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    Predefinito FORMAZIONE - Plinio Corrêa de Oliveira: Rivoluzione e Contro-Rivoluzione_3

    Capitolo VII

    L'Essenza della Rivoluzione



    Dopo avere così descritto rapidamente la crisi dell'Occidente cristiano, è opportuno analizzarla.

    1. La rivoluzione per eccellenza

    Il processo critico di cui ci stiamo occupando è, come abbiamo detto, una rivoluzione.

    A. Significato della parola "rivoluzione"
    Usiamo questo vocabolo per indicare un movimento che mira alla distruzione di un potere o di un ordine legittimo e all'instaurazione al suo posto di uno stato di cose (intenzionalmente non vogliamo dire "ordine di cose") o di un potere illegittimo.

    B. Rivoluzione cruenta e incruenta
    In questo senso, a rigore, una rivoluzione può essere incruenta. Quella di cui ci occupiamo, si è
    svolta e continua a svolgersi con ogni genere di mezzi, alcuni dei quali cruenti e altri no. Le due guerre mondiali di questo secolo, per esempio, considerate nelle loro conseguenze più profonde, sono suoi capitoli, e dei più sanguinosi; mentre la legislazione sempre più socialista di tutti o quasi tutti i popoli odierni costituisce un progresso importantissimo e incruento della Rivoluzione.

    C. L'ampiezza di questa Rivoluzione
    La rivoluzione ha spesso abbattuto autorità legittime, sostituendole con altre prive di qualsiasi titolo di legittimità. Ma sarebbe un errore pensare che essa consista soltanto in questo. Il suo obiettivo principale non è la distruzione di questi o di quei diritti di persone o famiglie. Più di questo, essa vuole distruggere tutto un ordine di cose legittimo, e sostituirlo con una situazione illegittima. E "ordine di cose" non dice ancora tutto. La Rivoluzione vuole abolire una visione del mondo e un modo di essere dell'uomo, con l'intenzione di sostituirli con altri radicalmente opposti.

    D. La Rivoluzione per eccellenza
    In questo senso si comprende che questa Rivoluzione non è soltanto una rivoluzione, ma è la
    Rivoluzione.

    E. La distruzione dell'Ordine per eccellenza
    Infatti, l'ordine di cose che si sta distruggendo è la Cristianità medioevale. Ora, la Cristianità non è stata un ordine qualsiasi, possibile come sarebbero possibili molti altri ordini. È stata la realizzazione, nelle condizioni inerenti ai tempi e ai luoghi, dell'unico vero ordine tra gli uomini, ossia della civiltà cristiana.
    Nell'enciclica Immortale Dei, Leone XIII ha descritto in questi termini la Cristianità medioevale:
    "Fu già tempo che la filosofia del Vangelo governava gli Stati, quando la forza e la sovrana influenza dello spirito cristiano era entrata bene addentro nelle leggi, nelle istituzioni, nei costumi dei popoli, in tutti gli ordini e ragioni dello Stato; quando la Religione di Gesù Cristo posta solidamente in quell'onorevole grado, che le conveniva, traeva su fiorente all'ombra del favore dei Principi e della dovuta protezione dei magistrati; quando procedevano concordi il Sacerdozio e l'Impero, stretti avventurosamente fra loro per amichevole reciprocanza di servigi. Ordinata in tal guisa la società, recò frutti che più preziosi non si potrebbe pensare, dei quali dura e durerà la memoria, affidata ad innumerevoli monumenti storici, che niuno artifizio di nemici potrà falsare od oscurare" (11).
    Così, quanto è stato distrutto dal secolo XV a ora, quello la cui distruzione è oggi ormai quasi interamente compiuta, è la disposizione degli uomini e delle cose secondo la dottrina della Chiesa, maestra della Rivelazione e della legge naturale. Questa disposizione è l'Ordine per eccellenza. Ciò che si vuole instaurare è, per diametrum, il suo contrario. Quindi, la Rivoluzione per eccellenza.
    Senza dubbio, l'attuale Rivoluzione ha avuto precursori, e anche prefigurazioni. Ario e Maometto sono stati, per esempio, prefigurazioni di Lutero. Vi sono stati utopisti in diverse epoche, che hanno sognato giorni molto simili a quelli della Rivoluzione. Vi sono stati, infine, in diverse occasioni, popoli o gruppi umani che hanno tentato di realizzare uno stato di cose analogo alle chimere della Rivoluzione.
    Ma tutti questi sogni, tutte queste prefigurazioni sono poco o nulla in confronto alla Rivoluzione, di cui viviamo il processo. Questa, per il suo radicalismo, per la sua universalità, per il suo impeto, è penetrata così a fondo e si sta spingendo così lontano, da costituire qualcosa che non ha paragone nella storia, e fa sorgere in molti spiriti pensosi la domanda se realmente non siamo giunti ai tempi dell'Anticristo. Infatti sembra che non ne siamo lontani, a giudicare dalle parole del Santo Padre Giovanni XXIII di venerata memoria:
    "Vi dice inoltre [Gesù Cristo] che in que~st'ora tremenda in cui lo spirito del male adopera ogni
    mezzo per distruggere il Regno di Dio, debbono essere impegnate tutte le energie per difenderlo, se volete evitare alla vostra città rovine immensamente più grandi di quelle materiali disseminate dal terremoto cinquant'anni or sono. Quanto più arduo sarebbe allora riedificare le anime, una volta che fossero staccate dalla Chiesa e rese schiave delle false ideologie del nostro tempo" (12).

