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    Predefinito Interventi parlamentari dei radicali

    Senato: Ratifica Convenzione Onu su disabilità, l’intervento di Marco Perduca


    Roma, 28 gennaio 2009
    • Intervento in Aula del Senatore radicale-PD Marco Perduca sul ddl contenente la Ratifica ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità

    Signor Presidente, a me spiace dover iniziare il mio intervento con una piccola nota polemica, che sicuramente non ha niente di personale, riguardo al fatto che il relatore abbia deciso di rifarsi alla relazione scritta con riferimento ad un importantissimo documento - è stato testé ricordato - come la Convenzione sui diritti dei disabili. Ciò infatti toglie la possibilità di affrontare nel merito la questione a tutti i senatori che, nelle ultime settimane, non hanno avuto l'occasione di avere in Commissione il testo per un'analisi. E si privano gli italiani - che, grazie a Radio Radicale, seguono quotidianamente i lavori del nostro Parlamento - di ascoltare un minimo di informazioni sul merito di questo documento.


    Mi permetto, quindi, di sostituirmi al relatore, nel ricordare alcuni dei punti fondamentali che vengono elencati all'articolo 3 di questa Convenzione. Si tratta, cioè, di dignità, autonomia e indipendenza delle persone con disabilità, non discriminazione, piena ed effettiva partecipazione ed inclusione nella società, rispetto delle differenze delle persone con disabilità, pari opportunità, accessibilità, parità di genere e rispetto per lo sviluppo e per l'identità dei bambini con disabilità, com'è stato ricordato nel precedente intervento. Attraverso questi aspetti si stabiliscono non solo nuovi diritti per persone con determinati problemi (la Convenzione elenca quali siano da ritenere le disabilità al centro di questo documento), ma si cerca anche di fare altro. Oltre al fatto che, da oggi, avremo - o dovremmo avere - a che fare con i disabili cittadini italiani o che si trovano nel territorio italiano, si cerca di creare le condizioni per cui finalmente - con la speranza che presto altri Paesi ratifichino questo tipo di documento - a questi milioni e milioni di persone si aggiungano anche le decine, centinaia e milioni di disabili che vivono nel mondo in via di sviluppo o povero.


    Che cosa si intende fare, quindi, con questo documento? Si intendono abolire tutte quelle barriere che non consentono l'agire civile, politico, economico, sociale - e quindi anche culturale - di milioni e milioni di persone. Persone che in questi anni sono state tenute nel silenzio non soltanto da una serie di politiche che le hanno escluse dalla loro partecipazione attiva alla società, ma anche, com'è stato ricordato, da tutta una serie di comportamenti di tipo paternalistico, che includevano i disabili in una categoria indefinita di malati, verso i quali ci si doveva comportare in maniera commiserevole, senza mai riconoscere loro il benché minimo diritto.


    Questa Convenzione dovrà poi essere non soltanto ratificata, ma anche inclusa nel nostro ordinamento. Per far ciò, non soltanto dovrà essere creato un organismo che viene chiamato Osservatorio, ma dovranno essere trovati anche fondi per poter finanziare le attività e tutte quelle misure necessarie a far godere pienamente i disabili dei diritti. Si tratterà quindi anche di compiere sforzi economici per finanziare tutte queste misure.


    Se avessimo avuto la possibilità di ascoltare la relazione introduttiva, avremmo scoperto che l'Italia ha giocato un ruolo centrale nella scrittura di questo documento. Ho avuto modo di essere presente non soltanto alla fase finale dei negoziati del documento - quando rappresentavo il Partito Radicale transnazionale alle Nazioni Unite - ma anche quando il ministro Maroni, due legislature fa, ritirò il premio dal segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan. Il riconoscimento era dovuto al fatto che l'Italia era ritenuta un Paese all'avanguardia relativamente alle politiche in materia di disabilità. Ne rimasi sorpreso, perché da cittadino italiano non me ne ero accorto: poi, però, studiando la legislatura, in effetti così apparve.


    Tali politiche in materia di disabilità, però, erano desunte - almeno dallo studio delle Nazioni Unite - da una rassegna delle nostre leggi. Ora, sappiamo che in Italia tra le leggi, le politiche e l'effettivo godimento dei diritti civili, politici, economici, sociali e culturali vi è spesso se non un oceano, sicuramente un mare. Ecco, questo mare, da quando è stato consegnato il premio al ministro Maroni (mi pare che fosse il 2005), non è stato colmato. Oltretutto, il premio consisteva anche in una somma di denaro, che se non sbaglio ammontava a 50.000 dollari. Ebbene, da allora, non soltanto non è stato utilizzato un solo dollaro di quei 50.000 che sono stati consegnati all'allora ministro Maroni, ma non si è trovato il modo di adottare una serie di misure che avrebbero dovuto iniziare ad abbattere le barriere che ancora separano i disabili dal pieno godimento dei diritti di cittadinanza.


    Quindi la ratifica che ci apprestiamo a votare quest'oggi, che vede tutti noi favorevoli, nello spirito e nella lettera della Convenzione - forse un po' meno della legge di ratifica - dovrà dare il "la" ad una serie di stanziamenti finanziari relativi a misure che intendono in qualche modo recuperare il tempo perduto e, finalmente, riempire di fatti i proclami degli scorsi anni. Mi riferisco, ad esempio, al fatto che più volte, a legislature alterne mi verrebbe da dire, i Ministri dell'interno si sono impegnati a garantire il pieno godimento dei diritti di elettorato attivo dei disabili.


    Ebbene, nessuna misura è stata ancora presa perché i disabili intrasportabili ed i malati gravi possano votare in occasione delle elezioni. Si tratta di una riforma che, secondo stime dell'Associazione Luca Coscioni, interesserebbe quasi un milione di persone, anche perché coinvolge la possibilità di partecipazione attiva non soltanto dei disabili, ma anche delle loro famiglie, nell'esercizio di un diritto fondamentale costituzionalmente garantito.


    Occorre quindi che, immediatamente, considerando anche che molto presto vi sarà una tornata elettorale che interesserà il Parlamento europeo, molte Province ed alcuni Comuni, si finanzino tutte quelle strutture e misure necessarie per assicurare ai disabili il godimento del diritto di elettorato attivo.


    Lo stesso dicasi per quanto riguarda la possibilità per i disabili di partecipare attivamente non soltanto alla vita civile, ma anche alla vita economica del Paese. Al riguardo esistono alcune proposte di legge. Ad esempio, grazie all'opera di Alessandro Frezzato, membro della giunta dell'Associazione Luca Coscioni, è stato più volte chiesto al ministro Brunetta che fine abbia fatto la firma elettronica, che potrebbe in qualche modo sveltire, oltre che garantire, la partecipazione dei disabili alla vita sociale ed economica del Paese. Tutto ciò ovviamente ha bisogno, oltre che di attenzioni e di grandi dichiarazioni in merito all'efficienza dell'amministrazione pubblica, anche di finanziamenti.


    Esistono varie proposte - non ultime quelle della ex ministra Turco - in parte anche già finanziate (sull'esempio, tra l'altro, della Regione Lazio, quando era governatore il senatore Storace), rivolte proprio al finanziamento di una serie di attrezzature tecnologicamente avanzate, che diano la possibilità di esprimersi a chi dalla malattia o dalla disabilità è, ad esempio, reso muto. Ed è proprio attraverso questo tipo di tecnologie che nel 2000 ha iniziato a fare politica un italiano, che oggi non c'è più, che si chiamava Luca Coscioni, grazie al quale si è riusciti a far scoprire in questo Paese non soltanto l'esistenza di chi è disabile, ma anche la necessità di far progredire la ricerca scientifica in modo libero.


    Tutte cose che, se fossimo stati dietro a chi era al Governo o in Parlamento in quegli anni, non avremmo sicuramente potuto guadagnare. Certo, abbiamo guadagnato una reazione di tipo teocratico, che ancora oggi caratterizza le gerarchie vaticane, e anche buona parte delle Aule del nostro Parlamento; ma gli italiani sicuramente sono stati toccati da quel tipo di partecipazione, da parte di un uomo che era stato, invece, reso muto dalla distrazione delle istituzioni internazionali.


    Attraverso quello stesso tipo di dotazione tecnologica, ottenuta però tutta grazie a fondi privati, due anni fa Pergiorgio Welby è riuscito a lanciare un messaggio in ordine a questioni cose che sono in questo momento di grande attualità, anche considerato che ieri abbiamo iniziato a parlare - o meglio, ad evitare di parlare - della necessità di garantire ai cittadini italiani la possibilità di autodeterminazione. Piergiorgio Welby, grazie non al respiratore che voleva gli fosse tolto, ma ad una dotazione tecnologica rappresentata da un computer che scriveva rispondendo con grande attenzione al minimo movimento dei suoi arti superiori (si tratta dello stesso computer che negli ultimi giorni della sua vita aveva utilizzato anche Luca Coscioni, azionandolo con il movimento della sola palpebra dell'occhio), aveva dichiarato determinate volontà che poi, grazie a 90 giorni di sofferenze terribili, sono state portate a termine, attraverso una battaglia che non è stata vinta soltanto dal punto di vista popolare, ma che ha avuto importantissimi riconoscimenti anche dal punto di vista giurisdizionale.


    La ministra Turco aveva stabilito che tutto questo potesse essere finanziato con 10 milioni di euro. Si tratta quindi di apportare delle modifiche al cosiddetto nomenclatore tariffario e finanziare finalmente la possibilità per decine di migliaia di cittadini italiani di parlare, di avere diritto di parola relativamente a ciò che loro accade come individui psicofisicamente intesi, ma anche come soggetti detentori di diritti.


    Altro aspetto che credo debba essere preso immediatamente in considerazione dal momento in cui oggi ratificheremo questa Convenzione - e tutti ci auguriamo che avvenga con unanimità di consensi - sarà dare la possibilità agli individui, tanto quanto alle associazioni che rappresentano i disabili, di avere accesso alla RAI-Radio televisione italiana servizio pubblico. A maggio è scaduto il consiglio di amministrazione non ne è stato nominato uno nuovo; inoltre, ad oggi non c'è un organo parlamentare bicamerale che possa controllare il modo in cui il servizio radiotelevisivo opera e a questo riguardo chiederemo più avanti di aver lumi relativamente alla composizione della prossima Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.


