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    WARLIGHT
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    Predefinito Processo di Norimberga: come fu possibile mettere in piedi le accuse e procedere nel

    Tratto da Thule-Toscana.com (che fu definito “farsa”, un “disonore” anche per gli USA (Kennedy)
    Dobbiamo innanzitutto vedere quali erano le responsabilità di quelli che finirono alla sbarra. Poi se era possibile che una nazione vincitrice potesse giudicare impunemente una nazione vinta, “cambiando le carte in tavola” sul momento, e solo per vendetta
    “RELAZIONE…sul reato di disobbedienza militare nel diritto internazionale e nel diritto penale militare anglosassone e tedesco durante la seconda guerra mondiale.
    STUDIO….della normativa straordinaria per gli appartenenti alle SS e alle strutture di polizia del Terzo Reich” di Franz W Seidler, 17 giugno 1997.
    Ordine e obbedienza nelle forze armate. - Il sistema militare si basa principalmente sulla disciplina, e a sua volta la disciplina si basa sull’obbligo assoluto di obbedienza. I più alti gradi militari di tutte le nazioni hanno riconosciuto questo principio. Cito, per tutti, il maresciallo inglese lord Bernard Montgomery che, grazie alle sue esperienze nella seconda guerra mondiale, il 26 giugno 1946 a Porstmouth, in occasione di un discorso pubblico, si espresse in modo particolarmente chiaro:
    “Quale forza al servizio della nazione, l’esercito è al di sopra della politica e ciò deve rimanere cosa immutabile. La sua devozione è per lo stato e il soldato non ha facoltà di modificare tale devozione a causa delle sue vedute politiche. L’esercito non va inteso come assieme di individui ma come arma combattente, formata nella disciplina e guidata dai comandanti. Come l’essenza della democrazia è la libertà, così l’essenza dell’esercito è la disciplina. Al riguardo nulla conta l’intelligenza del soldato. L’esercito abbandonerebbe la nazione al suo destino se non fosse abituato a obbedire immediatamente agli ordini. Il difficile problema di ottenere un’obbedienza assoluta agli ordini, in un regime democratico, può essere risolto inculcando tre principi basilari: 1. La nazione è un qualcosa per cui vale la pena di combattere;
    2. L’esercito è l’arma necessaria per la nazione;
    3. E’ obbligo del soldato obbedire senza fare domande a qualsiasi ordine gli venga imposto dall’esercito, ovvero dalla nazione”.
    Ma allora, quando può il soldato rifiutarsi di obbedire? In guerra spesso è difficile valutare se un ordine è legittimo ovvero illegittimo. Se un soldato è obbligato a dare esecuzione solo a ordini legittimi, allora è anche obbligato a valutare ogni ordine in base alla sua legittimità prima di darvi esecuzione, cosa che renderebbe impossibile l’immediata esecuzione dell’ordine e
    svuoterebbe il principio militare di ordine e obbedienza.
    La conseguenza sarebbe la paralisi dell’organizzazione militare.
    Il destinatario dell’ordine non può neppure fare dipendere l’esecuzione dell’ordine stesso da eventuali condizioni, ad esempio le difficoltà che si presentassero o i pericoli che l’esecuzione dell’ordine comporterebbe.
    (ci mancherebbe che ogni soldato in guerra si mettesse a valutare il proprio rischio. Ndr).
    Nella seconda guerra mondiale i limiti erano stabiliti:
    1. Dalle leggi nazionali;
    2. Dalle norme di diritto internazionale (convenzione dell’Aia del 1907 sulle leggi e sugli usi di guerra e convenzione di Ginevra del 1929 sul trattamento dei feriti e dei prigionieri);
    3. Dal diritto consuetudinario delle nazioni.
    Da ciò dovevano farsi derivare le modalità di comportamento di coloro che davano gli ordini e di coloro che gli ordini dovevano eseguire.
    Quando, nella seconda guerra mondiale, un superiore ordinava a un subordinato di fucilare degli ostaggi, l’ordine poteva essere legittimo o illegittimo, a seconda se questi erano o meno dei civili che si erano resi responsabili di atti di sabotaggio (in altra sede parleremo delle rappresaglie).
