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  1. #1
    Μάρκος Βαφειάδης
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    Predefinito Intervista di Fosco Giannini

    Intervista di Fosco Giannini a Rinascita.
    "Adesso unirsi è indispensabile: un partito all'altezza dei tempi"

    Rifondazione si è trovata in queste ultime settimane nell’occhio del ciclone per le polemiche attorno a Liberazione. Quali sono i termini veri di quella polemica?
    La polemica sul cambio di direttore è stata semplicemente ridicola. Le dimissioni di Sansonetti erano inevitabili per almeno tre ragioni: la caduta enorme di vendite (da 12.000 copie giornaliere, con la direzione di Sansonetti si è scesi oggi sotto le 6.000 copie), l’indebitamento immenso (con la gestione Sansonetti ogni giorno che Liberazione usciva, perdeva 16.000 euro e il partito si è trovato nella necessità di coprire un buco di oltre 3 milioni di euro), la scelta di utilizzare il quotidiano per osteggiare la linea politica decisa dal congresso del partito. Su quest’ultimo punto voglio ricordare che al congresso ha vinto la linea dell’autonomia comunista di Rifondazione, mentre da luglio a gennaio Liberazione ha ogni giorno sostenuto che occorreva andare oltre il Prc: una schizofrenia che nessun gruppo dirigente potrebbe sopportare, in nessun partito.
    Inoltre abbiamo assistito a un’accusa violenta da parte dell’area vendoliana a tutta la maggioranza: l’accusa di stalinismo. Io la considero non solo una grandissima balla, ma la ricerca disperata del casus belli, dato che la scissione è stata preparata da tempo. La minoranza non riconosce la legittimità della vittoria congressuale e avversa decisamente il progetto di rilancio dell’autonomia comunista.
    In Direzione abbiamo assistito a innumerevoli interventi non argomentati, in un clima surreale.
    Il dibattito sembrava incentrato su chi era stalinista, rimuovendo tutti i problemi veri del Prc. Tra l’altro, vorrei ricordare che sullo stalinismo sono ancora attuali le riflessioni di Togliatti, quando affermava che dare tutte le colpe a Stalin, evitando un’analisi generale, rischiava di far credere che nessun altro avesse colpe. E faccio questo riferimento pur essendo convinto che discutere oggi di stalinismo in Rifondazione ha qualcosa di folle oltre che di surreale.
    Qual è il tuo giudizio sulla nomina di Dino Greco a direttore di Liberazione?
    I compagni dell’Ernesto hanno appoggiato totalmente la scelta di Dino Greco, che per anni ha collaborato con la nostra rivista dando un grande contributo. E’ un rappresentante della sinistra della Cgil, di spessore culturale insolito per un dirigente sindacale. Si è impegnato sui temi della lotta di classe, della centralità del lavoro, dell’immigrazione, contro l’industria bellica. Confidiamo che sappia tenere aperto un dibattito e garantisca un superamento della cialtroneria immessa da Sansonetti in Liberazione.
    Nella riunione della vostra Direzione si è sancito l’abbandono del partito da parte di molti
    dirigenti vendoliani. Possiamo quindi affermare che la scissione sia esplicitamente in corso?
    La scissione è in atto da molto tempo e, come ho detto, la rottura su Liberazione e l’accusa di stalinismo sono stati due tentativi di trvare un casus belli. Ora è possibile che tentino di fare più male possibile al partito, con una scissione a tappe. Prima uscirà un gruppo consistente di dirigenti, poi Bertinotti dichiarerà di non rinnovare la tessera, infine avremo scissioni in una federazione, poi in un’altra, e così via. Insomma, un tentativo di tagliare a fette, progressivamente, il partito. Il gruppo di vendoliani che è rimasto nel partito continuerà la battaglia in sinergia con l’esterno. Non sono autonomi dal progetto degli scissionisti.
    Quali prospettive vedi per chi lascia Rifondazione?
    Hanno il vantaggio di un grande sostegno da parte dei media, ma il loro progetto è debole. Vedo nei vendoliani una grande difficoltà strategica, tra tentennamenti e divisioni interne alla loro area. Hanno problemi enormi di identità, di profilo teorico e politico.
    Citano come riferimento la Linke tedesca, ma in Italia abbiamo tutt’altra storia. Qual è il loro blocco sociale, la loro base materiale di riferimento? A quale filone della tradizione politica italiana appartengono? Dicono di non essere comunisti, né socialdemocratici: ma allora cosa sono? Forse riusciranno a riunirsi con Fava, Belillo e qualche esponente dei Verdi, ma con il rischio di contare poco sul piano elettorale e di prospettiva. Per questo è possibile che subiscano l’attrazione fatale del Pd o di D’Alema, qualora quest’ultimo forzasse i suoi dissensi con la leadership del Partito democratico per creare una nuova formazione “socialista”.
    A questo punto diventa più realistico che alle prossime elezioni europee Rifondazione e
    Pdci si presentino insieme?
    C’è una necessità assoluta di far prevalere l’unità sulla diaspora e ciò prescinde dalla eventuale soglia di sbarramento alle europee. Noi ci batteremo chiaramente dentro Rifondazione per presentarsi alle elezioni con un unico simbolo comunista.
    E non si tratta di fare adesso un nuovo partito, non si creano i partiti perché c’è una scadenza elettorale. Tra l’altro, Rifondazione rischia di andare alle europee in una situazione molto difficile, avendo sulle spalle una scissione dolorosissima e pesante che si aggiunge alla sconfitta sonora di aprile: il gruppo dirigente di Rifondazione avrebbe grande difficoltà a spiegare per quale ragione respingere l’afflato unitario del Pdci.
    Ecco, la domanda è proprio questa: quali sarebbero, oggi, i motivi per dire no alla riunificazione tra Prc e Pdci?
    In parte del gruppo dirigente di Rifondazione c’è un’obiezione fragile, ma che fa breccia in un senso comune diffuso dentro al partito. Secondo quest’obiezione, il Prc avrebbe avviato un grande progetto di innovazione, mentre il Pdci no. Si tratta di un’obiezione fragile perché, dopo dieci anni di separazione, è del tutto evidente che il Prc non può vantare solo innovazione, ma è parte della
    contraddizione. Abbiamo saputo creare un proficuo rapporto tra il partito e i movimenti, ma abbiamo anche avviato con Bertinotti una “decomunistizzazione” del partito, con la tesi che il comunismo sarebbe solo una “tendenza culturale”.
    Non abbiamo solo innovato, abbiamo anche prodotto elementi di anticomunismo. Insomma, oggi il Prc non è una verginella, anche noi abbiamo delle responsabilità.
    Ritengo che il Pdci abbia fatto tanti errori, abbia avuto un’involuzione istituzionalista, pagando dei prezzi in termini di lotta di classe.
    Tuttavia non ha mai abbandonato le sue posizioni antiimperialiste, la sua identità comunista, e nell’ultima fase ha corretto fortemente la sua linea, a partire dall’ultimo congresso. Oggi il Pdci mette a disposizione le sue forze per il rilancio del progetto di un partito comunista che riassuma i connotati originari di Rifondazione: si tratta della dialettica tra lotta di classe, azione sociale e ricerca teorica aperta per costruire un partito comunista all’altezza dei tempi. Tra noi le differenze sono inferiori ai problemi provocati dalla divisione dei comunisti.
    ___________________
    Trascrizione dall'ultimo numero di Rinascita(a pag. 9 - testo in pdf)
    http://62.149.230.228/rinascita/images/pdf/2009/03_09.pdf

