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    Predefinito Emma Bonino: dichiarazioni e articoli

    «In Italia 30 mila casi ma dal divieto del 2006 neanche un processo»

    http://www.radicali.it/view.php?id=134467
    • da Corriere della Sera del 23 dicembre 2008, pag. 11

    di C. Zec.

    «Si dice che siano almeno 30 mila in Italia le donne e le bambine mutilate nelle varie comunità di immigrati. Ma chissà quante sono davvero? E dove? Sono anni che mi batto per avere un osservatorio nazionale, che manca ovunque per altro. Solo così sapremo come agire, in quali lingue e con quali strumenti fare prevenzione e dissuasione. Per ora, almeno, abbiamo la legge». Emma Bonino, vicepresidente del Senato, radicale e da tempo in guerra contro le mutilazioni genitali femminili (mgf), si consola pensando che «per il divorzio la lotta è durata 14 anni». Per bandire le mgf - la normativa è stata approvata nel gennaio 2006 - c’è voluto in fondo meno. Ma è applicata? Genitori, medici, o chiunque effettui l’«operazione» (spesso in condizioni igieniche pessime, senza anestesia) sono perseguiti? In realtà, da quando la legge è passata non c’è stato un solo processo (due furono celebrati prima del2oo6) e nemmeno una denuncia.

    «Fatta la legge, e un po’ di pubblicità con poster per le strade, poi c’è stato un totale silenzio», denuncia Marian Ismail, somala e presidente dell’Associazione Donne in Rete di Milano. «Ci sono i fondi e non si capisce come vengano gestiti. E stato organizzato un tavolo tecnico dal governo e i risultati del lavoro sono rimasti in un cassetto. E intanto quasi nessun immigrato sa che le mutilazioni da noi sono proibite, chi lo sa vede che la legge non è applicata: così continua a portare le figlie "in vacanza" in patria per farle mutilare, o trova chi lo fa in Italia. Duemila bambine a rischio ogni anno si dice, ma di certo non sappiamo niente». Anche per Ismail è quindi vitale la creazione di un data base che raccolga informazioni di medici, ospedali, operatori, che pur rispettando la privacy permetta di capire dove e come concentrare gli sforzi. Responsabilizzando le ambasciate dei Paesi interessati (molti immigrati ignorano che a casa loro le mgf sono ora proibite). Coinvolgendo le seconde generazioni, ponte tra comunità e società italiana. Allargando l’azione con il numero verde promesso dalla legge e mai attivato, su cui è pronto a collaborare il Telefono Azzurro (chiamato al Cairo come consulente per la sua linea anti-mgf). In sintesi: superando l’attuale fase in cui il poco che si fa è solo grazie ai volontari e ai singoli: «Come i medici che accolgono i barconi di clandestini a Lampedusa - dice Ismail -. Molte di quelle donne per partorire devono essere deinfibulate».

    Qualche importante segnale positivo però si coglie in Italia: ad esempio, lo sforzo finanziario e non solo della nostra Cooperazione. «Siamo impegnati in vari progetti per il mondo - spiega Elisabetta Belloni, direttore Generale della Cooperazione italiana, presente alla Conferenza del Cairo -. L’azione va articolata su tre settori: sul territorio per far prevenzione e assistenza; sui media per promuovere leggi che riconoscano le mgf come crimine, omogenee a livello internazionale; con una più ampia battaglia per i diritti umani, ambito in cui l’Italia ha una forte tradizione di impegno».

    E anche in Parlamento la questione non è in fondo ignorata: Giulia Buongiorno, avvocato e presidente della Commissione Giustizia della Camera presente anche lei alla Conferenza egiziana, sostiene che «le mgf nascono dalla discriminazione della donna, esattamente come tanta violenza sommersa in Italia». E che «respingendo la posizione di chi dice "non sono un problema nostro", penso invece che vadano combattute con più decisione: nel mio recente progetto di legge contro la pedofilia, chi viene a sapere del reato ha il dovere giuridico di denunciare, altrimenti è perseguibile come complice. Lo stesso deve essere per le mutilazioni». Proposta che però non trova tutti d’accordo. «Un’altra legge? Non ci serve - commenta Emma Bonino -. L’importante è applicare davvero quella esistente. Lanciare finalmente una vera campagna. Fatti e non parole».

