio metafisico, dinanzi al quale il diritto, il costume, la tradizione, la politica, la razionalità dovrebbe cedere, cede a sua volta, di fronte all'arbitrio di quei signori. Si danno numerosi passaggi intermedi e varie gradazioni prima che il rappresentante possa entrare a contatto di colui che gli conferisce il mandato. Anzi, come ben presto vedremo, queste due persone sono destinate a non avere reciprocamente alcun rapporto. Anzitutto i votanti di ogni Canton, i quali compongono ciò che essi chiamano Assemblèe Primaire, devono avere una certa qualifica..... Come mai? Una qualifica oltre gli indefettibili Diritti dell'Uomo? Sissignori ; ma questa sarà di lievissimo peso. La ingiustizia, se mai esista, deve essere minimamente oppressiva; consisterà solo in tre giorni di lavoro consacrato agli interessi del pubblico.
Ammetto che ciò non sia gran cosa, ma tanto basta per derogare minimamente al vostro principio di egualitarismo assoluto. Considerato come un titolo di qualifica, quest'elemento potrebbe anche essere sorvolato giacché non risponde ad alcuno degli scopi per cui le qualifiche stesse vengono stabilite; e, secondo il vostro concetto, ciò basta ad escludere dal diritto di voto quell'uomo che tra tutti gli altri ha maggior bisogno di vedersi riconosciuta la propria eguaglianza naturale, occorrendogli in particolar modo protezione e difesa; intendo dire quell'individuo il quale non possiede altra salvaguardia che il principio della propria naturale eguaglianza. Voi ordinate a lui di comperarsi quel diritto che poco innanzi voi stessi gli avete riconosciuto come conferitegli gratuitamente dalla nascita e del quale nessuna autorità sulla terra può legittimamente privarlo. Per tal modo accade che verso le persone le quali non hanno forza sufficiente per valorizzarsi alla pari sul vostro mercato voi istituite una tirannica persecuzione d'aristocrazia, dopo che voi stessi avete giurato di essere gli acerrimi nemici di ogni aristocrazia.
(continua)