  2. #2
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    Bravo Fosco, come sempre.

  3. #3
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    Citazione Originariamente Scritto da markos Visualizza Messaggio
    Intervista di Fosco Giannini a Rinascita.
    "Adesso unirsi è indispensabile: un partito all'altezza dei tempi"

    Rifondazione si è trovata in queste ultime settimane nell’occhio del ciclone per le polemiche attorno a Liberazione. Quali sono i termini veri di quella polemica?
    La polemica sul cambio di direttore è stata semplicemente ridicola. Le dimissioni di Sansonetti erano inevitabili per almeno tre ragioni: la caduta enorme di vendite (da 12.000 copie giornaliere, con la direzione di Sansonetti si è scesi oggi sotto le 6.000 copie), l’indebitamento immenso (con la gestione Sansonetti ogni giorno che Liberazione usciva, perdeva 16.000 euro e il partito si è trovato nella necessità di coprire un buco di oltre 3 milioni di euro), la scelta di utilizzare il quotidiano per osteggiare la linea politica decisa dal congresso del partito. Su quest’ultimo punto voglio ricordare che al congresso ha vinto la linea dell’autonomia comunista di Rifondazione, mentre da luglio a gennaio Liberazione ha ogni giorno sostenuto che occorreva andare oltre il Prc: una schizofrenia che nessun gruppo dirigente potrebbe sopportare, in nessun partito.
    Inoltre abbiamo assistito a un’accusa violenta da parte dell’area vendoliana a tutta la maggioranza: l’accusa di stalinismo. Io la considero non solo una grandissima balla, ma la ricerca disperata del casus belli, dato che la scissione è stata preparata da tempo. La minoranza non riconosce la legittimità della vittoria congressuale e avversa decisamente il progetto di rilancio dell’autonomia comunista.
    In Direzione abbiamo assistito a innumerevoli interventi non argomentati, in un clima surreale.
    Il dibattito sembrava incentrato su chi era stalinista, rimuovendo tutti i problemi veri del Prc. Tra l’altro, vorrei ricordare che sullo stalinismo sono ancora attuali le riflessioni di Togliatti, quando affermava che dare tutte le colpe a Stalin, evitando un’analisi generale, rischiava di far credere che nessun altro avesse colpe. E faccio questo riferimento pur essendo convinto che discutere oggi di stalinismo in Rifondazione ha qualcosa di folle oltre che di surreale.
    Qual è il tuo giudizio sulla nomina di Dino Greco a direttore di Liberazione?
    I compagni dell’Ernesto hanno appoggiato totalmente la scelta di Dino Greco, che per anni ha collaborato con la nostra rivista dando un grande contributo. E’ un rappresentante della sinistra della Cgil, di spessore culturale insolito per un dirigente sindacale. Si è impegnato sui temi della lotta di classe, della centralità del lavoro, dell’immigrazione, contro l’industria bellica. Confidiamo che sappia tenere aperto un dibattito e garantisca un superamento della cialtroneria immessa da Sansonetti in Liberazione.
    Nella riunione della vostra Direzione si è sancito l’abbandono del partito da parte di molti
    dirigenti vendoliani. Possiamo quindi affermare che la scissione sia esplicitamente in corso?
    La scissione è in atto da molto tempo e, come ho detto, la rottura su Liberazione e l’accusa di stalinismo sono stati due tentativi di trvare un casus belli. Ora è possibile che tentino di fare più male possibile al partito, con una scissione a tappe. Prima uscirà un gruppo consistente di dirigenti, poi Bertinotti dichiarerà di non rinnovare la tessera, infine avremo scissioni in una federazione, poi in un’altra, e così via. Insomma, un tentativo di tagliare a fette, progressivamente, il partito. Il gruppo di vendoliani che è rimasto nel partito continuerà la battaglia in sinergia con l’esterno. Non sono autonomi dal progetto degli scissionisti.