    2. Rivoluzione e legittimità

    A. La legittimità per eccellenza
    In generale, la nozione di legittimità è stata messa a fuoco soltanto in relazione a dinastie e a governi. Intanto, secondo gli insegnamenti di Leone XIII nell'enciclica Au milieu des sollicitudes
    del 16 febbraio 1892 (13), non si può fare tabula rasa della questione della legittimità dinastica o governativa, poiché si tratta di una questione morale gravissima, che le coscienze rette devono considerare con ogni attenzione. Però il concetto di legittimità non si applica soltanto a questo genere di problemi. Vi è una legittimità più alta, quella che caratterizza ogni ordine di cose in cui divenga effettiva la regalità di Nostro Signore Gesù Cristo, modello e fonte della legittimità di tutte le regalità e di tutti i poteri terreni. Lottare per l'autorità legittima è un dovere, anzi, un dovere grave. Ma è necessario vedere nella legittimità delle persone investite dell'autorità non solo un bene eccellente in sé, ma un mezzo per raggiungere un bene di gran lunga superiore, ossia la legittimità di tutto l'ordine sociale, di tutte le istituzioni e di tutti gli ambienti umani, che si ha con la disposizione di tutte le cose secondo la dottrina della Chiesa.

    B. Cultura e civiltà cattolica
    L'ideale della Contro-Rivoluzione consiste, dunque, nel restaurare e nel promuovere la cultura e la civiltà cattolica. Queste tesi sarebbero enunciate in modo insufficiente, se non comprendessero una definizione di che cosa intendiamo con "cultura cattolica" e "civiltà cattolica". Sappiamo che i termini "civiltà" e "cultura" sono usati in molti significati diversi. Non pretendiamo in questa sede, è chiaro, di prendere posizione su una questione di terminologia, e ci limitiamo a usare questi vocaboli come etichette di precisione relativa per indicare certe realtà, più preoccupati di dare un'idea vera di queste realtà, che di discutere sulle parole.
    Un'anima in stato di grazia è, in grado maggiore o minore, in possesso di tutte le virtù. Illuminata dalla fede, dispone degli elementi per formarsi l'unica visione vera del mondo.
    L'elemento fondamentale della cultura cattolica è la visione del mondo elaborata secondo la dottrina della Chiesa. Questa cultura comprende non solo l'istruzione, che è il possesso dei dati di informazione necessari a una tale elaborazione, ma una analisi e un coordinamento di questi dati secondo la dottrina cattolica. Essa non si limita al campo teologico, o filosofico, o scientifico, ma abbraccia tutto il sapere umano, si riflette nell'arte e implica l'affermazione di valori che impregnano tutti gli aspetti dell'esistenza.
    Civiltà cattolica è l'ordinamento di tutte le relazioni umane, di tutte le istituzioni umane, e dello
    stesso Stato, secondo la dottrina della Chiesa.

    C. Carattere sacrale della civiltà cattolica
    È implicito che un tale ordine di cose è sacrale nei suoi fondamenti, e comporta il riconoscimento di tutti i poteri della santa Chiesa, e in particolare del Sommo Pontefice: potere diretto nelle cose spirituali, potere indiretto nelle cose temporali, nella misura del loro rapporto con la salvezza delle anime.
    In concreto, il fine della società e dello Stato è la vita virtuosa in comune. Ora, le virtù che l'uomo è chiamato a praticare sono le virtù cristiane, e fra queste la prima è l'amore a Dio. La società e lo Stato hanno, quindi, un fine ultimo sacrale (14).
    Sicuramente alla Chiesa appartengono i mezzi specifici atti a promuovere la salvezza delle anime. Ma la società e lo Stato hanno mezzi che possono servire allo stesso scopo, mezzi cioè che, mossi da un agente più alto, producono un effetto superiore a loro stessi.

    D. Cultura e civiltà per eccellenza
    Da tutti questi dati si può facilmente dedurre che la cultura e la civiltà cattolica sono la cultura per eccellenza e la civiltà per eccellenza. È necessario aggiungere che possono esistere soltanto in popoli cattolici. Infatti, sebbene l'uomo possa conoscere i princìpi della legge naturale per mezzo della ragione, un popolo non può mantenersi durevolmente nella completa conoscenza di essi, senza il Magistero della Chiesa (15). E, per questo motivo, un popolo che non professi la vera religione, non può praticare durevolmente tutti i comandamenti (16). Date queste condizioni, e poiché senza la conoscenza e l'osservanza della legge di Dio non vi può essere ordine cristiano, la civiltà e la cultura per eccellenza sono possibili soltanto nel seno della santa Chiesa. Infatti, secondo quanto ha detto san Pio X, la civiltà "tanto è più vera, più durevole, più feconda di frutti preziosi, quanto è più nettamente cristiana; tanto declina, con immenso danno del bene sociale, quanto dall'idea cristiana si sottrae. Onde per la forza intrinseca delle cose, la Chiesa divenne anche di fatto custode e vindice della civiltà cristiana" (17).

