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SPYCAM
di Oreste Pivetta
Malpensa è come il bicchiere: mezzo vuoto o mezzo pieno. Dipende. Viaggiando sul trenino che da Cadorna porta al terminal, percorrendo i saloni dei check in, dopo il "de-hubbing", dopo insomma che il sogno lombardo di grandeur è svanito, sembra mezzo vuoto. Ad ascoltare Giuseppe Bonomi, il presidente di Sea, la società pubblica che ha in gestione l’aereoporto, si direbbe che è mezzo pieno e che il rischio è di vederlo traboccare di qui a qualche anno, sempre che si esca dalla crisi, sempre che le rotte vengano liberalizzate e che arrivino investimenti per i collegamenti, per i servizi, sempre che il governo si dia una mossa.
L’altro ieri, in audizione alla Commissione trasporti della Camera, Bonomi pare abbia esultato: «Siamo ripartiti: ad aprile abbiamo avuto un primo dato positivo, l’aumento del 7,9 per cento del traffico passeggeri, rispetto al 2008». Si dovrebbe aggiungere che il 2008 è stato l’anno nero e che aprile è stato il mese nero di Alitalia. La sintesi corretta sarebbe: quasi 24 milioni di passeggeri nel 2007, 19 milioni nel 2008, quando sono stati persi poco meno di 8 milioni di passeggeri per il ritiro di Alitalia e se ne sono guadagnati tre milioni grazie ad altri vettori. Il bilancio è questo. Poi si lavora per il futuro e per il futuro c’è chi continua a sperare in Alitalia, come il presidente lombardo Formigoni, che ogni volta con gesto risolutore annuncia: «Parlerò io con Sabelli». C’è chi, come lo stesso Bonomi, ci ha messo una pietra sopra: «Possiamo farcela da soli...». A settembre di un anno fa, quando del domani di Alitalia si sapeva ancora meno di oggi, a Cernobbio, mi aveva detto: «A questo punto possiamo farne a meno». D’accordo con i sindacati. Dice Nino Cortorillo, numero uno della Filt Cgil in regione: «Scelta irreversibile, uscita definitiva, quella di Alitalia. Perchè Malpensa che può togliere qualcosa a Parigi non sta nell’interesse di Air France». Il “padrone” è stato chiaro (in un’intervista a "Repubblica"): «Malpensa non potrà mai essere ciò per cui è stata disegnata, un hub». Giudizio impietoso (ma fondato) nei confronti dei patrocinatori nordisti della “causa”, addirittura feroce nei confronti del maggior propagandista: il governatore Formigoni.
Così muore un hub (ecco il "de-hubbing"), un hub mai nato, eterna ambizione del Nord, alimentata dalla scelta di una sola compagnia, mortificata da sempre per la penuria delle infrastrutture e alla fine dal solito compromesso all’italiana per salvare Fiumicino, consegnata alla dura realtà dall’abbandono di Alitalia che in un anno da mille e 200 è planata a neanche duecento voli settimanali, così che a Malpensa è mancato all’appello un quarto dei voli del 2007: un precipizio, se si pensa che è passato solo un anno, scendendo da poco più di quattromila movimenti settimanali a poco più di tremila. Nello sconforto di politici di varia estrazione, affiliati tutti al centrodestra, che hanno dovuto assistere alla fuga da Malpensa non solo della compagnia di bandiera ma anche di Berlusconi e del suo governo. In silenzio. «Perchè - sostiene Cortorillo - nell’accordo con i francesi ci sta un piano industriale e un piano politico». Per sostenere quest’ultimo e perchè Berlusconi possa presentarsi alle prossime elezioni da salvatore della patria aerea, non si può cambiare una virgola del piano industriale, che è protezionista e basta, taglia la concorrenza e gradisce Malpensa piccolo-piccolo. Alla Lega tocca solo tacere: nello scambio s’è guadagnata la “sicurezza”. Niente allora, ad esempio, liberalizzazioni degli slot. I cieli, come è noto, non sono tutti liberi: sono liberi sopra l’Europa dell’Unione e tra l’Europa e il Nord America, per volare verso paesi extra Ue occorre un accordo e l’Italia ovviamente li accordi bilaterali li aveva sottoscritti sempre a nome Alitalia. Nel gennaio scorso l’emendamento salva Malpensa al decreto anti-crisi aveva impegnato il governo a promuovere entro trenta giorni la rinegoziazione. Poco s’è fatto fino ad oggi: due pratiche sbloccate, Cina e Corea del Sud.