  2. #2
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    «I democratici non ci ascoltano»


    • da La Discussione del 23 dicembre 2008, pag. 5


    «A livello parlamentare un dialogo con il Pd in qualche modo c’é. Invece a livello di partito e con Veltroni in particolare devo constatare che tutte le proposte fatte dai Radicali non hanno mai ottenuto l’attenzione del Pd. Si tratti di giustizia o di anagrafe degli eletti». La vicepresidente del Senato Emma Bonino non le manda a dire a Walter Veltroni. Intervenendo in diretta su Radio Radicale sfoga tutta la sua frustrazione per la qualità dei rapporti che si sono instaurati fra i due partiti, legati alla Camera dall’abbraccio mortale che i democrat hanno imposto ai radicali ai tempi della campagna elettorale. «In un anno - spiega Bonino - abbiamo avuto un unico fugace incontro di mezz’ora con Veltroni. C'é una sottovalutazione da parte loro dell’apporto Radicale che non accenna a diminuire. Veltroni e questa dirigenza del Pd ritengono che l’apporto Radicale non serva o che sia fastidioso. Dall’alleanza con di Pietro, a una timidissima apertura sulla giustizia, alla gestione sciagurata della commissione di vigilanza, al disdegno totale di prendere in considerazione l'anagrafe degli eletti come dato di avvio di soluzione politica di un problema. Sono questi i temi sui quali la Bonino vorrebbe ricevere più ascolto. «Il nodo dell’anagrafe degli eletti - spiega la vicepresidente del Senato - non può certo essere risolto per via disciplinare, dico senza iattanza che se fossi Veltroni starei più a sentire quello che fanno i Radicali perché in 50 anni di transito Radicale il Mastrolindo della situazione rimaniamo noi e non perché non abbiamo mai governato. Rita Bernardini passa al consiglio comunale di Roma e lascia un segno importante di cui si parla ancora oggi. Siamo stati commissari europei, ministri, abbiamo dimostrato che si può governare in modo diverso. Veltroni - ha infine concluso l’esponente radicale - fa un grave errore di sottovalutazione perché avrebbero un gran bisogno di mettersi all’ascolto dei Radicali».

  3. #3
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    Contro le «discriminazioni» di Cai, è caos a Fiumicino


    • da Il Manifesto del 23 dicembre 2008, pag. 6


    Assemblee dei lavoratori in difesa del posto di lavoro, voli annullati, passeggeri furiosi, valige perse, governo latitante. Per la Cai, che il 29 dicembre riprenderà il nome Alitalia, un altro giorno nero. E la Filt Cgil ha chiesto una convocazione da parte del governo per garantire il rispetto delle intese tra sindacati e Cai sulle assunzioni nella nuova Alitalia. «Ci sono diversi problemi oggettivi nel processo di assunzione in Cai e riguardano tutte le categorie di terra e di volo», spiega il segretario nazionale della Filt Cgil, Mauro Rossi, «la tensione sale e sarebbe davvero opportuno che dal ministero dei Trasporti arrivi un segnale. L’utilizzo del buon senso è sempre stato strumento prezioso e spero che Cai se ne convinca in fretta». Le assemblee degli addetti alla manutenzione degli aerei Alitalia, le cosiddette «tute verdi», e quelle dei lavoratori di Az Airport del settore handling, la società che cura i servizi di rampa e carico e scarico bagagli per l’Alitalia, indette ieri dalle Rsa di base di FiltCgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti e Ugl, sono andate avanti a oltranza, aspettando la fine dell’incontro alla Magliana tra le sigle sindacali e Cai.

