Della kippah d’Isacco s’è cinta la testa
La Breve storia degli Ebrei d’Italia di Gemma Volli (1961) illustra il ruolo preponderante avuto dall’ebraismo nelle vicende risorgimentali.
Ne pubblichiamo alcuni passi tratti. A questo link i lettori potranno trovare il testo completo: Breve storia degli ebrei in Italia
IX. La lotta per l’Indipendenza
(…) Il Risorgimento italiano non è soltanto un movimento di riscatto nazionale, ma anche e soprattutto un grandioso movimento sociale, che entra nel quadro più vasto di un movimento europeo; e per gli Ebrei, Risorgimento non significava solo unità d’Italia, ma anche e soprattutto emancipazione; la lotta non era solo contro lo straniero che calpestava il suolo nazionale, ma anche contro le classi più retrive della società italiana, preoccupate soltanto di mantenere gli antichi privilegi e lige alle tradizioni di conservatorismo clericale.
Tutti gli Ebrei d’Italia partecipano a questa lotta: fanno parte di società segrete; a Firenze i fratelli Paggi stampano opuscoli e manifesti clandestini per incitare alla lotta; a Vercelli, il Collegio Foà diventa una vera fucina di patriottismo. Tutti gli Ebrei che viaggiano abitualmente per i loro affari diventano i naturali intermediari fra le varie società segrete; essi offrono continuamente armi e denaro. Fra i primi combattenti ebrei del Risorgimento italiano dobbiamo ricordare: Abramo Fortis, che prende parte ai moti di Faenza nel 1820, Israel Latis, condannato dal duca di Modena alla Rubiera nel 1822, ed Angelo Levi, caduto in battaglia a Salerno nel 1828.
La Rivoluzione di luglio del 1830 abbatte la monarchia borbonica in Francia, ed anche questa rivoluzione ha le sue ripercussioni in Italia: i moti del 1831. A Modena Angelo Usiglio e suo fratello Enrico sono collaboratori di Ciro Menotti; si può dire che tutto il movimento dei patrioti modenesi è finanziato da banchieri ebrei. Ora la causa degli Ebrei è più che mai legata a quella dei patrioti italiani: se un governo reazionario crolla, le leggi antiebraiche vengono abrogate. Così avvenne a Roma e Ferrara, dove i governi provvisori abrogarono tali leggi; se pure parte della popolazione continuasse a nutrire sentimenti ostili nei riguardi degli Ebrei. Ma i moti del ‘31, soffocati dall’immediato intervento delle milizie austriache, falliscono, e nella città di Ciro Menotti sono rimesse in vigore tutte le restrizioni antiebraiche, compreso il "segno giudaico"; anzi il duca di Modena dimostrò un tale furore contro gli Ebrei, che perfino il comandante austriaco intervenne per consigliargli un po’ di moderazione. Nella dura repressione che seguì ai moti di Modena, patrioti ed ebrei sono accomunati; e questo dimostra ben chiaramente quanto fossero uniti nella lotta.
Le instabili condizioni politiche caratterizzate in questo tempo, da moti rivoluzionari destinati a fallire per immatura organizzazione, seguiti da rigide a repressioni, si riflettono nelle condizioni degli Ebrei: a Ferrara le porte del ghetto vengono rimesse e poi ritolte; a Lugo e Ancona i portoni del ghetto non vengono rimessi sui cardini, ma gli Ebrei sono costretti ad abitare entro la cinta.
Intanto il movimento di liberazione va affermandosi nella coscienza degli Italiani; Giuseppe Mazzini fonda la "Giovane Italia". Il Mazzini, da principio, non ha molta simpatia per gli Ebrei - forse per influenza di F. D. Guerrazzi - come apprendiamo, tra l’altro, da una sua lettera inviata da Londra a sua madre nel 1845; ma poi si ricrede e conta tra i suoi migliori amici degli ebrei. Nell’esilio dì Londra egli ha come compagno Angelo Usiglio, il passaporto egli l’ha avuto dal rabbino di Livorno; a Londra egli stringe saldi vincoli di amicizia con la famiglia del banchiere Nathan, la cui casa era aperta a tutti gli esuli italiani. Sarina Nathan diventerà poi la sua fida consigliera, ed egli chiuderà la sua travagliata esistenza a Pisa in casa di Jeannette Nathan Rosselli, figlia di Sarina.
A Torino il movimento mazziniano è finanziato dalla famiglia Todros. David Levi di Chieri, il banchiere poeta, scrive un’ode in memoria dei fratelli Bandiera, la cui nonna pare fosse un’ebrea di Ancona. A Livorno gli Ebrei continuano ad avere una sia pur parziale libertà. Si fonda colà una società capeggiata da due ebrei (Ottolenghi e Montefiore): "I veri italiani"; ma gli animatori vengono arrestati.