    Per via delle suddette circostanze, non sono stati stabiliti gli spazi minimi che vengono garantiti alle associazioni che trattano varie problematiche e, a fronte di una denuncia dei radicali italiani, la RAI ha risposto che, mancando l'organo di vigilanza, non è tenuta ad adottare i regolamenti che consentano a tali associazioni, al pari delle tribune politiche organizzate durante l'anno, di avere accesso alla radio e alla televisione. Si noti che tali trasmissioni non servono a far propaganda elettorale a chi vi partecipa, ma intendono sollevare determinate questioni. A questo proposito, abbiamo cercato di stilare un minimo elenco di tutto ciò che è rimasto sistematicamente escluso da questo tipo di tematiche.


    Ho lamentato la mancanza di una relazione, perché nel disegno di legge che accompagna la proposta di ratifica di questa Convenzione internazionale, abbiamo scoperto che il Governo ha deciso di tradurre un auspicio presente all'interno della Convenzione stessa, con la creazione di un Osservatorio che dovrebbe contare 40 membri.


    Per considerare quali sono le finalità della Convenzione, credo che si possano utilmente leggere alcuni passaggi della stessa per capire quale spirito abbia animato l'Italia in prima persona, attraverso l'opera della delegazione della Farnesina, integrata dai rappresentanti delle maggiori organizzazioni dei disabili, che ha seguito quotidianamente i negoziati. In essa si sottolinea infatti che ogni individuo, in ragione dei propri obblighi nei confronti degli altri individui delle comunità di appartenenza, ha una responsabilità propria per la promozione e per l'osservanza dei diritti riconosciuti dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e dei patti internazionali sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali. Si riconosce pertanto questa responsabilità di tutti gli appartenenti alla comunità umana.


    Vorrei poi leggere soltanto l'articolo 1 della Convenzione, che identifica in primo luogo il fine di questo documento: «Scopo della presente Convenzione è promuovere, proteggere e garantire il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità, e promuovere il rispetto per la loro intrinseca dignità». Il comma 2 dello stesso articolo afferma che: «Per persone con disabilità si intendono coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possano ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con altri».


    Ebbene, il nostro Governo nel disegno di legge di ratifica ha posto sotto tutela tutte queste persone che sono al centro della Convenzione, in quanto vorrebbe creare (insieme alle senatrici Poretti e Bonino ho presentato degli emendamenti al riguardo) un osservatorio formato da quaranta componenti per mettere sotto tutela i disabili.

    Ma questo provvedimento prevede non soltanto che solo una minima parte di disabili sia all'interno di tale organismo, ma anche che, laddove li si includa, si escluda la democrazia, perché l'osservatorio verrebbe presieduto da qualcuno nominato dal Ministro del lavoro. Così facendo si finisce con il mettere sotto tutela doppiamente il disabile - mi verrebbe da dire, recuperando tutto il paternalismo degli anni passati, poverino - giacché non soltanto deve essere rappresentato in termini di unità all'interno di questo soviet supremo della disabilità, ma non gli si dà nemmeno la possibilità di eleggere chi, in qualche modo, dovrà presiedere tale organo di monitoraggio.


    Ciliegina sulla torta: questo soviet verrà finanziato con i soldi che saranno prelevati dalla legge n. 328 del 2000, va a dire la legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. Quest'ultima, all'articolo 20, creava un Fondo nazionale per le politiche sociali. Precisamente il comma 1 di questo articolo recita: «Per la promozione e il raggiungimento degli obiettivi di politica sociale, lo Stato ripartisce le risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali». E noi a questo andiamo a sottrarre mezzo milione di euro.


    Ora, se lo spirito e la lettera della Convenzione internazionale dei diritti dei disabili volevano includere questi soggetti, abbattendo tutte le barriere non soltanto culturali (che risulta abbastanza difficile attraverso una legge), ma anche economiche e sociali che si frappongono al pieno godimento dei diritti dei disabili in Italia, con la creazione di questo osservatorio mi sembra si sia compiuto il primo passo nella direzione opposta, la direzione del passato. In sostanza, non soltanto si mette nuovamente sotto tutela il disabile, ma lo si priva anche delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali che dovrebbero essere destinate, invece, a farlo vivere in maniera indipendente.


    In Aula è presente il sottosegretario Mantica, al quale abbiamo già fatto conoscere alcune riserve in merito a tutta un'altra serie di trattati e documenti internazionali, primo fra tutti il Trattato di amicizia Italia-Libia. Oggi spero che nel momento in cui si esamineranno l'ordine del giorno presentato dai colleghi del Partito Democratico e gli emendamenti presentati dalla delegazione radicale dello stesso il Governo dia un segnale di discontinuità. Non soltanto vorremmo ridurre la composizione di questo osservatorio, ma anche tagliare i fondi ad esso destinati, dedicando gli stessi non tanto all'istituzione dell'organismo in quanto tale, quanto alle attività che esso vorrà realizzare nell'espletamento delle sue funzioni.


    In conclusione, il voto sarà chiaramente favorevole all'approvazione della ratifica, con tutti questi rilievi.


    Notiamo che, malgrado le dichiarazioni rese durante l'estate nel corso della partecipazione del nostro Governo all'apertura dell'Assemblea generale, non è stata colta quell'occasione per depositare gli strumenti di ratifica o comunque per annunciare i tempi certi che sarebbero stati utilizzati per incorporare questa Convenzione nella nostra legislazione. Spero che adesso si faccia tesoro anche delle opinioni di chi, come noi radicali, da anni si batte perché i disabili possano godere pienamente di tutti i loro diritti e non è dedito alla pratica della morte a tutti i costi, come invece si legge in certi comunicati di rappresentanti del Popolo delle libertà. Auspichiamo che si assumano scelte volte ad applicare queste misure internazionali nel nostro sistema nazionale, di segno diverso rispetto a tutto ciò che, invece, ha caratterizzato le politiche sociali e sanitarie di questo Governo.
    (Applausi dal Gruppo PD. Congratulazioni). http://www.radicali.it/view.php?id=136119

  2. #2
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    Senato: Ratifica Convenzione Onu su disabilità, l’intervento di Donatella Poretti


    Roma, 28 gennaio 2009
    • Intervento in Aula della Senatrice radicale-PD Donatella Poretti sul ddl contenente la Ratifica ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità

    Presidente, senatori, anch'io devo esordire con un rammarico per una relazione mancante che io stessa potrò leggere soltanto dopo il mio intervento, rendendo quindi il dibattito un po' anomalo: una relazione ed un dibattito che tra l'altro mi auguro possano leggere anche i senatori che oggi non sono qui; mi riferisco in particolar modo ai senatori di maggioranza, eccezione invece da riservare ai senatori della Lega sempre presenti. Anche in questo caso i senatori probabilmente leggeranno questo dibattito dopo la votazione.

    Certo, non è soltanto questa l'occasione dove il rispetto delle istituzioni e delle regole non è prioritario per questa maggioranza. L'importanza, invece, della Convenzione delle Nazioni Unite sulla disabilità è quella che fino ad oggi ha fatto intervenire i senatori non solo per quei pochi istanti soliti, tipici delle ratifiche dei trattati internazionali e votare molto velocemente.

    Gli interventi svolti fino ad ora ridanno tutta l'importanza e rimettono appunto nel giusto posto la Convenzione ONU sulla disabilità, che non è più vista come semplicemente e solamente un fenomeno sanitario, ma come appunto una situazione di esclusione sociale che deve essere assolutamente rimediata e recuperata, e non più con un atteggiamento di tipo paternalistico, assistenziale, ma teso a creare quelle condizioni di parità effettiva e concreta perché queste persone possano partecipare alla pari di tutti gli altri alla vita sociale del nostro e degli altri Paesi.

    Una Convenzione che rispecchia nei principali temi, l'istruzione, il lavoro, l'inclusione sociale, la politica culturale ed economica, finanche lo sport e lo svago, la legislazione italiana e su tale impostazione hanno convenuto tutti i 192 Paesi aderenti alle Nazioni Unite. L'Italia, purtroppo, a causa dell'anticipata fine della scorsa legislatura non aveva ancora provveduto alla ratifica della convenzione.

    Una Convenzione che costituisce un importante obiettivo raggiunto dalla Comunità internazionale, in quanto fino ad oggi non esisteva in materia di disabilità uno strumento internazionale vincolante per gli Stati, se si escludono appunto le regole standard dell'organizzazione delle Nazioni Unite sulla disabilità, che risalgono al 1993 e che comunque sono prive di efficacia vincolante.

    Perché è importante? Il raggiungimento di tale obiettivo dà concretezza a quella che era un'utopia delle persone con disabilità: essere, esistere, vivere alla pari delle opportunità di tutti. E la Convenzione infatti non introduce nuovi diritti, piuttosto si prefigge lo scopo di promuovere, proteggere ed assicurare alle persone con disabilità il pieno e uguale godimento del diritto alla salute, all'istruzione, al lavoro, ad una vita indipendente, alla mobilità, alla libertà di espressione e, in generale, alla partecipazione attiva alla vita politica e sociale. Sono gli obiettivi che vedono impegnata fin dalla sua costituzione l'Associazione Luca Coscioni per la libertà della ricerca scientifica, che con il suo fondatore, Luca Coscioni, da politico e con un corpo malato di sclerosi laterale amiotrofica, ha posto l'urgenza della liberazione del malato o del disabile da ogni forma di discriminazione, emarginazione, esclusione o restrizione dei diritti umani civili e politici.

    Abbiamo già ricordato Luca Coscioni, Piergiorgio Welby e le battaglie fatte per la libertà della ricerca scientifica e la libertà di autodeterminazione. Se ne potrebbero ricordare molti altri. Io oggi voglio invece ricordare Severino Mingroni ed una battaglia tutta sua, che sta portando contro la Telecom del suo Paese, Casoli, per avere finalmente la connessione ADSL al fine di connettersi ad Internet, comunicare con il resto del mondo, e vivere così la sua vita. Severino Mingroni ha inviato al Presidente del Consiglio dei ministri un video per mostrare come vota un disabile, com'è costretto dallo Stato italiano a votare, a quale vera e propria tortura si deve sottoporre per esprimere il suo voto e godere di un diritto che gli spetta.

    Questa stessa Convenzione dell'ONU ribadisce che è pieno diritto di una persona con disabilità il poter esercitare l'elettorato passivo ed attivo. Le critiche le abbiamo fatte e le rifaremo comunque, perché, pur credendo nell'importanza e avendo lottato da anni perché questa Convenzione dell'ONU venisse ratificata, ciò nonostante è anche giusto parlare di quei punti che potremmo ancora essere in grado di modificare. Purtroppo la relazione non ha illustrato il perché questa legge è stata così scritta e soprattutto perché è stato scritto quell'articolo 3, che prevede l'Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità, che appare più simile alle solite sovrastrutture che si sperava di non vedere più piuttosto che ad un organismo efficace e competente.

