Ho trovato questo articolo, e mi è parso interessante perchè ricordo che fino agli anni '90 non c'era il dibattito che è esploso in seguito arrivando fino ad oggi. Dopo l'articolo scrivo una mia analisi.
Fino al 1967, anno della guerra dei sei giorni tra Israele e Egitto,
nessuno negli Stati Uniti – compreso le potenti comunità ebraiche, si
occuparono esplicitamente della Shoah. La ragione di questo silenzio è
semplice. Coloro che menzionavano l’olocausto venivano associati al
comunismo. Com’è nata questa associazione? Quali cause la
determinarono? Naturalmente le cause sono molteplici. Ma, forse, la
più decisiva è stata la “guerra fredda”, che imponeva una netta
divisione fra la storia fino alla seconda guerra mondiale e quella che
si era aperta subito dopo. Pochissimi intellettuali come Hannah
Arendt, Noam Chomsky, lo storico Raul Hilberg, e pochi altri,
dedicarono attenzione alla tragedia degli ebrei d’Europa alla fine
degli anni ‘50. Raul Hilberg, addirittura, trovò grandi difficoltà nel
pubblicare il suo studio “La distruzione degli ebrei d’Europa”,
divenuto in seguito una pietra miliare sull’olocausto. Il suo
relatore, l’ebreo tedesco Franz Neumann, della Columbia University,
scoraggiò decisamente il progetto. E alla sua uscita lo studio di
Hilberg incontro soltanto aspre critiche. L’importanza dello studio di
Hilberg fu subito chiaro ad Hannah Arendt, la quale se ne servi per il
suo celebre resoconto sul processo Eichman “La banalità del male”. Le
vicende che accompagnarono la pubblicazione del libro della Arendt
sono significative per capire il contesto nel quale gli ebrei
americani per un lungo periodo non si occuparono della Shoah. Ma il
libro della Arendt all’improvviso fu come una doccia fredda. In alcuni
passaggi del libro la Arendt descriveva come alcuni ebrei fossero
stati costretti a collaborare con i nazisti nelle deportazioni. Tanto
che negli anni ’60 la Anti-Defamation League dell’associazione B’nai
B’rith (ADL) – una delle più rappresentative comunità ebraiche
americane - mette in atto una campagna di denigrazione contro la
Arendt, perché aveva denunciato la “colpevole passività” di alcuni
capi ebraici con i nazisti (1).
Nel 1961 la rivista “Commentary” organizza un convegno sul tema
“L’ebraismo e i giovani intellettuali”; su trentuno partecipanti
soltanto due accennarono al problema dell’olocausto. Nello stesso anno
durante una tavola rotonda organizzata dal periodico “Judaism” (“La
mia affermazione di ebraismo” era il tema conduttore) il problema fu
praticamente ignorato. Occorre chiedersi perché? Perché gli ebrei
americani tenevano lontano dalle loro questioni ciò che era accaduto
nei lager nazisti? Com’era possibile ignorare una questione cosi
bruciante da tutti i punti di vista? E, soprattutto, una questione che
riguardava proprio gli ebrei? A distanza di oltre mezzo secolo,
possiamo vedere che una della ragioni di questo silenzio era
costituito dal conformismo della leadership della comunità ebraica
americana e al clima politico che si era determinato con la guerra
fredda. Con gli accordi di Yalta e la conseguente spartizione
geografica del mondo, la Germania Federale era diventata una
importante alleata degli Stati Uniti, in sostanza era l’avamposto
estremo occidentale di fronte al blocco dell’est dominato dalla Russia
di Stalin prima e di krushov dopo. Porre la questione della Shoah,
dunque, non era producente dal punto di vista politico e della
strategia delle alleanze. E’ questa una delle ragione per cui molti
assassini delle SS trovarono facilitata la fuga presso il sudamerica,
soprattutto in Argentina, dove le dittature erano direttamente
appoggiate dagli Stati Uniti. Alla luce dei blocchi geopolitici est/
ovest molti intellettuali ebrei trovarono difficoltà a schierarsi
contro l’Unione Sovietica che con i sui 29 milioni di morti sfiancò
letteralmente la linea est dei nazisti contribuendo in modo decisivo
al crollo militare del nazismo.
Cosi, paradossalmente, la questione della Shoah, si è trovata in mezzo
fra l’antisemitismo di Stalin e l’indifferenza degli americani a cui
premeva avere la Germania Federale come alleata. Ma per ottenere ciò
gli Stati Uniti dovevano mettere in secondo piano il problema
dell’olocausto. Nello stesso tempo la politica americana fu abile
nell’associare lo stereotipo “ebreo di sinistra” al comunismo
stalinista e perseguire di antiamericanismo chiunque si mostrasse
sensibile alla Shoah, perché tale sensibilità era stata praticata
soprattutto da intellettuali di sinistra. Il semplice ricordare
l’olocausto nazista veniva etichettato come “comunista”.
L’anticomunismo radicale dell’establishment politico americano creò
scompiglio nelle comunità ebraiche, le cui élite però si allinearono
subito all’anticomunismo scatenato da McCarthy durante il decennio
1947/1957, e la cui “lista nera” fu rimpinguata dalla collaborazione
dell’ADL e dell’AJC (American Jewish Committee) che misero a
disposizione i loro schedari, onde poter fornire i nomi di coloro che
erano in odore di “comunismo”.