    Quali prospettive vedi per chi lascia Rifondazione?
    Hanno il vantaggio di un grande sostegno da parte dei media, ma il loro progetto è debole. Vedo nei vendoliani una grande difficoltà strategica, tra tentennamenti e divisioni interne alla loro area. Hanno problemi enormi di identità, di profilo teorico e politico.
    Citano come riferimento la Linke tedesca, ma in Italia abbiamo tutt’altra storia. Qual è il loro blocco sociale, la loro base materiale di riferimento? A quale filone della tradizione politica italiana appartengono? Dicono di non essere comunisti, né socialdemocratici: ma allora cosa sono? Forse riusciranno a riunirsi con Fava, Belillo e qualche esponente dei Verdi, ma con il rischio di contare poco sul piano elettorale e di prospettiva. Per questo è possibile che subiscano l’attrazione fatale del Pd o di D’Alema, qualora quest’ultimo forzasse i suoi dissensi con la leadership del Partito democratico per creare una nuova formazione “socialista”.
    A questo punto diventa più realistico che alle prossime elezioni europee Rifondazione e
    Pdci si presentino insieme?
    C’è una necessità assoluta di far prevalere l’unità sulla diaspora e ciò prescinde dalla eventuale soglia di sbarramento alle europee. Noi ci batteremo chiaramente dentro Rifondazione per presentarsi alle elezioni con un unico simbolo comunista.
    E non si tratta di fare adesso un nuovo partito, non si creano i partiti perché c’è una scadenza elettorale. Tra l’altro, Rifondazione rischia di andare alle europee in una situazione molto difficile, avendo sulle spalle una scissione dolorosissima e pesante che si aggiunge alla sconfitta sonora di aprile: il gruppo dirigente di Rifondazione avrebbe grande difficoltà a spiegare per quale ragione respingere l’afflato unitario del Pdci.
    Ecco, la domanda è proprio questa: quali sarebbero, oggi, i motivi per dire no alla riunificazione tra Prc e Pdci?
    In parte del gruppo dirigente di Rifondazione c’è un’obiezione fragile, ma che fa breccia in un senso comune diffuso dentro al partito. Secondo quest’obiezione, il Prc avrebbe avviato un grande progetto di innovazione, mentre il Pdci no. Si tratta di un’obiezione fragile perché, dopo dieci anni di separazione, è del tutto evidente che il Prc non può vantare solo innovazione, ma è parte della
    contraddizione. Abbiamo saputo creare un proficuo rapporto tra il partito e i movimenti, ma abbiamo anche avviato con Bertinotti una “decomunistizzazione” del partito, con la tesi che il comunismo sarebbe solo una “tendenza culturale”.
    Non abbiamo solo innovato, abbiamo anche prodotto elementi di anticomunismo. Insomma, oggi il Prc non è una verginella, anche noi abbiamo delle responsabilità.
    Ritengo che il Pdci abbia fatto tanti errori, abbia avuto un’involuzione istituzionalista, pagando dei prezzi in termini di lotta di classe.
    Tuttavia non ha mai abbandonato le sue posizioni antiimperialiste, la sua identità comunista, e nell’ultima fase ha corretto fortemente la sua linea, a partire dall’ultimo congresso. Oggi il Pdci mette a disposizione le sue forze per il rilancio del progetto di un partito comunista che riassuma i connotati originari di Rifondazione: si tratta della dialettica tra lotta di classe, azione sociale e ricerca teorica aperta per costruire un partito comunista all’altezza dei tempi. Tra noi le differenze sono inferiori ai problemi provocati dalla divisione dei comunisti.
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    Trascrizione dall'ultimo numero di Rinascita(a pag. 9 - testo in pdf)
    http://62.149.230.228/rinascita/imag...2009/03_09.pdf
    Che lucidità politica.