    Però, di questo riparleremo anche in occasione del voto degli emendamenti proposti dalla delegazione radicale nel Partito Democratico.

    Riparleremo anche dei motivi per cui esso è così composto, delle persone e dei fondi che sono stati ad esso destinati, dei motivi per cui alcuni Ministeri - per esempio, quello degli affari esteri - sono stati esclusi.

    Questa Convenzione è stata citata, probabilmente a sproposito, anche di recente dalla cronaca, che ci vede, purtroppo, costretti a parlare ancora una volta di un corpo ostaggio di leggi che non si vogliono applicare, di sentenze cui non si vuole dare seguito: mi riferisco al caso di Eluana Englaro. Se ne è parlato, perché l'articolo 25 della Convenzione (dove si parla di salute) stabilisce, al punto f), che gli Stati devono «prevenire il rifiuto discriminatorio di assistenza medica o di prestazione di cure e servizi sanitari o di cibo e liquidi in ragione della disabilità».

    Se ne è parlato a sproposito per il caso di Eluana Englaro, che, se una discriminazione sta subendo, è quella di non poter vedere realizzate le sue volontà. Fa specie chi ha citato questo articolo 25: mi riferisco non solo al Governo, a Sacconi, alla Roccella, ma in particolar modo a quei referenti politici, li possiamo chiamare così, che vengono da oltre Tevere, dal Vaticano. Lo stesso articolo 25 ha fatto sì che il Vaticano non sottoscrivesse questa bellissima Convenzione delle Nazioni Unite sulla disabilità, perché in esso, alla lettera a), è previsto che gli Stati debbano «fornire alle persone con disabilità servizi sanitari gratuiti o a costi accessibili, che coprano la stessa varietà e che siano della stessa qualità dei servizi e programmi sanitari forniti alle altre persone, compresi i servizi sanitari nella sfera della salute sessuale e riproduttiva e i programmi di salute pubblica destinati alla popolazione».

    Evidentemente si è verificata una situazione curiosa, un atteggiamento grottesco per cui uno Stato teocratico come quello del Vaticano, che vuole occuparsi di corpi da mantenere obbligatoriamente in uno stato di non vita grazie alle macchine, non vuole che quelle stesse macchine, quella tecnologia, quella scienza, quella ricerca, siano messe al servizio anche delle persone con disabilità. Quindi, a quelle persone, che sono in vita, si è pronti a negare diritti come quelli legati alla sfera sessuale e riproduttiva.

    Dunque, è curioso che il Vaticano non sottoscriva questa Convenzione sulla disabilità; altrettanto curiosamente, in occasione della Giornata della memoria, il Vaticano e il Papa, con una coincidenza che ha dell'incredibile, abbia riabilitato i lefebvriani, cioè coloro che negano l'Olocausto. Oggi invece, dopo avere celebrato ieri la Giornata della memoria, il Parlamento, il Senato, l'istituzione di uno Stato laico, ratifica la Convenzione sulla disabilità. Io credo che dovremmo domandarci quando dedicheremo una seduta alla discussione dei rapporti che manteniamo con questo Stato - lo Stato del Vaticano, quello che è oltre Tevere, non democratico, ademocratico, teocratico - al quale continuiamo a dare soldi del contribuente italiano e con il quale manteniamo un Concordato, con cui quindi abbiamo dei buoni rapporti che credo che dovremmo iniziare a rimettere in discussione; quanto meno, dovremmo iniziare a dibatterne e impegnare queste Aule anche nella discussione di questi argomenti.
    (Applausi dal Gruppo PD).


  3. #3
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    Intervento di Maria A. Farina Coscioni alla Camera del 28 gennaio 2009


    Roma, 29 gennaio 2009

    Intervento in Aula
    Atti Indirizzo e Controllo
    28-01-2009
    Mozioni nn. 1-71, 1-79, 1-82 e 1-84 concernenti iniziative a sostegno dei diritti delle persone con disabilità - Dichiarazione di voto
    Maria Antonietta Farina Coscioni





    Signor Presidente, intervengo sulla mozione a prima firma Livia Turco n. 1-00071 (Nuova formulazione), per preannunciare il voto favorevole dei deputati radicali, perché la mozione cerca di evidenziare la sequenza che esiste quando si parla di disabilità e handicap, termini troppo spesso sovrapposti ed utilizzati in maniera impropria.
    Nel suo significato più ampio l'handicap non è il deficit, non è la limitazione, bensì è l'effetto del deficit e della limitazione. Questa distinzione è di fondamentale importanza, perché la discriminazione che esiste, che grava su una persona disabile, non è nella sua condizione di disabilità, ma è nell'ambiente sociale in cui una persona si trova a vivere e ad esistere.
    Il mio punto di riferimento, per non far confusione, perché non possiamo permetterci di farla, è il suggerimento che proviene dall'Organizzazione mondiale della sanità per definire il concetto di handicap; segue, cioè, la sequenza che va dalla malattia e menomazione alla disabilità e all'handicap.
    La malattia, dovremmo saperlo tutti, è un processo patologico; la menomazione è la perdita a carico di alcune funzioni, che possono essere fisiologiche, anatomiche o psicologiche. La disabilità, invece, che consegue ad una menomazione nella capacità di svolgere un'azione o un'attività nel modo ritenuto normale per una persona sana, è, secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, l'oggettivazione della menomazione.
    In parole molto semplici, una malattia può produrre in una persona un danno e una menomazione; un incidente può produrre in una persona un danno ed una menomazione; il danno e la menomazione possono causare una disabilità. Certamente, la disabilità crea il presupposto per l'handicap, ma non sempre la disabilità si trasforma in handicap.
    L'handicap, infatti, si realizza solo quando l'ambiente in cui vive la persona disabile vede le barriere architettoniche, legislative, ideologiche, psicologiche, socioculturali e geografiche, che impediscono alla persona il proseguimento della vita nella società.
    Questi concetti, cari colleghi, devono essere impressi nelle nostre menti, da un lato, perché consentono di superare la terminologia di origine prevalentemente medica, dall'altro lato, perché sottolineano che la malattia o la disabilità creano solo - ripeto: solo - il presupposto per l'handicap, ma è l'ambiente a generarlo.
    È una mozione che guarda alla persona con disabilità non come ad una persona da assistere, ma ad una persona cui fornire l'ambiente ideale e tutte le strumentazioni per continuare ad operare nella società al meglio delle sue capacità.
    Quando si fa la prima scelta di considerare una persona con disabilità solo come una persona da assistere (troppo spesso la politica finisce per farlo, e non si sottrae neanche una parte del mondo dell'associazionismo), gli interventi sono solo di tipo assistenziale e finiscono con l'escludere la persona anche dal mondo produttivo, oltre che sociale e politico.
    È questa la mia e la nostra impostazione, contraria alla posizione del Governo e di quanti, nel mondo della politica e nella politica, hanno accusato Luca Coscioni, un soggetto attivo in politica, di essere stato strumentalizzato dai suoi compagni radicali. Lo dicano quegli stessi politici ad Umberto Bossi, che continua, anche ora, ad esercitare la sua passione per la politica, avendo gli strumenti per farlo!
    L'impostazione di questa mozione è di far sì che le menomazioni non si trasformino in handicap; a tale scopo, tutti gli strumenti contenuti nella nostra mozione devono essere indirizzati ad abbattere - e solo indirizzati ad abbattere - le barriere esistenti e ad evitare che nuove vengano erette.
    Per quanto riguarda la mozione a prima firma onorevole Delfino, non possiamo sostenerla, in quanto i sottoscrittori chiedono al Governo, e leggo testualmente, di rispettare le ragioni della mancata sottoscrizione della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità da parte della Santa Sede di fronte al rischio di legittimazione dell'aborto.
    Questa è una vera e propria invenzione da parte della Santa Sede e di quei politici che sostengono questa posizione. Chiedo proprio ai firmatari di questa mozione dove ed in quale parte dell'articolo 25 della Convenzione si sostenga l'aborto. Non possiamo sostenere tale mozione, a meno che i firmatari non sopprimano questo capoverso.
    Se, invece, leggo la mozione a prima firma Molteni, quella della maggioranza, non possiamo sostenerla, perché è davvero molto debole, laddove impegna il Governo a valutare l'opportunità di intervenire in modo strutturale al fine di rielaborare un sistema di agevolazioni fiscali unico che supporti le persone diversamente abili e le loro famiglie.
    Ma come si fa a sollecitare il Governo a «valutare l'opportunità»? La questione disabilità riguarda milioni di cittadini e non possiamo lasciare passare altro tempo; le persone con disabilità non possono aspettare altro tempo. Leggo tra i firmatari di questa mozione nomi di colleghi che stimo e con i quali lavoriamo e condividiamo alcuni aspetti della nostra attività, come l'onorevole Porcu, l'onorevole Barani, l'onorevole Di Virgilio, o anche l'onorevole Paglia, ma ho la responsabilità, abbiamo la responsabilità di opporci alle politiche sociali che tendono a ricondurre la questione della disabilità all'interno del nucleo familiare, e soprattutto a gravare sulla figura femminile, perché non attuano la presa in carico del paziente disabile, limitando di fatto tutti gli spazi di socializzazione e di vita.
    Basta con l'uso improprio del termine disabilità, così come è stato fatto dal Ministro Sacconi e dal sottosegretario Roccella riferendosi ad un caso, come quello tanto discusso di Eluana Englaro.
    Troppo spesso in questi mesi viene utilizzata arbitrariamente dagli esponenti della maggioranza e del Governo la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. L'articolo 25 della Convenzione vieta di discriminare i disabili in materia di assistenza sanitaria, di prestazione e di cibo; ebbene, una persona non disabile ha diritto di rifiutare, in base all'articolo 32 della Costituzione, qualsiasi trattamento. Se Eluana fosse cosciente, potrebbe rifiutare sondini ed alimentazione; poiché è disabile in uno stato di incoscienza, viene discriminata. Dunque, si vieta di applicare le regole che valgono per i «normali» ai disabili, facendo una plateale discriminazione e violando l'articolo 25 della Convenzione ONU.
    Vogliamo che la politica garantisca a tutti, attraverso scelte ed azioni ad hoc, una vita degna di essere definita tale, ma non bastano le belle affermazioni dell'esistenza di un diritto, perché tale non è se non è accompagnato da risorse ed interventi certi.
    Dobbiamo fare nostro - e concludo - l'impegno di Luca Coscioni, perché dai corpi dei malati si colpisca il cuore della politica (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