    «Siamo fortemente preoccupati per la sorte di 500 nostri colleghi di lavoro - dice Patrizio Lucidi, di Az Airport - A fronte di circa 1.730 assunzioni in AzAirport, al momento ci risulta che ne siano stati presi 1.200. Non sappiamo che fine faranno gli altri 500 che, intanto, sono finiti in cassa integrazione. A quanto ci risulta, i nostri colleghi verrebbero sostituiti da altro personale che verrebbe assunto a tempo indeterminato e di cui non si conosce la provenienza». Per quanto riguarda le assemblee, Lucidi sottolinea che ne era stata data notizia da almeno cinque giorni. Tra arrivi e partenze, sono stati quasi un centinaio i voli Alitalia cancellati a Fiumicino per le assemblee. Tra i passeggeri rimasti a terra, ovvia tensione per l’improvvisa cancellazione dei voli, con bagagli rimasti chissà dove e introvabili per ore.

    Per il presidente dell’Enac (Ente nazionale per l’aviazione civile), Vito Riggio, «il modo di agire dei lavoratori appare non conforme alle regole nel settore dei trasporti, soprattutto nel periodo pre-natalizio». E il ministro dei trasporti Altero Matteoli ha ordinato ai dipendenti di tornare al lavoro; è uno sciopero «in violazione della legge, dello Statuto dei lavoratori e del contratto collettivo di lavoro».

    Emma Bonino, vicepresidente del senato, è andata giù dritta: «A parte la totale mancanza di trasparenza nei criteri delle assunzioni, sul partner internazionale è tutto rinviato a gennaio perché, secondo la spiegazione ufficiale, l’Alitalia è diventata un boccone così competitivo che si sarebbe fatta viva perfino British Airways. Credo che non sia esattamente così e forse Air France cerca di negoziare al ribasso».

  4. #4
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    «Donne in pensione, a gennaio l’ agenda»


    • da Il Sole 24 Ore del 23 dicembre 2008, pag. 2


    Il Governo comunicherà entro il 13 gennaio alla Corte di Giustizia europea le misure che verranno prese per rispettare la sentenza di condanna perla disparità dì trattamento riguardo all’età pensionabile nel pubblico impiego. La conferma è arrivata dal ministro per la Pa e l’innovazione Renato Brunetta nel corso di una conferenza stampa al Senato, alla quale ha partecipato, tra gli altri, il vicepresidente di Palazzo Madama Emma Bonino.

    «L’Italia può fare finta di niente» ha detto il ministro, salvo poi nell’arco di un anno, un anno e mezzo ricevere una «sanzione pesante». Oppure può «usare questa condanna come una grande occasione per fare una riflessione collettiva, culturale, politica, economica e normativa sul mondo del welfare e del lavoro, per avviare a soluzione questi squilibri». Il ministro ha anche ribadito che sulla questione è in corso un’istruttoria cui dovrà seguire «nei tempi indicati» una decisione presa dal Governo nel suo insieme.

    «Dobbiamo adeguarci» alla sentenza che indica di «eliminare le discriminazioni nel suo insieme», ha aggiunto Brunetta rilevando che «se il nostro mercato del lavoro fosse efficiente, avremmo fino a 3,5 milioni di posti di lavoro in più, che sono soprattutto i posti mancanti delle donne al Sud». Avere «un mercato del lavoro con circa 27 milioni di posti, piuttosto che i 24 milioni attuali - ha aggiunto il ministro - significa avere un Pii più alto del 15-20%, una migliore distribuzione del reddito e una maggio- re occupazione». Riguardo allo strumento legislativo da utilizzare per introdurre le misure di adeguamento, Brunetta s’è limitato a osservare che è in corso di approvazione la legge comunitaria 2oo8, attualmente all’esame della Commissione Politiche dell’Unione europea Se Governo e Parlamento non si muoveranno - è stato fatto osservare - il rischio è di incappare in sanzioni pecuniarie di 10 milioni di euro più 700mila euro al giorno per ogni giorno di ritardo nell’adempimento.

    La presidente della commissione, la leghista Rossana Boldi, presente all’incontro con il ministro, ha spiegato che sono già stati presentati e illustrati degli emendamenti dal Pd, dal Pdl e dall’Italia dei valori: «È chiaro che l’obiettivo é quello di non penalizzare le donne -ha sottolineato -e se il Governo presenterà una sua proposta apriremo una discussione specifica su questo punto». Per Emma Bonino nella legge comunitaria c’è anche il recepimento della direttiva Ue sulla parità di accesso al lavoro. «La mia ipotesi - ha detto - è di cogliere questa occasione per portare avanti parallelamente un’iniziativa per avviare il processo di superamento di tutte le discriminazioni tra uomini e donne».