    Complimenti.

  4. #4
    Μάρκος Βαφειάδης
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    Citazione Originariamente Scritto da markos Visualizza Messaggio
    Intervista di Fosco Giannini a Rinascita.
    La scissione è in atto da molto tempo e, come ho detto, la rottura su Liberazione e l’accusa di stalinismo sono stati due tentativi di trvare un casus belli. Ora è possibile che tentino di fare più male possibile al partito, con una scissione a tappe. Prima uscirà un gruppo consistente di dirigenti, poi Bertinotti dichiarerà di non rinnovare la tessera, infine avremo scissioni in una federazione, poi in un’altra, e così via. Insomma, un tentativo di tagliare a fette, progressivamente, il partito. Il gruppo di vendoliani che è rimasto nel partito continuerà la battaglia in sinergia con l’esterno. Non sono autonomi dal progetto degli scissionisti.
    Non so quale sia la situazione nel resto dell'Italia, ma temo che queste considerazioni, perlomeno in Sardegna, non siano lontane dalla verità...

  5. #5
    Tovarish
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    Un'ottima lettura politica di Fosco.

  6. #6
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    nel frattempo a pag 23 del nostro quotidiano il compagno e segretario Ferrero non si smuove di una virgola...:
    http://www.liberazione.it/giornale_a...rticolo=432402

  7. #7
    Μάρκος Βαφειάδης
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    Come contrastare la scissione e la liquidazione di Rifondazione Comunista
    Di Leonardo Masella (*)