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    Riforma della Giustizia: approvata a Montecitorio la mozione dei radicali, a prima firma Rita Bernardini


    Roma, 28 gennaio 2009
    • Camera dei Deputati, seduta del 28 gennaio 2009 - Replica e parere del Ministro della giustizia, le dichiarazioni di voto

    [FONT='Verdana','sans-serif']PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il Ministro della giustizia, che esprimerà altresì il parere sulle risoluzioni presentate.[/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']Pag. 82 [/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']ANGELINO ALFANO, [FONT='Verdana','sans-serif']Ministro della giustizia[/FONT]. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ieri ho voluto riferire non solo sullo stato della giustizia nel 2008, ma anche su un consuntivo all'Aula delle cose che il Governo ha già fatto fin qui, in questi pochi mesi di attività, che riteniamo essere importanti e numerose ed ho riferito anche dal punto di vista programmatico delle cose che il Governo intende fare nei prossimi mesi. L'ho fatto, signor Presidente, perché ritengo che il Parlamento debba essere sempre informato delle attività e degli intendimenti del Governo ed è questa l'attitudine con la quale mi rapporterò al Parlamento.
    Però, signor Presidente, ho raccolto con grande soddisfazione alcuni elementi, che ho potuto cogliere in Parlamento, che sono andati anche [FONT='Verdana','sans-serif']ultra petita[/FONT] rispetto a ciò che prevede la norma di riferimento in base alla quale si chiede al Ministro della giustizia di riferire. Voglio dire che il Parlamento ha detto di più, è andato oltre rispetto anche a quanto il sottoscritto ha dichiarato nella propria relazione, cioè si è spinto a parlare delle riforme, quelle che riguarderanno il processo penale, a porre delle questioni importanti all'attenzione del Governo relativamente anche alle riforme costituzionali. Dunque, sarei inutilmente pudico se oggi nascondessi a quest'Aula la mia particolarissima soddisfazione nell'avere colto in Parlamento una grandissima disponibilità alle riforme che credo siano il contenuto di fondo di questo dibattito al quale oggi pongo una breve replica [FONT='Verdana','sans-serif'](Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania)[/FONT].
    Intervengo per dire che quando ho voluto ribadire l'importanza dell'articolo 110 della Costituzione ho voluto sollecitare il Parlamento a leggere insieme al Governo una nuova luce in questo articolo della Costituzione che tanti, troppi, vedono come una clava nei confronti del Ministro e del Governo, per accusarli di inefficienza, e che noi invece intendiamo come una leva per sollevare la giustizia rispetto allo stato in cui oggi si trova. Quando ho parlato, in modo abbastanza generale, delle riforme costituzionali che il Governo intende portare avanti ho ottenuto da ampi settori del Parlamento una disponibilità al lavoro, ovviamente non un'intesa preliminare. Quando ho accennato alle necessarie misure di efficienza ho ottenuto dal dibattito un'ampia apertura a chePag. 83queste misure di efficienza vengano portate avanti, certo entrando nel merito delle cose che proporremo al Parlamento e così anche per quanto riguarda le norme delicatissime del funzionamento del processo penale.
    Ho voluto dire tutto questo non solo per ringraziare i colleghi, a cominciare dalla collega del Partito Democratico, l'onorevole Ferranti, e l'onorevole Mantini, anch'egli del Partito Democratico, per il tono e il modo con cui hanno posto le loro obiezioni e anche i loro dissensi rispetto alla relazione, ma per sottoporre al Parlamento la questione di fondo che mi anima nella soddisfazione che sto testé rappresentando.
    Si tratta del fatto che quest'Aula e questo Parlamento sono pronti per la grande riforma della giustizia e sono qui a dire che a questo appuntamento il Governo non arriverà in ritardo, ma si farà trovare puntuale portando in Parlamento in tempo ristrettissimo il nostro progetto di grande riforma della giustizia.
    Si tratta di un progetto di riforma che investirà sia l'ambito legislativo ordinario, sia quello costituzionale e che avrà al centro i cittadini italiani memori (come siamo) del fatto che quei numeri che ieri ho rappresentato all'Aula non sono dei freddi e degli algidi algoritmi. Dietro a ciascuno di quei numeri, infatti, vi è un cittadino, una persona e un uomo che soprattutto nei processi civili ha posto un'istanza di giustizia nei confronti dello Stato. Se questa istanza di giustizia non viene soddisfatta noi saremo sempre qui a ricordare che la giustizia ritardata equivale ad una giustizia denegata.
    Ecco perché il nemico della giustizia, la lentezza, è il primo nemico che noi intendiamo fronteggiare consapevoli che non tutte le riforme ordinamentali intervengono sul tema della velocità dei processi, ma a chi interessa un processo veloce che non sia giusto? Noi lavoreremo in ambito costituzionale e di legge ordinaria per garantire un processo più giusto e più celere. Garantiremo al cittadino un processo più celere e più giusto anche con misure amministrative e di rango non costituzionale, in quanto a noi interessano i due versanti. Ci interessa, infatti, un processo giusto e rapido, mentre non ce ne facciamo nulla di un processo rapido ma non giusto o diPag. 84un processo giusto la cui sentenza arriva il ritardo [FONT='Verdana','sans-serif'](Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania)[/FONT]. Ecco perché lavoriamo su i due versanti.
    Ponendo al centro del nostro dibattito (e soprattutto delle mie riflessioni conclusive) quella che ritengo la questione di fondo relativa alla disponibilità aperta ad un percorso di riforme costituzionali da portare in Parlamento al più presto, io illumino con questa mia opinione il mio parere alle risoluzioni.
    Ho letto con attenzione tutte le risoluzioni presentate, in quanto ritengo che, sebbene non si tratti di atto legislativo, quello della risoluzione abbia un suo valore eminentemente politico che non può essere sottovalutato. Proprio per questo ringrazio per il contenuto gli onorevoli Costa, Brigandì e Belcastro sulla cui risoluzione n. 6-00011 esprimo parere favorevole. Mi dispiace di non potere esprimere parere favorevole sulla risoluzione dell'onorevole Ferranti n. 6-00015. Apprezzo alcuni dei temi contenuti in questa risoluzione, ma al di là dell'ovvia considerazione che reca nella sua conclusione che non approva le dichiarazioni del Ministro (e che quindi [FONT='Verdana','sans-serif']in re ipsa[/FONT] non puntavano al consenso del Ministro), devo dire che se per un verso riscontro alcuni elementi positivi nella risoluzione dell'onorevole Ferranti (dei quali poi porterò separatamente e ufficialmente negli incontri che avremmo anche con il Partito Democratico), al contempo vedo sempre quel limite che non ritengo utile a beneficio del servizio della giustizia. Mi riferisco al limite di non mettere mano alla Costituzione, al contrario di dieci anni fa quando proprio voi eravate pronti a mettere mano alla Costituzione e questo Parlamento si accinse quasi alle riforme con la Commissione bicamerale in materia di giustizia.
    Questo eccesso di timidezza è il motivo per cui, unitamente al dato di bocciatura delle dichiarazioni del Ministro, mi impedisce di esprimere un parere favorevole. Così come esprimo parere contrario sulla risoluzione dell'onorevole Di Pietro n. 6-00013, mentre ragionamento a parte meritano le risoluzioni dell'onorevole Vietti n. 6-00014 e dell'onorevole Bernardini n. 6-00012 iscritta con la storia che riguarda lei edPag. 85altri parlamentari al Partito Democratico, ma che rappresenta (mi pare di cogliere) un'area culturale e politica ben precisa del nostro Paese.
    La riflessione a parte che meritano le risoluzioni dell'onorevole Vietti e dell'onorevole Bernardini è la seguente. Le ho lette con attenzione e vi sono notevoli elementi di condivisione dell'una e dell'altra risoluzione. Così come vi sono alcuni elementi di queste due risoluzioni che io non condivido o che comunque non hanno alle spalle, per quanto riguarda il Governo e la maggioranza parlamentare, un elevato livello di maturazione da portarci al punto di esprimere un parere favorevole. Tuttavia, ripeto che vi sono ampie parti dell'una e dell'altra risoluzione che io condivido.[/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']Pag. 86 [/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']Dunque, in teoria, avrei due vie: o esprimere parere contrario su entrambe le risoluzioni, perché non vi è una piena sintonia, o portarle a votazione di questo Parlamento, con decine e decine di parti separate, trattandosi di risoluzioni lunghe. Io, valorizzando l'aspetto squisitamente politico delle due risoluzioni, mi permetto di seguire un'altra via, ossia valorizzare non solo una generica disponibilità alle riforme, emersa ieri anche dall'intervento dell'onorevole Rao, ma, nel merito, anche la disponibilità, contenuta sia della risoluzione Vietti n. 6-00014 sia della risoluzione Bernardini ed altri n. 6-00012, ad entrare nel percorso delle riforme a pieno titolo e a tutto campo, mettendo mano alla riforma della Costituzione [FONT='Verdana','sans-serif'](Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania)[/FONT].
    Credo che questo sia il punto di fondo che oggi viene fuori dal Parlamento: nelle risoluzioni vi è una maggioranza ampia, forse più ampia di quella venuta fuori dalle urne, che si rende conto che non vi possono essere timidezze nel riformare la giustizia e che una riforma della giustizia non è piena se non è anche costituzionale. Per questa ragione, facendo prevalere questo elemento, che mi sembra assolutamente prioritario, esprimo parere favorevole sia sulla risoluzione Vietti n. 6-00014, sia sulla risoluzione Bernardini ed altri n. 6-00012 [FONT='Verdana','sans-serif'](Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà, Lega Nord Padania e Unione di Centro e di deputati del gruppo Partito Democratico)[/FONT].[/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']Seguito della discussione sulle comunicazioni del Ministro della giustizia sull'amministrazione della giustizia, ai sensi dell'articolo 86 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, come modificato dall'articolo 2, comma 29, della legge 25 luglio 2005, n. 150[/FONT][FONT='Verdana','sans-serif'] [FONT='Verdana','sans-serif'](ore 13, 20)[/FONT].[/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif'](Dichiarazioni di voto)[/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto.
    Prendo atto che l'onorevole Belcastro non è presente in Aula. Si intende che vi abbia rinunziato.
    Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Palomba. Ne ha facoltà.[/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, signor Ministro, noi abbiamo apprezzato l'onestà della sua relazione impietosa e desolante, che ha fatto una fotografia perfetta della situazione della giustizia. Avremmo, però, voluto esprimere ugualePag. 87apprezzamento se avessimo sentito da parte sua proposte serie di soluzione del problema della giustizia. Invece, Ministro, non le abbiamo sentite. Se lei può dire che la giustizia ha un nemico, ossia la lentezza, crediamo di poter dire che lei, noi ed i cittadini abbiamo altri nemici: il nemico è, da una parte, il Ministro Tremonti, il quale, con i suoi tagli assolutamente indifferenziati ed indiscriminati, non consente alla giustizia di raggiungere quell'efficienza che lei declama essa dovrebbe raggiungere; dall'altra parte, probabilmente, anche lei, oltre che noi, ha un altro nemico, ossia la cultura ingiustizialista di questo Governo di destra.
    Sul piano della riforma della giustizia, delle strutture, dei mezzi e delle risorse, le daremo pieno sostegno. Nella nostra risoluzione abbiamo denunciato i tanti tagli che sono stati effettuati, che non consentono alla giustizia ordinaria di funzionare: si pensi ai 55 milioni di euro tagliati all'edilizia penitenziaria, ragione per la quale ella è costretta a rivolgersi ai privati per collaborare nella gestione e nella costruzione delle carceri, con un sistema di privatizzazione di un sistema pubblico essenziale che noi combattiamo. Non solo, ma abbiamo denunciato che persino la giustizia minorile non avrà i soldi per garantire il vitto necessario, il cambio degli indumenti, il mantenimento, il trattamento e la rieducazione dei ragazzi. Insomma, non solo in senso generale si toglie ai poveri per dare ai ricchi, ma qui si rischia davvero di togliere il pane di bocca ai ragazzi, magari per finanziare coloro che si sono impossessati di Alitalia con il vostro consenso.
    Sul piano delle riforme e della razionalizzazione del sistema della giustizia, nella risoluzione Di Pietro ed altri n. 6-00013 e in altri le occasioni le abbiamo indicato la via maestra da seguire.
    Abbiamo presentato tante proposte di legge sulla giustizia e sulla sicurezza. Le abbiamo presentate noi dell'opposizione, noi dell'Italia dei Valori, che abbiamo apprezzato anche quelle del Partito Democratico, ma non abbiamo visto da parte del Governo nessuna proposta seria ed organica, sulla quale noi saremmo disposti a dare una mano. Il punto su cui noi saremo irriducibili avversari, invece, sarà quello delle riforme costituzionali,Pag. 88enunciate, ma non ancora viste. Se all'enunciazione dovesse seguire davvero il testo in cui esse sono comprese, noi resteremmo davvero agghiacciati.
    Pensiamo che i cittadini abbiano bisogno di una giustizia più efficiente, ma niente affatto di una giustizia che perda o veda gravemente depressa la propria autonomia e la propria indipendenza. Signor Ministro, se qualche agenzia indipendente di sondaggio sottoponesse ai cittadini un quesito in cui si chiedesse loro se preferiscono una giustizia che magari ha dei limiti, ma che sia indipendente, o una giustizia sottoposta al controllo del politico di turno, credo per il 100 per cento dei cittadini direbbe di volere una giustizia autonoma ed indipendente [FONT='Verdana','sans-serif'](Commenti del deputato Consolo).[/FONT]
    Dunque, signor Ministro, non sappiamo se chiederle di mostrarci queste riforme costituzionali di cui si parla, perché avremmo paura di avere veramente delle conseguenze estremamente negative. Tuttavia, le possiamo dire che noi siamo fieramente contrari alla separazione delle carriere, alla divisione del pubblico ministero dai giudici, alla perdita della cultura della legalità e della giurisdizione da parte del pubblico ministero, allo sdoppiamento del Consiglio superiore della magistratura, uno dei quali sarebbe presieduto dal Ministro, all'attentato e agli attacchi all'obbligatorietà dell'azione penale, all'interferenza del potere politico sull'esercizio dell'azione penale.
    Tutte queste riforme costituzionali, signor Ministro, porterebbero ad una sola conseguenza, ossia all'accentuazione profonda e forte del controllo del politico di turno sulla più importante istituzione di controllo di legalità. Ecco perché, signor Ministro, non tanto in quello che lei non ha detto, ma in quello che ha fatto intuire, noi vediamo il rischio maggiore per la giustizia, per le istituzioni democratiche e per le prerogative dell'istituzione della magistratura.
    Dei tre poteri dello Stato, uno praticamente non esercita più la propria funzione di controllo, con il Parlamento nominato e non eletto. Adesso, si vorrebbe mettere mano anche all'altro potere, che è un potere e non un ordine, il potere giudiziario, che esercita e deve esercitare per Costituzione il controllo di legalità su tutto quanto accade.