(…) Ma se tutti gli Ebrei lottavano per l’unità e l’indipendenza d’Italia, anche tutti i patrioti, dal canto loro, erano favorevoli agli Ebrei: l’emancipazione ebraica è considerata un atto di giustizia che fa parte del programma delle rivendicazioni italiane; lo studio della storia ebraica può far comprendere la storia di tutti i popoli se si esamina l’atteggiamento da questi tenuto verso gli Ebrei. Nel 1830 Gabriele Pepe scrive su questo argomento un articolo sull’" Antologia" ; nel 1836 Carlo Cattaneo pubblica uno studio che intitola: "Ricerche economiche sulle interdizioni imposte agli Israeliti"; Vincenzo Gioberti nel suo "Primato civile degli Italiani" sostiene che gli Ebrei devono essere emancipati; Niccolò Tommaseo, Angelo Brofferio, Cesare Balbo, tutti sono ardenti fautori dell’emancipazione ebraica; i due fratelli D’Azeglio (Massimo e Roberto) esplicano la loro attività in favore degli Ebrei, il primo con scritti ("Della emancipazione civile degli Israeliti", dedicato al papa), il secondo adoperandosi con fervore per la emancipazione degli acattolici. Fra gli amici degli Ebrei non dobbiamo dimenticare Ugo Foscolo, di cui si narra questo episodio significativo: quand’egli era ancora ragazzo, la popolazione di Zante voleva un giorno dare l’assalto al ghetto. Già le porte del piccolo ghetto stavano per cedere, quand’egli balzò sul muro di cinta e gridò alla folla: "Vigliacchi, indietro, vigliacchi!". La rampogna del ragazzo Foscolo fece rinsavire la folla inferocita, che rinunciando al proposito di aggredire gli Ebrei, si disperse.
Atteggiamento ostile agli Ebrei continuano a mantenere i reazionari, che sobillano la plebaglia e questa talvolta si abbandona ad eccessi. Così avvenne a Mantova: nel 1843 ebbe luogo colà un processo, dovuto a violente manifestazioni antiebraiche; processo ricordato anche a Vienna dal dottor Bassano di Mantova, compagno all’avvocato Consolo di Verona nella missione, già ricordata, inviata nella capitale austriaca dalle Comunioni Israelitiche del Regno Lombardo-Veneto. (…)
X. Il Quarantotto - La prima guerra d’Indipendenza
1848: l’Europa tutta è percorsa da un fremito di libertà, un fermento liberale agita le coscienze, unite nell’aspirazione comune ai popoli di ottenere dai governi riforme costituzionali. Anche stavolta la scintilla della rivoluzione parte dalla Francia (Rivoluzione dì febbraio a Parigi); è stato il collasso della monarchia a segnarne l’inizio. Ora, in tutta l’Europa si parla di emancipazione politica e di libertà religiosa. In Italia i moti del ‘48 trovano gli ebrei in prima linea.
Prima a insorgere è Milano (5 giornate, 18-22 marzo); sulle barricate combatte un ragazzo di 15 anni: il mantovano Ciro Finzi, che con ardimento si mette a capo dei rivoltosi, mentre Giuseppe Finzi di Rivarolo ha un comando militare, e giornalisti ebrei, tra cui il triestino Giuseppe Revere, scrivono articoli infiammati per esortare i giovani alla lotta. A Torino i giovani, ebrei partono per il fronte, esortati dal rabbino stesso; e insieme ad ebrei provenienti da altre città, formano la VII Compagnia bersaglieri, che prende parte alla battaglia della Bicocca nella prima guerra d’Indipendenza. A Ferrara si distruggono i pilastrini posti agli sbocchi del ghetto (al posto dei portoni); Salvatore Hanau è nominato segretario del Circolo Nazionale, e poi, inviato quale suo rappresentante a Torino, è membro fra i più attivi del Governo provvisorio. A Venezia, il 23 marzo 1848 è proclamata la Repubblica con a capo Daniele Manin (figlio o, secondo altri, nipote di un ebreo che, tenuto a battesimo dal fratello dell’ultimo doge, Manin, ne aveva preso il nome, essendo consuetudine prima dell’emancipazione che quando un ebreo prendeva il battesimo, assumesse il nome del padrino); del Governo provvisorio entrano a far parte Leone Pincherle, Ministro dell’Agricoltura e Commercio, e Isacco Pesaro Maurogònato, Ministro delle Finanze; mentre i rabbini Samuele Olper e Abramo Lattes sono nominati membri dell’Assemblea. Del rabbino Olper si racconta che baciò il crocifisso in Piazza San Marco, dicendo: "Siamo tutti fratelli". Spirito irrequieto, lo ritroveremo in Piemonte nel 39, a fare opera di salvataggio nella coraggiosa ricerca di ebrei feriti e prigionieri. Nell’agosto del 1848 Daniele Manin proclama nuovamente la Repubblica di San Marco e decide la resistenza ad oltranza. E quando Venezia, assediata per mare e per terra, colpita da un’epidemia di colera, dopo un’eroica resistenza, ultima tra tutte le città d’Italia, rinuncia alla lotta e deve arrendersi (24 agosto 1849), ritornato il governatore austriaco, si dice che questi, dopo avere esaminato attentamente il rapporto finanziario del Maurogònato, esclamasse: "Non avrei mai creduto che questa teppa repubblicana fosse cosi competente".