    I dirigenti nazionali che hanno promosso e sostenuto la seconda mozione congressuale, quella che faceva capo a Bertinotti e Vendola sconfitta dal congresso, stanno sancendo in questi giorni una scissione da Rifondazione Comunista. Tuttavia, non tutto il gruppo dirigente della seconda mozione ha deciso di andarsene. Una parte, ed io credo anche la maggioranza dei compagni di base, ha deciso di rimanere nel partito, pur mantenendo un dissenso di fondo rispetto alla linea congressuale. Già un dato deve farci interrogare. Come mai la maggioranza congressuale del Prc, pur costituita da diverse mozioni ed anche da diverse culture politiche, ha tenuto, mentre invece la minoranza bertinottiana, che doveva essere più omogenea, si è divisa ? Credo per due motivi. Primo, perché esisteva un forte collante unitario, identitario, delle mozioni che si sono unite a Chianciano: il punto comune era il rifiuto della liquidazione di Rifondazione Comunista e della riduzione del comunismo ad una tendenza culturale, cioè ad una corrente di altri partiti, ma la volontà di mantenere in Italia una forza comunista. Il secondo motivo sta nella debolezza o nella immaturità, allo stato attuale, del progetto di Vendola e Bertinotti. E’ debole perché non c’è spazio oggi fra una sinistra variamente comunista e l’attuale Pd e dunque una scissione per costruire con la Sd di Fava una sinistra socialista è obiettivamente debole. E’ un progetto tutt’al più prematuro se Bertinotti pensa, come sembra, che lo spazio per un nuovo partito di sinistra, o meglio per una socialdemocrazia seria in Italia, ci sia se D’Alema rompe il Pd e se ne mette alla testa.
    Dunque allo stato attuale l’iniziativa di Bertinotti e Vendola può avere successo solo nella misura in cui il nostro progetto, cioè il rilancio della rifondazione di una forza comunista viene sconfitto o diviene minoritario o solo testimoniale/ideologico. Per questo il vero problema non è cosa faranno gli scissionisti, ma è cosa saremo capaci di fare noi. Perché se saremo capaci di rilanciare un progetto rimotivante, su una linea credibile e una iniziativa di massa nella società, si riuscirà a contrastare la scissione e la liquidazione di Rifondazione, altrimenti, attenzione, avremo formalmente, congressualmente, respinto la liquidazione del Prc, ma ne avremo solo allungato l’agonia.
    A tal proposito vedo fondamentalmente tre problemi. Il primo di linea politica generale. E’ pensabile o non è fortemente contraddittorio fare ancora appello ai compagni della seconda mozione a ripensarci, a rimanere nel partito al di là della diversità radicale, di fondo, un appello persino a chi non crede più nel ruolo e nell’esistenza stessa del partito e di una forza comunista, e contemporaneamente mantenere invece una riserva pregiudiziale, ideologica, nei confronti di tutti quei compagni e compagne che sono andati via negli anni passati dal partito ma credono nel ruolo di una forza organizzata comunista ? Vorrei ricordare lo straordinario successo della manifestazione comunista dell’11 ottobre, troppo presto finita nel dimenticatoio. Cosi’ come vorrei ricordare che sia l’autunno sociale che le manifestazioni per la Palestina hanno visto il protagonismo non certo di Sinistra Democratica di Claudio Fava ma di una sinistra di classe ed anticapitalistica, diffusa e organizzata, comprendente tutte le forze comuniste esistenti nel Paese. Sta in questo spazio a sinistra della socialdemocrazia europea il terreno principale su cui rilanciare oggi Rifondazione Comunista, in un rapporto più stretto con le forze comuniste più vicine politicamente. Per questo motivo, ciò di cui dovrebbe e potrebbe farsi protagonista Rifondazione è una iniziativa unitaria non solo tesa ad evitare l’ennesima scissione ma anche a superare le precedenti, per riaprire il processo della rifondazione comunista, non tanto per mettere insieme i cocci delle rotture passate ma soprattutto, guardando avanti, per ricostruire/rifondare una nuova forza comunista, anticapitalistica, di classe, di movimento. Senza paura delle diversità, i comunisti oggi, diversamente da ieri, dovrebbero avere una concezione democratica che consente di stare in uno stesso partito anche se la si pensa diversamente. Questa iniziativa unitaria va intrapresa in particolare in vista delle elezioni europee, perché non si può certamente ripetere l’arcobaleno della sinistra, ma non possiamo neanche sostenere la frantumazione totale della sinistra, non solo per provare a recuperare i voti persi il 13 e 14 aprile ma anche per tentare di conquistare nuovi voti popolari in libera uscita da un Pd sempre più in crisi. L’unità a tutti i costi fra troppo diversi non aiuta, ma non aiuta nemmeno la divisione a tutti i costi fra i più vicini. Almeno dovremmo e potremmo tentare di presentarci alle elezioni europee con chi in Italia si riconosce nel Gue (il gruppo parlamentare europeo della sinistra comunista e di alternativa), come abbiamo scritto nel documento conclusivo del congresso di Chianciano “nella ricerca di convergenze, in occasione delle elezioni europee, tra forze anticapitaliste, comuniste, di sinistra, sulla base di contenuti contrari al progetto di Trattato di Lisbona e all’impostazione neoliberista e di guerra dell’ Unione Europea”. Questo è il modo migliore per contrastare il progetto politico sotteso alla scissione e rimotivare il nostro partito e tutta la sinistra di alternativa.