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    Se potessimo o dovessimo dire ai cittadini o insinuare in loro il dubbio, anche soltanto il dubbio, che ci sia una interferenza del potere politico sull'esercizio della giurisdizione, allora veramente potremmo dire che abbiamo chiuso. Toglieremmo ai cittadini anche la speranza di poter dire che ci sarà pure un giudice, questa volta non a Berlino, ma a Roma, a Catanzaro o a Salerno [FONT='Verdana','sans-serif'](Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).[/FONT][/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Vietti. Ne ha facoltà.[/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']MICHELE GIUSEPPE VIETTI. Signor Presidente, signor Ministro, mi pare che dobbiamo registrare con soddisfazione che questo dibattito sullo stato della giustizia non abbia avuto un andamento puramente formale. Non è stato un appuntamento burocratico, ma abbiamo parlato. Devo dare atto al Ministro che nella sua replica il taglio è stato proprio questo. Abbiamo parlato di politica giudiziaria e ragionato di come sia possibile trovare forme di convergenza per una riforma che tutti riteniamo urgente, non tanto e non solo tutti gli uomini e le donne presenti in questa Aula, espressione di partiti e di movimenti politici, ma soprattutto i cittadini, per i quali la giustizia percepita, se possibile, è ancora peggiore dello stato reale della giustizia che gli addetti ai lavori conoscono. È una giustizia che, proprio in quanto non rituale per addetti ai lavori, ma indice di funzionalità del sistema socio-economico del Paese, è percepita come un elemento di ritardo, di rallentamento, nella delicata fase anche di crisi economica e finanziaria che il Paese vive.[/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']Pag. 90 [/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']Se non riusciamo a liberare il Paese da questo macigno che lo rallenta, non tanto e non solo in quello che accade nelle aule di tribunale, ma nelle sue ricadute sulle dinamiche dello sviluppo e del progresso del Paese, non faremo il nostro dovere.
    Purtroppo, le illusioni che la giustizia si possa o si potesse autoriformare sono cadute; il tempo passato è stato lungo e nulla o quasi è successo dall'interno.
    Dunque, questa forte esigenza di cambiamento in questo settore strategico per il Paese deve essere raccolta dalla politica, che si deve assumere fino in fondo le sue responsabilità.
    Signor Presidente, signor Ministro, l'Unione di Centro, da questo punto di vista, non si è tirata indietro fin dall'inizio della legislatura, ma ha dichiarato e si è assunta le sue responsabilità; non si è accontentata di rimanere ingessata nel ruolo di opposizione che rappresenta in questo Parlamento, ma ha voluto scendere sul terreno del confronto nel merito dei problemi, con un approccio non ideologico, pragmatico, con l'approccio di chi non dice soltanto «no» in forza del ruolo che rappresenta in quest'Aula, ma neppure con l'approccio di chi dice per forza sempre e solo «sì», in qualche modo uniformandosi al Governo e alla maggioranza.
    Abbiamo fatto delle scelte, abbiamo messo sul tappeto del dibattito le nostre proposte; anzi, per la verità, abbiamo messo proposte nel dettaglio ben più e ben oltre quelle che fino ad oggi sono venute dal Governo e dalla maggioranza.
    Questo lo dobbiamo dire e lo diciamo con franchezza anche al Ministro: forse, nel merito delle proposte di riforma, qualche cosa di più avremmo voluto sentire anche nella sua relazione, seppure è vero, e il Ministro, correttamente, lo ha precisato, che, dal punto di vista formale, questa è la relazione sullo stato della giustizia e non tanto sulle proposte per riformarla; ma sarebbe stato - il Ministro, gliene do atto, nella replica non lo ha fatto - ipocrita nascondersi dietro il dito di questa interpretazione formale.
    Certamente, il dibattito che anima il Paese è quello del merito delle riforme che vogliamo fare e noi a questo non ci siamo sottratti. Con una disponibilità a cambiare senza tabù,Pag. 91non pensiamo che questa parte della Costituzione, gli articoli 101 e seguenti, che riguarda l'ordinamento giudiziario, sia intoccabile.
    Tutti abbiamo condiviso gli appelli al Capo dello Stato, che, poco fa, abbiamo richiamato per ricordarne l'alto ministero, sul fatto che la prima parte della Costituzione, quella sugli elementi fondanti della nostra vita democratica, non va toccata o ci si deve avvicinare con grande cautela, ma la seconda parte, quella relativa all'organizzazione, compresa l'organizzazione del servizio giustizia, non può essere un tabù per giustificare la conservazione dello [FONT='Verdana','sans-serif']status quo[/FONT].
    Facciamo questo senza intenti punitivi; non abbiamo conti da regolare, tanto meno con i magistrati. Nonostante la storia da cui veniamo e a cui apparteniamo possa lamentare certamente dei torti, anche giudiziari, il nostro approccio è sempre stato quello del massimo rispetto nei confronti dell'autorità giudiziaria, che è il garante insostituibile della legalità del Paese, ed una democrazia ed un Paese, senza legalità, non possono stare assieme.
    Signor Ministro, grazie per il parere favorevole, politico, non di dettaglio, non sulle soluzioni tecniche, come lei ha detto, sulla nostra risoluzione, e avanti con coraggio.
    Ci permettiamo non di frenarla, ma di spronarla, perché nelle riforme si proceda e si enuncino, finalmente, anche i termini di dettaglio di queste riforme, perché, se qualche cosa abbiamo da lamentare, è che finora gli annunci sono stati molti, ma le proposte sono state poche.
    Potremo anche lamentarci di qualche passaggio di riforme fin qui vissuto, in particolare quelle del processo civile, il cui dibattito in Aula è stato molto compresso; e poi l'emendamento più significativo, sulla semplificazione dei riti, è emerso improvvisamente al Senato, impedendo al dibattito dei deputati di svolgersi sul punto. Ma guardiamo avanti.
    Tra i punti che la invitiamo ad affrontare con coraggio (ci permettiamo di dire anche con più coraggio) c'è quello della modifica delle circoscrizioni giudiziarie: se questo Paese non cambia la sua geografia giudiziaria, non sarà possibile un'allocazione delle poche risorse disponibili in modo razionale, e tutti i nostri progetti e discorsi sui cambiamenti rischieranno di rimanere velleitari.
    Noi abbiamo proposto, per quanto riguarda il giudizio civile, un giudice monocratico per tutto il primo grado: si salviPag. 92il giudice collegiale in appello, ma si faccia un giudice monocratico con un unico rito di cognizione ordinario per il primo grado, recuperando risorse umane di magistrati e dando un contributo serio all'accelerazione dei processi.
    Investiamo sugli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie: gli organismi di conciliazione del rito societario, checché si pensi di quel rito, possono essere utilmente utilizzati per tutto il contenzioso civile.
    Si modifichi il sistema delle impugnazioni: non possiamo più permetterci tre gradi di giudizio generalizzati per qualunque controversia, anche quelle bagatellari. Questo è di per sé incompatibile con la ragionevole durata del processo, perché se anche facciamo durare ciascun grado tre anni, già arriviamo a nove anni e siamo fuori dai parametri europei.
    Si operi con coraggio, Ministro, nonostante qualche resistenza corporativa (perché non sono corporazioni solo i magistrati, ma ci sono anche altre corporazioni), sul fronte delle notifiche. Le notifiche sono un elemento di forte rallentamento dei processi, soprattutto penali. Si abbia il coraggio di fare le notifiche al domicilio dell'avvocato: una volta che l'avvocato è stato nominato, [FONT='Verdana','sans-serif']ex lege[/FONT] il domicilio è eletto lì.
    Si intervenga sulle misure cautelari, dove oggi le garanzie sono paradossalmente troppo poche rispetto al dibattimento: il processo finisce spesso di celebrarsi e di esaurirsi nella fase cautelare, rimanendo poi indifferente la fase del dibattimento; e, allora, lì un giudice collegiale che dispone le misure cautelari e più garanzia nel contraddittorio.
    Sulle intercettazioni non dico nulla, perché il dibattito si svolgerà in Aula la settimana prossima.
    Sulla depenalizzazione, anche qui, Ministro, operiamo con coraggio. Le debbo dire che c'è una contraddizione all'interno della maggioranza: in questi otto mesi voi avete introdotto un numero enorme di fattispecie criminali nuove.[/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']PRESIDENTE. La invito a concludere.[/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']MICHELE GIUSEPPE VIETTI. Non si può procedere in una logica di criminalizzare tutto, e poi lamentarsi che i processi penali sono intasati e si rallentano. Abbiamo il coraggio di depenalizzare!
    Sulla riforma - e concludo, signor Presidente - degli organi costituzionali, e in questo caso del CSM, c'è la nostraPag. 93disponibilità a ragionare. Noi abbiamo una proposta di un Consiglio superiore di tutte le magistrature; non la consideriamo un dogma, siamo disponibili ad operare anche sul riallineamento della composizione tra componenti laici e componenti togati.[/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Vietti.[/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']MICHELE GIUSEPPE VIETTI. E allora, questo breve elenco dimostra quella disponibilità che lei nella sua replica ha voluto valutare positivamente, e che noi qui politicamente oggi le ribadiamo [FONT='Verdana','sans-serif'](Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro)[/FONT].[/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Brigandì. Ne ha facoltà.[/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']MATTEO BRIGANDÌ. Signor Presidente, eccellenza Guardasigilli, onorevoli colleghi, deputati dell'Italia dei Valori, l'onorevole Palomba ha cercato di trascinarmi nella polemica nella quale io sono particolarmente versato, citando la frase «cultura giustizialista di questo Governo di destra». Siccome è un momento estremamente serio, questo, non cedo alla provocazione e discuto brevemente alcune considerazioni, che sottopongo al signor Ministro.[/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']Pag. 94 [/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']Intanto è da evidenziare l'importanza e la delicatezza del compito che ha questo Ministro della giustizia, delicatezza dovuta al fatto che siamo in un momento storico del nostro Paese nel quale assistiamo a degli stravolgimenti costituzionali e a delle esondazioni da parte di tutti gli organi costituzionali (e quando dico tutti intendo dalla Corte costituzionale al Governo, al Parlamento e, soprattutto, alla stessa magistratura).
