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  1. #1
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    Predefinito Siamo a un passo dalla rivolta sociale

    Siamo a un passo dalla rivolta sociale
    http://www.vincenzobrancatisano.it/a...recessione.htm


    Di Vincenzo Brancatisano

    9 gennaio 2009 - Gli italiani non sono ancora sufficientemente informati di quello che sta per capitare all’economia di questo paese nei prossimi tempi. I prossimi tempi per molte famiglie sono già i tempi attuali: questi giorni, queste ore. Pochi italiani sanno, solo per fare un esempio, che la mitica IRIS Ceramica di Sassuolo ha chiuso i battenti lasciando sul lastrico, per ora, 780 dipendenti e le proprie famiglie. Qualcuno dei nostri lettori sapeva forse di questo fatto sconcertante e doloroso? Se non hanno letto i quotidiani locali, difficilmente si può pensare che a Roma o a Palermo, a Milano o a Chieti si sappia che il leader mondiale nella produzione delle piastrelle ha dichiarato lo stato di liquidazione. Questa testata segue da diversi mesi l’andamento economico dell’economia emiliana, la locomotiva del treno Italia. Possiamo affermare con preoccupazione ma con sufficiente sicurezza, che entro poche settimane, stando alle informazioni che abbiamo raccolto, almeno il 70 per cento delle industrie ceramiche del comprensorio Sassuolo-Fiorano-Rubiera lascerà a casa i propri lavoratori. Sapevamo da tempo quello che sarebbe successo all’Iris e siamo davvero stupiti che solo oggi i sindacati si dicano sorpresi dal “fulmine a ciel sereno”, dal “terremoto” che ha colpito la serenità dei lavoratori e dei cittadini. Nei prossimi giorni l’effetto emulativo dell’Iris sarà evidente. Sono tante le aziende che hanno i magazzini pieni poiché negli ultimi tempi hanno solo fatto magazzino. L’edilizia è ferma da tempo, le piastrelle non vengono assorbite neppure da chi non riesce più a ristrutturare il proprio bagno. Notizie gravissime vengono relegate nelle pagine locali, così chi vive a Trento sa dei licenziamenti trentini, ma non di quelli lucani, apprendibili solo da chi legge i quotidiani della Basilicata e così via dicendo. Sempre per rimanere sulla locomotiva Emilia, sapevate che centoventi lavoratori della Maserati sono stati licenziati nei giorni scorsi? Qualcuno azzarda l’ipotesi che saranno milioni i lavoratori licenziati in Italia entro l’anno appena iniziato. Certo, se questo è l’incipit, non c’è da stare tranquilli. L’effetto a catena che si produce durante la recessione è facile da intuire: famiglie senza stipendio smettono di comprare e producono guai ai negozi sotto casa, alle concessionarie auto, al mercato edile e a quello turistico e via dicendo, mercati costretti a propria volta a espellere lavoratori in esubero che a loro volta smetteranno di consumare. La colpa di quello che sta succedendo non è tutta di tutti i commercianti, c'entra ovviamente la crisi mondiale. Ma è soprattutto - sarebbe ipocrita nasconderlo - dei commercianti e degli esercenti questo o quel mestiere autonomo, che hanno approfittato dell’euro per raddoppiare e triplicare i prezzi e le tariffe, pur di fronte a salari fermi. Sono questi signori ad aver rotto la pace sociale firmata a seguito dell’abolizione della scala mobile, quando i lavoratori si impegnarono a non chiedere aumenti salariali a patto che i prezzi rimanessero entro aumenti esigui (2 per cento l’anno: inflazione programmata). Se non ci fosse stato l’euro, quanti fruttivendoli avrebbero avuto il coraggio di esporre le loro arance a 7.000 lire al kilogrammo? Sarebbero stati pochi, sconsiderati e sarebbero stati isolati. Eppure, le arance a 3,5 euro al kilo sembrano, per questi signori, quasi regalate. E il pane? Quanti fornai o supermercati avrebbero esposto il pane al prezzo di 8 o 10mila lire il kilo? Eppure il pane costa anche 6 euro il kilo e nessuno si vergogna. Nè servirebbe prendersela con l'euro: se un conducente travolge un passante sulle strisce pedonali sarebbe assurdo prendersela con l'automobile. Quanto può durare in queste condizioni la pace sociale? Semplice - lo abbiamo già denunciato nel 2006: fino a quando dureranno i risparmi delle famiglie che in questi anni invece di protestare hanno dato fondo alle riserve e si sono pure indebitate per arrivare alla fine del mese, assopendosi nel frattempo al ritmo di centovetrine-postialsole-uominiedonne, di calcio in chiaro e calcio in scuro e di altri narcotici sociali ben studiati. I soldi ora sembrano finalmente finiti, almeno per i più. In negozio ci entrano in pochi. Molti chiuderanno, hanno già chiuso molti bar. Questi signori ora piangono miseria e se la prendono con la gente che non compra. Che se la comprino loro la loro merce, sempre che gli siano rimasti dei soldi dopo che hanno investito rovinosamente in borsa quanto sottratto alle altre classi sociali. Se invece hanno comprato appartamenti, li vendano pure, anzi li svendano se vogliono salvare il proprio negozio o la propria azienda e ci risparmino la pena di sentirli piangere in televisione mentre chiedono aiuti allo Stato. Lo Stato non ha più soldi, non li ha neppure per pagare le pensioni, tra qualche anno, vista l’ingente mole di quattrini che dovrà sborsare (al netto degli 80 miliardi di euro!!! annuali per interessi da debito pubblico) a causa dell’impennata di costi da sostenere per garantire le moltitudini di casse integrazioni e gli altri ammortizzatori sociali che si annuncia di estendere a Cococò e schiavi vari, e con essi l’ordine pubblico. Ma non è del tutto sicuro che nei prossimi mesi si sarà in grado di garantire l’ordine pubblico, la gente che perde il lavoro ha spesso dei bambini da sfamare… Intanto si continui pure a parlare del maltempo, del sale che manca nelle strade, innevate come se fosse inverno, della separazione delle carriere dei magistrati e della Striscia di Gaza, come se fosse una novità quanto sta accadendo in Medio Oriente.