    Il secondo problema attiene all’efficacia della nostra iniziativa politica. Noi abbiamo bisogno di una iniziativa nazionale centrale capace di mobilitare il partito in alcune, poche, chiare, qualificate battaglie concrete di massa. Non la dispersione nel tutto e nulla com’è stato finora. Faccio due esempi. Il primo. Sulla tragedia di Gaza, che suscita indignazione di massa anche in chi non ha manifestato nè a Roma nè ad Assisi (come ci dice il fatto che il sito di Vittorio Arrigoni è il sito più visitato d’Italia in questi giorni, più di quello di Grillo), noi, più che una discussione ideologica su Hamas oppure se ha ragione oppure no monsignor Bettazzi (ed io sono d’accordo con lui), che sostanzialmente ha detto ad Assisi che Israele è peggio dei nazisti; più che passare il nostro limitato tempo così, sarebbe meglio produrre una iniziativa di massa che renda utile il partito a fare qualcosa contro la guerra di aggressione israeliana e che renda utile il gesto di qualunque cittadino italiano che voglia fare anche una piccola cosa per fermare Israele e la guerra. Perché non rendere protagonista il nostro partito – assieme ad altre forze di sinistra politica e sociale, associazioni, comitati – della campagna nazionale per il boicottaggio dei prodotti israeliani ? Non dei negozianti ebrei, cosa sbagliata e razzista, ma dei prodotti israeliani in vendita in tutti in negozi, invitando la gente a non acquistare i prodotti con il codice a barra contenente il numero 279, come si fece con il Sudafrica nella nota campagna “Boicotta, disincentiva e sanziona”, come ha riproposto a livello internazionale l’altermondialista Naomi Klein. Una campagna nazionale, organizzata e seguita dal centro nazionale con la produzione di manifesti, volantini, adesivi, spot pubblicitari, su cui concentrare l’iniziativa di federazioni e circoli, possibilmente assieme a tutte le forze politiche e sociali disponibili, a partire da quelle comuniste e di classe a noi più vicine. Questo è il modo più efficace per mobilitare con continuità il partito e metterlo in connessione permanente (non solo per un giorno della manifestazione) con masse rilevanti di persone e in particolare di giovani.
    Secondo esempio. Piuttosto che continuare a dividerci in questa discussione politicista e istituzionalista sulle alleanze nelle prossime elezioni amministrative fra 5 mesi, la vera svolta a sinistra non è se non facciamo mai più, neanche in un condominio, una alleanza col Pd, ma è se mettiamo in campo una campagna di massa di mesi su alcuni contenuti sociali (innanzitutto salari, prezzi, tariffe e lavoro, precarietà, licenziamenti). In tal senso sarebbe importante poter lanciare per i prossimi mesi prima delle elezioni la raccolta di firme per alcuni referendum sociali, non da soli ma costruendo un comitato promotore con tutte le forze politiche e sociali disponibili. Questo sarebbe il modo migliore per rivitalizzare il partito, per contrastare la scissione, la demoralizzazione e la passività conseguenti, per costruire uno schieramento unitario di sinistra politica e sociale con una propensione anticapitalistica.
    Terzo problema. Per fare questo e anche per mettere in pratica nei territori la linea politica che si decide, abbiamo bisogno di un gruppo dirigente coeso, autorevole e democratico. Abbiamo uno stato dei gruppi dirigenti locali molto problematico, per usare un eufemismo. In molti casi serve un intervento deciso dall’alto. Per esempio nelle Federazioni dove prevale la linea della minoranza di non voler presentare la lista e il simbolo del Prc nelle elezioni amministrative per fare arcobaleni di sinistra locali, è necessario intervenire direttamente dal Nazionale. Ma anche in situazioni, federazioni o regionali in cui i gruppi dirigenti sono di maggioranza ma assolutamente inadeguati o in difficoltà, è necessario intervenire dal Nazionale. Altrimenti i risultati sia sul piano elettorale sia sul piano del rilancio della rifondazione comunista saranno inevitabilmente molto modesti. Per questo serve maggiore unità nel gruppo dirigente nazionale, coniugando in questa fase la presenza di aree, componenti, posizioni e culture diverse con la necessità dell’efficacia dell’azione esterna del partito e quindi della valorizzazione, a livello nazionale come a livello locale, dei dirigenti più capaci al di là della diversità di posizioni e di provenienza, superando completamente e finalmente ogni tipo di discriminazione come è avvenuto sia nella fase bertinottiana che nella fase più lontana del Prc cossuttiano. Sono state le discriminazioni a favorire il correntismo: se si supera la logica delle discriminazioni si favorirà il superamento del correntismo e si aiuterà la costruzione di gruppi dirigenti all’altezza della situazione.
    http://www.comunistinmovimento.it/sc...e_masella.html