  5. #5
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    «Più aiuti per conciliare il lavoro con la famiglia»
    Intervista a Emma Bonino, vicepresidente del Senato

    • da L'Unità del 23 dicembre 2008, pag. 6

    di Tullia Fabiani

    «La sentenza dichiara che non è un risarci­mento mandare in pen­sione le donne prima per compensare gli svantaggi avuti durante la vita la­vorativa, e io sono d'accordo. Il punto infatti non è l'età pensiona­bile, ma il fatto che quando le donne hanno più bisogno di aiu­to nel conciliare il lavoro con i fi­gli, o con l'assistenza agli anziani non c'è alcun sostegno. Zero. Quando hai 60 anni e i figli sono grandi, il più delle fatiche è già fatto. In Italia sono 3 milioni e mezzo le donne che non ci prova­no nemmeno a cercare un lavoro perché non saprebbero come or­ganizzarsi con gli impegni casa­linghi. E la media delle donne che lavorano è del 46%. Quindi più che la sentenza, che in fondo chiede un dato di parità, e dice che uomini e donne devono andare in pensione alla stessa età, quel­lo che è davvero penalizzante è la realtà di oggi. Nel pubblico e nel privato. Anzi mi auguro che anche in quest'ultimo settore si estenda il provvedimento, immaginando sin d'ora possibilità diverse a seconda del tipo di lavoro. Del resto la cate­goria di "lavori usuranti" è già defi­nita a livello europeo. E vale per uomini e donne. Il sostegno va da­to durante la vita lavorativa, perciò il governo italiano dovrebbe trasporre nell'ordinamento giuridi­co la direttiva sulla parità sui luo­ghi di lavoro (tempo flessibile, sa­lari, etc) e prevedere, ad esempio, aumenti contributivi figurativi, che consentirebbero di riconosce­re la maternità come periodo pari a 1 anno, ai fini della pensione».

  6. #6
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    INFIBULAZIONE: NON MOLLARE, MAI

    Vanity Fair - 2 gennaio 2009


    La lotta alle mutilazioni genitali femminili si fa sempre più difficile. Ma, scrive il leader radicale, sconfiggerle è possibile



    di Emma Bonino


    Sono passati cinque anni da quando le attiviste più impegnate nella lotta alle mutilazioni genitali femminili (mgf) si riunirono al Cairo con le associazioni Aidos e Non c'è Pace Senza Giustizia per discutere le strategie più efficaci per combatterle.
    Da allora, 18 su 28 Paesi afro-arabi dove si praticano le mgf hanno adottato una legge che le proibisce come una violazione dei diritti della donna. E questo è un cambiamento di fondamentale importanza, perché il fenomeno non è più considerato solo come un problema socio-sanitario. L'esistenza di una legge legittima poi il lavoro delle militanti anti-mgf. Certo, di per sé non basta a sconfiggere la pratica, e in diversi Paesi c'è ancora molto da fare proprio per migliorare le norme adottate.
    Quello che è emerso con più forza dalla Conferenze "Dichiarazione del Cairo +5", che Non c'è Pace Senza Giustizia ha organizzato al Cairo il 14 e 15 dicembre scorso, è il consolidamento di un lavoro di squadra che, tenendo alta la pressione a livello sociale e politico, porterà nella direzione della completa eliminazione delle mgf.
    Ministri, parlamentari, attivisti e rappresentanti delle organizzazioni internazionali più impegnate su questo fronte hanno voluto chiudere i lavori della Conferenza assumendo un impegno per quest'anno: ritrovarsi ancora più numerosi in un prossimo incontro, da tenere magari proprio in uno dei Paesi in cui le mgf sono più diffuse, per elaborare nuove strategie, consolidare i risultati acquisiti, gettare le basi per ulteriori passi avanti e favorire l'armonizzazione delle legislazioni.
    Quest'ultimo aspetto ha un'importanza particolare per via di un fenomeno nuovo, che sta prendendo sempre più piede. Si tratta di una sorta di "emigrazione mutilatoria" tra Paesi confinanti. Chi, per esempio, in Burkina Faso vuole far mutilare le proprie figlie, rischia dai 5 ai 10 anni di reclusione. Così si mette su un treno e va in Mali, dove non c'è ancora una legge che proibisce le mgf.
    Da questo nasce la necessità di un'azione più incisiva e di un coordinamento più stringente, anche a livello di campagne d'informazione e sensibilizzazione. Perché bandire definitivamente le mgf non solo è possibile, ma è un risultato a portata di mano. Bisogna però non mollare, mai.

