Il lavoro precario ed il futuro dell'Italia

Due cose hanno colpito la mia attenzione leggendo i giornali di oggi ( a parte naturalmente l'aggressione colonialistica della potente aviazione di guerra israeliana contro il popolo palestinese di Gaza-Masada): una curiosa dichiarazione di Berlusconi che dice di voler lasciare l'Italia se verranno alla luce intercettazioni telefoniche che lo riguardano. Dichiarazione curiosa e ripetuta: già un'altra volta il Presidente del Consiglio ha accennato alla volontà di stabilirsi all'estero. Ora i casi sono due: o effettivamente esistono intercettazioni che se pubblicate creerebbero tale scandalo da costringerlo alle dimissioni o da costringere la magistratura nonostante il lodo Alfano di occuparsi di lui, oppure il nostro che è esperto nell'arte della comunicazione comincia a preparare gli animi ad un suo allontanamento dall'Italia. E' una ipotesi sciocca? E' una ipotesi fantascientifica? Perchè lo farebbe? Indubbiamente le condizioni finanziarie del Paese debbono essere assai più gravi di quanto si vorrebbe far credere. Per uno che predica ottimismo e spinge tutti a spendere (naturalmente chi ha i soldi per farlo) questo balenare la prospettiva di un suo allontanamento non sembra molto incoraggiante.... Voglio sperare che si tratti di mero flatus, di una maniera come un'altra per tenere inchiodata l'attenzione della gente sulla sua persona. Possibile che la situazione possa degenerare fino al punto di subire la perdita di controllo dei conti?
Voglio sperare che io non sia diventato troppo "apprensivo" e che abbia in qualche modo scambiato lucciole per lanterne....

L'altra grande novità di oggi è la dichiarazione del Pontefice sul lavoro precario. Le parole sono state molto ferme e di grande preoccupazione. Dietro c'è non solo la sensibilità di una Persona investita da alta funzione religiosa, ma l'approfondimento e lo studio di una struttura che ha sensori enormi nel sociale e che registra nei suoi terminali le probloematiche delle generazioni cattoliche che si susseguono nella vita della Chiesa e delle sue organizzazioni.

L'Italia ha un numero di precari enorme ed in crescita. (*) Non si tratta di contratti necessitati da esigenze produttive delle aziende. La prova è data dal fatto che lo stesso contratto a tempo determinato viene rinnovato più volte alla stessa persona. Si tratta invece di una scelta di strategia delle "risorse umane" da parte delle imprese: il precariato crea ansia di riconferma, di captare la benevolenza, di accettare condizioni minime di retribuzione. La legge Biagi ha fornito un arsenale di possibilità ai datori di lavoro. Spesso si tratta di fumus, di truffe: se pensiamo ai contratti a progetto ed alla esistenza di oltre un milione di essi. Ma quanti progetti ci sono nel mondo del lavoro italiano ? La tendenza che il gruppo di giuslavoristi (Ichino,Boeri,Letta,Treu) vuole imprimere è quella di una generalizzazione del contratto di pracariato attraverso un finto contratto a tempo indeterminato naturalmente deprivato della tutela dell'art.18. Questo specchietto per le allodole viene agitato davanti agli occhi dei precari come condizione di miglioramento dell'attuale loro stato di cose. In effetti li inchioderebbe per sempre nello stato di sofferenza dei diritti negati e, se alla fine, dovesse qualcuno di loro giungere al traguardo del tempo indeterminato si troverebbe sempre sotto ricatto dal momento che non avrebbe più la tutela della "giusta causa".
E' impressionante il comportamento passivo, di acquiescenza, di collaborazione, di complicità delle Confederazioni Sindacali CGIL,CISL,UIL con il padronato italiano su questo tema. Anche i partiti che si appoggiavano ai lavoratori hanno accettato la precarizzazione e ne hanno fatto una condizioni per la buona salute dell'economia italiana, salute che si deve realizzare solo e soltanto a spese dei lavoratori. Il massimo della loro apertura verso la sofferenza dei precari è la cosidetta flexisecurity e cioè la dotazione al precariato di ammortizzatori sociali, un'operazione disastrosa dal punto di vista finanziario dal momento che la patologica dimensione del precariato italiano assorbirebbe risorse che non sarebbe assolutamente possibile trovare nel bilancio del Paese. Bisognerebbe aumentare le tasse. Il tutto per assecondare una linea che congela i salari e gli impegni delle aziende al momento dato e, dal momento che questi sono insufficienti a garantire un minimo di sopravvivenza, cercano altrove fonti di integrazione. E' la proposta della settimana corta di Sacconi, è anche la proposta degli ammortizzatori sociali per i precari per i quali si sprecano personaggi da Veltroni a Ferrero.
L'Italia non può camminare verso il futuro con una classe lavoratrice fatta soltanto di precari seppur in parte finanziati dallo Stato. Se non c'è futuro per le famiglie dei lavoratori non c'è futuro per il Paese. Le politiche salariali e dei diritti seguite negli ultimi anni hanno introdotto disagio ed infelicità in milioni e milioni di lavoratori. Non è vero che c'è una crisi generale. La crisi è solo per una metà della popolazione che ha dovuto registrare una perdita di almeno il trenta per cento del proprio reddito mentre altre parti della popolazione si sono arricchite. Non ci vogliono grandi studi per vedere come i consumi natalizi si sono contratti terribilmente soltanto per le grandi masse popolari mentre i negozi di lusso e i consumi di lusso hanno registrato incrementi che saranno confermati in occasione del prossimo capodanno.
Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/
www.spazioamico.it