Niente di fronte alle promesse di una eterna campagna elettorale, evidentemente insufficiente a muovere passeggeri, aerei, compagnie. Insufficienti sono anche le promesse della nuova Alitalia: un paio di voli intercontinentali in più, forse tre.
Il piano industriale di Sea individua altre strade, «che il sindacato - non ha timore Cortorillo a riconoscerlo - condivide». Quali sono le strade? Intanto una partnership strategica come quella con Lufthansa, cioè con i tedeschi di una delle più prestigiose compagnie al mondo. Poi il low cost con Easy Jet. Infine il settore cargo, definito «risorsa strategica». In questo senso Malpensa può dire di tentare un primato e rappresenterebbe comunque un’eccezione: Amsterdam fa venti milioni di passeggeri ed è solo un hub, Palma di Mallorca conta altrettanti passeggeri ed è un approdo turistico low cost, l’aereoporto varesino tiene insieme un hub (il progetto di Lufthansa vuole che diventi il suo quarto hub dopo Monaco, Francoforte e Zurigo), il turismo a basso costo e le merci. Ce la farà? Possibile perchè l’andamento del mercato è ovviamente ciclico, ma tendenzialmente sempre in crescita: negli ultimi dieci anni, malgrado tutto, il traffico passeggeri in Italia è raddoppiato.
Sul destino di Malpensa potrebbe continuare a pesare la questione mai risolta di Linate: il sistema lombardo (in un sistema “padano” segnato dalla presenza di una infinità di scali nel raggio di pochi chilometri: basti pensare a Orio al Serio) s’è sempre complicato la vita da sè. Linate è lì, aereoporto cittadino, che è in realtà punto di forza nella strategia della nuova Alitalia, perchè può essere una sorta di banca sicura grazie al monopolio (il 70 per cento garantito del traffico) sulla tratta Milano-Roma, perchè non confligge con Fiumicino e tanto meno con Parigi. «Nessuno - spiega Cortorillo - avrebbe interesse a trasformare Linate in un parco giochi. In tutta questa vicenda, superata la crisi internazionale, se il piano industriale avesse successo, Malpensa potrebbe ritrovarsi alla saturazione e Linate potrebbe tornare d’attualità». Se poi l’Expo milanese si farà davvero...
Siamo di fronte a una partita incerta: la decideranno i vettori, non chi gestisce il “contenitore”.
La Sea non può inventarsi altro che il modo per garantire servizi più efficienti e quindi per esaltare una propria attrattività (insieme con tariffe competive: e per ora quelle di Sea sono tra le più basse nell’Unione europea). Ci vogliono investimenti e quindi, come sostiene il sindacato, ci vuole la forza per mantenere una capacità di autofinanziamento. Bonomi ricordava che Sea tra il 2004 e il 2008 aveva investito 541 milioni in autofinanziamento e che tra il 2009 e il 2016 avrebbe investito per un miliardo e mezzo.
Conti stretti e difficili, fino all’azzardo. A pagare sono stati ancora i lavoratori (Sea gestisce anche l’handling, cioè tutti i servizi a terra, dallo smistamento bagagli al trasporto passeggeri: tremila dipendenti). Cortorillo conferma che fu la Filt per prima a chiedere il ricorso agli ammortizzatori sociali, una novità. Sono arrivati la cassa integrazione, per alcune migliaia, e anche i pensionamenti: proprio l’altro ieri è stato raggiunto un accordo per 390 lavoratori. accompagnati con incentivi e cassa integrazione. Con un bel risultato: aver strappato l’assunzione a tempo indeterminato per i precari (da più di due anni al lavoro), una volta chiusa la cig. Un risultato in cui si legge una condivisione tra impresa e sindacato.
Il centrodestra ha recitato la solita scena: i proclami di Formigoni, quelli della Lega, senza conseguenze di fronte ai progetti di Berlusconi, cioè alla sua propaganda.
10 maggio 2009
http://www.unita.it/news/84631/malpe...esse_e_declino