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    Predefinito B.R. tensione al processo di Milano.

    Nuove Br, tensione al processo

    Milano, imputati contestano Ichino



    Tensione al processo a carico delle presunte nuove Brigate rosse, in corso a Milano. Gli imputati presenti in aula hanno contestato il giuslavorista e senatore del Pd Pietro Ichino, indicato dall'accusa come uno degli obiettivi della presunta organizzazione terroristica. Ichino è stato definito dagli imputati un "massacratore di operai". L'udienza è stata sospesa per alcuni minuti e alcuni imputati sono stati allontanati.

    All'inizio dell'udienza uno degli imputati, Davide Bortolaso, ha letto una breve dichiarazione spontanea per affermare che lui e "compagni" sono "contenti di avere qua oggi, in aula, il giuslavorista Ichino. Siamo contenti perché ci sono lui, lo Stato e i fascisti di Forza Nuova tra le parti civili, e questo dimostra che è in corso un processo politico dove queste parti civili rappresentano gli sfruttatori mentre gli imputati rappresentano quanti lottano per i diritti dei lavoratori. Ichino si è costruito una carriera criminalizzando i lavoratori".

    Dopo la sospensione l'udienza è ripresa senza la presenza degli imputati, e nel corso della sua deposizione Ichino ha sottolineato come "in Italia chi tocca lo statuto dei lavoratori muore".


  2. #2
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    Gli imputati «massacratore di operai». Il professore: «C'è intimidazione permanente»

    Insulti a Ichino, Br allontanati dall'aula

    Momenti di forte tensione al processo di Milano contro le nuove Brigate Rosse. Interrotta la seduta

    Pietro Ichino, docente universitario, giuslavorista e senatore del PdMILANO - Momenti di tensione nell'aula della prima corte d'assise di Milano, al processo contro le presunte nuove Br. Pietro Ichino, giuslavorista e docente universitario, oggi anche senatore del Pd, stava spiegando in aula i motivi che lo hanno indotto a costituirsi parte civile al processo (per le sue posizioni a favore di una riforma del lavoro era stato più volte indicato tra i possibili obiettivi di un'azione brigatista) quando dalle gabbie è partita la sollevazione degli imputati che lo hanno attaccato duramente definendolo, tra l'altro, «massacratore di operai».
    LA SCELTA DI ICHINO - Ichino aveva preso la parola per sottolineare come la sua scelta di costituirsi parte civile era stata presa «non tanto per me ma perchè le limitazioni, le intimidazioni permanenti alla libertà di pensiero sono qualcosa che pesa sull'intero Paese. Non mi importava tanto per me, ma non volevo svalutare quanto accade all'intera comunità accademica a cui appartengo». Immediata l'interruzione da parte degli imputati: «Siete una banda di sfruttatori, volete la libertà per sfruttare». Le dichiarazioni dei brigatisti, secondo quanto riferiscono le agenzie di stampa, sono state accompagnate anche da qualche applauso dal pubblico.
    CACCIATI DALL'AULA - Il presidente della Corte, Luigi Cerqua, ha a quel punto sospeso l'udienza e deciso di ritirarsi dall'aula per consentire agli agenti di polizia penitenziaria di individuare esattamente, quanti tra gli imputati, sono intervenuti e scortarli fuori dalla sala. Prima che Ichino iniziasse il suo intervento, era stato uno degli imputati, Davide Bortolato, a prendere la parola per una dichiarazione spontanea: «Il qui presente Ichino - aveva detto - si è costruito la propria carriera criminalizzando i lavoratori». «Siamo contenti di averlo qua, in aula - ha aggiunto Bortolato - . Contenti perchè in questo processo ci sono come parti civili lui, lo Stato e i fascisti di Forza Nuova: questo dimostra che la qualità del processo è politica. Un processo in cui le parti civili sono gli oppressori e gli sfruttatori e gli imputati coloro i quali lottano per i diritti dei lavoratori».
    «CHI TOCCA LO STATUTO MUORE» - Dure le parole dello stesso Ichino durante la deposizione, dopo la ripresa del processo: «In Italia chi tocca lo statuto dei lavoratori muore». «In nessuna parte del mondo - ha puntualizzato il senatore - il dibattito sul diritto del lavoro rappresenta una minaccia da noi chi tocca lo statuto muore. Ma un paese democratico non può essere limitato nella sua possibilità di discutere. Questo rappresenta una grande sofferenza». Il docente ha poi ricordato, sollecitato dalle domande del pm Ilda Boccassini, come giá dal 2005 sia stato costretto a svolgere la sua professione universitaria perennemente scortato da agenti. «La loro presenza -afferma- è sempre stata evidente anche in aula, anche quando tenevo lezioni o dibattiti o quando ero nella mia stanza personale. E questo significava notificare a tutti, anche agli studenti, che io sono uno che dice cose per le quali c'è chi lo vuole far fuori. E questo limita e altera il rapporto di docente».



