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    Predefinito Peso della coscienza capitalista o nuove forme di privatizzazione dell’acqua?

    OMNIA SUNT COMMUNIA

    ECO-EFFICIENZA E RESPONSABILITÀ IMPRENDITORIALI
    Peso della coscienza capitalista o nuove forme di privatizzazione dell’acqua?

    Boris Rios Brito
    [11/12/2008 22.07.54]



    Il movimento mondiale contro le privatizzazioni e la difesa dell’ambiente, con alcune pietre miliari, come quella della Guerra dell’Acqua del 2000 a Cochabamba, ha sfidato i progetti capitalisti, opponendo a essi resistenza fino a limitarne considerevolmente i loro margini di azione. In questo modo, la privatizzazione dell’acqua si è convertita per questi progetti in un costante e pericoloso cammino che ha sempre generato opposizione sociale, impedendo così di imporre aggiustamenti nell’area in modo omogeneo in tutti i paesi, soprattutto in quelli appartenenti alla linea della povertà.
    Per questo, sia le multinazionali che i paesi che si arricchiscono con lo sfruttamento mondiale, hanno cominciato a modificare le proprie forme di intervento, proprio per evitarsi perdite considerevoli davanti al movimento mondiale che li denuncia, che resiste e che li fa desistere da processi internazionali. Un esempio è il caso di Bechtel contro Bolivia[1]. Non è strano quindi che gli organismi finanziari internazionali e di “cooperazione” abbiano ridotto il livello di esigenze che andavano a braccetto con ciascun prestito e/o donazione ai paesi e ad altri attori che le sollecitavano [2].
    A questo metodo, che si scontra con la cattiva reputazione e il rifiuto a livello mondiale che costruirono questi organismi, soprattutto nei paesi poveri, si somma quello dell’intervento diretto nella società civile attraverso le forme di organismi non governativi (ong) e fondazioni che promuovono programmi affini a questi organismi in tematiche sensibili. Questo è il caso della Fundación Nueva Cultura del Agua (Fondazione Nuova Cultura dell’Acqua), che secondo i principi di eco-efficienza imprenditoriale spinge a livello mondiale la inclusione del settore privato nella gestione pubblica dell’acqua. Questa proposta, è una soluzione ai conflitti dell’acqua frutto del rimorso delle multinazionali e dei grandi capitalisti che le gestiscono? Indaghiamo un po’ nel caso della nuova cultura dell’acqua.
    La Fondazione Avina, la madre della nuova cultura dell’acqua
    La Fondazione Avina, che promuove l’alleanza tra società civile, imprese private e settore pubblico, fu creata da Stephan Schmidheiny, un multimilionario imprenditore svizzero che cerca di coniugare filantropia con eco-efficienza imprenditoriale, scopo per cui ha promosso la creazione di una grande rete di leader soci, che sono membri della comunità previamente identificati da Avina come “leader della società civile e dell’imprenditoria” per passare a essere soci dell’istituzione e appoggiare i suoi “progetti”. Le sue imprese in America Latina producono principalmente in relazione all’acqua e allo sfruttamento forestale.
    …questa fondazione [Avina] gestisce e amministra fondi che nascono dalle attività imprenditoriali di Schmidheiny, la cui trazione economica è il Gruppo Nueva, che raggruppa in America Latina imprese di due settori principali: forestali – Masisa Terranova-, e di tubazioni per il trasporto di fluidi, AMANCO [3].
    La grande rete di Avina contempla tra i suoi “leader soci” lo spagnolo Pedro Arrojo, fondatore della Fundación Nueva Cultura del Agua, che ha ottenuto inserire la sua “proposta” in vari paesi del mondo attraverso seminari, incontri, come quello del 2005 in Brasile, denominato “Incontro per una Nuova Cultura dell’Acqua in America Latina”, o conferenze come quella di Montevideo del 2007, battezzata come “La sfida etica della nuova cultura dell’acqua”, solo per citare alcuni esempi, nonostante altre forme nelle quali si include la sua proposta sono attraverso il finanziamento di eventi relazionati alla tematica acqua per mezzo delle reti nazionali legate alla nuova cultura dell’acqua [4].
    La proposta della nuova cultura dell’acqua si inserisce nel quadro dello sviluppo sostenibile, dove il tema della privatizzazione non è chiaro. Ad esempio, tra le sue dichiarazioni rispetto i suoi fronti di lavoro indicano il seguente:
    “Sviluppare reti e mezzi di comunicazione e un dibattito scientifico-tecnico di carattere interdisciplinare in materia di gestione d’acqua, con speciale attenzione a dinamizzare la relazione tra gli ambiti universitari, imprenditoriali e dell’Amministrazione”.