    Facciamo un esempio: quando un comandante di un sottomarino, dopo l’affondamento di una nave nemica, ordina al suo sottotenente di distruggere il relitto al quale si sono aggrappati alcuni naufraghi sopravvissuti, l’ordine inumano può essere considerato come istigazione all’omicidio, ma d’altra parte -risponderebbe il comandante- se la presenza del relitto evidenzia al nemico la presenza in zona del mio sottomarino, la distruzione totale di quel relitto può rappresentare un’azione, per quanto durissima e inumana, necessaria e pertanto legittima. Io nell’agire così salvaguardo la mia missione e anche la vita dei miei uomini.
    (questo fatto accadde nella realtà - vedi “La tragedia della Laconia”. Furono in questo caso gli anglo-americani a bombardare un sottomarino tedesco che stava prestando aiuto ai naufraghi inglesi e italiani).
    In questi casi è solo il superiore a decidere e valutare se il proprio ordine è legittimo o meno. Del resto al subalterno manca la conoscenza degli elementi essenziali per valutare il caso. Egli non può fare altro che partire dal presupposto che l’ordine del superiore è legittimo e pertanto è obbligato all’obbedienza. Deve ubbidire anche quando il superiore che impartisce l’ordine - sia dal punto di vista giuridico sia dal punto di vista di fatto- è sbagliato, dal momento che il subalterno di norma non conosce le esatte circostanze dei fatti. Il subalterno può eseguire anche ordini illegittimi quando non è in grado di ravvisare immediatamente la illegittimità dell’ordine.
    Spesso i componenti di un plotone di esecuzione, non sanno minimamente il perchè devono uccidere dei propri simili. Loro devono solo sparare dietro un ordine, non possono impietosirsi davanti a chicchessia.
    L’obbedienza nel diritto penale militare tedesco
    Per impedire che un soldato potesse rifiutarsi di eseguire un ordine per vigliaccheria o paura, il codice militare tedesco, al paragrafo 49, equiparava tale violazione a una violazione di colpa: “La violazione di un obbligo di servizio per timore di un danno personale dovrà essere punita analogamente alla violazione di un obbligo di servizio per colpa”. Ma questa norma si riferiva unicamente agli ordini impartiti, per questioni di servizio, dai superiori diretti; non riguardava gli ordini del governo del Reich o del Comando Supremo.
    Per tali ordini superiori infatti la situazione era ben diversa: Nel Terzo Reich non esisteva possibilità alcuna di giudicare o di fare giudicare leggi e decreti, ordinamenti giuridici o ordini. Con un comandante supremo (nel caso specifico Hitler) non era prevista alcuna istanza a riguardo. Ogni funzionario e ogni militare era obbligato a ubbidire, e così pure i giudici. Erano vincolati agli ordini che venivano loro impartiti, così come i procuratori di stato erano obbligati ad applicare le leggi in vigore. Chiunque si rifiutava poteva essere licenziato o punito severamente.
    (Cadorna alla Prima guerra mondiale non volle nemmeno lui un tribunale che giudicasse la diserzione, ma a suo giudizio faceva eseguire subito le sentenze di morte con la fucilazione alla schiena dei codardi; e quando non li individuava, impartiva perfino ordini per una decimazione alla cieca dentro un reparto, colpendo perfino quelli che codardi non erano mai stati).
    In Germania l’ordine di obbedienza valeva in modo particolare per gli ordini che provenivano dal Fuhrer. E detti ordini erano inviolabili sia dal punto di vista giuridico sia dal punto di vista di fatto.
    “Lo stato totale deve essere lo stato della totale presa di coscienza. Esso rappresenta la totale presa di coscienza di ogni singola nazione. Questa presa di coscienza annulla il carattere privato della singola esistenza.” (Ernst Forsthoffa).
    Uno dei difensori durante il processo di Norimberga, il professor Jahrreis, spiegò: “Quando Hitler dava un ordine le autorità tedesche non avevano alcuna possibilità di rifiutarsi di obbedire, poichè in ogni stato dev’esservi un’istanza oltre la quale non si possa tornare indietro”. Del resto la corte di giustizia di Norimberga accolse questa opinione che “secondo la giurisprudenza germanica Hitler rappresentava non solo il legislatore supremo ma anche il giudice supremo”.
