IL COMMENTO

Con l'elmo di Scipio
per battere la crisi


di EUGENIO SCALFARI



ANCORA l'economia? Ebbene sì, ancora l'economia e non è colpa nostra se ogni giorno che passa la crisi ci riserva nuove sorprese. Sgradevoli. Spesso traumatiche anche se prevedibili e in parte previste. Ma, come dice Tremonti, le previsioni sono una cosa e i dati di fatto un'altra. I dati di fatto di questa settimana sono i seguenti in ordine di importanza.
1. Il Pil degli Stati Uniti registra un arretramento del 3,8 sull'anno precedente. Potrebbe anche andar peggio, certo non andrà meglio.
2. La crisi bancaria è tutt'altro che sopita: è una brace che potrebbe ancora stimolare fiammate incendiarie con effetti devastanti sul sistema bancario mondiale.
3. La recessione dell'economia giapponese sta superando il livello di guardia. Il rallentamento di quella cinese non è meno preoccupante e impone un cambio di strategia radicale: dal sostegno alle esportazioni al sostegno dei consumi e delle retribuzioni sul mercato interno.
4. Il protezionismo guadagna terreno nelle politiche nazionali, sia in Usa sia in Oriente. Ne risente anche il mercato europeo.
5. L'industria automobilistica registra in tutto l'Occidente una crisi senza precedenti. Gli aiuti dei governi procedono in ordine sparso dando luogo inevitabilmente ad una sorta di protezionismo indiretto non meno devastante del protezionismo esplicito.
6. I titoli cosiddetti tossici, cioè privi di valore oggettivo, pesano sulla finanza globale. Gli ottimisti valutano il rischio ad una cifra che sfiora i mille miliardi di dollari, i pessimisti la moltiplicano di due volte e mezzo. Per affrontare un rischio di così enormi dimensioni si prospettano due soluzioni: una "bad company" a carico dei contribuenti ed una "società segregata" a carico dei possessori di quei titoli-spazzatura. In entrambi i casi una massa enorme di persone vedrà ulteriormente devastati i suoi redditi e i suoi patrimoni. Questi sono i dati di fatto aggiornati ad oggi.


Nel quadro di queste sciagure la situazione italiana non fa eccezione e l'ottimismo ostentato dal nostro presidente del Consiglio e dal nostro ministro dell'Economia non mi pare che poggi su basi solide.
L'industria automobilistica invoca l'aiuto pubblico che in Usa, in Gran Bretagna, in Germania, in Francia i suoi concorrenti hanno già ottenuto con appropriati interventi in corso di esecuzione. Ma invocano aiuto anche altri importanti settori produttivi: i costruttori che temono di dover chiudere i cantieri con una diminuzione di personale valutata in 250.000 unità; il comparto tessile; la siderurgia; l'editoria che lamenta un calo di entrate pubblicitarie del 40 per cento già nel primo trimestre in corso.

Complessivamente l'ondata dei licenziamenti o della messa in Cassa integrazione si aggira su almeno mezzo milione di unità. Se si calcola l'indotto si rischia un moltiplicatore di almeno il doppio. Si aggiunga a questo crollo di reddito e di occupazione tutta la galassia delle piccole imprese, soprattutto nel settore della meccanica; si aggiunga l'artigianato e si aggiungano le imprese turistiche e alberghiere. Ciascuna di queste categorie produttive cerca un sostegno e lo reclama dal governo come se la tanto disprezzata politica possedesse una bacchetta magica capace di creare dal nulla le risorse necessarie alla sopravvivenza del sistema.

Il governo - di questo bisogna esser consapevoli - la bacchetta magica non ce l'ha. Ma qualche cosa potrebbe e dovrebbe pur fare. L'ha fatto? Lo sta facendo? Lo farà? Quanto, come, quando?
Questa ormai imperiosa domanda gli viene posta ogni giorno dalle categorie interessate, dai sindacati, dall'opposizione, dagli enti locali. Ma una risposta vera e completa non è ancora venuta. Il governo naviga a vista in un mare tempestoso e irto di scogli. Perciò la paura aumenta e con essa cresce la fragilità delle aspettative.

Il ministro Tremonti, poveretto, cerca di arraffare qua e là dove vede ancora un po' di polpa e qualche altare ancora addobbato. Arraffare è forse un verbo un po' crudo, ma di questo si tratta quando manca un piano d'insieme e interlocutori appropriati. Il ministro dell'Economia è solo, sia dentro il governo sia fuori di esso. Non ha un piano e non ha interlocutori.
In realtà potrebbe averli: le parti sociali, l'opposizione, le categorie, gli enti locali. Potrebbe averli se avesse un piano cui associarli, sul quale raccogliere i loro contributi, le loro critiche, la loro collaborazione. Ma quel piano non c'è. Perciò Tremonti resta volutamente in solitudine. Si aggrappa all'Europa perché spera che sia l'Europa a cavargli le castagne dal fuoco. Il guaio è che in quel fuoco non ci sono castagne. Un altro guaio è che l'Europa non può far nulla di concreto poiché, se lo fa per uno, deve farlo per tutti.

L'Europa può soltanto coordinare e, nel caso migliore, contribuire di suo al coordinamento. Ma Sarkozy viaggia per conto proprio e così pure Angela Merkel e Brown e Zapatero.