    E. La illegittimità per eccellenza
    Se l'Ordine e la legittimità consistono in questo, si arguisce facilmente in che cosa consiste la Rivoluzione. Poiché è il contrario di questo Ordine, è il disordine e la illegittimità per eccellenza.

    3. La Rivoluzione, l'orgoglio e la sensualità. I valori metafisici della Rivoluzione

    Due nozioni concepite come valori metafisici esprimono adeguatamente lo spirito della Rivoluzione: uguaglianza assoluta, libertà completa. E due sono le passioni che più la servono: l'orgoglio e la sensualità.
    Poiché facciamo riferimento alle passioni, dobbiamo chiarire il significato che diamo al termine in questo saggio. Per maggiore brevità, conformandoci all'uso di diversi autori spirituali, tutte le volte che parliamo delle passioni come fautrici della Rivoluzione, ci riferiamo alle passioni disordinate.
    E, in accordo con il linguaggio corrente, includiamo nelle passioni disordinate tutti gli impulsi al
    peccato esistenti nell'uomo in conseguenza della triplice concupiscenza: quella della carne, quella degli occhi e la superbia della vita (18).

    A. Orgoglio e egualitarismo
    La persona orgogliosa, soggetta all'autorità di un'altra, odia in primo luogo il giogo che in concreto pesa su di lei.
    In secondo luogo, l'orgoglioso odia genericamente tutte le autorità e tutti i gioghi, e più ancora lo stesso principio di autorità, considerato in astratto.
    E poiché odia ogni autorità, odia anche ogni superiorità, di qualsiasi ordine sia.
    E in tutto questo si manifesta un vero odio a Dio (vedi punto "m" di questo paragrafo).
    Questo odio per ogni disuguaglianza si è spinto tanto oltre che, mosse da esso, persone di alta posizione l'hanno messa a repentaglio e perfino compromessa, soltanto per non accettare la superiorità di chi sta più in alto di loro.
    Ma c'è di più. In un eccesso di virulenza, l'orgoglio può portare qualcuno a lottare per l'anarchia, e a rifiutare il potere supremo che gli fosse offerto. E ciò perché la semplice esistenza di questo potere supremo contiene implicitamente l'affermazione del principio di autorità, a cui ogni uomo in quanto tale -- e anche l'orgoglioso -- può essere soggetto.
    L'orgoglio può così condurre all'ugualitarismo più completo e radicale.
    Gli aspetti di questo ugualitarismo radicale e metafisico sono diversi:
    a) Uguaglianza tra gli uomini e Dio: da ciò il panteismo, l'immanentismo e tutte le forme esoteriche di religione, che mirano a stabilire un rapporto da uguale a uguale tra Dio e gli uomini, e hanno per scopo di attribuire a questi ultimi prerogative divine. L'ateo è un ugualitario che, volendo evitare l'assurdità dell'affermazione che l'uomo è Dio, cade in un altro assurdo, affermando che Dio non esiste. Il laicismo è una forma di ateismo, e quindi di ugualitarismo. Esso afferma l'impossibilità di giungere alla certezza dell'esistenza di Dio. Quindi, nella sfera temporale, l'uomo deve agire come se Dio non esistesse, ossia, come qualcuno che ha detronizzato Dio.
    b) Uguaglianza nella sfera ecclesiastica: soppressione del sacerdozio dotato dei poteri di ordine, magistero e governo, o almeno di un sacerdozio con gradi gerarchici.
    c) Uguaglianza tra le diverse religioni: tutte le discriminazioni religiose sono odiose perché offendono la fondamentale uguaglianza tra gli uomini. Perciò, le diverse religioni devono essere
    trattate in modo rigorosamente uguale. La pretesa di una religione di essere quella vera, a esclusione delle altre, comporta l'affermazione di una superiorità, è contro la mansuetudine evangelica, ed è pure impolitica, perché le preclude l'accesso ai cuori.
    d) Uguaglianza nella sfera politica: soppressione, o almeno attenuazione, della disuguaglianza tra governanti e governati. Il potere non viene da Dio, ma dalla massa, che comanda e alla quale il governo deve ubbidire. Proscrizione della monarchia e della aristocrazia come regimi intrinsecamente cattivi, in quanto antiugualitari. Soltanto la democrazia è legittima, giusta ed evangelica (19).
    e) Uguaglianza nella struttura della società: soppressione delle classi, soprattutto di quelle che si perpetuano per via ereditaria. Abolizione di ogni influenza aristocratica nella direzione della società e sul tono generale della cultura e dei costumi. La gerarchia naturale costituita dalla superiorità del lavoro intellettuale sul lavoro manuale scomparirà con il superamento della distinzione tra l'uno e l'altro.
