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    Predefinito Maestri Liberali battete un colpo

    Maestri Liberali battete un colpo


    di Vittorio Macioce

    Cari maestri, dove vi siete nascosti? Questo Paese ha nostalgia del Novecento e c’è una gran voglia di «impiccare» i liberali. È la vendetta di tutti gli orfani delle ideologie. Un amico qualche giorno fa raccontava lo strano destino di Von Hayek. È stato indicato come monatto della crisi da vivo e da morto. Nel 1929 fu Rostow a dire: tutta colpa di Hayek e di Mises. Quest’anno Samuelson ha puntato l’indice su Friedman e, tanto per non sbagliare, e ancora su di lui, il viennese maledetto. Quando le cose vanno male certa gente sa sempre dove bussare. Ma non è solo colpa loro. Un po’ i liberali se la cercano. Quando c’è da fare muro, da sostenere la forza di un’idea, loro si rifugiano in ordine sparso, ognuno in fondo perso dentro i fatti suoi, come direbbe Vasco Rossi. Allora, dite, in quale convento siete finiti? Antiseri è quasi un padre, eppure di questi tempi è così disilluso e avvilito che fatica a parlare. Ricossa vive di arte, musica, bellezza e solitudine. Pera dialoga solo con Dio. Martino sogna di fare il suo mestiere, ma il dicastero dell’economia era out con il bel tempo, figurati ora che c’è crisi. Quagliariello è un po’ più vecchio e indossa la toga dei senatori. Panebianco fa prediche inutili sul Corsera e si consola leggendo ancora Einaudi. Ideazione, luogo d’incontro degli ultimi liberali, vive solo on line. Tutti quanti sanno che la cultura liberale di massa è una favola a cui credono solo i piccoli imprenditori. Loro, almeno, sono rimasti sul fronte a combattere. Non c’è un giornale, una televisione, una rivista, un partito che sventoli la bandiera dell’orgoglio liberale. È questa la realtà, a destra come a sinistra. C’è qualche fondazione, come l’istituto Bruno Leoni e un paio di case editrici. Ma è una minoranza di simpatici incoscienti. La rivoluzione liberale è finita. Anzi, non è mai davvero iniziata.
    Era il 1989 e quella data ora sembra quasi inutile. Non è colpa della storia, quella non si è fermata. È il silenzio di certe idee che preoccupa. Non serve girarci intorno. Quasi vent’anni dopo, come in un brutto romanzo di Dumas, possiamo dire che i liberali sono rimasti ancora una volta soli, quattro gatti e neppure una cabina telefonica, anche quelle sono scomparse. Tutti parlano della crisi, di questa sorta di nuovo ’29 che ci sta addosso, sulla pelle, come una sciagura, come una profezia, come qualcosa di reale che ti sbriciola le tasche. Dicono che la colpa è del capitalismo. Dicono che il mercato è senza cuore e senza morale. Meglio morire democristiani o comunisti. Meglio lo Stato, che scava buche e poi le riempie, che spende e spande. Dicono tutto questo e puzzano di nostalgia.
    Voi, invece, zitti. Alla fine degli anni ’80 ancora insegnavate all’università. Eravate pochi. Quando in Italia si regalavano pensioni e Berlinguer alzava il muro della questione morale, voi raccontavate a un po’ di allievi cos’era la libertà. Vi ricordate? Von Mises e Von Hayek, Popper e Tocqueville, Einaudi e Rosmini, e poi perfino Rothbard, lì dove lo Stato diventa niente, un nemico da abbattere. Sì, eravate quasi anarchici. Il fascino del liberalismo è nella sua etica. Il liberalismo crede nell’uomo, nella voglia di rischiare, di elevarsi, di fare sempre un passo in più oltre la miseria dell’anima, oltre la mediocrità. Il liberalismo crede nella libertà, quella dell’individuo. Non crede a chi promette facile paradisi in terra. Non crede a chi parla di masse, classi, fedi, razze, stati, nazioni. Queste cose grandi sono un Leviatano che ti schiaccia, potenze metafisiche che strappano all’individuo i suoi diritti naturali. Sono il grande inganno del Novecento. Ecco, il liberalismo era una via di fuga contro le facili utopie, quelle a cui si aggrappa la gente quando ha paura. Era un modo per dire all’uomo, credi in te stesso. Scegli e giocati la vita. E soprattutto difendi la tua libertà, e quella di tutti i singoli individui, contro Dio e la ragione.