    9 gennaio 1950 – Modena - La polizia di Scelba spara contro i lavoratori che scioperano per ottenere la riapertura delle fonderie chiuse da quelli che un tempo si chiamavano padroni. Muoiono 6 lavoratori poco più che ventenni: Angelo Appiani, Renzo Bersani, Arturo Chiappelli, Ennio Garagnani, Arturo Malagoli, Roberto Rovatti.

  2. #2
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    La vedo dura..............

  3. #3
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    che accozzaglia di cazzate, siamo in mezzo ad una crisi planetaria e questi smanettano a luogocomunismo, sono alla frutta, anzi al fernet.

  4. #4
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    le industrie dell'Emilia lasceranno a casa prevalentemente gli immigrati, sia italiani del sud, che sono un numero significativo, sia immigrati stranieri comunitari e non.

    L'Emilia, come la Romagna non avranno crisi, a mio avviso, tali da mettere in discussione la pace sociale. Le industrie fra l'altro anno delocalizzato meno che in altre aree, il nord est per esempio, e quindi reggeranno megli delle altre.

    Il distretto della ceramica soffre del rimbalzo negativo dovuto alla fermo dell'edilizia che dopo anni di crescita furibonda sconta un surplus produttivo che si percuote in tutte le aziende del comparto.

  5. #5
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    Qui destra e sinistra non vuol dire una mazza. La crisi è mondiale.

    E qualcuno è inutile che incolpa la sx o la dx siamo abitanti dello stesso pianeta, siamo abitanti dello stesso continente, siamo abitanti della stessa nazione:

    Perciò nel cesso con la me...da fino al naso ci siamo: tutti.

    E per ora è fino al naso e quando ci sommergerà.... sarà la fine.


    ---
    Salutem tibi dare.

  6. #6
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    Citazione Originariamente Scritto da jamaal74 Visualizza Messaggio
    che accozzaglia di cazzate, siamo in mezzo ad una crisi planetaria e questi smanettano a luogocomunismo, sono alla frutta, anzi al fernet.

    dalla reazione sembreresti essere un commerciante......

  7. #7
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    Citazione Originariamente Scritto da jamaal74 Visualizza Messaggio
    che accozzaglia di cazzate, siamo in mezzo ad una crisi planetaria e questi smanettano a luogocomunismo, sono alla frutta, anzi al fernet.
    State attenti a sottovalutare troppo le cose. Poi non vi stupite quando usciranno i forconi. Gia non è bello prendere per il culo la gente affermando che le spese di Natale hanno mostrato che non c'è crisi, e che i saldi vanno meglio dell'anno scorso. State imboccando la strada di Maria Antonietta con le brioches. Poi arrivano i sanculotti...

  8. #8
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    Citazione Originariamente Scritto da jamaal74 Visualizza Messaggio
    che accozzaglia di cazzate, siamo in mezzo ad una crisi planetaria e questi smanettano a luogocomunismo, sono alla frutta, anzi al fernet.
    Per intanto i lavoratori iniziano a pensare di occupare le fabbriche seguendo l'esperienza dell'Argentina del dopo crisi. Tanto perso per perso, piuttosto che stare per la strada a fare nulla, conviene attivarsi. Attivarsi per occupare le fabbriche e riattivare la produzione. Attivarsi per creare GAP per comprare a più basso costo i generi di prima necessità.
    Ed ora qualche battuta.
    E se arrivano le forze dell'ordine per metterci a tacere, stavolta il modello Cossiga del '68 potete infilarvelo nel culo, non vi aspetteremo a mani nude. Stavolta vi aspettiamo con questi:



    E se ci girano abbastanza i coglioni spariamo pure qualche razzo Qassam in direzione Vaticano e Parlamento.