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    «Non c'è una soluzione militare Trattare anche con gli estremisti»


    • da QN del 6 gennaio 2009, pag. 11

    di Andrea Cangini

    Presidente Bonino, al degenerare della crisi di Gaza la comunità internazionale risponde con i consueti appelli al «dialogo» e la solita formula dei «due popoli, due stati». Il trionfo del politicamente corretto sembra nascondere un'oggettiva debolezza strategica...
    «Sì, mi sembra di assistere ad un terribile déjà vu, con un ritorno alle parole d'ordine del passato che non si vede perché dovrebbero funzionare ora. Quanto sta avvenendo certifica l'incapacità delle leadership locali, regionali ed internazionali».

    Tra Hamas e Israele, chi è l'aggressore e chi l'aggredito?
    «Hamas si è comportato in modo irresponsabile, anche rispetto ai palestinesi, quando ha deciso l'escalation militare che ha generato le reazioni israeliane che vediamo. E se per alcuni l'operazione "Piombo fuso" è sproporzionata, lo è altrettanto il lancio di migliaia di razzi in reazione ad un embargo economico. L'intera vicenda dimostra l'inarrestabile infognarsi di Israele, Hamas e della comunità internazionale nel buco nero del già noto e stranoto, con conseguenze che rischiano di sfuggire di mano a tutti».

    Il Pd appare diviso tra filopalestinesi e filoisraeliani, più che una sintesi Veltroni dovrebbe fare una scelta...
    «A me paiono tutti, maggioranza compresa, accomunati dalla mancanza di un progetto, di un'idea forza cui agganciare le richieste più immediate. Noi radicali la proponiamo da tempo: il superamento del nazionalismo e dello stato nazione come istituzione adeguata a gestire i problemi del nostro tempo e l'ingresso di Israele nell'Ue».

    In Europa, Francia e Germania recitano copioni diversi: verranno inviati degli osservatori, un film già visto...
    «Stravisto. Oggi la troika Ue si è presentata da una parte, Sarkozy dall'altra. Così l'Europa rimane vittima delle sue "diplomazie parallele" che minano l'incisività della sua azione. In tutta questa confusione, i nostri interlocutori finiranno per chiamare Washington per sapere qual è la linea, come sempre...».

    E' pensabile trattare con Hamas?
    «Chi propone una tregua concordata, duratura, non solo umanitaria ma anche politica, che consenta un accordo su molti aspetti, dalla cessazione dei lanci dei razzi alla chiusura definitiva dei tunnel, pensa possibile escludere Hamas dalla trattativa?».

    Il Mossad paventa un possibile coinvolgimento di Hezbollah. A due anni di distanza, a cosa è servita la missione internazionale in Libano?
    «Unifil, su richiesta del governo libanese, agisce da "forza cuscinetto". La sua efficacia è difficilmente misurabile ma non vedo perché sminuirne la presenza che certamente ha contribuito ad evitare un nuovo conflitto tra Israele e Hezbollah, tant'è che gli americani citano Unifil come modello per l'eventuale vigilanza sui confini della Striscia di Gaza. In qualche modo si sono "guadagnati" due anni di tempo. Ma il dramma è che questi due anni non sono stati "riempiti" da alcuna proposta di "soluzione strategica" ai problemi della regione».

