di Fabio FattoreROMA (31 gennaio) - «In fatto di razzismo e di antigiudaismo gli italiani non hanno avuto né avranno bisogno di andare a scuola da chicchessia». Lo scriveva, in un articolo del 1938, il segretario di redazione della “Difesa della razza”, Giorgio Almirante. E dal suo punto di vista, il futuro leader del Movimento sociale non aveva tutti i torti: la rivista, nata tre settimane dopo la pubblicazione del “Manifesto della razza”, non voleva andare a rimorchio del nazismo, ma aveva l’ambizione di fare scuola. In un saggio ben documentato e di agevole lettura, “La Difesa della razza. Politica, ideologia e immagine del razzismo fascista” (Einaudi, 413 pagine), il ricercatore torinese Francesco Cassata ne ricostruisce la storia ed esplora le correnti del razzismo, spesso anche in feroce contrasto l’una con l’altra, che le si agitavano attorno. Anche perchè, come chiarisce subito, quel giornale non è stato il «frutto di un’improvvisazione estemporanea, dettata dalle esigenze dell’alleanza con la Germania nazista, bensì come il portato di una logica interna al fascismo e al suo progetto di rivoluzione antropologica».
La via italiana al razzismo, in sostanza, anche se il legame con Hitler è chiaro già a partire dalle prime copertine-manifesto (i famosi fotomontaggi destinati a diventare un’icona): il profilo del Doriforo di Policleto, una caricatura ebraica e la testa di una donna africana, con una spada che separa il primo dagli altri due e che richiama per grafica e contenuti «un’evidente influenza dell’estetica nazionalsocialista».
“La Difesa della razza” nasce dall’incontro tra i giornalisti legati a Telesio Interlandi, che ne è il fondatore e direttore, e alcuni scienziati che firmano il “Manifesto”. «Tale nucleo originario - nota Cassata - si caratterizza per l’impostazione prevalentemente biologica del problema razziale: una linea che impegnerà la rivista in aspre polemiche con le altre correnti del razzismo fascista: rispettivamente quella nazionalista (Acerbo, Pende) e quella esoterica-tradizionalista (Preziosi, Evola)». Interlandi è un polemista dalla forza incendiaria e la personalità complessa. Quando nel ’24 è chiamato da Mussolini a dirigere “Il Tevere”, un quotidiano mantenuto dal regime, dà vita ad esempio ad una brillante terza pagina che ospita firme del calibro di Luigi Pirandello, Emilio Cecchi, Giuseppe Ungaretti, Vitaliano Brancati, Elio Vittorini, Corrado Alvaro, Cesare Zavattini, Ennio Flaiano, Antonello Trombadori. E per la rivista che fonda nel ’33, “Quadrivio”, scrivono anche Massimo Bontempelli e Aldo Palazzeschi. Ma la militanza antisemita di Interlandi è di vecchia data e nasce in tempi politicamente non sospetti: già dal ’24, molto prima dell’ascesa al potere di Hitler. “La Difesa della razza”, che parte senza badare a spese e con il pieno sostegno del regime (ma nel lungo elenco di inserzionisti ci sono l’Istituto nazionale delle assicurazioni, la Banca commerciale, il Credito italiano, la Fiat e la Montecatini) non è che il coronamento della sua fede.
Una fede nella superiorità della razza italica, nella giustezza della politica segregazionista contro neri e arabi che il Duce vuole nelle colonie e si spinge fino alle campagne contro la promiscuità e il meticciato (gli italiani che vivono oltremare, si sa, sono sensibili alle bellezze esotiche). E nella convinzione che l’ebreo resti sempri ebreo, anche quando si camuffa facendosi battezzare: tanto che un sondaggio tra le parrocchie, pubblicato nell’agosto del ’40, denuncia un boom di conversioni per sfuggire alle leggi razziali. Interlandi e i suoi attaccano però l’ebraismo su tutti i fronti: fino a condannare l’arte moderna in quanto “ebraizzata” (innescando un’aspra polemica con Filippo Tommaso Marinetti, che difende le avanguardie ma a scanso di equivoci chiarisce che nel suo Futurismo non c’è traccia di ebrei) e a cavalcare l’antisemitismo di origine cattolica (e questa volta è la segreteria di Stato del Vaticano che denuncia all’ambasciata d’Italia le «gravi offese alla religione» contenute nella rivista e riesce a bloccare il filone).
Poi comincia la Seconda guerra mondiale che, come spiega l’autore, «conduce alle estreme conseguenze teoriche l’antisemitismo cospirazionista della “Difesa della razza”». Sono gli ebrei che l’hanno voluta e il sangue versato, invoca uno dei giornalisti, ricadrà su di loro. Più pratico e spiccio Interlandi che nel maggio del ’42 suggerisce di organizzare, contro di loro, un «piccolo, ma ben fatto pogroom, tempestivo e risolutivo». I treni per Auschwitz viaggiano pieni, qualcun altro ci ha già pensato.
Il Messaggero 31/01/2009