Anticomunismo. Storia di una conversione
Negli anni in cui Reagan era al potere io c’ero… ma stavo a sinistra. A sinistra come può starci uno studente di un istituto d’arte portato dalla cultura pop a credere, in via del tutto naturale, che a destra ci fosse soltanto pattume e ignoranza. Destra intesa in senso prettamente neofascista, perché gli yuppies reaganiani costituivano ai miei occhi soltanto una destra di comodo, un conservatorismo politico leggermente più attardato del kennedismo sul fronte della postmodernità. Questo era quel che almeno pensava di loro il sottoscritto, disinteressato alla politica partitica e ancor più delle elezioni americane.
Nonostante tenessi allora a definirmi di sinistra come – pensavo – qualsiasi persona intelligente e di buon gusto, avevo però tendenze reazionarie. Leggevo infatti Baudelaire e mi deliziavo dei suoi versi antiprogressisti, filocattolici e antifemministi. Ascoltavo Joy Division e Death In June. Più o meno per le stesse ragioni mi piaceva Nietzsche e avevo una passione segreta (segretissima…) per l’immaginario nazista. A Risiko invece sceglievo i rossi maoisti ma solo perché mi apparivano un popolo più ordinato e austero di quello occidentale. Non mi sono mai piaciuti granchè i neri, ma fra gli indigeni, malnutriti, africani e i palestrati mezzosangue americani ho sempre optato per i primi. Nazionalbolscevico? Non avevo alcuna idea di cosa intendesse questa combinazione di idee. Piuttosto ero un decadente, a sinistra per necessità, di destra, forse, per elezione.
Non c’è dubbio, però, che a quel tempo con i neofascisti tendessi a non simpatizzare. C’era un mio cugino che si diceva di destra: un darwinista sociale che metteva insieme Nietzsche con Reagan pur non avendo mai letto un rigo di Ayn Rand. Andava matto per i cartoni giapponesi e i films di Sylvester Stallone; la palestra, la moto e… le ragazze. Lo trovavo superficiale in maniera detestabile. Se io avevo in camera il poster di Robert De Niro, di cui apprezzavo i ruoli profondi e drammatici, lui, metteva Schwarzenegger e Jeeg Robot. Io mi dilettavo a scrivere poesie e lui si scompisciava per Ezio Greggio: se non avessimo avuto la comune passione per il calcio non ci saremmo mai frequentati…
Oltretutto questo mio cugino era un pessimo divulgatore delle sue idee (ammesso che ne avesse), nel senso che sembrava fare quasi apposta a renderle insostenibili e caricaturali. Quando gli venne la fissa del Bronson Giustiziere non faceva che parlarne, in maniera così sballata però da allontanare chiunque avesse, come a quel tempo il sottoscritto, poca simpatia per quel genere di personaggi. Per anni ho conservato di quel film un pregiudizio negativo, che ho perduto e ribaltato soltanto dopo aver visto il film in VHS.
Intanto, mentre mio cugino si dava alle feste e ai bagordi io trascorrevo i miei vent’anni al seguito di poco raccomandabili amicizie anarco-insurrezionaliste. Pur restandovi ai margini, devo ammettere purtroppo che il mio ambiente era quello. Per noi allora un Reagan, un Craxi o un Andreotti non faceva differenza e quando il PCI defunse ricordo solo l’impacciato discorso di un leader locale dell’Autonomia volto a sottolineare che non era il comunismo a morire e... bla bla bla. Diversamente da lui, a me della fine del comunismo sovietico non poteva fregar di meno, quello che mi interessava allora erano piuttosto le battaglie antiproibizioniste. Pur non essendo mai stato né tossico né frocio associavo pedissequamente il vietato vietare con la civiltà e il proibizionismo con la barbarie. Finchè, un certo giorno, in seguito all’allentarsi di alcune relazioni personali a cui tenevo in particolar modo, mi resi conto che la mia vita aveva preso una piega assai diversa da quella che avevo immaginato e troncai di netto con tutto quell’ambiente riorientando completamente e clamorosamente la mia forma mentis.
Grazie al neo-folk apocalittico avevo già una conoscenza nominale di Julius Evola, che approfondii insieme a Renè Guenon. Nel 1994 ero di fatto passato all’estrema destra, leggendo di tutto, da Malinsky e Romualdi a Rauti e Freda. Mi abbeverai alla critica del mondo moderno e mi fu facile farlo perché dietro la patina del progressista postmoderno celavo già – come ho detto – un’indole reazionaria. La destra ufficiale non mi appassionava per nulla: i Berlusconi, i Dini, i Dole potevano andare bene per mio cugino, non per me. Tuttavia per dire come fossi lontano dal mondo neofascista e di come questo fosse ghettizzato nell’opinione pubblica, ricordo che gustai l’opportunità di votare l’Alessandra Mussolini a sindaco di Napoli come se fosse un perverso piacere.
Il mondo della Destra Radicale si rivelò però una delusione per le sue ambigue convergenze con l’estrema sinistra. Quando la lettura di Orion diventò per me una tortura dissi basta: dal mondo comunista ero uscito dalla porta e non volevo per nulla rientrarvi, magari dalla finestra. Avevo avuto modo di conoscere gli anarchici dell’Autonomia per quelli che erano: borghesi nichilisti con impresso negli occhi un luciferino sguardo nei confronti della vita. La provocazione come regola, questi distruttori per vocazione erano come etero-diretti al fine della sovversione e dello storpiamento di tutto ciò che la società occidentale (quella benpensante di venti-trent’anni fa, attenzione) e il senso comune percepivano come buono e giusto.
Questa consapevolezza di aver avuto a che fare con qualcosa di intrinsecamente malvagio è stata per me una scossa salutare. Addirittura Provvidenziale. Mi sono riavvicinato alla Fede Cattolica, per anni tralasciata al rango di bassa superstizione, e grazie a questa iniziato un percorso, che continua tuttora, volto a combattere con l’ardore del neoconvertito il tremendo drago comunista. Oggi posso dire che sono di Destra perché sono già stato di Sinistra. Ho gli anticorpi, ormai non mi fregano più.
Florian