    C’è stato un momento in cui la coccarda liberale era la parola d’ordine per il futuro. Il popolo degli ex si era riciclato. Tutti liberali, tutti a parlare di mercato e libertà. Tutti in fuga dal Novecento. Liberali in camicia nera, liberali in cachemire, liberali atei e devoti, liberali con il cilicio, liberali con la foto di Berlinguer sulla scrivania, liberali con la t-shirt del Che, liberali con l’edizione consumata del libretto rosso di Mao, liberali con il garofano, liberali con una lista di clientele grande come una provincia, liberali alle partecipazioni statali, liberali con lo scudo crociato, la falce e martello, la margherita, il sol dell’avvenire, il saluto romano, l’edera, il compasso, i santini da baciare e da bruciare, la maglietta della Ddr del 1974, i rubli sovietici in busta paga, le scarpe nere della Cia. Alcuni, liberali con tutte queste cose insieme. Quest’orgia è durata una decina d’anni.
    Ecco, il liberalismo è stata una moda di stagione. Gli orfani del Novecento hanno schiumato rabbia sorda e muta. Se c’è una cosa che post-fascisti, post-comunisti e post-democristiani odiano è il liberalismo. Un odio assoluto e totalitario. È questa la verità, cari maestri. Tutti questi odiano il liberalismo perché disprezzano l’uomo. Rileggetevi il monologo del Santo Inquisitore dei Fratelli Karamazov, quando dice: gli uomini non vogliono la libertà, ma il pane. La libertà, rimprovera il vecchio al Cristo muto, fa paura. Lui, l’inquisitore, è tornato. Voi fatevi sentire.

    http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=312605&START=1&2col=

  2. #2
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    il liberalismo in italia paiono averlo dimenticato tutti

  3. #3
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    Citazione Originariamente Scritto da Hayekfilos Visualizza Messaggio
    Molto interessante anche questo sito, phastidio già lo conoscevo grazie a te.
    Non sono molte, purtroppo, le oasi del vero liberalismo.

  8. #8
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    A proposito di debito pensionistico...

    http://www.radicali.it/view.php?id=133841

  9. #9
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    I maestri liberali non hanno tradito

    Una replica alle accuse di Vittorio Macioce su "Il Giornale": i liberali non si sono nascosti

    di Alberto Mingardi

    Caro direttore, a differenza di Vittorio Macioce, non credo che i «maestri liberali» si siano nascosti. Mi preoccupano piuttosto gli allievi. Mi spiego.

    Nel suo j’accuse, Macioce mescola tre piani di analisi che sono sostanzialmente diversi. In primo luogo, considera criticamente l’incapacità di organizzazione dei liberisti italiani, che immagina - in ossequio allo stereotipo - pochi e malmessi. In seconda battuta, s’interroga sull’orizzonte di patente irrilevanza in cui sembrano essere precipitate idee che solo ieri, per quanto incapsulate in una nicchia, erano depositarie di un grande avvenire. Alla fine, fa due più due e legge la debolezza nel liberismo, in una scarsa comprensione del suo retroterra morale, più che di «efficienza». La libertà non può valere solo quando «funziona». Altrimenti basta un sabotaggio, per convincerci a cambiare strada.

    Punto primo. L’organizzazione. Quella dei liberisti non è solo l’incapacità di parlare con una voce sola - presumibilmente dovuta al loro individualismo congenito. Per anni, e ancora oggi, è il rosolarsi compiaciuti in uno stato di minorità. È una caratteristica tipica di tutti i movimenti che hanno poche risorse e poca visibilità. Mi ignorano dunque sono. Il vittimismo di Vittorio Macioce non sfugge alla regola.

    Sorpresa: il cielo è un poco più blu. Basta andare in libreria. Hayek non lo confondono più con un autore di gialli, persino Bastiat o Rothbard sono nomi relativamente noti. Se c’è offerta, almeno un po’ di domanda ci deve essere. E questa è una differenza abissale con l’Italia degli anni Sessanta e Settanta, quella che vedeva Bruno Leoni rinunciare a tradurre il suo capolavoro, e Sergio Ricossa «impegnato a dimettersi» da istituzioni e giornali per cui era troppo di destra.

    Non siamo tuttavia nemmeno in un’Italia che abbia fatto davvero un bagno di liberismo. E vengo al secondo punto.