    Per questo, la nuova cultura dell’acqua, secondo la logica aristotelica, parte dalla necessità di sviluppare l’economia, intesa come scienza di amministrare efficientemente le risorse, per conseguire lo sviluppo sostenibile, e quindi da qui la necessità di un’impresa privata ecologica e responsabile.
    Tale proposta, molto vicina a quella della Banca Mondiale (BM) per quanto riguarda il mettere in relazione il settore pubblico con il privato come unico cammino per migliorare le gestioni del servizio igienico di base, si vede più chiara nella prospettiva della Fondazione Avina che dichiara come sua missione:
    Contribuire allo sviluppo sostenibile dell’America Latina promuovendo la costruzione di vincoli di fiducia e alleanze fruttifere tra leader sociali e imprenditoriali, e articolando agende di azione concordate.
    La BM non gioca un ruolo imparziale nel settore dei servizi basici (né in nessuna delle sue aree di intervento); un caso concreto è quello della Bolivia, dove le sue politiche di imposizione attraverso i suoi prestiti furono le dirette responsabili del conflitto che si visse a Cochabamba nell’anno 2000. Per questo, il punto di coincidenza di partecipazione del settore privato nella gestione dell’acqua non deve vedersi come un incidente isolato, nemmeno il fatto che gli eventi mondiali sul tema dell’acqua sono finanziati dalla Coca Cola e/o indirettamente dalla stessa Banca Mondiale [5]. Quindi, sono queste le proposte innovatrici?
    Proposte di privatizzazione non tanto nuove
    La tesi che l’impresa privata possa promuovere il miglioramento dei servizi, soprattutto in relazione ai servizi igienici di base, è vecchia, pertanto le sue conseguenze nefaste sono verificabili oggettivamente6. Ciò che risulta “innovativo” è la proposta impresa privata-settore pubblico-società civile, che in ogni caso emula il pubblico-privato, che ha già dimostrato essere un’altra forma di privatizzazione, come fu denunciato in Ecuador già a partire dall’anno 2003, quando l’impresa pubblica di Quito si convertiva in mista (pubblico-privata).
    È indiscutibile che l’impresa privata si regge sulla base della ricerca del lucro, nessuna impresa privata esiste se non è per i margini di guadagno che cerca sempre di ampliare, cioè, ranghi più alti di redditività. La proposta promossa dalla Fondazione Avina, dalla Fundación Nueva Cultura del Agua e dalle istituzioni legate, di affari inclusivi e di responsabilità imprenditoriali, non sono altro che la bella faccia di affari, soprattutto nel caso dei beni comuni, che riguardano molte persone e per i quali loro richiedono “migliori relazioni” con le comunità locali per portarli avanti.
    In Bolivia, per esempio, nella logica descritta anteriormente, non è strano che i soci leader di Avina spingano attività con la Banca Mondiale o USAID, i quali hanno promosso direttamente la privatizzazione dei servizi basici. Cercano le loro proposte di risolvere il conflitto dell’acqua, nonostante cerchino di lucrare con lei?
    La “gestione comunitaria” dell’impresa privata
    Le lotte mondiali contro le privatizzazioni, come segnalavamo anteriormente, hanno obbligato i portavoce della privatizzazione ad abbassare i toni delle loro proposte. Non è strano quindi che ora quelli che promuovevano la privatizzazione tacciano di demagogia il rifiuto alla privatizzazione, così come il tema della irrefutabile prospettiva del lucro del settore privato, e che trattino di sedurre ogni volta la gente ad unirsi alle loro proposte in base all’argomento dell’efficienza e dell’efficacia che il settore privato è capace di adempiere [7]. Addirittura, non è in vano il fatto che i nuovi privatizzatori si dichiarino apolitici, come nel caso della nuova cultura dell’acqua.
    Ciò che veramente sorprende sono tutti gli sforzi da parte delle multinazionali, degli organismi finanziari internazionali, delle loro ong e fondazioni, e dei loro funzionari in tutti i paesi, arrivando a dispiegare grandi bandiere in difesa dell’ecologia e delle risorse naturali attraverso i forum mondiali, le esposizioni dell’acqua, i progetti di educazione, di appoggio per infrastrutture, di credito e altri stratagemmi.
    A tal proposito, possiamo affermare con Daniel Versseñazzi:
    Le minacce future per la nostra acqua, non sono i nostri sperperi e vizi; nemmeno il camminare attraverso l’imposizione culturale dello spreco che in ogni secondo promuove il consumismo o la logica installata; copia ebbra di fastosità lontane... che, d’altra parte, dovremmo modificare e rapidamente. La minaccia maggiore è l’indice di crescita industriale che salutiamo e festeggiamo; sono i record di raccolti di soia, annunciati con entusiasmo (responsabili delle sparizioni di milioni di ettari di boschi selve e monti), sono le scale di produzione industriale e agro industriale che si installano.
    Le resistenze e le sfide