    E' davvero pensabile che si possa giungere alla pace senza che vi siano vincitori né vinti?
    «Le parti in commedia prevedono solo vincitori, ma a mio avviso non esiste una soluzione militare. Temo che, come accade spesso, da una guerra si esca tutti sconfitti. In particolare Israele: ammesso che riesca a schiacciare militarmente Hamas, sotto il profilo politico la rafforzerebbe rispetto all'opinione pubblica dell'intero mondo arabo e non solo».

  8. #8
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    Bonino: ok al ministero per il Commercio estero


    • da Secolo d'Italia del 8 gennaio 2009, pag. 2


    «Lo dico da sempre e da tempi non sospetti. È stato un errore non mantenere a pieno titolo il ministero del Commercio con l’estero». Emma Bonino condivide la valutazione del ministro della Difesa, Ignazio La Russa, a favore della reintroduzione del dicastero del Commercio con l’estero. Il leader radicale ed ex ministro del governo Prodi sottolinea che «sin dall’inizio è stato commesso uno grave sbaglio. Io capisco l’esigenza di un governo snello, ma non dimentichiamoci che dev’essere anche efficace. Soprattutto di fronte a una crisi economica così grave come questa serve un ministro con competenze specifiche per un settore così delicato».

  9. #9
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    UNO STATUS QUO DANNOSO PER L'EMANCIPAZIONE ECONOMICA

    Le Nuove Ragioni del Socialismo - 9 gennaio 2009


    di Emma Bonino*


    In Italia coesistono due fenomeni: un tesoro sommerso, le donne, e un tabù, le pensioni. La questione della differenza nell`età pensionabile tra uomo e donna si trova precisamente al crocevia di questi due fenomeni. Una differenza che trovo discriminatoria, insostenibile e nemica delle donne. Paradossalmente, la crisi economica mondiale e la particolare fragilità del sistema Italia può trasformarsi in un`occasione utile per affrontarla con senso di responsabilità.
    La situazione occupazionale delle donne in Italia era già particolarmente grave prima ancora che la crisi economica si abbattesse su di noi. Ci sono cifre che ho perfino pudore a pronunciare tanto sono eloquenti. In Italia il 67% degli inattivi sono donne, un fatto che le colloca in una zona grigia, al confine tra attività e inattività. Secondo le statistiche, 3,5 milioni di donne inattive in Italia sarebbero propense ad intraprendere un`attività lavorativa qualora se ne presentasse l`occasione ma non possono, per mancanza di servizi e di domanda dalle imprese. L`accesso femminile al mercato del lavoro è del 46,7% (per gli uomini il 70,9%) con una chiara spaccatura Nord-Sud: al Nord è nella media europea, sul 60%, ma appena si scende al centro-Sud precipitiamo a cifre sotto il 30%. Scattata questa fotografia impietosa di un capitale inespresso, passo al tabù delle pensioni.
    Abbiamo avuto tre riforme in dodici anni. Tre diversi governi italiani hanno provato ad indirizzare la spesa pensionistica su binari di sostenibilità per le finanze pubbliche. Prima la riforma Dini, con il passaggio al sistema contributivo, quindi la Maroni, con l`introduzione dello scalone, ed infine l`ultima versione con il Governo Prodi e gli scalini. C`è stata in effetti una certa schizofrenia in materia pensionistica, che fa sì che tale argomento sia sistematicamente derubricato per vari motivi: perché "in troppi ci hanno già messo le mani", perché si fa sempre scontento qualcuno, perché "i sindacati poi chi li sente". Insomma, meglio lasciare la patata bollente al prossimo Governo in arrivo.