    Senza la rimozione di Hitler (con un colpo di Stato o l’assassinio dello stesso) non si poteva ottenere la caduta di quello che era ritenuto un diritto immorale.
    Ma abbiamo parlato solo della Germania e di Hitler. Ma vediamo anche
    negli altri Stati che parteciparono alla guerra quali erano i principi
    In nessun stato democratico che abbia partecipato alla guerra, il principio della non responsabilità dei subalterni per le esecuzioni di ordini militari illegittimi, appare così chiaramente stabilito come nel diritto penale militare americano e britannico (ma questo prima del 31 ott. 1944 !!!!)
    Il paragrafo 43 del “British Manual of Military Law” affermava: “Appartenenti alle forze combattenti che commettono violazioni alle norme riconosciute nella condotta della guerra, e che abbiano al riguardo ottenuto un ordine dai loro superiori, non sono considerati criminali di guerra e pertanto non possono essere condannati dal nemico nelle cui mani essi abbiano a cadere”.
    Il Paragrafo 347 della Americana ” Rules of Land Warfare”, stabiliva: “Gli appartenenti alle forze combattenti non possono essere puniti per reati che abbiano commesso su ordine superiore o con il consenso di chi ha impartito l’ordine. Solo i comandanti che abbiano disposto tali atti, ovvero sotto la cui autorità tali atti siano stati commessi dalla loro truppa, potranno essere puniti dalle forze belligeranti nelle cui mani essi abbiano a cadere”.
    Ma c’è da dire che entrambi le due rigide formulazioni corrispondevano alle norme in vigore nei paesi anglosassoni nel vigente diritto internazionale dell’epoca. Nel suo manuale “International Law”, al paragrafo 253, Lassa Francis Oppenheim stabiliva che: “Violazioni alle regole della condotta di guerra sono considerate reati solo se vengono commesse senza un ordine. Appartenenti alle forze combattenti che commettono delle violazioni su ordine dei loro comandi non possono essere considerati criminali di guerra e non possono essere condannati dalle forze nemiche. Le forze nemiche per contro possono attuare rappresaglie”.
    Ma allora a Norimberga come si procedette?
    Negli atti preparatori del processo, le due sopra precisate norme del diritto penale americano e britannico vennero modificate alla fine del 1944, al fine di non ostacolare la formulazione dell’art. 8 dello Statuto di Londra (statuto della corte internazionale di giustizia militare) dell’8 agosto 1945 (il processo si aprì il 20 novembre del precedente anno)
    Così fu stabilito: “Il fatto che un imputato abbia agito su ordine del suo governo o di un superiore non può essere preso in considerazione come causa di esclusione dalla pena, ma può essere causa attenuante per la pena, se ciò appare comunque equo al tribunale”.
    Quest’ultima formulazione venne ripresa dalla legge di controllo n.10 del 20 dicembre sempre del 1945 sulla punizione di persone che si siano rese responsabili di crimini di guerra, di crimini contro la pace o contro l’umanità, nell’ambito dell’Art. II (4b): “La circostanza che taluno abbia agito su ordine del suo governo o del suo superiore non è esimente dalla responsabilità per il reato. Essa comunque può essere considerata come causa per la riduzione della pena”. (vedi la pagina dedicata al processo)
    Questa inversione di tendenza nella (nuova) definizione di obbedienza nei manuali britannici e americani, indubbiamente è stata motivata dall’intento di impedire ai difensori dei militari tedeschi accusati di crimini di guerra di fare riferimento alla legge dei due paesi ed aggrapparsi ad essa. E’ stata insomma una misura di natura politica, così come è stato anche ammesso dal professor Sheldon Glueck che fu proprio lui il promotore della modifica.
