Uno degli aspetti piu’ macroscopici, paradossali e tragicomici cui dobbiamo assistere in questo Paese è che l’uomo al comando come Premier che controlla tre reti televisive su sei direttamente e le altre tre indirettamente, giornali nazionali di famiglia e il restante 90% come fiancheggiatori, un impero editoriale di carta stampata, lamenti sfacciatamente un fenomeno di disinformazione a suo danno sol perchè un parte limitatissima di una rete televisiva ha il coraggio di esercitare un po’ di satira sul suo Governo, e non si sa bene se il motivo è che si ritiene ne meriterebbe molta di piu’. Anche perchè l’altra parte di quella rete, quella seria, che tenta di fare un po’ di informazione, che Lui considera avversa, in realtà è quella che piu’ di ogni altra gioca a suo favore. Trasmissioni come Ballarò, Annozero, che documentano opportunamente la drammatica situazione in cui vivono milioni di lavoratori in preda al panico di aver perso o temere di perdere anche la schiavitu’ del lavoro e di accodarsi all’esercito dei poveri, in costante tumultuosa ascesa, senza mai arrivare a sfiorare la vera essenza e le origini profonde della crisi, del tutto peculiare per il nostro Paese, in crisi profonda da circa trenta anni, in definitiva fa il gioco del Premier. In quelle trasmissioni c’è lo show dei vari personaggi che discettano su come uscire dal tunnel, gli economisti liberisti che richiedono e sollecitano maggiore concorrenza, come se l’attuale crisi non derivasse in buona parte dalla sfrenata concorrenza che si è tradotta in incordigia e criminalità economica, che deruba i piccoli risparmiatori e non esita ad avvelenarli in nome del profitto. Dall’altra parte ci sono politici e sindacalisti non governativi che reclamano provvedimenti immediati che si confrontano con parlamentari e ministri, come Castelli, che non si stanca di ripetere che non ci sono le risorse perché l’Italia è il terzo Paese piu’ indebitato del mondo. E, paradossalmente, l’unico che dice la verità, quindi una cosa esatta, è proprio quest’ultimo. Nessun altro osa sfiorare tale argomento, che dovrebbe essere al centro dell’universo Italia. Il Papa e il Presidente della Repubblica, che parlano lo stesso linguaggio, hanno avvertito nei messaggi di Capodanno che se non vengono eliminate le stridenti e macroscopiche disuguaglianze economiche e sociali, la schiera dei poveri aumenterà e il Paese rischia il baratro.
Ma né loro né altre Istituzioni né personaggi politici, sindacali, economisti, esperti, osano sfiorare il problema di cosa fare e come farla per eliminare quelle stridenti disparità, se Castelli obietta duro e testardo che siamo il terzo Paese piu’ indebitato. Lo ha fatto, implicitamente, la Banca d’Italia che anche nel Bollettino di fine 2008 ha ribadito che il 50% dell’intera ricchezza finanziaria, senza la parte immobiliare, è detenuta dal 10% della popolazione. Ecco spiegata la grave e insopportabile disuguaglianza. Ricchezza finanziaria in gran parte è creatasi e sviluppatasi nel periodo dei lauti tassi di interesse corrisposti sui titoli di Stato e poi si è autoalimentata. Si sa benissimo e si conoscono i nomi dei prenditori di tali benefici, intascati da pochi, e caricati sul popolo italiano con quell’abnorme Debito Pubblico di cui parla Castelli.
Bisogna perciò essere grati a Luigi Zingales che, avendone la possibilità, ha proposto il tema della discussione su un ipotetico default del debito pubblico italiano su un grande settimanale come l’Espresso. Sono parzialmente d’accordo con Zingales su alcune analisi, non sulle conclusioni, però è importantissimo e fondamentale che se ne possa incominciare a discutere. E, forse, le previsioni di Dornbusch non erano del tutto errate se a quell’epoca il Direttore del Debito Pubblico nella lettera che accompagna la Relazione al Parlamento, nel 1989, parla di “trend che punta decisamente verso una crescita di tipo esplosivo del rapporto Debito/PIL… con la possibilità che il Debito, nel
lungo periodo, non possa essere più finanziato sul mercato, perché non si troveranno più
investitori pronti ad acquistare altri titoli di Debito Pubblico… e che “un debito pubblico così imponente può divenire causa degli alti tassi di interesse reali… con la conseguenza che si richiedono decisioni difficili, ma pronte, per trovare in tempo una via d’uscita”.