    f) Abolizione dei corpi intermedi tra l'individuo e lo Stato, come pure dei privilegi specificamente inerenti a ciascun corpo sociale. Per quanto grande sia l'odio della Rivoluzione contro l'assolutismo regio, è ancora più grande il suo odio contro i corpi intermedi e la monarchia organica medioevale.
    Questo avviene perché l'assolutismo monarchico tende a mettere i sudditi, anche quelli più altolocati, a un livello di reciproca uguaglianza, in una situazione menomata che preannuncia già quell'annullamento dell'individuo e quell'anonimato, che raggiungono la massima espressione nelle grandi concentrazioni urbane della società socialista. Fra i corpi intermedi che devono essere aboliti, occupa il primo posto la famiglia. Nella misura in cui non riesce a estinguerla, la Rivoluzione cerca di sminuirla, mutilarla e vilipenderla in tutti i modi.
    g) Uguaglianza economica: niente appartiene a qualcuno, tutto appartiene alla collettività.
    Soppressione della proprietà privata, del diritto di ciascuno al frutto integrale del proprio lavoro
    personale e alla scelta della sua professione.
    h) Uguaglianza negli aspetti esteriori dell'esistenza: dalla varietà scaturisce facilmente una disuguaglianza di livello. Perciò, diminuzione per quanto possibile della varietà negli abiti, nelle
    abitazioni, nei mobili, nelle abitudini, ecc.
    i) Uguaglianza nelle anime: la propaganda, in un certo senso, modella in modo uniforme tutte le anime, togliendo loro tutte le peculiarità, e quasi la vita stessa. Perfino le differenze di psicologia e di atteggiamento fra i sessi tendono a diminuire il più possibile. Per tutte queste ragioni, scompare il popolo, che è essenzialmente una grande famiglia di anime diverse ma armoniche, riunite attorno a ciò che è a loro comune. E sorge la massa, con la sua grande anima vuota, collettiva, schiava (20).
    j) Uguaglianza in tutti i rapporti sociali: tra anziani e giovani, tra padroni e dipendenti, tra insegnanti e studenti, tra marito e moglie, tra genitori e figli, ecc.
    k) Uguaglianza nell'ordine internazionale lo Stato è costituito da un popolo indipendente che esercita pieno dominio su un territorio. La sovranità è, dunque, il corrispettivo della proprietà nel diritto pubblico. Ammessa l'idea di popolo, con caratteristiche che lo differenziano dagli altri, e l'idea di sovranità, ci troviamo necessariamente di fronte a disuguaglianze: di capacità, di virtù, di numero, ecc. Ammessa l'idea di territorialità, abbiamo la disuguaglianza quantitativa e qualitativa delle diverse zone territoriali. Si capisce, perciò, come la Rivoluzione, fondamentalmente ugualitaria, sogni di fondere tutte le razze, tutti i popoli e tutti gli Stati, in una sola razza, in un solo popolo e in un solo Stato (vedi parte I, cap. XI, 3).
    l) Uguaglianza tra le diverse parti del paese: per le stesse ragioni, e per un meccanismo analogo, la Rivoluzione tende ad abolire all'interno delle patrie oggi esistenti tutto il sano regionalismo politico, culturale, ecc.
    m) Ugualitarismo e odio a Dio: san Tommaso insegna che la diversità delle creature e la loro disposizione gerarchica sono un bene in sé, poiché così risplendono meglio nella creazione le perfezioni del Creatore (21). E dice che, tanto tra gli angeli (22) quanto tra gli uomini, nel paradiso terrestre come in questa terra d'esilio (23), la Provvidenza ha stabilito la disuguaglianza. Per questo, un universo di creature uguali sarebbe un mondo in cui sarebbe cancellata, in tutta la misura possibile, la somiglianza tra le creature e il Creatore. Quindi odiare, per principio, ogni e qualsiasi disuguaglianza equivale a porsi metafisicamente contro gli elementi per la migliore somiglianza tra il Creatore e la creazione, significa odiare Dio.
    n) I limiti della disuguaglianza: è chiaro che da tutta questa esposizione dottrinale non si può concludere che la disuguaglianza sia sempre e necessariamente un bene.
    Gli uomini sono tutti uguali per natura, e diversi soltanto nei loro elementi accidentali. I diritti che a loro provengono dal semplice fatto di essere uomini, sono uguali per tutti: diritto alla vita, all'onore, a condizioni di esistenza sufficienti, dunque, al lavoro e alla proprietà, alla costituzione di una famiglia, e soprattutto alla conoscenza e alla pratica della vera religione. E le disuguaglianze che attentano a questi diritti sono contrarie all'ordine della Provvidenza. Però, entro questi limiti, le disuguaglianze derivanti da elementi accidentali come la virtù, il talento, la bellezza, la forza, la famiglia, la tradizione, ecc., sono giuste e conformi all'ordine dell'universo (24).