    Andare, quindi, a ricercare un equilibrio costituzionale e reintrodurre questi organi che ormai hanno esondato è un compito estremamente delicato, per cui è massimamente apprezzabile il discorso di cercare di allargare, il più possibile, l'apertura per le riforme, perché è evidente che se le regole del gioco debbono essere riscritte tutti i giocatori - o il maggior numero possibile di giocatori - debbono essere d'accordo.
    Dobbiamo cercare di trovare un dialogo primariamente con il partito di opposizione, ma per cercare questo dialogo dobbiamo verificare solo una cosa. Dobbiamo capire, cioè, se il partito di opposizione intende depositare un'arma politica che ha sempre usato, che è quella della magistratura, oppure se intende adoperarla come arma impropria: questo è il punto nodale.
    In realtà è ancora più facile, in politica, verificare tale aspetto, perché bisogna verificare se la magistratura è ormai di utilità o di inutilità al PD. Ciò appare ancora più complesso perché il Ministro ombra che seguirà questo discorso è anche un magistrato che in quest'Aula ha parlato di leggi [FONT='Verdana','sans-serif']ad personam[/FONT] riferendosi al caso di Giancarlo Caselli (quando egli stesso era al Consiglio superiore della magistratura e sapeva perfettamente che Giancarlo Caselli non sarebbe andato alla Direzione antimafia semplicemente perché - come dimostrano gli atti e come è stato dimostrato in un'interpellanza rivolta al precedente Governo di sinistra - avevano reputato migliore un altro).
    Confido, spero e mi auguro quindi che il PD e colui che è la massima autorità in quest'Aula del PD, e cioè il collega Tenaglia, prenda una posizione chiara e netta: con questa posizione chiara e netta noi potremo evidentemente andare avanti nel colloquio e nel discorso.Pag. 95
    Vi sono due punti ancora che vorrei sottolineare. Allorché si pone l'accento sui problemi della giustizia in senso lato, esso cade inevitabilmente sull'intollerabile lunghezza dei procedimenti e processi penali, sul conseguente numero delle procedure penali, sull'elevato numero di sentenze che, dichiarando la prescrizione per il lungo decorso del tempo, sono inutilmente emesse, traducendosi in un accumulo di ritardi quasi a valanga di altri processi a tutto scapito dei cittadini che - l'espressione potrà anche non piacere, ma è assai significativa - sono a ben vedere gli utenti di quello che è pur sempre un servizio a favore della comunità e che proprio per questo può essere definito servizio giustizia.
    Ma, accanto a questo problema di non poco momento, emerge una giustizia improntata ad aspetti politici, che per definizione rispondono ad aspetti ideologicamente peculiari e non oggettivi e che si traduce in abuso a danno di avversari politici utilizzando proprio quei mezzi previsti dal legislatore per raggiungere una verità non di parte e - se non assoluta, stante la limitatezza umana - almeno condivisa.
    Non può sottacersi, sotto questo angolo visuale, il dibattito in corso sulle intercettazioni telefoniche che, delineate dal codice di procedura penale come mezzo di ricerca della prova, si sono trasformate in mezzo di ricerca non della prova ma della notizia del reato, stravolgendo il sistema codicistico se non addirittura anche quello costituzionale.
    Tale stravolgimento è reso maggiormente evidente dal fatto che il contenuto viene spesso - troppo spesso - divulgato quasi ad orologeria a danno dell'avversario di turno in totale spregio del dettato costituzionale che garantisce, all'articolo 15, la libertà e la segretezza delle comunicazioni.
    Evidentemente, anche il dettato costituzionale sta risentendo del noto principio machiavellico che il fine giustifica i mezzi. Ma tutto questo è intollerabile se si vuole che la democrazia non sia solamente un vuoto nome, essendo indispensabile, per un corretto equilibrio delle componenti della società, che le citate componenti operino in ambiti predefiniti, in alvei con precise sponde atte ad evitare invasioni di campo, a scapito di un equilibrio che la storia dimostra essere assai difficile da realizzare.
    Nessuno nega che siano necessari interventi calibrati ed urgenti per ovviare a quegli squilibri di cui si è detto; peraltro, ed è questo il dato che mi preme mettere in evidenza, siPag. 96tratterà sempre di interventi che la pratica definisce tampone, posti in essere per ovviare a situazioni contingenti, ma non inseriti in un organico disegno caratterizzato da alcuni principi fermi.
    Tutto quanto esposto serve a sottoporre all'attenzione di chi si adopera per una giustizia migliore la considerazione che, prima di effettuare interventi sulla normativa processuale, occorre chiarire anche con interventi normativi quale sia l'alveo entro il quale si possa parlare di giurisdizione e quali siano i limiti invalicabili affinché ciò che Montesquieu definiva potere giudiziario, e che la nostra Carta costituzionale definisce ordine autonomo e sovrano, possa essere definita giustizia al servizio del cittadino, rispettando i fini che gli devono essere propri, e soprattutto chiarendo la natura giuridica della magistratura quale potere o quale ordine (con la conseguenza che anche i citati limiti e le prerogative devono essere rispettati dagli altri poteri dello Stato senza che si determinino reciproche e controproducenti invasioni di campo).
    Si sente parlare di lotta della magistratura contro la criminalità organizzata, o contro il terrorismo, con una terminologia che la neutralità delle giustizia, ove realizzata pienamente, dovrebbe considerare concetto estraneo. In realtà, il processo altro non dovrebbe essere che il luogo ove si dibatte una tesi circa una determinata ipotesi di reato per accertare se la persona imputata debba essere ritenuta responsabile del reato in questione, raggiungendo, nel contraddittorio delle parti, sulla prova, secondo i dettami codicistici, una verità condivisa.
    In altri termini, ai magistrati dovrebbe essere attribuito questo compito essenziale per la vita civile, così da poter essere definiti, con espressione non riduttiva, ma esaltante, i veri custodi dei diritti.
    Se si abbandona tale alveo, si rende sempre più concreto il rischio che i magistrati diventino custodi di diritti da loro stessi predeterminati, alterando l'equilibrio democratico, con l'alea di un terzo potere che agisce non all'unisono con gli altri, ma secondo logiche proprie che possano essere - come oggi lo sono - in contrasto.
    Non sarà inutile ricordare che in una audizione della Commissione antimafia del 1999, il vicepresidente del CSM, Giovanni Verde, ha dichiarato di avere la sensazione che spesso i pubblici ministeri non svolgano indagini, ma inchieste.Pag. 97Non può negarsi la responsabilità del Parlamento sul punto; la legge precisa qual è il compito del pubblico ministero, ma non pochi hanno ritenuto di poterlo allargare fino a trasformare le indagini in inchieste, spesso per le loro credenze politiche; fenomeno certamente accentuatosi dopo Mani pulite.[/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']PRESIDENTE. La prego di concludere.[/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']MATTEO BRIGANDÌ. Come si vede il fenomeno trova la sua accentuazione nel fatto che la magistratura oggi si trova a governare dei fenomeni che non sono tipici dei magistrati. Con il pieno rispetto della Direzione nazionale antimafia, di cui deve rimanere la funzione essenziale, oggi questa null'altro è se non il servizio segreto dei magistrati, perché non svolge indagini, ma inchieste.
    Il tempo è tiranno, signor Ministro, gradisca i sensi della mia più alta stima e un augurio di buon lavoro [FONT='Verdana','sans-serif'](Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Popolo della Libertà)[/FONT].
    Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative della mia dichiarazione di voto.[/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']PRESIDENTE. Onorevole Brigandì, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
    Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Tenaglia. Ne ha facoltà.[/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']LANFRANCO TENAGLIA. Signor Presidente, sono d'accordo con lei, signor Ministro: dobbiamo discutere della sua relazione, non delle possibili proposte di riforma.
    La sua relazione, secondo noi, non può essere approvata, perché in questo primo anno di legislatura la politica della giustizia del suo Governo è stata assente completamente nel contrasto a quello che lei ha chiamato - e noi condividiamo essere - il vero nemico della giustizia: la lentezza dei processi.[/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']Pag. 98 [/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']È stata lacunosa quando si è timidamente manifestata con riferimento al processo civile. Con la sua proposta, signor Ministro, non si affrontano i due problemi del processo civile: la macedonia di riti (che noi proponevamo di limitare e la sua maggioranza in quest'Aula ha detto «no») e la durata certa dei singoli processi (avete anche detto «no» alla nostra proposta sull'udienza di programma).
