California, ottobre 1964.
“La volete piantare di fare questa confusione!”.
Il grido della vecchia del primo piano, quello che affacciava sul cortile ed aveva un balconcino con le piante di cactus ben esposte, si sentì per tutto il palazzo e fu sentito dagli stessi ragazzi che, a detta dell’anziana signora, erano colpevoli di quel beccano.
Appena il tuono rappresentato dall’urlo della vecchia si dissolse, le risate in quell’ufficio furono generali.
Robert Andrews era seduto su quella comodo poltrona pieghevole rossa e aveva i piedi poggiati sulla scrivania. Fumava un sigaro che aveva sottratto di nascosto dalla collezione del padre, e aveva l’aria di un ragazzo che voleva divertirsi.
Sulla scrivania vi erano miriadi di fogli disordinati, ognuno con un contenuto differente, che a quanto pare non venivano messi apposto non tanto perché non necessario, ma perché non lo si intendeva fare.
Robert aveva appeso la sua giacca all’attaccapanni sul corridoio, si era slacciato la cravatta e in quella posizione si godeva lo spettacolo.
Mentre Paul Ronnies continuava in vani tentativi di corteggiamento nei confronti di Elisabeth Sanders, che rigettava la avances con un laconico “Dovremo lavorare, caro”, Simon si dedicava a distruggere i volantini inutili facendone palline di carta da cestinare a distanza: il metodo “basket” di vecchia memoria.
Inutile dire che Clark Hughes, forse il principale nemico della vecchia, aveva lo stereo acceso. Sempre sui Beach Boys, ovviamente.
Dunque Robert si godeva lo spettacolo fumando questo sigaro e, tra un riflessione e l’altra (e chi sa quali eminenti pensieri potevano circolare nella mente del ragazzaccio) guardava fisso il manifesto attaccato alla parete proprio davanti alla sua scrivania: “Vote Barry Goldwater for president”, con sopra una foto minacciosa del candidato che, coi suoi occhialoni dell’Arizona, aveva l’aria di colui in grado di incupire tutti. Tutti, compreso il nemico sovietico. Ma di certo non riusciva minimamente ad incupire quei ragazzi in quel comitato elettorale che, anziché lavorare, continuavano a far altro.
“E’ qualcosa di generalizzato” pensò tra se e se ridendo Robert “qui in realtà nessuno fa nulla. Siamo tutti dei fannulloni. La stessa Elisabeth è evidente che ci sta giocando un pò su con Paul…” finché non squillò il telefonò sulla scrivania di Robert.
“Dannazione Clark, abbassa quel cavolo di stereo” urlò Roberto prima di prendere la cornetta: “Pronto? Si, è il comitato di Goldwater per la California del Sud…Si, si…va bene! Non penso ci siano problemi” ed attaccò.
“Ragazzi, ascoltatemi un istante: mi chiamano dal nazionale, dicono che bisogna fare una serie di “volantinaggi” vicino alla costa sud. Capite cosa intendo…bè, cosa aspettiamo allora! I ragazzi vengano con me, è assolutamente sgradita la presenza delle signorine” scatenando una fragorosa risata mentre tutti lo seguivano verso la porta d’uscita.

Robert era sceso dalla macchina (anche questa presa in “in prestito dal padre”) e con lui gli amici che lo seguivano con altre due autovetture.
Si misero, in silenzio a fissare il lato opposto della strada: era pieno di manifesti con su scritti “Rielected the President L.B. Johnson” con la foto dell’ormai nota ragazzina che, mentre giocava ad una specie di “m’ama, non m’ama” in un bel prato verde, si accorgeva che stava partendo un razzo pronto a far piazza pulita di tutto.
Era stato uno shock per Robert quello spot, perché appariva molto “cool”…ma era democratico! Tra l’altro, col cervello che si ritrovava, non aveva minimante capito a cosa si riferiva quello spot: di chi era quel razzo? Dei Charlie? Dei russi? Oppure di…Barry Goldwater!