    Più le battaglie sono ostiche e anche apparentemente impopolari, più, forse per tradizione radicale, mi appassionano. Ma, allo stato in cui siamo, questa in particolare dovrebbe appassionare un po` tutti. Tanto più che oggi dobbiamo fare i conti con una condanna della Corte di Giustizia europea per la mancata equiparazione dell`età pensionabile tra uomini e donne nel pubblico impiego, con eventuale multa da capogiro. Il Governo italiano deve dare entro il 13 gennaio una risposta alla sentenza dicendo se e cosa intende fare. Finora il dibattito che si è acceso mi è sembrato troppo ideologico ed improntato al "politichese". E` forse utile contribuirvi con qualche dato che aiuti a comprendere perché le pensioni delle donne, l`occupazione femminile, la continuità della carriera lavorativa, l`equiparazione dell`età pensionabile, le reti di servizi di cura, debbano ritornare nell`agenda politica del Paese: l`importo medio mensile delle donne è pari al 52% di quello dei maschi per le pensioni di vecchiaia, del 70% per quelle di invalidità e sono invece superiori del 147% per quelle di reversibilità perché le donne vivono più a lungo. Negli ultimi 10 anni l`importo medio delle pensioni dei maschi è cresciuto del 41% mentre quello delle donne è cresciuto del 35%. Inoltre, i salari delle donne sono di un terzo inferiore a quello degli uomini a parità di mansione; e solo l`8% dei bambini ha accesso all`asilo nido rispetto ad una richiesta europea del 30% e ad una media effettiva che supera il 40%.
    Di fronte a tutto questo come risponde lo Stato italiano? Con il risarcimento, che definirei "peloso", di mandare le donne a casa prima, con una pensione quindi più bassa, perché facciano da baby sitter ai figli dei loro figli. Come si fa a difendere uno status quo così palesemente dannoso? Bisogna invece cogliere l`occasione della sentenza della Corte europea per dire sì all`equiparazione dell`età pensionabile, perché diventi anche un sì all`equiparazione dei salari, delle carriere e all`inizio di una diversa politica di servizi di cura e di assistenza. Altrimenti tra un anno e mezzo avremo anche la beffa di una multa di milioni di euro che potremmo invece usare a soluzione parziale delle tante carenze. Questa proposta potrebbe andare in parallelo con la direttiva europea da recepire sulla parità di accesso al mercato del lavoro che sta nella prossima legge comunitaria in votazione a gennaio o febbraio al massimo. Se ne potrebbe fare occasione per una discussione più ampia con l`opinione pubblica anche perché talvolta ho l`impressione che abbiamo perso di vista, a destra come a sinistra, un concetto - eppure così "femminista"- dell`emancipazione economica della donna. Prima degli anni `70, le donne, pur partendo da una situazione ben più difficile di adesso, i mezzi se li sono presi. Forse è il caso che le donne tornino alla riscossa, possibilmente evitando il qualunquismo del "tutto da buttare" o l`altra malattia tipica del nostro dibattito politico quando si parla di donne, il "benaltrismo". Cioè la mania di rifiutare qualunque proposta di cambiamento perché "ci vuole ben altro", con la sola conseguenza della paralisi totale. Perché mi domando: chi può oggi considerare civile, paritario, giusto, sensato mantenere questa differenza, per noi e per le prossime generazioni?


