La censura avanza indefessa su wikipedia. Un utente si accanisce in particolare su http://it.wikipedia.org/wiki/Silvio_Gesell e sulle voci a lui correlate. Osservando la cronologia si possono osservare le assurde ed immotivate censure operate impunemente dall'utente, che per un qualche motivo incomprensibile si accanisce selettivamente e periodicamente su certi gruppi di voci, come fosse preda di un ocd. Nell'enfasi cancella perfino particolari irrilevanti, ad esempio nella voce http://it.wikipedia.org/wiki/Poliamore ha tolto dalla lista delle persone poliamorose il Gesell, come sempre con motivazioni false. Ad esempio della sua falsità, ha cancellato il collegamento della voce http://it.wikipedia.org/wiki/Distributismo alla voce http://it.wikipedia.org/wiki/Salario dicendo che non c'entra l'una con l'altra; solo che il distributismo è una teoria che prevede l'abolizione del lavoro salariato, e quindi non si capisce perchè non dovrebbe essere ricollegata a "salario". Eclatante poi la pesante censura operata su http://it.wikipedia.org/wiki/Valore_aggiunto , vi incollo qui il pezzo censurato, perchè è talmente importante che è inconcepibile che gli venga avvallata la censura dagli altri utenti:
Si possono intendere ad esempio quattro casi:
Un artigiano produce giornalmente un certo numero di beni utilizzando un certo valore per realizzarli. Cedendoli per una cifra superiore al valore della spesa, otterrà un plusvalore.
Un operaio dipendente produce giornalmente un certo numero di beni utilizzando un certo tempo ed ingegno per realizzarli. Ma il suo plusvalore verrà gestito dal padrone, il quale equiparerà il lavoro dell' operaio ad una merce spesa secondo il salario di cui l' operaio necessita. In questo caso non si ha plusvalore, ma mercificazione.
Un commerciante smercia giornalmente un certo numero di beni utilizzando un certo valore per acquistarli. Cedendoli per una cifra superiore al valore della spesa, otterrà un plusvalore.
Analisi economica
Il valore aggiunto visto da Marx
Karl Marx ha basato le sue teorie analizzando il concetto di plusvalore. In particolare ha analizzato il punto due sopraesposto, valutando il plusvalore nel lavoro dipendente trasformato in mercificazione. Quest’ultimo risultato è per Marx possibile perché il lavoro necessario alla reintegrazione del valore della forza-lavoro assorbe solo una frazione dell’intera giornata lavorativa. Così, ad esempio, mentre la giornata lavorativa è di otto ore, nell’equivalente pagato per l’uso giornaliero della forza lavoro, nel salario, sono oggettivate solo cinque ore. Il lavoro svolto nelle rimanenti tre ore (pluslavoro) determina il plusvalore di cui si appropria il capitale e rappresenta l’entità della sua valorizzazione.
In termini formali, se L è la quantità di lavoro impiegata per una determinata produzione e V il lavoro necessario alla riproduzione della forza-lavoro, il plusvalore Pv sarà dato dalla differenza:
Il plusvalore è per Marx l'unica fonte del profitto, la cui realizzazione ed accumulazione costituiscono il fine essenziale del capitale.
Pertanto ogni capitalista pratica metodi per accrescere il plusvalore. Tali metodi sono classificati da Marx nel modo seguente:
Plusvalore assoluto. Si tratta di tutti i metodi che cercano di espandere, a parità di altre condizioni, il lavoro assoggettato al capitale. Tra questi il più classico è il prolungamento della giornata lavorativa, che consente di ampliare le ore di pluslavoro quando siano date e costanti le ore di lavoro necessarie alla riproduzione della forza-lavoro (lavoro necessario). Anche l'estensione dei soggetti sottomessi allo sfruttamento (si pensi ad esempio al lavoro minorile) possono rientrare in questa classificazione.
Plusvalore relativo. Sono questi i metodi che consentono di ridurre le ore di lavoro necessario o, che è lo stesso, del capitale variabile. Infatti, ponendo costante la durata della giornata lavorativa, al diminuire delle ore di lavoro necessario il pluslavoro aumenta. Poiché il salario non può scendere al di sotto del livello di sussistenza, il modo tipico di ridurre il tempo di lavoro necessario è l'aumento della produttività del lavoro: se occorrono meno ore di lavoro per produrre i beni di consumo dei lavoratori, si riduce il lavoro necessario anche senza diminuire i consumi dei lavoratori, cioè i salari reali.