Il 9 febbraio 1849 viene proclamata la Repubblica Romana con a capo Mazzini e difesa da Garibaldi; il papa Pio IX fugge a Gaeta. Nell’Assemblea nazionale ci sono tre ebrei: lo scrittore triestino Giuseppe Revere, che da Milano era passato a Venezia e da lì a Roma, Abramo Pesaro, cugino di Isacco Pesaro Maurogònato, e Salvatore Hanau da Ferrara. Si trova a Roma in quei momenti decisivi anche l’economista Leone Carpi. A difendere la Repubblica Romana accorrono anche ebrei stranieri: ricorderemo fra questi Carlo Alessandro Blumenthal di Londra, che militava col nome di Scott. Aveva già combattuto a Venezia; e dopo la caduta della Repubblica Romana, seguirà Garibaldi nella sua ritirata verso l’Italia settentrionale, combatterà con lui nella guerra del ‘59 nel Corpo dei Cacciatori delle Alpi, e nel ‘60 preparerà un piano, poi non attuato, di rapire il bambino Mortara. Nella Legione lombarda, accorsa in difesa della Repubblica Romana, composta da 172 volontari, si trovano 5 ebrei, tra i quali il giovinetto Ciro Finzi, che aveva combattuto a Milano dalle barricate, e il giovane medico triestino Giacomo Venezian. Tanto Ciro Finzi che Giacomo Venezian cadono nella difesa della Repubblica Romana: il primo triestino morto per la libertà e l’Italia è un ebreo. Caduta la Repubblica Romana malgrado gli atti di valore e la disperata resistenza dei difensori, per opera dell’esercito francese guidato dal generale Oudinot (il segretario di Stato di Pio IX, cardinale Antonelli, aveva sollecitato dalle potenze cattoliche l’invio di eserciti per combatterla) i volontari seguono Giuseppe Garibaldi nella sua marcia verso il nord.
La prima guerra d’Indipendenza, militarmente sfortunata, non ha mutato la carta politica d’Italia, ma ha risvegliato le coscienze: si chiede a gran voce libertà religiosa per gli acattolici; Ebrei e Italiani hanno combattuto uniti per l’indipendenza d’Italia, e nell’amore per la libertà si sono fusi. La prima guerra d’Indipendenza ha dato agli Ebrei dei Regno di Sardegna l’emancipazione.
XI. Emancipazione - Seconda e terza guerra d’Indipendenza
(…) Scoppia la guerra contro l’Austria; al re, in procinto di lasciare Torino, si presenta una deputazione ebraica capeggiata dal poeta banchiere David Levi, da noi già ricordato, per significargli quanta importanza avesse l’esito della guerra per tutti gli Italiani, ma soprattutto per gli Ebrei: sconfitti gli Austriaci, gli ebrei del Lombardo-Veneto avrebbero ottenuto lo stesso trattamento di quelli del Regno Sardo.
Il 22 marzo, il Ministro degli Interni Vincenzo Ricci presenta un memorandum, in cui chiedeva la completa emancipazione ebraica; ed il 29 dello stesso mese (29 marzo 1848) Carlo Alberto, sul campo dì battaglia di Voghera, firma un decreto col quale concedeva tutti i diritti agli ebrei ed agli altri acattolici. Una grande battaglia era vinta; le sconfitte militari della prima guerra d’Indipendenza non poterono offuscarne la gloria. Curioso particolare storico: il decreto di emancipazione per gli Ebrei del Regno di Sardegna fu firmato nello stesso giorno in cui, nel lontano 1516, era stato istituito in Italia il primo ghetto: quello di Venezia.
Ovunque accolta con favore questa legge (tranne che ad Acqui, dove elementi reazionari inscenarono tumulti alla vigilia di Pasqua), 15 giorni dopo la sua pubblicazione veniva emanato un editto, in forza del quale gli ebrei erano ammessi nelle Università e nell’esercito (fino a questo momento avevano combattuto come volontari e non come regolari). Il 7 giugno una mozione presentata in Parlamento dai liberali dichiarava che le differenze religiose non dovevano impedire il pieno godimento dei diritti civili e politici.