    Così Glueck ebbe (poi) a specificare: “L’applicazione del principio della assoluta responsabilità, così come era previsto dalle norme americane e britanniche, avrebbe reso praticamente impossibile giudicare molti criminali di guerra tedeschi. Si rese perciò necessaria una nuova normativa più realistica che valesse per l’azione penale da condursi sia davanti ai tribunali nazionali sia davanti al tribunale penale internazionale. Per questo motivo le norme americane e britanniche vennero modificate”.
    ——–PERÓ: poi…… al termine del processo contro i criminali tedeschi di guerra, la modifica al “British Manual of Military Law” venne….. annullata. La nuova edizione dell’anno 1948 cancellò semplicemente la modifica introdotta nel 1944 e…. reintegrò il vecchio testo della legge”—————–
    (la conferma di quanto detto sopra sulle modifiche della legge di guerra degli Stati Uniti (FM 27-10) nei punti in cui essa consente ai militari di difendersi in tribunale con la giustificazione di aver dovuto obbedire a un ordine superiore, si trovano nella pagine 57-58 del libro The road to Nuremberg, di Bradley F. Smith (ed. Deutsch, Londra 1981) che contengono integralmente le proposte di abrogazione fatte il 4 ottobre 1944, dal capo di divisione di guerra dell’ufficio del Iudge Advocate General, colonnello Archibald King), proposte che furono approvate il successivo 31 ottobre 1944, quando le precedenti leggi di guerra furono modificate. E questa modifica nel 1948 fu poi annullata).
    Il processo di Norimberga si svolse comunque con questi principi nati solo in quella occasione. Gli altri processi che seguirono, su moltissimi ufficiali che in seguito a precisi ordini ricevuti avevano fatto fucilare degli ostaggi, si conclusero con delle assoluzioni. Come i subalterni di Kappler che i giudici a fine 1948 li dichiararono non punibili. E lo stesso Kappler fu condannato solo per i cinque in più e non per l’eccidio.
    Inoltre ricordiamo come si espresse nel 1954, Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate in Europa e poi presidente degli Stati Uniti; un giudizio che assume particolare rilevanza:
    “L’obbedienza agli ordini in guerra, da parte degli ufficiali, deve essere assoluta e non condizionata da scrupoli morali. L’esistenza stessa di un esercito dipende dalla pronta esecuzione degli ordini. Nemmeno per un secondo io avrei tollerato un atto di disubbidienza o di insubordinazione” (New York Times del 13 maggio 1954).
    Il processo di Norimberga lasciò comunque una brutta eredità storica; ha creato una strana situazione nella quale ogni militare é tenuto a valutare rapidamente, sulla base di un proprio personalissimo codice morale, se un ordine appena ricevuto vada eseguito o respinto.
    Se lo respinge può essere giustiziato dai suoi superiori; mentre se lo esegue ciecamente ma poi lui sfortunatamente cade in mano al nemico vincitore, finisce come al processo di Norimberga: impiccato comunque.
    A proposito di questo processo, Benedetto Croce, in un discorso al Parlamento nel 1947, fece questa affermazione “Un tribunale costituito dai vincitori e non basato su norme preesistenti può solo definirsi strumento di vendetta e non di giustizia”.
    Considerazioni
    Per capire quale offesa per la giustizia e la civiltà sia stato Norimberga è sufficiente leggere la relazione di Seidler, pag 56-57 del libro-relazione The road to Nuremberg, di Bradley F. Smith (ed Deutsch, Londra 1981) (che riportiamo anche in altre pagine: “Obbedire o non combattere”):
    “Fu possibile il processo per il marchingegno col quale la Gran Bretagna e gli Stati Uniti modificarono temporaneamente le loro leggi di guerra laddove queste consentivano ai militari accusati di reati di guerra di difendersi adducendo la giustificazione di aver dovuto obbedire a un ordine di un Capo Supremo. Quella temporanea modifica fu apportata, ammisero i responsabili del War Department “per evitare che i criminali di guerra tedeschi potessero difendersi appellandosi alle leggi esistenti in Inghilterra e in America”.”
    Le critiche vennero dopo. Lasciamo quelle di parte e prendiamo solo quelle espresse da autorevoli personaggi americani e inglesi.
