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    CENTOMOVIMENTI NEWS - 27 LUGLIO 2003
    Il caso Andreotti: gli stralci della sentenza
    MARCO TRAVAGLIO

    Come volevasi dimostrare, Andreotti ha fatto parte della mafia fino alla primavera 1980. Ha frequentato, incontrato, protetto, coperto, agevolato boss mafiosi, compresi i capi dei capi: Tano Badalamenti (suo co-imputato al processo per il delitto Pecorelli) e Stefano Bontate.
    L’accenno alla primavera 1980, come termine ultimo del reato accertato, si riferisce proprio all’incontro fra Andreotti e Bontate, per discutere dell’assassinio di Piersanti Mattarella.
    Quando su Centomovimenti News abbiamo scritto queste cose, all’indomani del deposito del dispositivo da parte della Corte d’appello di Palermo, riportando i commenti dei pm Scarpinato, Lo Forte e Natoli, gli avvocati di Andreotti e i soliti esaltati berlusconiani strillarono che non era vero niente.
    Ora sono serviti.
    Si armino di santa pazienza, si leggano la sentenza (o almeno gli stralci che pubblichiamo qui sotto), e chiedano scusa ai magistrati ed ai giornalisti che hanno insultato.
    O almeno facciano tesoro di questa bruciante esperienza e, per il futuro, imparino l’arte più preziosa: quella di tacere.

    Pagg. 1505-1506

    Per contro, in punto di fatto i convincimenti cui sono pervenuti i primi giudici in relazione al periodo precedente sono stati, come si è visto, ampiamente rettificati dalla Corte, che ha ritenuto la sussistenza:
    - di amichevoli ed anche dirette relazioni del sen. Andreotti con gli esponenti di spicco della c.d. ala moderata di Cosa Nostra, Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti, propiziate dal legame del predetto con l’on. Salvo Lima ma anche con i cugini Antonino ed Ignazio Salvo, essi pure, peraltro, organicamente inseriti in Cosa Nostra;
    - di rapporti di scambio che dette amichevoli relazioni hanno determinato: il generico appoggio elettorale alla corrente andreottiana, peraltro non esclusivo e non esattamente riconducibile ad una esplicitata negoziazione e, comunque, non riferibile precisamente alla persona dell’imputato; il solerte attivarsi dei mafiosi per soddisfare, ricorrendo ai loro metodi, talora anche cruenti, possibili esigenze - di per sé, non sempre di contenuto illecito - dell’imputato o di amici del medesimo; la palesata disponibilità ed il manifestato buon apprezzamento del ruolo dei mafiosi da parte dell’imputato, frutto non solo di un autentico interesse personale a mantenere buone relazioni con essi, ma anche di una effettiva sottovalutazione del fenomeno mafioso, dipendente da una inadeguata comprensione - solo tardivamente intervenuta - della pericolosità di esso per le stesse istituzioni pubbliche ed i loro rappresentanti;
    - della travagliata, ma non per questo meno sintomatica ai fini che qui interessano, interazione dell’imputato con i mafiosi nella vicenda Mattarella, risoltasi, peraltro, nel drammatico fallimento del disegno del predetto di mettere sotto il suo autorevole controllo la azione dei suoi interlocutori ovvero, dopo la scelta sanguinaria di costoro, di tentare di recuperarne il controllo, promuovendo un definitivo, duro chiarimento, rimasto infruttuoso per l’atteggiamento arrogante assunto dal Bontate.
    Si tratta, dunque, sciogliendo la riserva formulata al termine del capitolo II della III parte del presente elaborato, di valutare giuridicamente i ritenuti comportamenti dell’imputato al fine di verificare se gli stessi integrino o meno la contestata partecipazione alla associazione criminale.