Tutto questo però non giustificava il fatto che quei manifesti andavano tolti.
I ragazzi attraversarono la strada e incominciarono l’opera. Avevano quasi finito fino a quando non si accorsero che dei loro coetanei guardavano interessati il loro lavoro dall’altra parte della strada.
“Vi stavamo aspettando” disse uno di quelli facendo una strana risatina e qualche passo in avanti.
Anche Robert si girò e disse “Anche noi siamo venuti qui apposta per voi”.

“Se tanto mi da tanto, ci attende un folle 1965!”. Così il commissario Peter VanCklies, apostrofò la guardia di turno che lo attendeva all’ingresso del commissariato.
“Signor comandante, questi ragazzi…”.
“Lo so, lo so! Si prendevano a sprangate! E per quale causa! Per due idioti. Vabbè, vabbè, fammi parlare con loro”.
Il commissario fu immesso in una stanzetta dove Robert e quello che pareva il leader degli “Johnson’s boy” erano stati lasciati alla dovuta distanza.
Il commissario si tolse il cappello da cowboy, guardò i ragazzi fece un lungo sospiro ed incominciò: “Dunque ragazzi. So tutto di voi. Cosa fate, in cosa credete, chi cavolo siete. Ora, io faccio questo mestiere da prima che i vostri fottutissimi corpi fossero nati su questa dannata terra, e di casini, vi assicuro, ne ho visto tanti. E sapete cosa vi dico: che non me ne frega nulla.
Ragazzi, fatemi un piacere, un immenso piacere, come se fossi il vostro amato zio dalla Florida: fate quello che volete, uccidetevi, ammazzatevi, dilaniatevi…ma non lo fate nella mia zona di competenza! Sono stato chiaro!”.
“Ma signor commissario” disse il ragazzo democratico “so per certo che loro hanno tolto dai muri i nostri manifesti in quanto hanno obbedito ad una direttiva dall’alto…”.
“Senti tu “Baby Johnson”, non me ne frega niente delle tue astruse teorie sulla legislazione in merito ai manifesti elettorali. Voi non dovete fare casino perché sennò di mezzo ci passo io, non voi. Sapete che giorno è oggi? Lo sapete? Ve lo dico io: è giovedì. Il mio giorno di riposo, mi stavo divertendo con la mia amaca in giardino e mi arriva una telefonata dal commissariato per voi due. No ragazzi, qui ognuno è libero, è ognuno la può pensare come gli pare: ma di certo mai e poi mai sarei disposto a rinunciare al mio programma preferito alla tv o al mio panino al bacon per una nazista dell’Arizona e un obeso del Texas! Avete capito bene!”.
I due, terrorizzati dalle urla del commissario, fecero di si con la testa.

California, novembre 1964
“Susan cara!”.
“O signora Andrews, come le dona questo vestito!”.
“Hai visto Susan! Questo colore proprio mi dona”.
“E’ vero è splendido…ma ti presento mio marito Jack”.
“Salve signora Andrews!”.
“O salve, è un piacere conoscerla, ma prego accomodatevi, stavamo giusto incominciando coi primi”.
La grande villa della famiglia Andrews era pronta per fare le ore piccole quella notte. Tutti gli amici, i conoscenti e le personalità amiche dell’avvocato Andrews erano infatti giunte per quella festa. Dove, oltre a mangiare, si sarebbero seguiti i risultati elettorali di quella notte. Sperando naturalmente che il candidato dei repubblicani avrebbe vinto.
Robert Andrews nonostante tutto non pareva molto divertito. Stava sempre in qualche angolo ed evitava alla grande gli ospiti dei suoi genitori che tra l’altro gli ponevano sempre le solite due domande: “Come va il college?” e “Come mai hai quella cicatrice sopra il labbro”.