    Dannosa nell'unico e solo provvedimento che può vantare come approvato, il lodo che porta il suo nome (avrebbe meritato una citazione nella sua relazione, in fondo non se ne deve vergognare, ha solo fatto uno strappo alla Costituzione e al principio di eguaglianza) è nella totale accondiscendenza alla furia dimezzatrice del Ministro dell'economia e delle finanze che le ha imposto, invece dei necessari fondi, un taglio degli stanziamenti per la giustizia di 800 milioni di euro in tre anni, e di procedere al blocco della riqualificazione e delle assunzioni del personale amministrativo. Altro che giustizia quale emergenza nazionale, il suo Governo sta sulla giustizia, come in tema di crisi economica, esercitando la più grossa opera di irresponsabilità nazionale che la vita politica italiana ricordi.
    È stata omissiva quando non ha impedito la presentazione della riforma del reato di bancarotta, che produrrà, se approvata, la prescrizione anche per procedimenti in corso.
    Nella prospettiva futura la sua relazione è deludente, inutilmente rivendicativa e generica sulle proposte in grado di avere dignità e forza tali da essere, non dico condivise, ma almeno condivisibili.
    Lei signor Ministro ha giustamente rivendicato per la sua funzione maggiori poteri. Non ci ha detto come e cosa intende concretizzare con tale rivendicazione, però noi la vogliamo invitare ad esercitare innanzitutto i poteri che ha. Le indico tre compiti che potrebbe da subito svolgere con grande beneficio per la giustizia e l'interesse dei cittadini. Consenta la costituzione definitiva della scuola della magistratura, la cui entrata in funzione viene senza ragioni dalla sua inerzia e da quella del CSM di fatto impedita. Realizzi quello che il Governo Prodi nella scorsa legislatura aveva previsto, il centro unico nazionale di ascolto per le intercettazioni. QuestoPag. 99sarebbe un risparmio vero sui costi delle intercettazioni, e non altri tipi di risparmio che mirano piuttosto all'obiettivo diverso di limitare lo strumento dell'indagine. La smetta con le proroghe all'entrata in vigore della legge sulla [FONT='Verdana','sans-serif']class action[/FONT], legge fondamentale per tutelare quelle migliaia di cittadini consumatori che sono stati lesi nei loro diritti, e che tutti a parole diciamo di voler tutelare, ma che nei fatti aspettano ancora giustizia, una legge che esiste già e non ha bisogno di ulteriori interventi che la stravolgano.
    La giustizia italiana - in questa Aula siamo stati tutti d'accordo - ha una grande necessità di riforme che le consentano di assolvere al meglio la funzione cui è chiamata, riuscendo a superare i principali punti di criticità.
    Riteniamo che per giungere a questo obiettivo, l'obiettivo della riforma per l'efficienza della giustizia, l'obiettivo della parità tra accusa e difesa, l'obiettivo dell'effettività della pena e l'obiettivo di un maggiore equilibrio tra poteri dello Stato nel rispetto del quadro costituzionale, serva un cammino comune, e questo presuppone una forma preliminare di dialogo e di confronto con gli operatori della giustizia (magistrati e avvocati e personale amministrativo), perché da quel confronto non deriva una perdita di tempo ma deriverebbero molte soluzioni condivise.
    In questa cornice l'approccio al problema scelto dal Presidente della Camera è corretto, lo riteniamo corretto sia nel merito sia nel metodo. Lo ascolti, signor Ministro, perché le riforme sulla giustizia si fanno insieme ai diretti interessati e non contro, come sembra voler fare annunciando riforme a colpi di maggioranza. Noi, fin dall'inizio, abbiamo cercato il confronto convinti che su una materia così delicata la strada del confronto sia nell'interesse del Paese tutto e sia soprattutto l'unica atta a garantire efficacia e durata dei procedimenti.
    Tuttavia non accettiamo ultimatum, non accettiamo di non concorrere con nostre proposte alla formazione della riforma. Non faremo da notai a decisioni cui non avremmo contribuito con le nostre proposte. Noi non siamo un'opposizione riottosa e incapace di proposta, ma dimostreremo, quando ci sarà la disponibilità del Governo e della maggioranza, di esserci anche noi con le nostre proposte e con la nostra volontà riformatrice. Non sappiamo se ciò sulla giustizia potrà avvenire, ma sappiamo che dipende dal Governo e dalla maggioranza e chePag. 100dal Governo e dalla maggioranza dipende la possibilità di costruire consenso intorno alle riforme che servono al Paese.
    Sulla riforma della Costituzione dobbiamo intenderci, signor Ministro, e occorre essere chiari. Noi non siamo contrari alla riforma della Costituzione, ma a quella che lei propone, cioè una riforma che interviene solo sul delicato e fondamentale punto dell'equilibrio tra poteri dello Stato senza una riforma complessiva che abbracci l'intero sistema istituzionale (poteri del Governo, assetto del Parlamento, ruolo e funzioni delle istituzioni di garanzia e di controllo). Lei ha citato la Commissione bicamerale: ebbene, la bicamerale faceva proprio questo. Se invece si riforma solo la parte che riguarda la Costituzione non sarebbe una riforma utile, ma una surrettizia alterazione degli assetti sanciti dalla Costituzione stessa, una forzatura a cui di fatto, nella prassi istituzionale che si sta imponendo, corrisponde una costante sottrazione di poteri e funzioni del Parlamento e la progressiva alterazione dei principi che presiedono al funzionamento del Governo, così come sancito dal dettato costituzionale.
    Il metodo giusto, piuttosto, è quello di fare una manutenzione costituzionale senza strappi ai principi di autonomia e indipendenza della magistratura e di soggezione del giudice alla legge, ma anzi rendendo più effettivo il principio di responsabilità della magistratura (disciplinare, professionale e istituzionale). Per questo non nascondiamo la necessità di intervenire con riforme che riguardano anche la giustizia come potere e proponiamo di riformare la legge elettorale e il CSM, di riportare a trenta il numero dei componenti, di istituire la sezione disciplinare autonoma, di regolare i poteri del CSM di dare parere al Ministro, di decidere le così dette pratiche a tutela e di rendere effettivo il principio di obbligatorietà dell'azione penale.
    Con la legge ordinaria si può fare tanto, forse anche tutto: innanzitutto verificare quali sono gli effetti delle riforme dell'ordinamento giudiziario che insieme, nelle scorse due legislature, abbiamo contribuito ad approvare. Riformare la giustizia significa soprattutto migliorare il funzionamento dell'esistente rendendo efficiente e garantito il sistema. Le rammento che su questo versante esistono solo le proposte dell'opposizione, e del Partito Democratico in particolare, che ha avanzato un pacchetto di proposte organico, complessivo ed omogeneo: la revisione delle circoscrizioni giudiziarie, l'ufficioPag. 101del processo, il processo telematico, il [FONT='Verdana','sans-serif']manager[/FONT], la riforma del codice penale e del codice di procedura penale mediante interventi sull'udienza preliminare, sul giudizio di Cassazione, sull'archiviazione per inoffensività del fatto, sull'individuazione dei criteri di priorità nell'esercizio dell'azione penale e la riforma della procedura civile con le questioni che vi ho detto e le intercettazioni.
    Certamente si potrebbe cominciare in questo modo e con questo metodo e credo che facendo ciò raccoglieremmo l'alto e pressante invito che il Presidente della Repubblica ci ha rivolto: di intervenire decisamente sull'abnorme ed intollerabile durata dei processi e di prevedere misure di riforma che riguardino anche la migliore individuazione e il più corretto assolvimento dei compiti assegnati al CSM dalla Carta costituzionale.
    La vicenda delle intercettazioni credo sia paradigmatica di un modo di procedere e delle divisioni interne alla maggioranza. Credo che sui reali contenuti dell'accordo vogliamo vedere i testi scritti, ma quello che appare è certamente una marcia indietro, una Waterloo del Presidente del Consiglio ed è l'affermazione della giustezza della nostra posizione che dall'inizio abbiamo detto nessuna limitazione allo strumento di indagine.[/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']PRESIDENTE. La prego di concludere.[/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']LANFRANCO TENAGLIA. Concludo, signor Presidente, annunciando il voto contrario del Partito Democratico alla risoluzione presentata dalla maggioranza e la nostra astensione sulle risoluzioni dell'Unione di Centro, dell'Italia dei Valori e della delegazione radicale nel Partito Democratico. Sono risoluzioni che pongono problematiche riguardanti proposte e quindi aspetti che vanno approfonditi nelle sedi proprie di discussione parlamentare.[/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']PRESIDENTE. Concluda, la prego.[/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']LANFRANCO TENAGLIA. Alcune proposte sono condivisibili ed altre da approfondire, ma non è questa la sede per dare un giudizio nel merito su tali proposte. Ci riserviamo di farlo quando verranno alla discussione parlamentare [FONT='Verdana','sans-serif'](Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)[/FONT].[/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']Pag. 102 [/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della mia dichiarazione di voto.[/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']PRESIDENTE. Onorevole Tenaglia, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
    Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cicchitto. Ne ha facoltà.[/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']FABRIZIO CICCHITTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il nostro giudizio è al polo opposto a quello dichiarato poco fa dall'onorevole Tenaglia. Riteniamo, infatti, che la relazione del Ministro Alfano abbia fatto un'analisi assai acuta della situazione e che in essa siano anche contenute delle grandi indicazioni di riforma. Da questa relazione emerge che la giustizia è una grande malata e ciò riguarda tutti i suoi aspetti fondamentali.