    Pagg. 1509-1510
    Ed i fatti che la Corte ha ritenuto provati dicono, comunque, al di là della opinione che si voglia coltivare sulla configurabilità nella fattispecie del reato di associazione per delinquere, che il sen. Andreotti ha avuto piena consapevolezza che suoi sodali siciliani intrattenevano amichevoli rapporti con alcuni boss mafiosi; ha, quindi, a sua volta, coltivato amichevoli relazioni con gli stessi boss; ha palesato agli stessi una disponibilità non meramente fittizia, ancorché non necessariamente seguita da concreti, consistenti interventi agevolativi; ha loro chiesto favori; li ha incontrati; ha interagito con essi; ha loro indicato il comportamento da tenere in relazione alla delicatissima questione Mattarella, sia pure senza riuscire, in definitiva, ad ottenere che le stesse indicazioni venissero seguite; ha indotto i medesimi a fidarsi di lui ed a parlargli anche di fatti gravissimi (come l’assassinio del Presidente Mattarella) nella sicura consapevolezza di non correre il rischio di essere denunciati; ha omesso di denunciare le loro responsabilità, in particolare in relazione all’omicidio del Presidente Mattarella, malgrado potesse, al riguardo, offrire utilissimi elementi di conoscenza.
    Di questi fatti, comunque si opini sulla configurabilità del reato, il sen. Andreotti risponde, in ogni caso, dinanzi alla Storia,
    Ma, dovendo esprimere una valutazione giuridica sugli stessi fatti, la Corte ritiene che essi non possano interpretarsi come una semplice manifestazione di un comportamento solo moralmente scorretto e di una vicinanza penalmente irrilevante, ma indichino una vera e propria partecipazione alla associazione mafiosa, apprezzabilmente protrattasi nel tempo.

    Pagg. 1512-1513
    Per contro, nel periodo qui in considerazione (fino alla primavera del 1980):
    - era ancora agli albori l’attacco violento ai rappresentanti delle istituzioni ed il ricorso ai metodi sanguinari che allontanò l’imputato dai mafiosi con i quali aveva fino ad allora coltivato amichevoli relazioni, non ostacolate da tale insuperabile pregiudiziale ideologica;
    - non era, inoltre, ancora emersa in termini chiari la fallacità del comune convincimento circa la determinante forza elettorale di Cosa Nostra, che aveva indotto il Bontate ad ammonire il suo illustre interlocutore circa la necessità di conservare il favore della mafia e che poteva astrattamente indurre a coltivare buone relazioni con i mafiosi;
    - non vi è traccia nella attività politico-istituzionale di Andreotti di un impegno antimafia che possa giustificare il convincimento che la amicizia palesata ai mafiosi fosse soltanto simulata.
    Del resto, ad ultimativo conforto dell’assunto, basta considerare proprio la, assolutamente indicativa, vicenda che ruota attorno all’assassinio dell’on. Pier Santi Mattarella.
    Anche ammettendo la prospettata possibilità che l’imputato sia personalmente intervenuto allo scopo di evitare una soluzione cruenta della questione Mattarella, alla quale era certamente e nettamente contrario, appare alla Corte evidente che egli nell’occasione non si è mosso secondo logiche istituzionali, che potevano suggerirgli di respingere la minaccia alla incolumità del Presidente della Regione facendo in modo che intervenissero per tutelarlo gli organi a ciò preposti e, per altro verso, allontanandosi definitivamente dai mafiosi, anche denunciando a chi di dovere le loro identità ed i loro disegni: il predetto, invece, ha, sì, agito per assumere il controllo della situazione critica e preservare la incolumità dell’on. Mattarella, che non era certo un suo sodale, ma lo ha fatto dialogando con i mafiosi e palesando, pertanto, la volontà di conservare le amichevoli, pregresse e fruttuose relazioni con costoro, che, in quel contesto, non possono interpretarsi come meramente fittizie e strumentali.
    A seguito del tragico epilogo della vicenda, poi, Andreotti non si è limitato a prendere atto, sgomento, che le sue autorevoli indicazioni erano state inaspettatamente disattese dai mafiosi ed a allontanarsi senz’altro dagli stessi, ma è "sceso" in Sicilia per chiedere al Bontate conto della scelta di sopprimere il Presidente della Regione: anche tale atteggiamento deve considerarsi incompatibile con una pregressa disponibilità soltanto strumentale e fittizia e, come già si è evidenziato, non può che leggersi come espressione dell’intento (fallito per le ragioni già esposte in altra parte della sentenza) di verificare, sia pure attraverso un duro chiarimento, la possibilità di recuperare il controllo sulla azione dei mafiosi riportandola entro i tradizionali canali di rispetto per la istituzione pubblica e di salvaguardare le buone relazioni con gli stessi, nel quadro della aspirazione alla continuità delle stesse.
    Sotto altro profilo, si deve rimarcare come la manifestazione di amichevole disponibilità verso i mafiosi, proveniente da una personalità politica così eminente e così influente, non potesse, di per sé, non implicare la consapevole adduzione alla associazione di un rilevante contributo rafforzativo.

