Domani la Direzione del Partito
Tra Violante e Di Pietro, Veltroni sceglierà il secondo
La scelta che sta di fronte al pd è oggi chiarissima: seguire la strada indicata da Luciano Violante e rompere il nodo gordiano della patologia politica italiana attuando una rapida riforma della giustizia condivisa oppure seguire la strada giustizialista, protestataria, destruens - e culturalmente di destra - delineate da Di Pietro.
Siamo facili profeti nel pronosticare che nella direzione di domani, 19 dicembre, Walter Veltroni non avrà dubbi e tra Violante e Di Pietro, sceglierà Di Pietro.
Non solo, siccome l’uomo è politicamente piccolo piccolo (tanto quanto è grande in charme e simpatia umana), Veltroni coglierà l’occasione per portare a termine una operazione di filubustering interno, di quelle degne del peggior Psdi di un tempo: azzererà molti vertici regionali del Pd e vi metterà uomini e donne caratterizzati da una sola nota politica: saranno suoi fedelissimi.
Naturalmente, la scelta a favore di Di Pietro e contro Violante, non sarà limpida, netta, sarà tutta infarcita di “ma anche” di belle frasi, di ammiccamenti, ma la sostanza non cambierà. La ragione di questa vera e propria follia, che segnerà l’inizio della finde del Pd è di una semplicità abissale: Veltroni non ha il minimo senso riformista, non sa cosa sia una politica di riforme e ha invece una radicata cultura “del complotto”, che lo ha portato – caduto il suo bagaglio culturale comunista - direttamente sulle sponde del giustizialismo dipietrista.
Una profonda consonanza culturale che lo rende sordo anche alla energica – eccezionale - forza di richiamo e di indirizzo che gli viene dal Quirinale. Napolitano è stato infatti durissimo e inflessibile nel condannare gli arbitri dei magistrati, nel chiedere a voce alta una riforma della giustizia, nell’affermare che la Costituzione può essere riformata nella sua seconda parte.
Se Veltroni avesse una minima propensione riformista si getterebbe toto corde nel varco aperto da Napolitano, collocherebbe il suo partito al centro dell’asse riformatore, prima della giustizia, poi delle istituzioni.
Se lo facesse – si noti - avrebbe già da oggi la garanzia del successo più pieno: il Pdl, Berlusconi in testa, sottoscrive al 99% lo schema Violante, tant’è che da più parti – e autorevoli - si chiede che sua lui a presiedere il tavolo che dovrà definire l’accordo bipartisan. Veltroni ha dunque la garanzia di potere riscuotere un successo pieno, di segnare una svolta nella politica italiana, di fare vincere al pd quel primato delle riforme che è sempre sfuggito al Pci, come al Pds e ai Ds (naufragati sempre anche nelle prove di governo).
Ma Veltroni non è un riformista: è un ex comunista spretato e rinnegato, ha tutti i difetti di quell’esperienza e nessun pregio di una veste modernizzatrice e novista che sa indossare solo nella chiave umana del suo personaggio. Veltroni, si sa, è umanamente delizioso, tanto quanto D’Alema è antipatico. Il disastro però è proprio qui: in Veltroni “sotto l’umanita, niente”.
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