    *Vice-Presidente del Senato

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    DONNE IN PENSIONE ALLA STESSA ETA' DEGLI UOMINI? SENZA CONTROPARTITE E' UNA NUPVA DISCRIMINAZIONE

    Il Secolo XIX - 13 gennaio 2009


    di Nadia Carì


    Anno nuovo, i soliti problemi. La ripresa del lavoro induce ad alcune riflessioni e penso che sia utile riprendere la discussione su un tema che ha diviso l`opinione pubblica e i diversi schieramenti politici, anche al loro interno: la proposta del ministro Renato Brunetta di equiparare, innalzandola, l`età pensionabile delle donne a quella degli uomini per ottemperare a una sentenza della Corte europea di giustizia.
    La prima obiezione che, da donne, viene da fare è: gia lavoriamo senza tregua dentro e fuori casa e facciamo i salti mortali per conciliare tutto, e in più vogliono farci andare in pensione più tardi? In casi come questi, però, credo che l`arrabbiatura dei primi 10 secondi debba essere mitigata da una riflessione a freddo e cercando di mettere sul tavolo tutte le opzioni possibili.
    Punto primo: andare in pensione prima, ritengono i giudici lussemburghesi con la lungimiranza di chi parte dal presupposto di una reale parità di trattamento tra uomini e donne, «non compensa gli svantaggi ai quali sono esposte le carriere dei dipendenti pubblici donne e non le aiuta nella loro vita professionale né pone rimedio ai problemi che possono incontrare nella loro vita professionale». E questa è una bella motivazione per farci riflettere su come le carriere lavorative delle donne siano in qualche modo ostacolate e su come lo stesso ingresso delle donne nel mondo del lavoro incontri grossissime difficoltà, per cui, molto spesso, iniziamo a lavorare dopo i nostri colleghi uomini.
    Punto secondo: andare in pensione prima, per le donne, significa spesso andare in pensione con assegni significativamente ridotti rispetto a quelli dei coetanei maschi, a causa, appunto, di carriere più corte, (quindi salari più bassi) dovute non solo alle discriminazioni sul mercato del lavoro, ma a una divisione del lavoro familiare poco equilibrata e con pochi sostegni da parte dei servizi che in Italia sono carenti come in nessun altro Paese europeo. Le donne che vanno in pensione presto, perciò, di solito hanno assegni molto bassi, perché hanno accumulato pochi anni di contributi. Questo le espone a un rischio elevato di povertà, (soprattutto tenendo conto che le prospettive di vita delle "pensionande" sono molto lunghe, circa 25 anni). Non a caso l`incidenza della povertà tra le donne anziane che vivono sole è più alta della media.
    Punto terzo: spesso la motivazione implicita sottesa al sostenere l`età più bassa alla pensione della popolazione femminile non rappresenta una compensazione tardiva della discriminazione e del doppio lavoro fatto da molte donne per buona parte della vita adulta, ma la necessità di avere persone disponibili a soddisfare le necessità di cura che non possono essere coperte dai servizi mancanti. Queste donne che vanno in pensione prima, infatti, sono "utilizzate" come nonne di nipotini i cui genitori lavorano entrambi, come figlie e nuore di anziani fragili, come mogli di uomini spesso più vecchi di loro, bisognosi, tutti in diversa misura, di una qualche forma di sostegno, e quindi come continue dispensatrici, ancora, di lavoro. Lavoro di cura: non retribuito, non riconosciuto dallo Stato e quindi non pensionabile. Mandare le donne in pensione presto e pagare loro una pensione tanto a lungo (proprio in considerazione dell`alta aspettativa di vita), pesa fortemente, tra l`altro, sul bilancio pubblico, già abbastanza gravato. Non sfugge certo che la motivazione che spinge in realtà il ministro Brunetta nella sua proposta non risiede nella nobile intenzione di parificare le condizioni di uomini e donne. E la sentenza europea è un pretesto per "fare cassa", cosa che, questa sì, ci indigna e non poco.
    Ma la considerazione di una proposta del genere, come giustamente hanno colto le deputate Vittoria Franco, Emma Bonino e Roberta Pinotti (che a livello locale è stata la prima a sottoporlo come tema), non può essere bollata solo come irricevibile, ma può rappresentare un`occasione di "mediazione politica" che non ci si può far sfuggire. L`apertura "condizionata" a questo progetto non significa - come hanno voluto ritenere alcuni, accettarla supinamente - ma semmai un`opportunità per riuscire a ottenere una contropartita nel segno di una vera dimostrazione, da parte di questo governo, che si desidera perseguire una reale politica di parità. È una sfida politica, tutta a favore delle donne.
    Il Pd ha depositato un progetto di legge che prevede misure per promuovere l`occupazione femminile e favorire la conciliazione fra lavoro, maternità e carriera. Sosteniamo la proposta Brunetta sull`equiparazione dell`età pensionabile a condizione che lui sostenga il nostro progetto di legge. In Italia esiste già un vasto movimento di opinione bipartisan che si batte da tempo per equiparare l`età pensionabile di uomini e donne, garantendo però alle donne, con i soldi risparmiati, tutti quei servizi e sostegni quali asili nido, assistenza agli anziani, congedi di paternità obbligatori, agevolazioni fiscali per le donne che lavorano. Su questa proposta possiamo essere disposte/i a metterci intorno a un tavolo. La palla passa ora al ministro Brunetta. Ci dia qualche segnale che ci consenta di avere fiducia e di non pensare che questo governo voglia di nuovo intrappolare le donne in un`ulteriore discriminazione: più povere, più oberate di cura e pure in pensione più tardi.

 

 
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