    Ma torniamo alle cose serie:
    Daramic, una fabbrica autogestita.
    La multinazionale americana chiude l’impianto e se ne va. E gli operai occupano per salvare il lavoro Nascono anche i Gruppi di acquisto
    popolare. Per combattere il carovita
    di Giacomo Russo Spena



    La multinazionale arriva, investe e se ne va. Malgrado i profitti, chiude i battenti. All’improvviso. Delocalizzando in altri
    paesi del mondo, dove ci sono nuovi mercati e la manodopera costa meno. E i lavoratori? Prima messi in cassaintegrazione a zero ore e dopo in mobilità. Ovvero disoccupazione. A meno che l’azienda venga autogestita dagli operai stessi. Per continuare la produzione dell’impianto.
    «Siamo a Potenza ma guardiamo con interesse il modello argentino, alle fabbriche governate dai lavoratori (come la Zanon di Buenos Aires)», dice Rosario Chiacchio, iscritto alla Cgil Filcem ed ormai ex dipendente della Daramic, multinazionale appartenente al gruppo statunitense Polypore che da quasi quindici anni aveva avviato l’attività nel capoluogo lucano. Prima dell’inaspettata chiusura. Ad ottobre. «Nessun segno premonitore», riferiscono i 147 dipendenti messi ora in cassaintegrazione. Infatti la fabbrica, produttrice di componenti di plastica per batterie d’auto, aveva sempre chiuso con un fatturato di 35 milioni annui e con un attivo del 25%. La Polypore inoltre la aveva premiata come il migliore sito produttivo tra gli stabilimenti localizzati nel mondo. Arrivata la doccia fredda gli operai, quasi tutti iscritti alla Cgil, decidono di occupare l’impianto, di intraprendere una
    vertenza, come raccontano, «organizzata in maniera spontanea, con le decisioni che vengono prese giorno dopo giorno». A muoverli la disperazione di aver perso il lavoro e l’esigenza di arrivare a fine mese: la loro entrata passa dalle 1600 euro mensili alle 800-1000 (dipende dal carico familiare) della cassaintegrazione. Un reddito dimezzato per famiglie
    ora sul lastrico. Il 20 dicembre viene disoccupato l’impianto ma la loro presenza si sposta solo di qualche metro: improvvisano una
    tendopoli davanti ai cancelli. Intorno alla mobilitazione creano consenso. Costruiscono anche un sito per diffondere la vertenza. Il vescovo di Potenza, monsignor Agostino Superbo, dà solidarietà «agli operai in lotta», celebrando il primo gennaio una santa messa «contro la crisi e per arginare le povertà». La regione Basilicata apre un tavolo con i lavoratori
    per capire il destino dell’impianto chiuso. Si cerca una nuova proprietà capace di investire il denaro sufficiente per la riapertura. «Ci vogliono nuovi finanziamenti», spiega Chiacchio che guarda con interesse all’esperienza di una «cooperativa operaia»: «Siamo disposti a giocarci questa carta fino in fondo, non vogliamo perdere il lavoro». Anche il governo, suo malgrado, viene coinvolto nella chiusura della Daramic. Nel 2005 il ministero dell’Ambiente aveva aperto un contenzioso con la proprietà per «problemi d’inquinamento dell’area limitrofa» e l’azienda, ad oggi, deve
    ancora bonificare il sito, inquinato dalle scorie della produzione. «Il tavolo spero dia risultati» affermano i lavoratori che intanto per far fronte alla crisi quotidiana hanno aperto un Gruppo d’acquisto popolare (Gap). Coordinandosi col progetto nazionale ideato da Rifondazione Comunista, il partito al momento più sensibile al futuro di questi 147 operai. Trattano con un produttore locale per ottenere un chilo di pane e pasta a due euro. Abbattendo così la speculazione e accorciando la filiera. «Dobbiamo imparare di nuovo ad affrontare le cose in modo collettivo e mutualistico» riferiscono gli operai che puntano in breve tempo nello «strappare», coi Gap, un paniere di bene primari.«La lista di acquisto ti permette di solidarizzare anche su altri problemi. Ti permette di riconfrontarti su quello che c’è da fare in fabbrica e fuori e di farlo insieme, da soggetto sociale», esclama con enfasi la potentina Angela Lombardi della direzione nazionale del Prc, forte che il modello dei «gap di fabbrica» arriva anche alla Sata di Melfi. Altra azienda
    (collegata alla Fiat) in crisi, con quasi cinquemila lavoratori in cassa integrazione. E i dipendenti delle due fabbriche si scambiano i prodotti alimentari. «E’ un modo per contrastare il carovita», conclude Lombardi in polemica con chi dentro il suo partito non vede un
    progetto politico nella distribuzione del pane.

    http://partitosociale.wordpress.com/...a-autogestita/

  9. #9
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    cavoli peccato che non si scorga neanche un lenin all'orizzonte...

  10. #10
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