(*) "Negli ultimi nove anni il peso dei contratti a tempo determinato sul totale delle assunzioni previste dalle imprese è aumentato di 12 punti percentuali, passando dal 30,8% del 2001 al 42,6% previsto per il 2008 (pari a 352 mila assunzioni, allo stesso livello del 2007). Nelle imprese, tuttavia - rileva l’indagine - aumentano anche i contratti ’stabili’, che quest’anno dovrebbero superare le 392 mila unità, pari al 47,4% delle 827.900 entrate stagionali.
Mentre rimane poco consistente il ricorso al nuovo apprendistato e al contratto di inserimento (rispettivamente 8,0% e 1,6%), e cala il ricorso al part-time (13,4%, a fronte del 15,0% del 2007), il contratto a tempo determinato, che le imprese usano soprattutto per far fronte a picchi di attività, sembra anche assumere sempre più il carattere di “contratto di prova”: lo confermano gli oltre 130 mila contratti a tempo determinato utilizzati proprio per “testare” nuovo personale. E considerato che per il 24% dei dipendenti a termine in forza presso le imprese nel 2007 si prevede una trasformazione in lavoratori a tempo indeterminato nel corso del 2008, la “flessibilità in entrata” sembra sempre più rappresentare una condizione “di passaggio”.
La tendenza evidenziata dall’indagine Excelsior è confermata anche dall’Istat, che, analizzando la situazione nelle grandi imprese, indica un aumento costante dei contratti a tempo determinato: dal 64,9% del totale del 2000 hanno raggiunto il 72,7% nel 2007 (il 55,4% a termine), con un peso maggiore nei servizi (75,7%) rispetto all’industria (65,4%). La realtà del precariato italiano è comunque più contenuta rispetto al resto d’Europa: l’Italia, infatti, con il suo 13,2% di occupati a tempo determinato sul totale alla fine del 2007, si mantiene al di sotto della media dei Ventisette (14,5%) e ben lontana dai livelli della Spagna, dove i contratti a scadenza rappresentano il 31,7% del totale".

Da: http://blog.panorama.it/economia/2008/08/04/precari-ditalia-dubbi-sulle-norme-e-numeri-in-aumento/