    B. Sensualità e liberalismo
    Accanto all'orgoglio, generatore di ogni ugualitarismo, sta la sensualità, nel senso più ampio del termine, fonte del liberalismo. In queste tristi profondità si trova il punto di incontro tra questi due princìpi metafisici della Rivoluzione, l'uguaglianza e la libertà, che da tanti punti di vista sono contraddittori.
    a) La gerarchia nell'anima: Dio, che ha impresso un sigillo gerarchico su tutta la creazione, visibile e invisibile, l'ha impresso anche nell'anima umana. L'intelligenza deve guidare la volontà, e questa deve dirigere la sensibilità. Come conseguenza del peccato originale, esiste nell'uomo un costante attrito tra gli appetiti sensibili e la volontà guidata dalla ragione: "Vedo nelle mie membra un'altra legge, che lotta contro la legge della mia ragione" (25).
    Ma la volontà, regina ridotta a governare sudditi in stato di continuo tentativo di rivolta, ha i mezzi per vincere sempre... purché non resista alla grazia di Dio (26).
    b) L'ugualitarismo nell'anima: il processo rivoluzionario, che mira al livellamento generale, ma che tante volte è stato soltanto l'usurpazione della funzione del comando da parte di chi dovrebbe invece ubbidire, una volta trasferito nelle relazioni tra le potenze dell'anima, dovrà produrre la tirannia deplorevole di tutte le passioni sfrenate su di una volontà debole e fallita e una intelligenza obnubilata. In modo particolare, il dominio di una sensualità ardente su tutti i sentimenti di modestia e di pudore.
    Quando la Rivoluzione proclama la libertà assoluta come principio metafisico, lo fa unicamente per giustificare il libero corso delle peggiori passioni e degli errori più funesti.
    c) Ugualitarismo e liberalismo: l'inversione di cui abbiamo parlato, cioè il diritto di pensare, sentire e fare tutto ciò che le passioni sfrenate esigono, è l'essenza del liberalismo. Questo appare chiaramente nelle forme più esacerbate della dottrina liberale. Analizzandole, ci si accorge che il liberalismo dà poca importanza alla libertà per il bene. Gli interessa solo la libertà per il male.
    Quando è al potere, toglie facilmente e perfino allegramente al bene la libertà, in tutta la misura possibile. Ma protegge, favorisce, sostiene, in molti modi, la libertà per il male. In questo dimostra la sua opposizione alla civiltà cattolica, che dà al bene tutto l'appoggio e tutta la libertà, e limita, per quanto possibile, il male.
    Ora, questa libertà per il male è precisamente la libertà così come è intesa dall'uomo in quanto
    "rivoluzionario" nel suo intimo, cioè in quanto consente alla tirannia delle passioni sulla sua intelligenza e sulla sua volontà.
    E in questo senso il liberalismo è frutto dello stesso albero che produce l'ugualitarismo.
    D'altra parte, l'orgoglio, in quanto genera odio verso qualunque autorità (vedi punto "A" di questo paragrafo), induce a un atteggiamento chiaramente liberale. E a questo titolo deve essere considerato un fattore attivo del liberalismo. Quando però la Rivoluzione si rese conto che, se si lasciano liberi gli uomini, disuguali per le loro attitudini e la loro volontà di impegno, la libertà genera la disuguaglianza, decise, in odio a questa, di sacrificare quella. Da ciò nacque la sua fase socialista. Questa fase ne costituisce soltanto una tappa. La Rivoluzione spera, al suo termine ultimo, di realizzare uno stato di cose in cui la completa libertà coesista con la piena uguaglianza.
    Così, storicamente, il movimento socialista è un semplice compimento del movimento liberale. Ciò che porta un autentico liberale ad accettare il socialismo è precisamente il fatto che, in esso, mentre da un lato si proibiscono tirannicamente mille cose buone, o almeno innocue, dall'altro si favorisce il soddisfacimento metodico, e a volte con caratteri di austerità, delle peggiori e più violente passioni, come l'invidia, la pigrizia, la lussuria. E d'altra parte, il liberale intuisce che l'estensione dell'autorità nel regime socialista non è altro, nella logica del sistema, che un mezzo per arrivare alla tanto desiderata anarchia finale.
    Gli scontri tra certi liberali ingenui o ritardatari, e i socialisti, sono dunque, nel processo rivoluzionario, semplici episodi di superficie, inoffensivi qui pro quo che non turbano né la logica profonda della Rivoluzione, né la sua marcia inesorabile verso quella direzione che, considerate bene le cose, è al tempo stesso socialista e liberale.
    d) La generazione del "rock and roll": il processo rivoluzionario nelle anime, così come lo abbiamo descritto, ha prodotto nelle ultime generazioni, e specialmente negli adolescenti d'oggi, che si lasciano ipnotizzare dal rock and roll, un modo di essere dello spirito caratterizzato dalla spontaneità delle reazioni primarie, senza il controllo dell'intelligenza né la partecipazione effettiva della volontà; dal predominio della fantasia e delle "esperienze" sulla analisi metodica della realtà: tutto ciò, in larga misura, è frutto di una pedagogia che riduce quasi a nulla la parte della logica e della vera formazione della volontà.
    e) Ugualitarismo, liberalismo e anarchismo: come è detto nei punti precedenti (da "a" a "d"), la
    fermentazione delle passioni sregolate, se da una parte suscita l'odio per qualsiasi freno e per qualsiasi legge, d'altro lato provoca l'odio contro qualunque disuguaglianza. Tale fermentazione
    conduce così alla concezione utopistica dell'"anarchismo" marxista, secondo la quale una umanità evoluta, vivente in una società senza classi né governo, potrebbe godere dell'ordine perfetto e della più completa libertà, senza che da questo derivi disuguaglianza alcuna. Come si può vedere, è l'ideale simultaneamente più liberale e più ugualitario che si possa immaginare.
    Infatti, l'utopia anarchica del marxismo consiste in uno stato di cose in cui la personalità umana avrebbe raggiunto un alto grado di progresso, al punto che le sarebbe possibile svilupparsi liberamente in una società senza Stato né governo.
    In questa società -- che, pur non avendo governo, vivrebbe in perfetto ordine -- la produzione economica sarebbe bene organizzata e molto sviluppata e sarebbe superata la distinzione tra lavoro manuale e intellettuale. Un processo di selezione ancora non precisato porterebbe alla direzione dell'economia i più capaci, senza che da ciò derivi la formazione di classi.
    Questi sarebbero i soli e insignificanti residui di disuguaglianza, ma, poiché questa società comunista anarchica non è il termine finale della storia, sembra legittimo supporre che tali residui sarebbero aboliti in una ulteriore evoluzione.