Spesso in Economia, non essendo una scienza esatta, gli avvenimenti prendono una via diversa e non ipotizzabile in via preventiva, anche perché influenzati dalle decisioni politiche. E così è avvenuto che, nonostante il trend di crescita e l’entità del debito, non si è avverata nessuna delle catastrofi annunciate dalle Cassandre di allora. Ma è proprio vero, vien da chiedere a Zingales? In gran parte no. Quelle decisioni difficili, ma pronte, sono state varate a decorrere dal 1992, dal Governo Amato con una manovra da cavallo di ben 90 mila miliardi di lire scaricata a valanga su tutti gli italiani. E così avanti per altri 16 anni per ritornare al punto di partenza, ma con le conseguenze disastrose, dette in estrema sintesi, di : non aver ridotto l’entità del debito che, anzi, ha continuato la sua corsa, di aver innescato un processo di sostanziale stagnazione e quindi aver contribuito ad impoverire le masse, aver bloccato qualsiasi possibilità di investimenti pubblici e quindi aver provocato tutti i noti disastri in ogni settore della pubblica amministrazione, dalla scuola alla giustizia, alle opere infrastrutturali, alla sanità, agli enti locali, etc etc.
Quindi l’Italia si presenta alla crisi, che verrà, nuda ed in condizioni pietose. Non ci sarebbe nessuna possibilità di salvezza, se non si confidasse nella speranza che l’auspicabile efficacia delle misure che saranno varate da Barak Obama negli USA possano strascicare, tirandola per i capelli, anche la nostra Italia. La quale, se sopravviverà, si ritroverà inesorabilmente con gli stessi gravi problemi ante crisi.
A meno che, egregio dott Zingales, anziché pensare ad un piu’ che improbabile default generale, non si pensi seriamente all’unico provvedimento praticabile, efficace, ma soprattutto riparatore parziale delle gravi insopportabili disuguaglianze e ingiustizie sociali determinate da vari fattori, ma a cui ha contribuito in modo non marginale l’arricchimento avvenuto da parte di quel 10% che possiede il 50% della ricchezza nazionale.
Con la manovra dell’imposta straordinaria sui patrimoni varata nel 1919-20, furono reperiti 20 miliardi di lire dell’epoca (equivalenti a circa 40 mila miliardi di oggi, ma se si considerano le entità della ricchezza nazionale dei due periodi, si possono anche immaginare le cifre di oggi), e la filosofia dell’epoca, come scriveva Griziotti (1920), era quella “d’estinguere immediatamente una parte del Debito Pubblico…con lo scopo politico di far sopportare questo carico alle classi abbienti in ragione della ricchezza e della capacità contributiva odierna”
Principi fondamentali poi introdotti nella nostra Carta Costituzionale
Senza misure straordinarie del tipo, non si può escludere, a dispetto dell’età anagrafica delle attuali classi dirigenti, che il default diventi una necessità dettata dalla realtà. Fino ad oggi quelle classi dirigenti assicurano che lo Stato garantisce le Banche : i fondi messi a garanzia sono rappresentati dagli oltre 3 milioni e mezzo di miliardi di vecchie lire del Debito Pubblico, buona parte dei quali sono detenuti dalle Banche che, a loro volta, assicurano lo Stato che continueranno a rinnovare il Debito, il tutto naturalmente con i risparmi dei cittadini.
Ma questo gioco di Assicurazioni e contro-Assicurazioni, e i sacrifici imposti ogni anno con le manovre finanziarie per quadrare i conti e pagare gli interessi sul Debito, siamo proprio sicuri che possa durare all’infinito? La logica, economico-finanziaria, e il buon senso sembrano dire di no.
Da parte nostra, l’impegno a trasformare quanto prima queste enunciazioni in un progetto compiuto.
Francesco Calvano membro D.N. e Coordinatore Commissione Finanza Nuovo Partito d’Azione.