Il valore aggiunto visto da Sraffa
La più grande critica che arriva all' analisi marxiana è stata elaborata da Piero Sraffa. Secondo Sraffa
il prezzo d'equilibrio viene determinato dall'intersezione tra la curva della domanda e quella dell'offerta;
la curva dell'offerta, simmetrica a quella della domanda, è basata sulla legge dei rendimenti decrescenti (primo tratto) e sulla legge dei rendimenti crescenti (secondo tratto).[1]
Quanto ai rendimenti decrescenti, secondo Sraffa vi sono due casi:
se un bene viene prodotto utilizzando una quota considerevole di un fattore scarso, un piccolo aumento della produzione comporta un significativo aumento del costo sia di quel bene, sia di altri beni nella cui produzione venga impiegato; ne seguono una minore domanda di quel bene e di quel fattore scarso, quindi il contenimento del loro costo;
se un bene viene prodotto utilizzando una piccola quota di un fattore scarso, un piccolo aumento della sua produzione si traduce più in una riduzione delle quantità del fattore scarso utilizzate da altre imprese che in un suo generale maggiore utilizzo; l'incremento del costo del fattore è quindi trascurabile;
In sostanza, Sraffa dimostra che:
non è possibile individuare una legge che determini simultaneamente il salario ed il saggio del profitto (come remunerazioni, rispettivamente, del lavoro e del capitale), in quanto:
il saggio del profitto può essere determinato solo fissando il salario (o viceversa);
non è possibile misurare il capitale senza determinare anche i prezzi (compreso il profitto), quindi non è possibile calcolare il profitto sulla base del valore del capitale (come sua remunerazione);
non si può assumere che, all'aumentare del salario, il lavoro venga sostituito dal capitale, in quanto il valore del capitale dipende dalla durata dell'investimento iniziale; considerando capitali di diversa durata, può ben succedere che si preferisca sostituire capitale con lavoro anche se i salari aumentano (cosiddetto "ritorno delle tecniche"); ne segue che non è possibile attribuire la disoccupazione all'aumento dei salari, come se si trattasse di minore domanda di un fattore di produzione il cui prezzo è aumentato.
Il valore aggiunto visto da Gesell
Secondo Gesell, quando Marx parla di plusvalore lo fa superficialmente sottovalutando i risvolti effettivi. Questo perché non tutte le persone della società producono, ma alcune svolgono servizi utili anche se improduttivi (settore terziario). Quindi la totalità del valore delle merci prodotte non può obbiettivamente andare solo a chi produce letteralmente, ma deve essere suddivisa tra tutta la società. Astrattamente, se sette persone su dieci producono, il valore aggiunto corrisponderà quindi a 3/10 del valore reale della loro produzione. Guardandolo sotto un punto di vista più pratico lo si può vedere così: il plusvalore accumulato dal capitalista è intrinsecamente finalizzato nel caso di necessità, ovvero nel caso di investimenti da fare o danni da riparare. Solo nel caso ciò non si verifichi (e quindi il capitalista in questione si dimostri un buon amministratore) allora potrà permettersi di attingere al capitale immagazzinato. Dopotutto non potrebbe obbiettivamente cedere il plusvalore ai dipendenti confidando in una sua improbabile restituzione in caso di necessità aziendale. E' quindi un fattore irrinunciabile.
In virtù di questa necessità il salario dei dipendenti è mantenuto il più basso possibile dal capitalista, ma l' interpretazione marxista è fuorviante. Marx da un valore al tempo, cosa che non corrisponde alla realtà. Si da per scontato che una persona possa lavorare un certo tempo massimo al giorno. Un dipendente non accetterebbe di lavorare sotto una certa cifra giornaliera, corrispondente alla cifra minima per vivere, che quindi esigerà, a prescindere dal lavoro da svolgere. A parità di salario minimo giornaliero il capitalista quindi cercherà di mantenere al lavoro il dipendente più tempo possibile. Ecco quindi stabilita un equivalenza. Quindi il rapporto salario/tempo è scollegato e fittizio, è stabilito solo per convenzione bilaterale.
Assodato ciò, secondo Gesell anche le teorie di Marx sul paragone salari/prezzi risultano sbagliate. Marx definisce la differenza tra salari totali di un azienda e fatturato (ovvero il totale del valore delle merci vendute) il plusvalore. E secondo Marx il concetto di plusvalore è un aberrazione. Gesell invece dice che nella realtà sono i prezzi delle merci che vengono spontaneamente ad adattarsi sui salari generali. Questo per una semplice legge domanda/offerta che può essere riassunta nello schema:
Determinazione capitalista del prezzo di un prodotto sulla base del potere d' acquisto del consumatore
Distribuendo il plusvalore e quindi aumentando i salari automaticamente aumenterebbero di pari misura i prezzi, annullando di fatto l' aumento salariale, ed avviando una spirale inflazionistica. In definitiva il plusvalore è un adattamento spontaneo ed inevitabile del mercato, non un "aberrazione disonesta" creata dal padrone.[2]