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    Capitolo VIII


    L'intelligenza, la volontà e la sensibilità nella determinazione degli atti umani

    Le considerazioni precedenti richiedono di essere sviluppate per quanto riguarda la parte dell'intelligenza, della volontà e della sensibilità, nei rapporti tra errore e passione.
    Infatti, potrebbe sembrare che affermiamo che ogni errore è concepito dall'intelligenza per giustificare una passione sregolata. Così, il moralista che sostenesse una tesi liberale, sarebbe sempre mosso da una tendenza liberale.
    Non è questo il nostro pensiero. Può succedere che il moralista giunga a una conclusione liberale unicamente per debolezza dell'intelligenza colpita dal peccato originale.
    In tale caso, vi sarà stata necessariamente qualche colpa morale di altra natura, per esempio la negligenza? Si tratta di un problema estraneo al nostro studio.
    Affermiamo piuttosto che, storicamente, questa Rivoluzione ebbe la sua origine prima in una fermentazione violentissima di passioni. E siamo ben lontani dal negare il grande ruolo degli errori dottrinali in questo processo.
    Molti sono stati gli studi di autori di grande valore, come de Maistre, de Bonald, Donoso Cortés e tanti altri, su tali errori e sul modo in cui sono derivati gli uni dagli altri, dal secolo XV al secolo XVI, e così via fino al secolo XX. Non è, dunque, nostra intenzione insistere in questa sede sull'argomento.
    Ci sembra, tuttavia, particolarmente opportuno mettere a fuoco l'importanza dei fattori "passionali" e la loro influenza sugli aspetti strettamente ideologici del processo rivoluzionario in cui ci troviamo. Infatti, a nostro modo di vedere, si è prestata poca attenzione a questo fatto, e ciò comporta una visione incompleta della Rivoluzione, e conduce di conseguenza all'adozione di metodi contro-rivoluzionari inadeguati.
    A questo punto, vi è qualcosa da aggiungere sul modo in cui le passioni possono influire sulle idee.

    1. La natura decaduta, la grazia e il libero arbitrio

    L'uomo, con le sole forze della sua natura, può conoscere molte verità e praticare diverse virtù.
    Tuttavia, senza l'aiuto della grazia, non gli è possibile perseverare nella conoscenza e nella pratica di tutti i comandamenti (vedi parte I, cap. VII, 2, D).
    Questo vuol dire che in ogni uomo decaduto vi sono sempre la debolezza dell'intelligenza e una
    tendenza primordiale, e anteriore a qualsiasi ragionamento, che lo incita alla ribellione contro la legge (27).