Naturalmente non fu semplice per molti altri ebrei artisti e
intellettuali. Il grande studioso di psicologia dell’arte Rudolf
Arnheim, per esempio, dovette nascondere per lunghi anni le sue idee
anarchiche; lo stesso fece il pittore Barnett Newman, il quale imparò
lo yiddish perchè era l’unica lingua incomprensibile ai servizi
segreti americani e dove le idee politiche potevano circolare senza
essere intercettate. La paura di essere associati al comunismo, di
essere perseguitati fino alla carcerazione e a volte fino
all’eliminazione fisica, costrinse molti ebrei a evitare di
collaborare con le forze politiche socialdemocratiche e antinaziste
tedesche. Molti si astennero dal partecipare alle manifestazioni
contro gli ex nazisti che trovarono rifugio in america. Un clima da
caccia alle streghe, che da Hollywood – dove si fabbricava
l’immaginario dell’eroe anticomunista - arrivava agli scrittori e ai
sindacalisti, spesso assassinati in oscure circostanze. La priorità
della guerra fredda aveva di fatto cancellato, fino alla “guerra dei
sei giorni” (1967) lo sconvolgente fenomeno dello sterminio degli
ebrei d’Europa.
1) E interessante notare che la Arendt si serve dello studio di Raul
Hilberg (La distruzione degli ebrei d’Europa) per confermare la tesi
della “collaborazione” di alcuni capi ebraici con i nazisti, dunque
non degli ebrei in generale. Ecco uno dei passi significativi: “”Ad
Amsterdam come a Varsavia, a Berlino come a Budapest, i funzionari
ebrei erano incaricati di compilare le liste delle persone da
deportare e dei loro bene, di sottrarre ai deportati il denaro per
pagare le spese della deportazione e dello sterminio…”; La banalità
del male, Feltrinelli, 1992, p. 126. La Arendt in una lettera a
Gershon Scholem del 24 luglio 1964 chiarisce la sua posizione circa il
problema degli ebrei collaborazionisti con queste parole: “Ho
sostenuto [ne La banalità del male] che non esisteva alcuna
possibilità di opposizione, ma esisteva la possibilità di non fare
nulla, e per non fare nulla non c’era bisogno di essere santi…Queste
persone avevano una certa libertà di decisione e di azione, per quanto
limitata…Poiché in politica abbiamo la che fare con uomini, e non con
eroi o santi, esiste la possibilità di ‘non-partecipazione’”.
(Ebraismo e modernità, Feltrinelli, 1993, p. 225.)
Sulle ostilità contro Hannah Arendt è illuminante la lettera che
scrisse a Karl Jaspers datata 20 ottobre 1963, ne riporto un frammento
significativo: “Il mio successo alla Columbia University è stato una
vittoria di Pirro, poiché ha indotto il governo israeliano e le
organizzazioni ebraiche da esso pilotate ad una sola reazione: a
raddoppiare i loro sforzi. Così proprio ora, per rendermi la vita
impossibile anche nel mondo accademico, hanno spedito qui da
Gerusalemme, come inviato speciale, Ernst Simon, il quale sta
compiendo una missione itinerante nelle varie università per parlare
contro di me dovunque vi siano centri della Hillel-Organization – una
lega di studenti ebraici diffusa in tutte le università e nella
maggior parte dei colleges, guidata da rabbini…Qualche settimana prima
del nuovo anno accademico la Anti-Defamation League ha inviato una
lettera circolare a tutti i rabbini degli Stati Uniti con l’invito a
tenere prediche contro di me.”
Marcello Faletra
http://www.gennarocarotenuto.it/5725-la-shoah-e-loblio-perche-la-shoah-fu-taciuta-negli-stati-uniti-fino-al-1967/
Fino ad un certo momento si è frenato un dibattito perchè questo avrebbe implicato la ricerca di prove e testimoni. Pochi anni dopo quegli eventi sarebbe stato ipotizzabile che questi si potessero ancora trovare, se ci fossero stati. Ma sapendo che non c'erano o che c'era il pericolo che involontariamente si tradissero svelando di essere dei bugiardi, l'unica soluzione era mantenere sotto silenzio tutto. Non smuovere le acque insomma.
Oggi che invece si da per scontato che le possibili testimonianze siano venute via via a mancare per ovvi motivi legati al passare del tempo (e quindi decesso dei testimoni) il dibattito si è potuto aprire, perchè nessuno si aspetta di trovare ancora in vita possibili testimoni. E comunque di conseguenza oggi i pochi residui novantenni sono difficilmente smentibili (non so se mi spiego insomma...).
Come ben si sa, i testimoni diretti sono sempre stati pochissimi e sempre inclini ad enfatizzare ed ingigantire. E soprattutto tra i tedeschi, risulta difficile credere che tutti i tedeschi che sapevano siano morti in guerra, tutti escluso Hoss. Incomprensibilmente data l'estensione dei fatti contestati. Dove sono finite tutte le SS addette al "lavoro"? Cavolo, avrebbero dovuto essere stati migliaia e migliaia!!! Tutti morti nel maggio 1945?
Oggi che non è più attualità ma storia, è arrivato il momento di cristallizzarla come tale, nei secoli dei secoli.