(…) In Francia viene fondato da un ebreo, l’ingegner Carvallo, un giornale dello stesso nome: "L’Opinion" , che sostiene la politica cavouriana. Cavour prepara con somma saggezza ed estrema cautela la seconda guerra d’Indipendenza; ottiene da Casa Rothschild i fondi per fare la guerra contro l’Austria, con la scusa apparente che servivano per costruire la ferrovia del Cenisio. Fino al 1880 Casa Rothschild sovvenzionò la costruzione di tutte le ferrovie d’Europa; per principio Casa Rothschild ha sempre rifiutato prestiti per spese militari. (…)
Alla Spedizione dei Mille (1860) prendono parte otto ebrei fra i quali il capitano veneziano Davide Uziel, il colonnello Enrico Guastalla (da noi già ricordato) e uno studente tedesco, Adolph Moses, che poi andrà in America, dove farà il rabbino. Nello stesso anno, con la battaglia di Castelfidardo del 18 settembre, ha inizio, per opera del generale Cialdini a capo dell’esercito piemontese, la liberazione delle Marche; dopo la vittoria dei Piemontesi, Ancona resiste dieci giorni ancora, assediata per terra e Per mare, e difesa dalle milizie pontifice con a capo il generale Lamoricière; ma il 29 settembre deve capitolare. Durante l’assedio viene distrutto il Tempio Levantino, per dar posto alla costruzione dello scalo Lamoricière; ma forse, oltre che da ragioni belliche, quest’ordine era stato dettato da animosità verso la Nazione ebrea, che doveva ottenere, con l’entrata delle milizie sarde, pieni diritti civili e politici. (…)
Il 17 marzo 1861 il Regno d’Italia viene solennemente proclamato dal Parlamento italiano, al quale tutte le regioni annesse hanno inviato i loro deputati; lo statuto sardo del 1848 entra in vigore in tutto il Regno. Viene così ratificata l’emancipazione ebraica, già riconosciuta nelle varie regioni con relativi decreti, in forma ufficiale.
Ma a Roma le condizioni degli Ebrei sono sempre gravi. Pio IX, da quando, dopo il crollo della Repubblica Romana, è ritornato da Gaeta trionfante e pieno di rancore, ha al suo fianco come segretario di Stato il cardinale Antonelli, fiero oppositore dei patrioti e di qualsiasi riforma. Dopo la caduta della Repubblica Romana, il vacillante Stato pontificio si è servito di soldati stranieri per reprimere i moti delle popolazioni: francesi a Roma e austriaci nelle province. E dopo la liberazione delle province, nella Capitale è rimasto il presidio francese. In questa Roma oppressa da inquisitori e presidiata da milizie straniere, tristissime sono le condizioni degli Ebrei: i giornali stranieri del tempo riportano le impressioni dei visitatori del ghetto di Roma, miserabile quartiere, la cui vista suscita pietà; Sir Moses Montefiore, inviato a Roma a capo della "missione Mortara", nella sua relazione al Board of Deputies of British Jews (Assemblea rappresentativa ebraica) dice che le condizioni degli ebrei romani sono pietose oltre ogni dire. E tali continuano ad essere anche dopo la costituzione del Regno d’Italia. Le antiche interdizioni sono state ulteriormente inasprite. Il fanciullo Mortara, ormai divenuto per tutta Europa simbolo della oppressione pontificia, è trattenuto prigioniero a Roma e avviato al sacerdozio. (…)
L’anno seguente (1867) Garibaldi tenta di liberare Roma coi suoi legionari, fra i quali combattono alcuni ebrei; e infine, nel 1870, ritirate da Roma le milizie francesi in seguito allo scoppio della guerra franco-prussiana, le truppe italiane, al comando del generale Lamarmora, entrano a Roma. Di queste fa parte anche Riccardo Mortara, fratello di Edgardo, che, rapito all’età di meno di 7 anni, è diventato sacerdote cattolico. Presidente della Comunità ebraica di Roma è da molti anni Samuele Alatri; ha rappresentato l’ebraismo romano in tutti i negoziati col Governo pontificio; ha assistito Sir Moses Montefiore nell’infelice "missione Mortara" ; ed ora fa parte della deputazione che deve comunicare al re i risultati del plebiscito. Il 2 ottobre Roma è annessa al Regno d’Italia; 11 giorni dopo un decreto reale abolisce tutte le differenze religiose. (…)
(Fonte: Breve storia degli ebrei in Italia)
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