    Sulle carceri non sto a ripetere le valutazioni dell'onorevole Pecorella, che condivido anche a proposito delle loro funzioni e dell'umanità che le dovrebbe caratterizzare e che non le caratterizza. Anzi oggi esse sono un luogo terribile di distruzione della persona e di palestra per una nuova criminalità. Saluto il fatto che il Ministro Alfano abbia dichiarato l'intenzione di voler prendere di petto il problema da tutti i punti di vista, da quello della costruzione di nuove carceri e da quello della modifica delle condizioni attualmente esistenti.
    La giustizia è innanzitutto una grande malata nel suo rapporto con i cittadini: la lentezza dei processi civili e penali è una tragedia. Quindi, c'è un problema di riorganizzazione e di efficienza che è al centro dell'attenzione del Ministro.
    Ma poi c'è un'altra faccia della medaglia che va affrontata di petto, quella che chiamerei etico-politica, visto che la giustizia è un aspetto dello Stato fra i più delicati. Qui veniamo ad un nodo di fondo che ha riguardato il fatto che, specie dalla metà degli anni Novanta in poi, non la maggioranza dei magistrati, ma la magistratura associata ed organizzata (nella quale ha esercitato un ruolo decisivo un forte nucleo di magistrati inquirenti e di pubblici ministeri) e una dialetticaPag. 103associativa (insieme corporativa e politica) hanno provocato un corto circuito e hanno prodotto un [FONT='Verdana','sans-serif']vulnus[/FONT] allo Stato di diritto determinato da un sistematico uso politico della giustizia.
    Esso è andato in una direzione precisa, sia negli anni dal 1992 al 1994, sia successivamente fin quasi ai nostri giorni. In sostanza, esso si è diretto fondamentalmente contro l'area moderata di questo Paese nelle sue varie espressioni politiche. Questa operazione si è poi venuta intrecciando con una spettacolarizzazione mediatica, per la quale è entrato in campo un circo mediatico-giudiziario che nel volgere degli anni ha giocato in varie direzioni, a colpi però sempre di una violazione sistematica del segreto istruttorio.
    Oggi, tuttavia, ci troviamo di fronte a due fatti nuovi che accentuano questa crisi. Il mirino non si è fermato contro le forze moderate, ma è stato rivolto anche contro la sinistra e la crisi anzi derivante da questo comportamento è arrivata ad un punto di totale implosione, perché siamo arrivati al punto estremo: lo scontro «spettacolarizzato» di magistrati contro magistrati, di procure contro procure. Allora, in una tale situazione, si vede se il Governo, se le forze politiche di maggioranza e di opposizione hanno la capacità e la reattività di reagire a questo stato di cose.
    È per questo, quindi, che bisogna mettere fine a tutto ciò con una riforma organica e incisiva, possibilmente attraverso un confronto tra maggioranza opposizione, che rimetta in campo la grande quantità di magistrati lontana da tutto ciò.
    Ed è in questo quadro che si colloca una divisione delle carriere che ha un obiettivo positivo e non negativo: essa ha come obiettivo la riconquista della piena terzietà del giudice, del magistrato giudicante, che è anche un modo per ricostruire uno Stato di diritto fondato sulla divisione dei poteri, uno Stato di diritto colpito al cuore da questo uso politico della giustizia e da quello che è avvenuto nel corso di tutti questi anni.
    Il secondo nodo da sciogliere è quello di una riforma che identifichi i meccanismi giuridici per bloccare l'uso della custodia cautelare come strumento di confessione. In sostanza va evitata a tutti i costi la celebrazione di quello che, non a caso, qualche anno fa il procuratore Borrelli, l'allora procuratore generale di Milano, chiamava giustificandola la «sentenzaPag. 104anticipata». Se una persona, grazie all'avviso di garanzia o alla custodia cautelare, viene sbattuta in prima pagina c'è già la «sentenza» che gli distrugge la vita, che gli sconvolge la famiglia. Se questa persona è un politico questa «sentenza anticipata» colpisce anche il suo partito. Poi magari questa persona viene assolta sette anni dopo, ma in quel caso nessuno se ne accorge [FONT='Verdana','sans-serif'](Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà)[/FONT]. Potremmo ricordare episodi devastanti a questo proposito. Ricordo come sintesi di questa tematica un bel libro dell'onorevole Carlo Giovanardi dedicato a questo tema.
    Un'altra riforma di fondo è quella del CSM che va ricondotto alle sue funzioni, modificato nella sua composizione, sottratto al gioco serrato delle correnti.
    Insomma, onorevoli colleghi, questa è l'occasione storica davanti a tutti noi per una riforma della giustizia che si misuri con due nodi: quello di far sì che i cittadini abbiano a disposizione un'amministrazione della giustizia civile e penale a dimensione dei loro problemi circa i suoi tempi e il suo svolgimento, ma anche per una riforma della giustizia che la sottragga all'esercizio di una guerra civile fredda, di tutti contro tutti (oggi addirittura di magistrati contro magistrati), che finora ha costituito uno snodo drammatico della nostra vita politica.
    Tutte le forze politiche, di maggioranza e di opposizione, sono di fronte a questa scelta decisiva. Qualche anno fa l'onorevole Massimo D'Alema ha scritto un libro dal titolo [FONT='Verdana','sans-serif']Un Paese normale[/FONT]; ebbene questo è stato finora un Paese anormale anche per questo uso politico della giustizia che oggi, lo vediamo, coinvolge tutti, colpisce anche i magistrati e pone il Paese in una situazione drammatica [FONT='Verdana','sans-serif'](Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà)[/FONT].
    Questo è il punto di una riflessione che va fatta, e in proposito, onorevole Tenaglia, ci ha aiutato a fare un salto di qualità la relazione, e ancor di più per certi aspetti le conclusioni, del Ministro di giustizia che ha fatto una scelta: quella di portare la maggioranza ad un voto nei confronti di risoluzioni non totalmente collimanti, per dare un segnale politico di grandissimo rilievo al Paese e anche al Parlamento.[/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']Pag. 105 [/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']Entrambe queste risoluzioni non della maggioranza - mi riferisco a quella dell'Unione di Centro e a quella della componente radicale del Partito Democratico - contengono comunque un punto di grande importanza che abbiamo in comune: una scelta di carattere garantista, poi sui particolari possiamo continuare a discutere.
    Ebbene, tale scelta garantista può segnare il tentativo del ritorno ad un Paese normale e in questo quadro ci auguriamo che si apra una riflessione anche all'interno del Partito Democratico. In questo quadro, salutiamo la relazione e la replica del Ministro della giustizia, onorevole Alfano, come contributo significativo ad una pacificazione del Paese e anche come contributo essenziale ad una riforma della giustizia che non può essere un'operazione tecnocratica, ma deve essere attraversata da una profonda cultura di carattere garantista [FONT='Verdana','sans-serif'](Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).[/FONT][/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Bernardini. Ne ha facoltà.[/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']RITA BERNARDINI. Signor Presidente, signor Ministro della giustizia, colleghi deputati, devo dire che ho ascoltato con una certa emozione - e vi spiegherò perché - il momento in cui il Ministro Angelino Alfano ha espresso il parere favorevole sulla risoluzione da noi presentata. Vi spiego i motivi delle risoluzioni. Ciò che è contenuto nella nostra risoluzione di parte radicale sulla giustizia non è una posizione, ma è una lotta di decenni passata a raccogliere le firme per le strade da tanti militanti, passata attraverso il voto popolare e referendario. Mi è sembrato e mi sembra in questo momento anche di rappresentare le persone colpite duramente da una giustizia cieca in questi anni. In particolare, il mio pensiero va ad Enzo Tortora [FONT='Verdana','sans-serif'](Applausi)[/FONT] che è stato definito da coloro che l'hanno condannato cinico mercante di morte e questi magistrati, anziché pagare per il loro errore che ha distrutto la vita di una persona, sono stati addirittura promossi.
    Per questo motivo, la condivisione ed il parere favorevole espresso dal Ministro mi ha emozionato. Vi sono stati voti popolari come quello sulla responsabilità civile dei magistratiPag. 106che purtroppo sono stati poi traditi dalle leggi successive. Vi sono stati voti degli italiani a maggioranza schiacciante riguardanti altri referendum importanti, i cui contenuti sono inseriti nella nostra risoluzione: separazione delle carriere, carriere automatiche dei magistrati, sistema elettorale del Consiglio superiore della magistratura. Maggioranze schiaccianti che, però, non hanno potuto vedere il coronamento del voto popolare per la mancanza del [FONT='Verdana','sans-serif']quorum[/FONT].
    Mi auguro e siamo pronti a collaborare su questo anche con il Governo affinché questa nostra Italia possa avere finalmente la riforma della giustizia voluta dal popolo italiano. Credo che coloro che voteranno a favore della nostra risoluzione avranno la consapevolezza di avere anche dalla loro parte chi vuole una giustizia giusta, chi non vuole sicuramente le centinaia di migliaia o i milioni di prescrizioni che ogni anno si verificano nel nostro Paese, un'amnistia strisciante della quale nessuno si assume la responsabilità.
    So che c'è questa volontà popolare. Ma vi è una sola raccomandazione che rivolgo a tutto il Parlamento: questo dibattito, queste riforme, questo dibattito che porterà alle riforme deve essere conosciuto dagli italiani.[/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']PRESIDENTE. Concluda, onorevole Bernardini.[/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']RITA BERNARDINI. Infatti, se c'è un punto dolente è sicuramente quello della mancanza di informazione. Questo, quindi, è il mio augurio per una giustizia giusta finalmente in Italia [FONT='Verdana','sans-serif'](Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico e di deputati del gruppo Popolo della Libertà)[/FONT].[/FONT]
    [FONT='Verdana','sans-serif']PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto.[/FONT]

 

 

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