    2. Il germe della Rivoluzione

    Questa tendenza fondamentale alla ribellione può, in un dato momento, avere il consenso del libero arbitrio. L'uomo decaduto pecca, così, violando l'uno o l'altro comandamento. Ma la ribellione può andare oltre, e giungere fino all'odio, più o meno inconfessato, contro l'ordine morale stesso nel suo insieme. Questo odio, per essenza rivoluzionario, può generare errori dottrinali, e condurre perfino alla professione cosciente ed esplicita di princìpi contrari alla legge morale e alla dottrina rivelata, in quanto tali, e ciò costituisce un peccato contro lo Spirito Santo. Quando questo odio cominciò a guidare le tendenze più profonde della storia dell'Occidente, ebbe inizio la Rivoluzione, di cui oggi si dispiega il processo e sui cui errori dottrinali tale odio ha impresso vigorosamente il suo marchio.
    Questo odio è la causa più attiva della grande apostasia dei nostri giorni. Per sua natura è qualcosa che non può essere ridotto semplicemente a un sistema dottrinale: è la passione sregolata, al più alto grado di esacerbazione.
    Come si può facilmente vedere, tale affermazione, relativa a questa Rivoluzione in concreto, non implica il dire che alla radice di ogni errore vi sia sempre una passione disordinata.
    E non implica la negazione del fatto che molte volte è stato un errore a scatenare in questa o in quell'anima, o anche in questo o quel gruppo sociale, il disordine delle passioni.
    Intendiamo soltanto affermare che il processo rivoluzionario, considerato nel suo insieme, e anche nei suoi principali episodi, ha avuto come germe più attivo e profondo il disordine delle passioni.

    3. Rivoluzione e malafede

    Si potrebbe forse opporre la seguente obiezione: se l'importanza delle passioni nel processo rivoluzionario è così grande, sembra che la vittima di questo sia sempre, almeno in qualche misura, in malafede. Se, per esempio, il protestantesimo è figlio della Rivoluzione, ogni protestante è in malafede? Questo non contrasta con la dottrina della Chiesa, che ammette che vi siano, nelle altre religioni, anime in buona fede?
    È ovvio che una persona in completa buona fede, e fornita di uno spirito fondamentalmente controrivoluzionario, può essere presa nella rete dei sofismi rivoluzionari (siano essi di natura religiosa, filosofica, politica, o di qualsiasi altro genere) a causa di una ignoranza invincibile. In tali persone non vi è colpa alcuna.
    Mutatis mutandis, lo stesso si può dire di coloro che fanno propria la dottrina della Rivoluzione,
    nell'uno o nell'altro punto particolare, a causa di un lapsus involontario dell'intelligenza.
    Diversa deve essere la risposta nel caso in cui qualcuno faccia proprio lo spirito della Rivoluzione perché mosso dalle passioni disordinate a essa inerenti.
    Un rivoluzionario in queste condizioni può essere convinto della perfetta bontà delle sue tesi sovversive. Non sarà dunque insincero. Ma sarà colpevole dell'errore in cui è caduto.
    E può anche accadere che il rivoluzionario professi una dottrina della quale non è persuaso, o della quale non è completamente convinto.
    In questo caso, sarà parzialmente o totalmente insincero...
    A questo riguardo, ci pare che sarebbe quasi superfluo sottolineare che, quando affermiamo che le dottrine di Marx erano implicite nelle negazioni della Pseudo-Riforma e della Rivoluzione francese, con ciò non vogliamo dire che gli adepti di quei due movimenti fossero consapevolmente marxisti ante litteram, e che occultassero ipocritamente le loro opinioni.
    Il carattere specifico della virtù cristiana è la retta disposizione delle potenze dell'anima e, quindi, l'aumento della lucidità dell'intelligenza, illuminata dalla grazia e guidata dal Magistero della Chiesa. Solo per questa ragione ogni santo è un modello di equilibrio e di imparzialità. L'obiettività dei suoi giudizi e il fermo orientamento della sua volontà verso il bene non sono indeboliti, neppure di poco, dal soffio venefico delle passioni disordinate.
    Al contrario, nella misura in cui l'uomo decade dalla virtù e si lascia dominare dal giogo di queste passioni, diminuisce parimenti in lui l'obiettività in tutto quanto ha rapporto con esse. In particolar modo, questa obiettività rimane turbata quanto ai giudizi che l'uomo formula su se stesso.
    Fino a che punto un rivoluzionario "di marcia lenta", del secolo XVI o del secolo XVIII, accecato
    dallo spirito della Rivoluzione, si rendeva conto del senso profondo e delle conseguenze ultime della sua dottrina? In ogni caso concreto, è un segreto di Dio.
    In ogni modo, l'ipotesi che fossero tutti consapevolmente marxisti è da escludersi completamente.


    Note:

    (11) Leone XIII, Enciclica Immortale Dei, dell'1-11-1885, in ASS, vol. XVIII, p. 169.
    (12) Giovanni XXIII, Radiomessaggio nel 50 anniversario del terremoto di Messina, del 28-12-
    1958, in Discorsi, Messaggi Colloqui del Santo Padre Giovanni XXIII, vol. I, p. 110.
    (13) Cfr. Leone XIII, Enciclica Au milieu des sollicitudes, del 16-2-1892, in ASS, vol. XXIV, pp.
    519-529.
    (14) Cfr. San Tommaso, De regimine principum, I, 14 e 15.
    (15) Cfr. Concilio Vaticano I, sess. III, cap 2, Denz. 1786.
    (16) Cfr. Concilio di Trento, sess. VI, cap. 2, Denz. 812.
    (17) San Pio X, Enciclica Il fermo proposito, dell'11-6-1905, in ASS, vol. XXXVII, p. 745.
    (18) Cfr. 1 Gv. 2, 16.
    (19) Cfr. San Pio X, Lettera apostolica Notre charge apostolique, del 25-8-1910, in AAS, vol. II, pp. 615-619.
    (20) Cfr. Pio XII, Radiomessaggio natalizio ai popoli del mondo intero, del 24-12-1944, in Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. VI, p. 239.
    (21) Cfr. San Tommaso, Summa contra gentiles, II, 45; e Idem, Summa theologiae, I, q. 50, a. 4.
    (22) Cfr. Idem, Summa theologiae, I, q. 50, a. 4.
    (23) Cfr. Idem, op. cit., I, q. 96, a. 3 e 4.
    (24) Cfr. Pio XII, doc. cit., ibid.
    (25) Rom. 7, 23.
    (26) Cfr. Rom. 7, 25.
    (27) Donoso Cortés dà un importante sviluppo a questa verità, in un modo che ha molti legami con il presente studio. Cfr. Ensayo sobre el catolicismo, el liberalismo y el socialismo, libro I, cap. IV, in Obras completas, B.A.C., Madrid 1946, tomo II, p. 377.

  3. #3
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    Sto per terminare la lettura di questa terza parte del libro, che trovo molto interessante (la memoria non mi tradiva!). Vorrei chiedere però un parere a tutti, ed in particolare a Florian. Alla luce di quanto dice Plinio Correa De Oliveira sulla Riforma e sulle chiese riformate, cosa pensare del Conservatorismo anglosassone?
    Ed in specie, cosa pensare dell'opera di Burke? E' anch'essa un sintomo della Rivoluzione, ed un inganno del progressismo dettato dall'orgoglio umano?
    E' importante per me avere una risposta.

  4. #4
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    Citazione Originariamente Scritto da UgoDePayens Visualizza Messaggio
    Sto per terminare la lettura di questa terza parte del libro, che trovo molto interessante (la memoria non mi tradiva!). Vorrei chiedere però un parere a tutti, ed in particolare a Florian. Alla luce di quanto dice Plinio Correa De Oliveira sulla Riforma e sulle chiese riformate, cosa pensare del Conservatorismo anglosassone?
    Ed in specie, cosa pensare dell'opera di Burke? E' anch'essa un sintomo della Rivoluzione, ed un inganno del progressismo dettato dall'orgoglio umano?
    E' importante per me avere una risposta.
    Ti rispondo con piacere con le stesse parole di Correa de Oliveira.

    10. La Contro-Rivoluzione e i non cattolici

    La Contro-Rivoluzione può accettare la collaborazione di non cattolici? Possiamo parlare di controrivoluzionari protestanti, musulmani, ecc.? La risposta deve essere molto sfumata. Fuori della Chiesa non esiste Contro-Rivoluzione autentica (vedi paragrafo 5 di questo cap.). Ma possiamo ammettere che determinati protestanti o musulmani, per esempio, si trovino nello stato d'animo di chi comincia a percepire tutta la malizia della Rivoluzione e a prendere posizione contro di essa. Ci si può aspettare che tali persone arrivino a elevare contro la Rivoluzione barriere talvolta molto importanti: se corrispondono alla grazia, potranno diventare cattolici ottimi e, di conseguenza, contro-rivoluzionari efficaci. Finché non li sono, si oppongono comunque in una certa misura alla Rivoluzione e possono perfino farla retrocedere. Non sono però contro-rivoluzionari nel senso pieno e vero della parola. Ma si può, anzi, di deve utilizzare la loro collaborazione con tutta la precauzione che, secondo le direttive della Chiesa, una tale collaborazione esige. I cattolici devono particolarmente tenere conto dei pericoli inerenti alle associazioni interconfessionali, secondo i saggi ammonimenti di san Pio X: "Infatti, per limitarci a questo punto, sono incontestabilmente gravi i pericoli ai quali, a cagione di questa specie di associazioni, i nostri espongono o possono certamente esporre sia l'integrità della loro fede sia la fedele osservanza delle leggi e dei precetti della Chiesa cattolica" (16).
    La migliore forma di apostolato detto "di conquista" deve avere come oggetto questi non cattolici con tendenze contro-rivoluzionarie.

    (tratto da Rivoluzione e Contro-Rivoluzione)

  5. #5
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    Il fatto è che, per un conservatore, Burke è un padre. Forse IL padre. E' lui che ha fondato il conservatorismo politico moderno...
    Io, come penso la maggior parte dei conservatori, leggo Plinio Correa de Oliveira come complemento di Burke, se vogliamo tagliarla con l'accetta. Non viceversa.

    Pur essendo cattolico, e quindi condividendo il 100% della sua Fede, ne condivido il 90% del suo pensiero politico. Non so se mi spiego...

    E questo è possibile perché Rivoluzione e Controrivoluzione è un testo POLITICO, non magisteriale.

 

 

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