    23 gennaio 2009

    www.corriere.it

  3. #3
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    Non intervengo sulle cose dette dagli imputati, perché siamo su un forum pubblico, ma...

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    Citazione Originariamente Scritto da Outis Visualizza Messaggio
    Non intervengo sulle cose dette dagli imputati, perché siamo su un forum pubblico, ma...
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  5. #5
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    Vale la pena ribadire che il vero nome del gruppo è partito comunista politico-militare in quanto la sigla BR non può essere utilizzata da alcun gruppo senza l'avallo degli ultimi irriducibili in carcere.

  6. #6
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    ILSOLE24ORE.COM > Italia ARCHIVIO Nuove Br, Ichino insultato in aula: «Difendo la libertà»



    commenti - | |
    23 gennaio 2009










    Non gli hanno risparmiato nemmeno gli ultimi insulti, quando è uscito dall'aula, dopo aver testimoniato. I parenti e gli amici dei presunti terroristi delle "Nuove Br" - sotto processo a Milano - lo hanno aspettato all'uscita e hanno inveito contro di lui.
    Pietro Ichino, giuslavorista e senatore del Pd, è rimasto sereno, lui che, per gli inquirenti, era proprio uno degli obiettivi del gruppo che si rifaceva alla "seconda posizione" delle Br.
    «Sono uno che dice cose per le quali rischia di essere fatto fuori e in questo processo, da parte civile, difendo la libertà di pensiero», ha spiegato il professore milanese di diritto del lavoro, testimoniando davanti ai giudici della prima Corte d'Assise.

    Prima che iniziasse a parlare, uno dei 17 imputati, tra i leader del Partito comunista politico-militare, Davide Bortolato, ha voluto rilasciare una dichiarazione spontanea: «Siamo contenti di averlo qui - ha detto con tono ironico - contenti che siano presenti come parti civili lui, lo Stato e i fascisti di Forza Nuova (una sede subì un attentato, ndr). Ciò dimostra che questo è un processo politico, dove sono rappresentati gli sfruttatori e chi lotta per i diritti dei lavoratori».
    Quando Bortolato ha proseguito dicendo «il qui presente Ichino si è fatto una carriera criminalizzando i lavoratori», il presidente della Corte, Luigi Cerqua, l'ha interrotto, mentre dalle gabbie partivano i primi insulti contro il professore e parenti e amici degli imputati applaudivano.

    Tornata la calma, Ichino ha raccontato i suoi «quasi 10 anni di vita in allarme», che vanno avanti tuttora, sotto scorta, anche dopo gli arresti del febbraio 2007. Nel '99, quando venne ucciso dalle Br di Nadia Desdemona Lioce il suo collega Massimo D'Antona, gli agenti in borghese cominciarono ad aggirarsi con discrezione alla Statale, dove Ichino insegna. «Il ministro Bersani mi chiese di assumere il posto che era di D'Antona all'Enav ed io lo feci consapevole dei rischi che corre chi si occupa di riformare il diritto del lavoro».

    Nel 2002 le Br ammazzarono anche Marco Biagi e al professore diedero la scorta. «Una vettura e due agenti che diventarono due vetture e cinque agenti, quando il prefetto mi telefonò per dirmi che c'erano elementi di maggior allarme». «Una situazione, quella del vivere sotto scorta, che, ha spiegato Ichino, anche la mia famiglia ha sempre sopportato». «Questo sacrificio - ha aggiunto - è dovuto all'intimidazione permanente, al dissenso armato, che minaccia l'intera comunità dei giuslavoristi italiani, cosa che all'estero non esiste e che da noi è una cappa di piombo, che limita la serenità del dibattito». Proprio mentre Ichino stava spiegando la sua decisione di costituirsi parte civile nel processo («Lo faccio, ha detto, perchè questa intimidazione pesa sull'intero Paese, dove chi tocca lo statuto, muore»), i mugugni di imputati e parenti si sono trasformati in grida: «Sei un massacratore di operai». Il presidente della Corte ha fatto allontanare dalle gabbie tutti gli imputati (Davide Bortolato, Claudio Latino, Alfredo Davanzo, Vincenzo Sisi e Massimiliano Toschi) e poi ha riammesso il solo Bruno Ghirardi, che non aveva detto nulla. Alla ripresa, le difese, e in particolare l'avvocato Sandro Clementi, hanno insistito nel chiedere a Ichino se avesse mai ravvisato elementi concreti d'allarme e il giuslavorista ha risposto: «Ho potuto leggere le conversazioni telefoniche tra gli imputati e ho avuto la conferma che un gruppo dotato di armi mi considerava un obiettivo». E ha concluso: «L'ultima conferma poi l'ho avuta stamattina». Oggi sono stati esaminati anche due degli imputati, Andrea Tonello e Davide Rotondi. Quest'ultimo ha spiegato di essere «stanco di sentire il termine terrorista».
    Solidarietà al giuslavoralista è arrivata da tutte le forze politiche. Se il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha dichiarato: «Desidero rivolgere la mia più intensa solidarietà per le inquietanti
    intimidazioni subite oggi a Milano, proprio nel luogo istituzionalmente preposto a garantire il rispetto della legalità a presidio della nostra democrazia», il vicepresidente del Senato Vannino Chiti (Pd) ha detto: «Rivolgo a Ichino la mia solidarietà per le vergognose minacce subite oggi da persone che, evidentemente, ignorano colpevolmente i concetti di dialogo, rispetto e tolleranza». Compatto il sindacato nella manifestazione di solidarietà al senatore. Il processo prosegue il 2 febbraio con i primi testi delle difese.

