Originariamente Scritto da
domics2006
in pratica
le critiche al "Berlusconi-politico" espresse dalla Gandus non potevano determinare un giudizio di inimicizia con il "Berlusconi- imputato". Secondo la Cassazione, se queste critiche fossero continuate durante il processo, o nella sua imminenza, in maniera «intensa», avrebbero giustificato la rimozione del giudice del processo "Berlusconi-Mills". Ad avviso della Suprema corte è stata corretta la decisione con la quale la Corte d'appello di Milano, lo scorso 10 luglio, ha detto no alla ricusazione della Gandus, s
ottolineando che il giudice aveva esternato critiche vivaci nei confronti di Berlusconi tra il 2001-2006, in epoca antecedente l'inizio del processo 'Berlusconi-Mills'.
No alle «prese di posizione eccessive».
I supremi giudici ricordano, però, condividendo così parte delle obiezioni dei legali del presidente del Consiglio, che le toghe devono «evitare gli eccessi» nelle esternazioni sui politici, anche se da sole non possono essere considerate manifestazioni di «inimicizia grave» le «espressioni di dissenso, anche radicale, nei confronti di persone che rivestono un ruolo politico di spicco, collegate con lo svolgimento di tale ruolo».
In proposito la Cassazione osserva che la richiesta di ricusazione sarebbe legittima se il giudice tenesse «comportamenti che per le loro congiunte caratteristiche di qualità, modalità, intensità, frequenza, tipologia di intervento, prossimità temporale al momento del giudizio, unidirezionalità, e, soprattutto personalizzazione, determinino una complessiva realtà relazionale (giudice-imputato) idonea a far desumere un esito significativo in capo al giudice di avversione che da politica si trasformi in personale e diventi incompatibile con le logiche di neutrale professionalità».
La Cassazione, pur confermando il no alla ricusazione, ha dato ragione ai legali del premier che ritenevano «asfittica» l'affermazione dei giudici di Milano per i quali la critica di una toga al politico è sempre lecita purché non sconfini in aspetti «personali». La Suprema Corte ha corretto il tiro, rilevando che quando un giudice processa un politico deve evitare comportamenti - vicini alle udienze - dai quali si possa dedurre che la sua «avversione» politica per l'imputato sia divenuta un'avversione «personale».
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