«In Italia 30 mila casi ma dal divieto del 2006 neanche un processo»
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• da Corriere della Sera del 23 dicembre 2008, pag. 11
di C. Zec.
«Si dice che siano almeno 30 mila in Italia le donne e le bambine mutilate nelle varie comunità di immigrati. Ma chissà quante sono davvero? E dove? Sono anni che mi batto per avere un osservatorio nazionale, che manca ovunque per altro. Solo così sapremo come agire, in quali lingue e con quali strumenti fare prevenzione e dissuasione. Per ora, almeno, abbiamo la legge». Emma Bonino, vicepresidente del Senato, radicale e da tempo in guerra contro le mutilazioni genitali femminili (mgf), si consola pensando che «per il divorzio la lotta è durata 14 anni». Per bandire le mgf - la normativa è stata approvata nel gennaio 2006 - c’è voluto in fondo meno. Ma è applicata? Genitori, medici, o chiunque effettui l’«operazione» (spesso in condizioni igieniche pessime, senza anestesia) sono perseguiti? In realtà, da quando la legge è passata non c’è stato un solo processo (due furono celebrati prima del2oo6) e nemmeno una denuncia.
«Fatta la legge, e un po’ di pubblicità con poster per le strade, poi c’è stato un totale silenzio», denuncia Marian Ismail, somala e presidente dell’Associazione Donne in Rete di Milano. «Ci sono i fondi e non si capisce come vengano gestiti. E stato organizzato un tavolo tecnico dal governo e i risultati del lavoro sono rimasti in un cassetto. E intanto quasi nessun immigrato sa che le mutilazioni da noi sono proibite, chi lo sa vede che la legge non è applicata: così continua a portare le figlie "in vacanza" in patria per farle mutilare, o trova chi lo fa in Italia. Duemila bambine a rischio ogni anno si dice, ma di certo non sappiamo niente». Anche per Ismail è quindi vitale la creazione di un data base che raccolga informazioni di medici, ospedali, operatori, che pur rispettando la privacy permetta di capire dove e come concentrare gli sforzi. Responsabilizzando le ambasciate dei Paesi interessati (molti immigrati ignorano che a casa loro le mgf sono ora proibite). Coinvolgendo le seconde generazioni, ponte tra comunità e società italiana. Allargando l’azione con il numero verde promesso dalla legge e mai attivato, su cui è pronto a collaborare il Telefono Azzurro (chiamato al Cairo come consulente per la sua linea anti-mgf). In sintesi: superando l’attuale fase in cui il poco che si fa è solo grazie ai volontari e ai singoli: «Come i medici che accolgono i barconi di clandestini a Lampedusa - dice Ismail -. Molte di quelle donne per partorire devono essere deinfibulate».
Qualche importante segnale positivo però si coglie in Italia: ad esempio, lo sforzo finanziario e non solo della nostra Cooperazione. «Siamo impegnati in vari progetti per il mondo - spiega Elisabetta Belloni, direttore Generale della Cooperazione italiana, presente alla Conferenza del Cairo -. L’azione va articolata su tre settori: sul territorio per far prevenzione e assistenza; sui media per promuovere leggi che riconoscano le mgf come crimine, omogenee a livello internazionale; con una più ampia battaglia per i diritti umani, ambito in cui l’Italia ha una forte tradizione di impegno».
E anche in Parlamento la questione non è in fondo ignorata: Giulia Buongiorno, avvocato e presidente della Commissione Giustizia della Camera presente anche lei alla Conferenza egiziana, sostiene che «le mgf nascono dalla discriminazione della donna, esattamente come tanta violenza sommersa in Italia». E che «respingendo la posizione di chi dice "non sono un problema nostro", penso invece che vadano combattute con più decisione: nel mio recente progetto di legge contro la pedofilia, chi viene a sapere del reato ha il dovere giuridico di denunciare, altrimenti è perseguibile come complice. Lo stesso deve essere per le mutilazioni». Proposta che però non trova tutti d’accordo. «Un’altra legge? Non ci serve - commenta Emma Bonino -. L’importante è applicare davvero quella esistente. Lanciare finalmente una vera campagna. Fatti e non parole».