A dir la verità Robert non era nemmeno interessato alle vicende che avrebbero reso folle quella notte.

Delawere, novembre1964.
Quando i primi exit poll, questi curiosi mezzi che oggi come oggi si usano per predire il futuro, affermarono che il presidente Johnson aveva come minimo un vantaggio di un punto percentuale rispetto al senatore Goldwater, la sede locale del Partito Democratico esplose in un grido di gioia.
Saranno state una trentina di persone in quella stanza. Ma apparivano felici. Molto.
Washington DC, novembre 1964.
“Hai mai sentito parlare del metodo della forbice?”.
“Della forbice…della forchetta…cioè il margine…”.
“No, no, non mi riferisco a quello. Si tratta di un metodo per definire i flussi elettorali. Guarda qua: la linea rossa è Goldwater, la linea blu è Johnson. Ora, secondo queste linee Johnson ha un vantaggio di tre punti percentuali su Goldwater. Si chiama metodo della forbice, e non si tratta di questo caso, quando queste rette senza alcuna variazione incominciano ad incontrarsi, andarsi incontro e superarsi”.
“Ah, si. Ho capito. Però mi sembra un tantino…difficile una cosa del genere! Cioè: metti che in tutto il territorio degli Stati Uniti scrutinano prima i voti positivi per un candidato e poi solo quelli negativi…ecco, solo in questo caso, se non ho capito male avviene questo metodo. O forse mi sbaglio?”.
“Guarda, ti sbagli. Il metodo della forbice non esiste”.
“Come non esiste?!?”.
“Nel senso: esiste, ma è impossibile che esso avvenga. Può avvenire solo in modo”.
“E come?”.
“Come faremo noi stanotte”.

Dal libro: “Yankee: ovvero vent’anni di imperialismo americano” di Roberto Petrassi del 2025.
Capitolo 1: la supremazia nel continente.
Nel 1964 si tennero negli Stati Uniti le famose elezioni presidenziali Goldwater-Johnson.
Si tratta senza dubbio delle elezioni più famose (nonché le ultime) della storia democratica americana che diedero un forte cambio alla leadership ed alla condotta americana nel mondo con le conseguenza che tutti noi sappiamo.
L’elezione del presidente degli Stati Uniti Barry Goldwater, che sconfiggendo Johnson lo aveva reso il primo presidente degli Stati Uniti non eletto dal popolo, fu contestata da alcuni ambienti democratici.
Nessuno, ed oggi come oggi le fonti storiche danno prova di ciò, ha serie prove sul fatto che quella notte ci siano stati brogli elettorali. Resta però un fatto unico per una tornata elettorale: per la prima volta infatti le due rette, una rappresentate il candidato democratico l’altro il repubblicano, si andavano incontro a fino a superarsi di poco. Nonostante i primi sondaggi dessero il candidato democratico in vantaggio, la vittoria andò a Goldwater per solo 25.000 voti (però secondo alcuni bisogna contare i dati del Maine, sempre sottovalutati in quanto il calcolo in quello stato è su base proporzionale). Anche le elezioni per il rinnovo di parte del Senato d’altrone gli diede un margine molto risicato: i repubblicani avevano un solo senatore di vantaggio e, nonostante uno di loro si fosse venduto agli avversari in cambio di una presidenza di commissione (Gregoire Deserg) i repubblicano riuscirono a far approvare le leggi del presidente grazie ai voti dei decani del Senato.
Nacque cosi, in maniera molto discussa, la presidenza Goldwater:
Incredulo per il risultato e stanco morto per il troppo lavoro Johnson morì un mese dopo il giuramento di Goldwater e il neopresidente non aspettò molto per attuare il suo diabolico piano.
La prima cosa che fece causò scalpore anche tra gli ambienti repubblicani più vicini ai conservatori: infatti si realizzò una pianificazione dell’economia in nome dello sforzo bellico in Vietnam che a detta del presidente doveva “eliminare i rossi dalla faccia della terra”.
