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Discussione: La Pace? Che Pazzia...

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    LA PACE? CHE PAZZIA...


    In base al principio: “…ciò che gli altri affermano, noi neghiamo”, riflettevo sul concetto di pace. Tutti inneggiano alla pace e giustamente tutti la desiderano. Ma, perché c’è sempre un ma, pochi sembrano soffermarsi sulle sue interpretazioni. In pratica la pace, comunemente intesa, è una bugia. La pace in quanto principio assoluto è una chimera, l’interpretazione lineare della storia, sia in forma di materialismo dialettico sia in forma mistica religiosa, ci fa credere che alla fine di un periodo, più o meno lungo, la “turbolenza” sul mondo cesserà e tutti vivranno in pace, compreso il leone che giocherà con l’agnello e il ricco che darà i propri soldi al povero.

    Logicamente io non credo che sia così ma, nel frattempo che questo “miracolo” avvenga, come interpretare la pace, oggi? Ad esempio è giusto dire che la pace per esistere è sempre compresa fra due guerre? Credo di sì, ma questo tipo di pace presupporrebbe per i figli della Play station il prendere in considerazione che possa esistere anche la guerra come fattore naturale dell’uomo: e quindi questa ipotesi non va bene! Per loro una pace fra due guerre non è altro che una tregua. Infatti, essi “quello” vogliono come “pace”: una tregua molto, molto lunga, diremo: eterna.

    Ma noi neghiamo che la vita dell’uomo sia fatta solo di pace, infatti: una “pace eterna” di solito non è vita, è morte. Ma allora cosa è la pace oggi? Potremmo dire che essa corrisponda alla “non violenza”? Forse. Sta di fatto, però, che l’esistenza di un non violento, di solito presuppone l’esistenza di chi uno violento lo è, lo deve o lo vuole essere. Il fatto stesso che in una contrapposizione o in uno scontro il “non violento” di solito sia sempre il più debole, mi fa riflettere che forse è il modo più furbo per fare la guerra.

    In pratica, nel mondo moderno non esiste la “pace” o una “pace” sempre spiegabile in un contesto o a secondo delle situazioni ma, se ci pensate bene, esiste solo “la pace”, la pace che vogliono “loro”. Cioè un diverso modo di chiamare la guerra. Non più la pace che ferma la guerra, ma la guerra che porta la pace. Eserciti di pace armati come in guerra, guerre alla guerra, “la pace” come guerra, la guerra come azione di polizia e polizia che ammazza come in guerra.

    Altra cosa che ci distrae è il fatto che la parola guerra richiama subito alle armi, ai morti. Al punto tale che se uno non vede mitra e sangue, pensa che ci sia la pace. Ma queste sono le conseguenze della guerra, quasi mai le cause. Guerre di questo genere, dette di solito “guerre di sterminio”, hanno sempre, per giunta, un’origine moderna. Le cause della guerra, di solito, sono degli obiettivi da raggiungere. Quindi, se questi obbiettivi possono essere raggiunti senza mitra e morti, questo non vuol dire che la guerra non sia in atto.
    Nascono le guerre ideologiche, i condizionamenti sociali, i lavaggi del cervello mediatici, le armi di distrazione di massa. Gli americani, per esempio, non sono dei grandi guerrieri, le loro vittorie di solito avvengono sempre mediante le disponibilità materiali “soverchianti”, ma sono dei perfetti Killer Economici. A morire in questi casi, non è il corpo dell’uomo, ma la sua cultura, la sua identità. Non muoiono gli uomini, ma i popoli e questi uomini senza i propri valori diventano schiavi dei valori del vincitore. Il vincitore vuole che tu lavori? Tu lavori e se non lavori ti struggi per lavorare. Loro adorano il dio denaro? Il luogo più “sacro e timoroso” saranno le banche, e via dicendo…. Credi d’essere libero, in realtà sei agìto.

    Per tornare alla pace, pensiamo alla Palestina. Ci sono casi in cui Pace, vuol dire sconfitta sicura: è il caso dello stato ebraico. Con la pace non tutti vincono, ma determinati fattori obiettivamente cambiano. Con un periodo di “pace”, diciamo di 30 anni, lo stato ebraico non esisterebbe più. La Nike e i pompelmi Jaffa non potrebbero sostenere l’economia di uno stato di cui la metà delle persone è nelle forze armate. Con la pace non riceverebbero quei miliardi di dollari che ricevono dagli americani per difendersi (sic!) dalle “vili aggressioni”. Con la pace, la demografia detterebbe da sola la sua legge eterna: con una differenza di natalità di 8 a 1 immaginate la sentenza? In queste condizioni, la pace non è auspicabile per il più “debole”, quindi la guerra è una necessità, per “il più forte”. In questo caso la “pace” non è un fine ma “un fattore” della guerra. Per assurdo, chi vuole vincere “la guerra” dovrebbe gridare w la pace; chi “la guerra” la sta vincendo, invece, dovrebbe aver paura della pace.

    Un’ultima riflessione sulla pace l’ispira il modello economico dei liberisti. Essi, sono forti, economicamente e militarmente. Il loro potere si basa sull’economia imposta dalle armi, armi che richiedono sviluppo tecnologico e superiorità nella ricerca scientifica. Il tutto finanziato da tre settori fondamentali: energia, armi e droga. Siamo ancora convinti che questi signori possano volere la pace e in questo modo rinunciare ad essere i più forti? In pratica, quando affermiamo che questo sistema economico è un “modello bicicletta”, in pratica che se si ferma cade, la pace senza armi che essi predicano gli farebbe fare una capriola bestiale. Quindi: essi predicano una bugia.

    A che serve questa bugia? A conservarti “in pace”, mentre in realtà sei complice del guerrafondaio. Siccome non c’è nessuno oggi che morirebbe per qualcosa che sia più di se stesso (individualismo), e essere se stesso equivale a ciò che possiedi (materialismo), e che per possedere devi avere soldi (economicismo) e che i soldi li fanno loro (signoraggio); se vi capita di andare in guerra per portare “la pace”, sappiate che “la pace” serve a fargli fare ancora più soldi. Se vi capita di morire… consolatevi: potete sempre dire che siete eroi della pace…. Che pazzia!

    di Nando Dicè [Lo scemo del villaggio globale]

    O per avere un'ardita visione del parallelo Sionismo-Risorgimento....

    http://www.mirorenzaglia.org/?p=4936

  2. #2
    Can che abbaia morde
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    Rovinato dall'incomprensione. Peccato.

 

 

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