    Pagg. 1517-1518
    In definitiva, la Corte ritiene che sia ravvisabile il reato di partecipazione alla associazione per delinquere nella condotta di un eminentissimo personaggio politico nazionale, di spiccatissima influenza nella politica generale del Paese ed estraneo all’ambiente siciliano, il quale, nell’arco di un congruo lasso di tempo, anche al di fuori di una esplicitata negoziazione di appoggi elettorali in cambio di propri interventi in favore di una organizzazione mafiosa di rilevantissimo radicamento territoriale nell’Isola: a) chieda ed ottenga, per conto di suoi sodali, ad esponenti di spicco della associazione interventi para-legali, ancorché per finalità non riprovevoli; b) incontri ripetutamente esponenti di vertice della stessa associazione; c) intrattenga con gli stessi relazioni amichevoli, rafforzandone la influenza anche rispetto ad altre componenti dello stesso sodalizio tagliate fuori da tali rapporti; d) appalesi autentico interessamento in relazione a vicende particolarmente delicate per la vita del sodalizio mafioso; e) indichi ai mafiosi, in relazione a tali vicende, le strade da seguire e discuta con i medesimi anche di fatti criminali gravissimi da loro perpetrati in connessione con le medesime vicende, senza destare in essi la preoccupazione di venire denunciati; f) ometta di denunciare elementi utili a far luce su fatti di particolarissima gravità, di cui sia venuto a conoscenza in dipendenza di diretti contatti con i mafiosi; g) dia, in buona sostanza, a detti esponenti mafiosi segni autentici - e non meramente fittizi - di amichevole disponibilità, idonei, anche al di fuori della messa in atto di specifici ed effettivi interventi agevolativi, a contribuire al rafforzamento della organizzazione criminale, inducendo negli affiliati, anche per la sua autorevolezza politica, il sentimento di essere protetti al più alto livello del potere legale.
    Alla stregua dell’esposto convincimento, si deve concludere che ricorrono le condizioni per ribaltare, sia pure nei limiti del periodo in considerazione, il giudizio negativo espresso dal Tribunale in ordine alla sussistenza del reato e che, conseguentemente, siano nel merito fondate le censure dei PM appellanti.
    Non resta, allora, che confermare, anche sotto il profilo considerato, il già precisato orientamento ed emettere, pertanto, la statuizione di non luogo a procedere per essere il reato concretamente ravvisabile a carico del sen. Andreotti estinto per prescrizione.


    http://www.resistere.it/archivio/030727_travaglio.htm

  2. #22
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    Citazione Originariamente Scritto da salvo.gerli Visualizza Messaggio
    ...cosa???
    la puntata di porta a porta.

  3. #23
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    Citazione Originariamente Scritto da salvo.gerli Visualizza Messaggio
    ...comunque un conto è essere contento ed un conto è mangiarla col cucchiano per gustarla meglio come fai tu...

    Ho una Panda del '91 fiammante... MAgari chiedo a Vespa di fare da intermediario... almeno spunto un buon prezzo. I furbi vanno avanti grazie ai gonzi e ai servi....

 

 
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