Originariamente Scritto da
Sheran
Intervista a
Gamāl al-Bannā.
In Italia sta emergendo il fenomeno dei musulmani che si convertono al cristianesimo. Lei come li giudica?
«Sono liberi di credere in ciò che vogliono. Il Corano non pone alcun divieto alla libertà di coscienza. Dio dice: "
Non c’è costrizione nella religione" (Corano, II, 256). E ancora: "
A voi la vostra religione, a me la mia" (Corano, CIX, 6).
La religione non può essere imposta».
Ma sono apostati? E in quanto tali debbono essere puniti con la morte?
«Sono apostati. Ma sono liberi di esserlo. Dio dice: "C
hi vuole creda, chi non vuole respinga la fede" (Corano, XVIII, 29). In realtà la questione si pone perché vi è una discrepanza tra il dettame del Corano, l’esempio del profeta Mohammad (Maometto) e tra l’interpretazione dei
faghih, i giureconsulti islamici.
Ebbene purtroppo oggi i
faghih appartenenti al sunnismo e allo sciismo concordano sul fatto che l’apostasia vada sanzionata con la pena di morte. Ci sarebbe un solo
hadis, un detto attribuito al Profeta, che prevederebbe la morte dell’apostata.
Secondo quanto riferito dal suo compagno Ibn Abbas, il Profeta avrebbe affermato: "
Uccidi chi cambia religione". Ma si tratta di un
hadis ahad, cioè che ha un’
unica fonte di riferimento,
che non è comprovato da altre testimonianze.
Quindi non va preso in considerazione. In ogni caso quanto prescrive il Corano, che è parola di Dio, prevale su tutto il resto».
Lei considera l’apostasia come un diritto del musulmano nell’ambito della sua libertà di coscienza?
«Dobbiamo tenere presente che la fede si basa essenzialmente sulla volontà personale. Dio stesso ha voluto creare una umanità diversificata.
Ogni forma di costrizione, di arbitrio o anche di semplice ingerenza nella sfera della fede religiosa
deve pertanto
essere categoricamente esclusa.
Tutte le questioni attinenti alla fede devono essere trattate con la logica dell’appello e del dialogo, così come Dio ha invitato i profeti a fare».
Quindi lei esclude categoricamente la pena di morte per l’apostata?
«Sì, nel modo più assoluto.
La fede e l’apostasia rientrano nella sfera delle scelte personali. Dio dice: "
Se fate il bene, lo fate a voi stessi; se fate il male, è a voi stessi che lo fate" (Corano, XVII, 7).
Dio riconosce che la fede è un fatto personale.
L’apostata non soltanto non deve essere ucciso, ma non deve essere in alcun modo discriminato, non gli deve essere fatto alcun male».
Ma quanti la pensano come lei nel mondo musulmano?
«Ho già detto che purtroppo la maggioranza dei faghih sono fautori dell’uccisione dell’apostata. Io e altri teologi islamici riformisti stiamo cercando di modificare questo orientamento.
Recentemente alcuni teologi hanno sostenuto che il periodo di "pentimento" dell’apostata, prima dell’applicazione della pena di morte, non deve essere limitato a soli tre giorni bensì protrarsi per tutta la vita. Di fatto è una revoca della sanzione».
Come valuta la realtà delle comunità musulmane in Italia e in Europa?
«Noi ci auguriamo che il pensiero e l’opera di personalità moderate, come mio nipote Tareq Ramadan, possano contribuire a risolvere la crisi dell’islam in Europa. Noi consideriamo la religione come un fatto attinente alla sfera privata. Siamo per la separazione tra la religione e lo Stato. E’ il potere che danneggia la fede. E’ successo per l’islam, per il cristianesimo e anche per il comunismo. E’ ora di separare la religione dallo Stato»
Tu hai riportato i tuoi versetti, io i miei.
Ci sono molte interpretazioni che si possono dare al testo sacro.
Tu segui quella originale, io no.