    La resistenza globale ha permesso che gli strumenti delle grandi potenze economiche si sentano obbligati a cambiare le proprie politiche che cercano di convertire tutto in merce, politiche per imporre la logica del capitale come rettrice della vita. Nello stesso modo, anche la resistenza deve cambiare, approfondendo le proprie vittorie e mantenendosi allerta di fronte alle nuove forme di privatizzazione.
    Non esiste una ricetta, o almeno non una applicabile esattamente in modo universale, ciò che esiste è uno stesso nemico, che è il capitale, la cultura della morte e distruzione del mondo, di tutti i mondi.
    La sfida di molti paesi della regione sudamericana è il poter fare della gestione pubblica e comunitaria dell’acqua uno strumento effettivo per superare definitivamente la privatizzazione.

    Traduzione di Cristina Coletto
    NOTE
    1. Nell’anno 2006 il movimento mondiale contro la privatizzazione dell’acqua ottenne che la multinazionale Bechtel ritiri il processo legale contro la Bolivia, interposto nel CIADI per 25 milioni di dollari, dopo vari anni di manifestazioni nelle strade, azioni di protesta, raccolte di firme per lettere d’appoggio alla Bolivia e boicottaggi pacifici.
    2. Non invano, i loro sforzi per mostrare una faccia più gradevole nella regione li fanno addirittura attraverso menzogne. Relativamente a questo si può consultare l’articolo El Banco Mundial es bueno: cuando el mundo está al revés
    3. Vedere: Verzeñassi, Sergio Daniel, Amanco, Avina y el Agua en América Latina. “Cuando la limosna es grande…”
    4. Nel caso boliviano ne esiste una chiamata red tejedores
    5. Come fu il caso della Expo Zaragoza
    6. L’impresa privata che ha gestito sistemi di acqua ha dimostrato di aumentare le tariffe e di investire capitali minimi. Nella vasta gamma di lavori relativi a questo tema si può consultare quello di José Esteban Castro, La privatización de los servicios de agua y saneamiento en América Latina.
    7. Tra i cento documenti e articoli dei difensori della privatizzazione ne citiamo uno del Banco Mundial come esempio.


    ARDITI NON GENDARMI

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    OMNIA SUNT COMMUNIA

    Aprilia.
    Oggi manifestazione contro la centrale a Turbogas


    Di nuovo in piazza questa mattina i comitati popolari che si oppongono alla costruzione della centrale nel territorio di Aprilia. «La Rete cittadini contro la Turbogas chiede l'immediato blocco dei lavori di costruzione della centrale nel sito di Campo di Carne – si legge ancora nel comunicato – e la conversione (realmente pulita e rinnovabile) di questo progetto in diversi impianti di produzione elettrica da energia eolica da distribuire nel territorio regionale, come già, seppur in una forma che va adeguata alle esigenze produttive della società Sorgenia, proposto dal consigliere regionale Enrico Fontana e richiesto da numerosi sindaci in occasione dell'assise intercomunale svoltasi ad Aprilia presso il Teatro Europa il 10 dicembre scorso».
    La Coldiretti di Latina ribadisce fermamente tutta la sua contrarietà alla realizzazione sul territorio provinciale delle due centrali turbogas di Campo di Carne e di Mazzochio i cui iter procedurali avanzano spediti ai livelli Regionali e Ministeriali con posizioni spesso ambigue assunte dai referenti politici e dalle istituzioni locali, anche grazie ai meccanismi della Legge Marzano, meglio detta "Decreto Sblocca Centrali", che sottrae ai territori interessati molti dei poteri giurisdizionali decisionali in materia di insediamento di tali impianti produttivi



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