    1) Il giorno successivo a quello della sentenza così scriveva la Chicago Tribune: ” La triste verità è che nessuno dei vincitori è innocente dei crimini che sono stati attribuiti agli sconfitti”.
    2) William L. Hart, giudice alla Corte suprema dell’Ohio: “Sia la Costituzione del tribunale di Norimberga che i processi che ne seguirono furono un condensato di frode e illegalità. Degli atti commessi da un militare in guerra deve rispondere il suo stato e non lui individualmente” (Chicago Tribune del 2 ottobre 1946) (C’era stata la sentenza, ma non ancora l’impiccagione).
    3) “Quel tribunale internazionale di Norimberga fu un aborto” William Langer, senatore degli Stati Uniti ed ex governatore del North Dakota.
    4) “A Norimberga ci siamo piegati al desiderio di vendetta e abbiamo creato un precedente che consentirà ai vincitori di guerre future di vendicarsi anche loro nello stesso modo sugli sconfitti” (Ulisses Grant, generale americano).
    5) “E’ deplorevole che dei vincitori introducono una legge retroattiva per condannare gli sconfitti” (Fagernas, comandante in capo delle forze Finlandesi).
    6) “Il tribunale di Norimberga non può essere considerato un tribunale in quanto nato da considerazioni politiche. In quei processi la giustizia venne accantonata e si offese la tradizione giudiziaria britannica e americana.” (Hugh Champion de Crespigny, comandante del XXI gruppo delle Royal Air Force britannica, 1943-1944)
    7) “I processi di Norimberga contro ufficiali di una nazione sconfitta che avevano ubbidito a degli ordini offendono la giustizia” (Orvil A. Anderson, vice comandante della VII forza aerea americana, 1944-1946).
    8) “I processi di Norimberga consentirono ai vincitori di punire gli sconfitti per aver fatto il loro dovere di soldati. Pur non avendo particolare simpatia per quegli imputati, riconosco che avevano il dovere di ubbidire agli ordini” (Michael Francis Doyle, giudice del tribunale internazionale dell’Aja.)
    9) Ma chi meglio di un Presidente degli Stati Uniti, come John Kennedy che così si espresse in un suo libro (Profiles un courahe, di John Kennedy, Ed Harper & Row, New York, 1956)
    “La costituzione degli Stati Uniti, che non consente l’introduzione di leggi retroattive, non è una raccolta di parole soggette a libera interpretazione: é il fondamento della nostra giustizia. E’ cosa disgustosa che a Norimberga si sia venuto meno ai nostri principi costituzionali per punire un avversario sconfitto. Queste conclusioni sono condivise, ritengo, ma molti americani di oggi. E furono condivise, sia pure riservatamente, da molti americani del 1946.
    Un processo tenuto dai vincitori a carico dei vinti non può essere imparziale perchè in esso prevale il bisogno di vendetta. E dove c’è vendetta non c’è giustizia. Nei processi di Norimberga noi accettammo la mentalità sovietica che antepone la politica alla giustizia, mentalità che nulla ha in comune con la tradizione anglosassone. Gettammo discredito sull’idea di giustizia, macchiammo la nostra costituzione e ci allontanammo da una tradizione che aveva attirato sulla nostra nazione il rispetto di tutto il mondo”.


    http://www.ladestra.info/?p=27991#more-27991

    http://nuovaeta.forumcommunity.net/

  2. #2
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    Il Processo di Norimberga, ingiustificabile per tramite dei goffi grugniti di giuristi prezzolati piuttosto che imbecilli, contiene in realtà in sé l'unica possibile morale della guerra totale: vae victis!

  3. #3
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    Se il solo autentico argomento oggettivo contro Hitler e Mussolini è di aver perso la guerra, parimenti l'unico argomento non contestabile a favore degli alleati anglo-sovieto-americani è di averla vinta.

  4. #4
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    Si può credere fanaticamente nella giustezza della propria causa.
    Ma l'unico criterio di verità verso chi si oppone alle nostre intenzioni rimane uno solo: vittoria e sconfitta.

 

 

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