Recensione:
Sabato 13 dicembre 2008 si è tenuta nei locali di Raido la conferenza dal titolo “Natale indoeuropeo”. Il Natale non deve essere identificato un momento specificamente cristiano che celebra la nascita di Gesù Cristo, tanto meno con lo sterile momento di consumi, bevute e giochi che è diventato oggi, ma va considerato e vissuto come simbolo di quella sensibilità e spiritualità superiore che fa capo ad una realtà soprasensibile. Mario Polia ha concisamente definito il Natale una realtà dello spirito, un simbolo collegato al Sole, a tutto ciò che è vita e luce radiante, fornendo tra l’altro un’immagine del Sole a cui non si è soliti pensare: il Sole come un lavoratore che si affatica per dar luce al mondo intero e per illuminare anche i defunti. Non a caso la data del Natale è fatta derivare dal “natalis solis invicti”(nascita del Sole invincibile), ricorrente nell’antica Roma proprio il 25 dicembre, coincidente all’incirca con il solstizio d’inverno, momento in cui il Sole raggiunge il massimo valore di declinazione negativa nel suo moto apparente lungo l’eclittica per poi ricominciare la fase ascendente.
E’ qui che subentra il primo spunto di riflessione, il cui oggetto è costituito da un uomo del passato capace di osservare i cicli naturali, di vivere in maniera più intensa e sapiente il rapporto con la natura così da trarre dalle sue leggi le leggi dello spirito, da considerare il mondo come un ordine basato tanto su leggi fisiche quanto metafisiche; un uomo capace di comprendere che gli Dei hanno suscitato il mondo basandolo su ritmi che spetta poi soltanto a lui mantenere integri attraverso il rito, il sacrificio e la preghiera. L’esatto contrario di ciò che si osserva oggi, quell’idea secondo cui oltre il visibile non c’è nulla e che sembra alla radice dell’angoscia propria dei contemporanei. Il secondo tema su cui meditare è il quesito che scaturisce dalla nascita del Cristo o di Mithra: “da quale pietra nasce la divinità?” A questa domanda Polia risponde spiegando che la pietra è freddezza e solidificazione dell’anima e la divinità è forza creatrice, inafferrabile e incostringibile. Noi siamo la pietra, che però può essere sublimata così da far brillare il Dio che è nella pietra, in noi, poiché ogni essere è figlio di una scintilla divina e il cuore di ogni essere deve divenire quella stessa grotta mistica da alimentare con il proprio impegno, il proprio sacrum facere. È qui che bisogna intravedere la metafisica del Natale. Il terzo ed ultimo invito alla meditazione è quello del Sole che, dopo essere sprofondato nel punto più basso dell’eclittica, ritorna, torna a spendere, rinasce e da questo momento in poi ogni giorno diviene più lungo ed ogni notte più breve, proprio dopo che il Sole sembrava cadere nel più oscuro declino. Per questo allora bisogna vivere il Natale come momento di rinnovamento attraverso un più lungo tempo concesso alla meditazione, bisogna imparare a stare soli e dialogare con se stessi e soprattutto comprendere l’idea di comunità nel senso di idea-forza attorno a cui ci si stringe e da cui si fa nascere la potenza divina.
In tutto ciò si rivela necessario fare una ricapitolazione leale di ciò che abbiamo compiuto durante l’anno trascorso, nel bene e nel male; per conoscere ed ammettere quanto di noi stessi abbiamo ricondotto alla risurrezione e quanto, invece, abbiamo seppellito nel fango. Nel nuovo anno dovremo superare noi stessi anche laddove non siamo stati capaci; percepire il divino che è in noi e chiedere a colui che fa sorgere questo Sole di renderci portatori di una fiaccola fatta della sua luce contro le tenebre di questo mondo.