Il giovane Mussolini al soldo della Francia
Repubblica — 14 dicembre 2008 pagina 31 sezione: CULTURA
Nel novembre del 1922, a pochi giorni dalla marcia su Roma, due informatori della Sureté Nationale trasmettevano ai loro superiori alcune indiscrezioni, raccolte negli ambienti politici di Parigi, sui rapporti intercorsi fra Benito Mussolini e esponenti del governo francese nel 1914, subito dopo lo scoppio della Prima guerra mondiale. Si faceva riferimento, in particolare, alle ingenti somme di denaro, circa dieci milioni di franchi, che il futuro duce avrebbe incassato dal deputato Charles Dumas, capo di gabinetto del ministro Jules Guesdes, per caldeggiare sul suo Popolo d' Italia l' entrata in guerra dell' Italia al fianco delle potenze alleate. In un' altra nota riservata, poi, Mussolini veniva addirittura indicato come «un agente del Ministero francese a Roma». I documenti inediti, che rimettono in discussione il giudizio di Renzo De Felice, massimo biografo di Mussolini, sui legami di quest' ultimo con la Francia, sono stati scoperti dallo storico piemontese Roberto Gremmo agli Archives Nationales di Parigi. Li ha pubblicati nel suo libro Mussolini e il soldo infame (edito da Storia Ribelle, casella postale 292, Biella). Oltre a riaprire il capitolo sullo spionaggio, ridando valore alle accuse rilanciate, dopo la Liberazione, dall' ex anarchica Maria Rygier, Gremmo testimonia che nel 1941, nella Francia occupata dai tedeschi, gli emissari fascisti fecero sparire i dossier di polizia su Filippo Naldi, uno dei finanziatori de Il Popolo d' Italia. è pertanto impossibile, annota lo storico, che gli agenti non avessero esaminato e sottratto gli incartamenti intestati a Mussolini, che in effetti non sono mai stati ritrovati nella loro interezza. Che cosa si temeva? Non solo che emergessero le vicende connesse all' interventismo, ma pure quelle sulla frequentazione della polizia francese fin dal 1904, durante i suoi viaggi oltre confine? è su questi aspetti che Gremmo svolge le sue indagini. E lo fa occupandosi anche dell' avvocato Salvatore Donatini, del quale si serbava una vaga memoria in qualche citazione sugli anni giovanili di Mussolini. Nato nel 1877, militante socialista, senese, lo aveva aiutato e ospitato ad Annemasse, in Savoia, fra il gennaio e il febbraio del 1904. è il periodo in cui «i rapporti dei poliziotti di Annemasse furono stranamente benevoli nei confronti di un individuo come Mussolini, fotografato e schedato come un delinquente» dai servizi di sicurezza di altri paesi. Come mai? Forse perché aveva cominciato a fare l' informatore della polizia, spiando i suoi compagni «sovversivi»? Di Donatini non si era saputo più niente. Consultando i fascicoli che lo riguardano conservati all' Archivio centrale dello Stato di Roma, l' autore del libro ha scoperto che «un robusto filo nero» lega le vicende dell' avvocato toscano a quelle di Ida Dalser, la donna trentina che aveva dato un figlio a Mussolini e che questi fece rinchiudere in manicomio. Pure Donatini finì in un ospedale psichiatrico. E a mandarcelo fu il duce. Di mezzo, come nel caso Dalser, c' erano le accuse per i suoi legami con i francesi. La sua amante di Trento aveva denunciato che si era venduto a loro all' epoca della Grande guerra, e venne dunque internata. Il socialista senese, alle prese nel 1930 con gravi difficoltà finanziarie, ebbe invece la malaugurata idea di scrivere a Mussolini, confidandogli di avere trovato alcune sue lettere risalenti al soggiorno in Savoia: «Nel frugare le carte per riordinarle trovai alcune tue missive che mi fece piacere averle ritrovate. (...) Non avevo alcuna idea di disfarmene per cui mi parve offesa la proposta fattami da un affarista di disfarmene per Cinquecento sterline. Oggi la cosa non mi pare così offensiva ne (sic) bassa cosa il venderle». Aveva premesso che nelle lettere «non vi è niente che ti faccia torto», ma la sua iniziativa, che aveva lo scopo di farsi dare del denaro, allarmò il duce. Bisognava agire e recuperare quella corrispondenza che, per una ragione o per l' altra, era considerata compromettente. Erano le prove del «soldo infame»? Può essere. Certo è che Mussolini ordinò di mettere Donatini nelle condizioni di non nuocere. Fu disposta perciò la traduzione in manicomio. Vennero cercate le lettere, ma senza trovarle. Si scoprì però una pistola nello studio del legale. Dimesso dopo poche ore, venne tuttavia minacciato di essere inviato al confino e condannato per il possesso dell' arma. La lezione non gli bastò. Riprese a scrivere a Mussolini e, nel febbraio del 1931, firmò la sua morte civile: denunciò alla magistratura nientemeno che il duce «nella sua qualità di Ministro dell' interno pro tempore del Regno d' Italia», chiedendo inoltre il risarcimento dei danni subiti. Fu spedito ancora in manicomio, questa volta per diversi mesi. Neppure la rivelazione del contenuto delle famose lettere, che non erano quelle ritenute compromettenti, lo salvò. Sospeso dall' esercizio della professione, malato, morì nell' aprile del 1933. Aveva fatto una fine analoga alla Dalser. E sempre nel nome, «proibito», della Francia. -
MASSIMO NOVELLI