Le relazioni fra Usa e Urss peggiorarono in quanto Barry Goldwater aveva affermato: “Mai e poi mai mi siederò ad un tavolo con i comunisti”. Inutile dire che tutto l’equilibrio mondiale risentì della situazione.
La situazione precipitò quando uscì il noto testo di Goldwater “La mia battaglia per un neo repubblicanesimo pan-americano” in cui si faceva promotore di una conquista, anche per mezzi bellici, del continente americano in nome della superiorità della razza dell’Arizona del Wyoming.
Ciò creò scalpore tra i democratici, che però furono messi tacere con l’incendio delle loro 50 sedi in ogni stato. I partiti, eccetto quello repubblicano, furono sciolti e anche i sindacati che però riuscirono ad ottenere una discreta legislazione sociale dovettero arrendersi. Molti esponenti democratici e dissidenti se ne andarono in Europa.
In concomitanza iniziava l’invasione degli Stati Uniti del Canada giustificato perché: “Si tratta di uno stato inutile, con gente inutile, senza neanche una lingua. E’ uno stato immenso, ma con solo tre abitanti ed una strada. Questo a causa delle cattive amministrazioni del passato. Con la conquista americana di quel paese noi stabiliremo il primato della razza arizoniana e wyominghiana nel nord america”. Ottawa fu conquistata, il parlamento distrutto. Il Quebec votò invece a favore dell’annessione americana tramite plebiscito. La regina d’Inghilterra accettò l’invasione dello stato a patto che potesse nominare come governatore pro-tempore di quella parte del Commonwealth Peter Sellers.
Successivamente Goldwater, sempre su propositi razziali, vietò di parlare lo spagnolo nel territorio americano e diede via all’operazione “Massimiliano D’Asburgo” che aveva come fine la conquista totale del Messico che avvenne senza problemi.
Città del Messico cambiò nome in BarryGrado.
Successivamente conquistò facilmente, utilizzando numerosi missili atomici, tutti gli Stati Americani del Sud, ad esclusione di Cuba, dove resistette il regime castrista, e di Trinidad e Tobago allora governata da una feroce dittatura dei sostenitori dell’ex primo ministro italiano Adone Zoli che erano stati allontanati dall’Italia dall’area dorotea della Democrazia Cristiana.
Dopo che tutto il continente americano era sotto la dominazione statunitense, si tenne il noto discorso del presidente Goldwater alla radio: “Cari compatrioti, finalmente il corollario roosveltiano alla dottrina di Monroe è pienamente attuato! L’America agli americani! Basta con questi ispanici che rendono più insicure le città! L’America sola è unita, cristiana, sotto la mia guida. Ecco perché annuncio che da oggi non esisteranno più gli Stati Uniti d’America, ma l’Impero Americano. Io da oggi sono il vostro Kaiser, rappresentate di Dio sulla terra, colui che vi guiderà verso la purezza e contro le forze comuniste. Sarò detentore di tutti i poteri, e da oggi il congresso diventa “camera dei repubblicani e dei goldwateriani. Il Senato sarà un organismo ad hoc che dovrà invece solo vigilare per materie inerenti…

Capitolo 2: La terza guerra mondiale.
Gli intenti di Goldwater non erano pacifici, e per primo se ne era accorto uno che sarebbe dovuto essere il principale alleato degli Stati Uniti: il primo ministro britannico Harold Wilson che ammoniva sui rischi di un futuro imperialismo americano nel mondo.
Ma tutto il generale De Gualle, che nonostante avesse avuto qualche screzio in passato con gli Usa per via dell’alleanza atlantica, volle subito firmare un trattato di non invasione (“così, per sicurezza” disse il generale). A risposta negativa degli americani avvenne il secondo sbarco in Normandia nella storia: gli americani si sbarazzarono dell’esercito francese che non potè nemmeno utilizzare l’arma atomica in quanto il generale De Gaulle si era scordato i codici per attivare le testate nucleari (da qui la nota frase “Un paese che produce mille formaggi è ingovernabile”).