    Se c’è una cosa che era evidente ieri e che è doppiamente evidente oggi, è che da noi è mancato un leader che, come la signora Thatcher, sventolasse The Constitution of Liberty di Friedrich von Hayek per dire: questo è quello in cui crediamo. È un dato di fatto, non una colpa. Rileggete la storia della seconda repubblica. Chi le ha fatte, le privatizzazioni? Paradossalmente la sinistra, non Berlusconi. Il partito liberale di massa ha variamente reagito al passaggio in mani private dei resti dell’Iri, ai tentativi di liberalizzazione del commercio, all’attacco agli ordini professionali e alle medicine al supermercato. Di una sola campagna liberista aveva il monopolio. Per inciso, la più importante: quella per l’abbassamento della pressione fiscale. Ma se le tasse in Italia scendessero davvero, su quale promessa la destra potrebbe rivincere le elezioni?

    In queste condizioni, possiamo stupirci che qualcuno legga la recessione incipiente quasi con masochistico compiacimento? È Schadenfreude («piacere provato dalla sfortuna dell’altro», ndr). Avendo masticato amaro per gli anni del Washington Consensus e della globalizzazione rampante, a buona parte della nostra intellighenzia non è parso vero che il capitalismo fosse finalmente lì, dove doveva stare dai loro vent’anni: sul precipizio di una terribile crisi. Hanno sbagliato, i nostri «maestri liberali»?

    No, hanno fatto il loro dovere, predicando coi mezzi che avevano e le parole che sapevano usare. Sono gli allievi, che dovrebbero portare la fiaccola alla stazione successiva. Calare le idee nel reale, trasformarle in proposte, sminuzzarle in messaggi comprensibili alla sciura Maria. Il liberismo è finalmente arrivato in libreria, ma ora deve uscirne.

    Eccoci al terzo punto. Abbiamo pensato che questo lavoro lo dovessero fare gli economisti. Gli economisti italiani sono bravissimi. La loro diaspora ha arricchito le università di tutto il mondo. E hanno per le mani l’arte oracolare dei tempi nostri. Però stavolta non hanno tenuto botta. Questa crisi è la loro. È passato il cigno nero, e politiche profondamente sbagliate ci hanno presentato il conto tutte assieme. Certi raffinatissimi modelli matematici hanno vacillato. Ma se gli economisti sentissero quel «tabù dello Stato», quell’istintiva diffidenza rispetto alla discesa in campo del pubblico che è poi ciò che distingue chi ha cuore la libertà da chi può farne legittimamente a meno, non si sarebbero gettati a pesce su ricette del passato, in passato spettacolarmente fallimentari, nell’isteria di salvare il Titanic a colpi di spugna. L’umiltà epistemica, che del liberalismo è uno dei tratti salienti. Il senso del limite, innanzi all’inaspettato. L’incapacità di sterminati eserciti di regolatori di predire il futuro. Questo ci insegna la crisi.

    E tale insegnamento ci sarebbe evidente, se avessimo occhi buoni. Abbiamo lo sguardo appannato perché a furia di sentire frottole sul mercato, quelle abbiamo imparato. Così, se un operatore fallisce, o quando i prezzi scendono, è il sistema che è marcio: mentre invece esso si sta, dolorosamente, aggiustando. Stavolta i chierici che hanno tradito sono gli allievi di Adam Smith. Per spirito di corpo. È dai loro ranghi che vengono i regolatori del mondo.

    Su un punto, Vittorio Macioce ha ragione. Il mercato non è giusto perché serve, ma serve perché è giusto. Perché l’insieme di libertà e tabù che costituisce l’architettura fragile del sistema della libera impresa, è l’unica cornice in cui possano fiorire la creatività, la voglia di fare, il bisogno di realizzarsi delle persone. L’efficienza allocativa è un corollario, non un presupposto. Parafrasando Franklin, chi è pronto a rinunciare alla libertà per comprarsi briciole di benessere sociale, non merita né l’una né l’altro. E infatti né l’una né l’altro avrà.

    da Il Giornale, 11 dicembre 2008

    http://www.brunoleoni.it/nextpage.aspx?codice=7396

  10. #10
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    Citazione Originariamente Scritto da Nicola bis Visualizza Messaggio
    A proposito di debito pensionistico...

    http://www.radicali.it/view.php?id=133841
    secondo te la corte costituzionale boccerebbe un quesito referendario che chiede l'abolizione dell'INPS? sarebbe un'ottimo referendum da portare avanti!

 

 
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