Caro Tremonti, la realtà è questa e il suo appello all'Europa (assai tardivo in verità) non incanta nessuno. La verità è che lei spera che la nottata passi e che il sistema Italia ne esca vivo. A quel punto lei potrà rivendicare il merito di non aver fatto niente. Un temporeggiatore lungimirante come lo fu il console Fabio Massimo che sfiancò Annibale. Ma la tempesta perfetta che si è abbattuta sul mondo intero non ha niente a che vedere con gli elefanti cartaginesi. Qui il temporeggiatore non serve, ci vorrebbe piuttosto uno Scipione al quale però - mi scusi - lei non somiglia né tanto né poco.

Ci sono due livelli sui quali uno Scipione economico potrebbe agire: un piano per gli investimenti e un piano per il sostegno dei redditi. Gli investimenti possono essere finanziati dalla Cassa Depositi e Prestiti. Del resto Tremonti ci ha già pensato mettendo mano al risparmio postale. Ma non riesce ad aprire i cantieri. Anzi: i cantieri stanno chiudendo uno dopo l'altro come gridano i rappresentanti dei costruttori.
C'è un solo modo di non farli chiudere e aprirne di nuovi: delegare le operazioni alle Regioni e ai Comuni. Per opere e manutenzioni a livello regionale e locale. I cantieri per le grandi opere richiedono mesi e mesi prima di essere operativi. Regioni e Comuni hanno già appaltato molti lotti di opere pubbliche ma sono bloccati per mancanza di fondi.

Dateglieli quei fondi invece di arraffargli quei pochi che gli sono rimasti. Per agire in controtendenza c'è bisogno che i cantieri aprano entro tre mesi al massimo, perciò si muova, caro temporeggiatore. Lei ha scritto un discreto libro, "La paura e la speranza", ma finora non ha fatto che alimentare la paura spegnendo ogni speranza. Immagino che il suo editore le abbia tirato un orecchio.

Per i redditi, una volta tanto dia retta a Veltroni e ad Epifani: sgravi le imposte con uno scalare che dia benefici dai redditi medi fino a quelli minimi e bonus agli incapienti. E rifinanzi gli ammortizzatori sociali. Per questo secondo livello operativo ci vogliono almeno 15 miliardi e ce ne vogliono almeno altri cinque per aiuti diretti ai settori pericolanti. C'è insomma bisogno di una ventina di miliardi che possono esser procurati soltanto attraverso il fisco dato che la politica monetaria non può aiutare in nessun modo.

Questa strategia provocherà inevitabilmente uno sforamento della soglia di stabilità europea; del resto lo sforamento è già avvenuto poiché il rapporto deficit-Pil è già previsto per quest'anno al 3,8 e ancora il governo non ha fatto nulla o quasi. Se il ministro dell'Economia avesse il coraggio di ripristinare l'Ici improvvidamente abolita quel rapporto scenderebbe di parecchi punti base; ma quel coraggio il ministro non ce l'ha.

Dovrebbe seguire il consiglio dell'opposizione: sforare adesso e prendere contemporaneamente provvedimenti di recupero del deficit che entrino in funzione nel secondo semestre del 2010. Nel frattempo dovrebbe trasferire una parte del patrimonio immobiliare pubblico alle Fondazioni e dare così una spallata al debito pubblico per attenuarne la crescita.
Le si chiede insomma, onorevole ministro, di uscire dall'afasia e dal temporeggiamento. Le sembra una richiesta insensata?

Post scriptum. Walter Veltroni ha ricominciato le sue visite pastorali e sembra che abbia successo tra chi continua a puntare sul Partito democratico. Del resto chi vuole costruire un'opposizione che sia in prospettiva un'alternativa alla destra non ha altre scelte. Prima ancora d'una scelta politica questa è un'esigenza democratica al di fuori della quale non resta che rifugiarsi nell'utopia. Oppure coltivare risse intestine con i più vari pretesti.

L'ultimo di quei pretesti è nato sulla riforma della legge elettorale europea. L'argomento è stato discusso a lungo nell'ultima direzione del Pd, dove tutte le componenti e correnti sono rappresentate e nell'ultimo comitato di coordinamento di quel partito. Vi fu approvazione unanime su una soglia di sbarramento del 4 per cento e su liste aperte al voto di preferenza. Si sapeva che Berlusconi voleva una soglia del 5 per cento oppure nessuna soglia. Delle preferenze neppure parlarne. (Ricordo che in tutti gli altri paesi membri dell'Unione europea ci sono soglie che vanno da un minimo del cinque al massimo del nove per cento e le liste sono bloccate senza preferenze). Il negoziato era dunque molto difficile ma alla fine il segretario del Pd ha portato a casa il risultato richiesto all'unanimità. Perciò non si capiscono gli attuali mal di pancia di questo e di quello.

Quanto alla sinistra radicale, il suo sfrizzolamento è avvenuto molto tempo prima, quando ancora era in vita il governo Prodi. Semmai la soglia del 4 per cento può essere un incentivo a concentrarsi, ammesso e non concesso che una sinistra di quel tipo abbia ancora un senso in una moderna democrazia. Quanto a Di Pietro, si è già "concentrato" con Beppe Grillo e la soglia del 4 la supererà. Personalmente mi auguro non di molto. Io credo infatti nella ragione, anche se questa mia credenza mi dà talvolta qualche delusione.

http://www.repubblica.it/2008/04/sez...mo-scipio.html