  8. #8
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    ottimo masella, mi riconosco appieno nelle posizioni che esprime

  9. #9
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    Si...molto bene Masella...

    ...concordo con questa analisi e spero che anche Ferrero la faccia sua...


    Sta in questo spazio a sinistra della socialdemocrazia europea il terreno principale su cui rilanciare oggi Rifondazione Comunista, in un rapporto più stretto con le forze comuniste più vicine politicamente. Per questo motivo, ciò di cui dovrebbe e potrebbe farsi protagonista Rifondazione è una iniziativa unitaria non solo tesa ad evitare l’ennesima scissione ma anche a superare le precedenti, per riaprire il processo della rifondazione comunista, non tanto per mettere insieme i cocci delle rotture passate ma soprattutto, guardando avanti, per ricostruire/rifondare una nuova forza comunista, anticapitalistica, di classe, di movimento. Senza paura delle diversità, i comunisti oggi, diversamente da ieri, dovrebbero avere una concezione democratica che consente di stare in uno stesso partito anche se la si pensa diversamente. Questa iniziativa unitaria va intrapresa in particolare in vista delle elezioni europee, perché non si può certamente ripetere l’arcobaleno della sinistra, ma non possiamo neanche sostenere la frantumazione totale della sinistra, non solo per provare a recuperare i voti persi il 13 e 14 aprile ma anche per tentare di conquistare nuovi voti popolari in libera uscita da un Pd sempre più in crisi. L’unità a tutti i costi fra troppo diversi non aiuta, ma non aiuta nemmeno la divisione a tutti i costi fra i più vicini. Almeno dovremmo e potremmo tentare di presentarci alle elezioni europee con chi in Italia si riconosce nel Gue (il gruppo parlamentare europeo della sinistra comunista e di alternativa), come abbiamo scritto nel documento conclusivo del congresso di Chianciano “nella ricerca di convergenze, in occasione delle elezioni europee, tra forze anticapitaliste, comuniste, di sinistra, sulla base di contenuti contrari al progetto di Trattato di Lisbona e all’impostazione neoliberista e di guerra dell’ Unione Europea”. Questo è il modo migliore per contrastare il progetto politico sotteso alla scissione e rimotivare il nostro partito e tutta la sinistra di alternativa.


    Un unico appunto a Masella: non è che gli unitaristi vogliano l'unità ad ogni costo, disinteressandosi, in un cieco idealismo da rivista, del contesto e dei rapporti esistenti.

    Semplicemente noi unitaristi sentiamo l'urgenza di affrontare (di parlarne, di discuterne, di iniziare un processo, di esplorare le possibili alternative e gli ostacoli, etc.) questo passaggio.

    Prendo atto con estrema soddisfazione che anche molti illustri esponenti della uno iniziano a parlarne.

    Comprendo bene, nel bel mezzo delle vicende scissioniste, l'importanza che ha avuto la tesi congresuale del rilancio di Rifondazione Comunista.



    Masella: parla di "iniziativa unitaria" anche con il compagno Ferrero, cerca di convincerlo.

 

 

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