Goldwater giunse in carro armato a Parigi, e per miracolo scampò ad un attentato terroristico firmato dalla “Brigata Gavril Prinzip” del IV° arrondisment di Parigi, che rivendicavano la supremazia della corrente di Benoit Hamot contro quella di Fabius e Delanoe, per la vittoria nei circoli del Partito socialista della circoscrizione estera.
Il premier inglese Wilson dichiarò alla Bbc: “Si è conclusa quella che possiamo definire la battaglia di Francia. Ha ora inizio la battaglia d’Inghilterra. Non ci cambierete mai! Saremo sempre dei democratici, non rinunceremo mai al Liverpool alle 15 del sabato e non ci presteremo al vostro stupido pallacanestro. Avanti o soldati della terra della gloria e della speranza! Torniamo a Philadelpia!”.
L’aeronautica americana iniziò una serie di bombardamenti a Londra che però registrarono un’eroica resistenza da parte inglese. Sfruttando lo stallo Leonid Breznev firmò nella notte del 7 giugno 1965 a nome di tutto il Patto di Varsavia un’alleanza con la Repubblica Federale Tedesca, l’Austria e l’Italia per attaccare gli americani sul fronte orientale.
Sempre in contrasto all’imperialismo Goldwateriano si unirono le neo-organizzate forse giapponesi guidate dallo scrittore Mishima che aveva vinto le elezioni del suo paese l’anno prima in nome dell’antiamericanismo causando una scissione all’interno del Partito liberaldemocratico con relativa indicazione del premier da parte nel Nuovo Komeito.
Tutto il mondo si accorse che una guerra agli Stati Uniti non era solo un semplice contrasto ideologico, ma il tentativo di affermare quei valori e quel percorso politico secolare che la deriva neoimperialista di Washington stava fortemente compromettendo.
Grazie anche all’opera dei partigiani francesi le forze americane persero l’89% del loro arsenale in Francia nei pressi di Sedan, anche perché Goldwater si era scordato che gli Stati Uniti erano in contemporanea impegnati sul fronte vietnamita.
Mentre l’Armata Rossa e le armate alleate questa volta percorrevano l’atlantico per giungere negli Stati Uniti, gli stessi americani si ribellarono con attività di contrasto contro le forze imperiali di Goldwater.
Distrutta la Casa Bianca, Goldwater si rifugiò al Campidoglio dopo che si era accorto che la Corte Suprema era chiusa a causa dello sciopero del portiere unico, figura mitica nella giurisprudenza americana.
Goldwater tentò il suicidio ma fu salvato in maniera insperata dal vicepresidente (anzi: vice imperatore) Miller che subito dopo si suicidò egli stesso in quanto si era dimenticato che in caso di morte dell’imperatore per costituzione gli subentra il suo vice.
Entrati a Washington Breznev, Wilson, De Gualle e Moro fecero le seguenti richieste all’imperatore Goldwater:
1)sciolga l’impero, renda indipendenti come prima tutti gli stati del sud e del centro America.
2)ci scriva una tesi e una confutazione sulla misteriosa esistenza degli stati del Delawere e del Wyoming.
2)si ritiri a vita privata.
3)si tolga quegli occhiali: sembra Craxi.
Umiliato dalle richieste, special modo dall’ultima, si suicidò nel suo ranch di Phoenix al grido “Ich Bien un Lombardiano”.
“E’ sempre la solita storia: ogni volta che incontravo una persona che si dichiarava socialista sentiva sempre la necessità di precisare: si, ma lombardiano!” commentò la le risate della nomenclatura del Cremlino Breznev mentre brindava coi suoi tre alleati il raggiunto accordo per la spartizione in 4 aree di influenza degli Stati Uniti d’America.