  7. #7
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    Le Br minacciano Ichino, tensione al processo

    Repubblica — 24 gennaio 2009 pagina 4 sezione: POLITICA INTERNA
    MILANO - «Fai schifo, assassino», gli urlano mentre esce dall' aula. «Buh!», lo sfotte un ragazzo, per ridicolizzare il fatto che giri con la scorta per timore di attentati. Così è stato trattato ieri il giuslavorista Pietro Ichino dopo la sua deposizione nel processo contro 17 presunti appartenenti al Partito comunista politico-militare, le cosiddette Nuove Brigate rosse. Poco prima il professore, oggi senatore Pd - che si è costituito parte civile in quanto considerato un obiettivo dei terroristi - era stato insultato in tutti i modi anche nell' aula del processo. «Il qui presente Ichino si è costruito la propria carriera criminalizzando i lavoratori», ha detto in una dichiarazione spontanea Davide Bortolato, uno degli imputati, prima che cominciasse la deposizione. «Massacratore di operai», hanno attaccato poi gli altri. Fino a quando il presidente della Corte, Luigi Cerqua, non è stato costretto a sospendere l' udienza, facendo allontanare i detenuti. Minacce e intimidazioni che hanno provocato reazioni indignate da ogni parte, a cominciare dalla Cgil, il sindacato che pure Ichino è tornato a criticare, dicendo di non condividere la posizione di Epifani sulla riforma dei contratti. Il leader del Pd Walter Veltroni considera le minacce «un fatto gravissimo, tanto più perché avviene nell' aula di un tribunale». Gianfranco Fini, presidente della Camera, ha inviato un messaggio al giurista e senatore nel quale gli rivolge la sua «più intensa solidarietà» e dice che «non bisogna abbassare la guardia contro il terrorismo». E Maurizio Sacconi, ministro del Lavoro, dice che Ichino «vive l' assurda condizione di esposizione alle minacce dei brigatisti condivisa in Italia da tutti coloro che vogliono superare l' ideologia del conflitto nei rapporti di lavoro». Una tesi che, con parole diverse, aveva esposto in aula lo stesso Ichino parlando di «un' intimidazione permanente nei confronti dei giuslavoristi italiani e dell' intera comunità scientifica e accademica che si occupa del lavoro». Un clima di minacce continue che porta, secondo lui, a una sola conclusione: «In Italia chi tocca lo statuto dei lavoratori muore». è la tragica sorte toccata nel '99 e nel 2002 ai suoi colleghi Massimo D' Antona e Marco Biagi. Davanti ai giudici della corte d' Assise Ichino ha aggiunto: «Sono uno che dice cose per le quali rischia di essere fatto fuori e in questo processo, da parte civile, difendo la libertà di pensiero». I pericoli nei suoi confronti non sono ancora cessati, hanno spiegato dalla Prefettura al docente universitario, perché in giro ci sono altri appartenenti all' organizzazione terroristica, sfuggiti agli arresti, che potrebbero colpirlo. Al pm Ilda Boccassini - ma soprattutto incalzato dalle domande degli avvocati della difesa - Ichino ha dovuto spiegare perché si sentisse nel mirino. «Ho saputo che controllavano sotto i casa i miei movimenti. La mattina uscivo di casa e mi dicevo: "Ci sarà qualcuno che mi spara?"». «Umanamente capiamo la sua sofferenza ma lei potrebbe essere un soggetto impressionabile», replica un avvocato. Ichino ha parlato dei suoi dieci anni sotto scorta - «è dal 1999 che mi ritrovo a fare i conti con questa minaccia. Del resto il terrorismo ha un' ossessione contro i giuslavoristi» - e quindi della sua amicizia con Marco Biagi e Massimo D' Antona, i suoi due colleghi uccisi dalle Brigate rosse. «Marco parlò anche con me delle minacce che aveva subito. Era scettico, diceva: "Chi spara non avverte". Si è sbagliato». Uscendo dall' aula, invece, il senatore ha commentato il mancato appoggio della Cgil all' accordo sulla riforma dei contratti. «Temo che se le riforme non le faranno i sindacati con le parti imprenditoriali, queste le faranno i fatti, e un po' peggio», ha detto Ichino, che ha spiegato di essere iscritto alla Cgil: «Sono un iscritto un po' eccentrico ma molti all' interno del sindacato la pensano come me». - DAVIDE CARLUCCI

 

 

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