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  1. #91
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    Predefinito Re: Seconda guerra mondiale e paesi neutrali : I parte la Svizzera

    Citazione Originariamente Scritto da Halberdier Visualizza Messaggio
    Sul Liechtenstein ho trovato ultimamente qualcosa di interessante (anche in riferimento al tuo thread "Germania: niente nazismo con la monarchia"). Faccio un riassunto, dato che ci sono pezzi provenienti da un sacco di fonti diverse (oltre che mica tanto complete, data la piccola portata dell'evento).

    La notte del 24 marzo 1939, approfittando della contemporanea assenza del Principe Francesco Giuseppe II e del Primo Ministro Josef Hoop, il Volksdeutsche Bewegung in Liechtenstein (VDBL), ovvero il raggruppamento filonazista del Principato, tenta (con l'appoggio delle SA e della Hitlerjugend del Vorarlberg) un colpo di Stato. Nel caso il piano fosse riuscito, i nazisti del Vorarlberg avevano già radunato, su iniziativa propria, circa 600 uomini armati per entrare nel Liechtenstein a "mantenere l'ordine" (va beh...). Il passo successivo sarebbe stata l'instaurazione di un regime filonazista e l'annessione al Reich. Ma il piano non era stato concordato con i vertici tedeschi, e le autorità della regione, venute a conoscenza della cosa, bloccarono l'ingresso dei volontari prima ancora dell'inizio dell'azione.
    I golpisti decidono allora di agire da soli, con i pochi membri delle SA e della Hitlerjugend che erano riusciti ad arrivare nel Principato, occupando i ponti sul Reno e marciando su Vaduz, ma falliscono miseramente: i 20 rivoltosi che sorvegliano i ponti di Schaan sono costretti a barricarsi in un edificio da un centinaio di residenti armati di forconi e altri arnesi, per poi arrendersi ed andarsene. Gli altri (un'ottantina) verranno dispersi a Vaduz. Ci saranno una ventina d'arresti (la metà rilasciati poco dopo), tra cui Theodore Schaedler, leader del VDBL, inizialmente accusato di alto tradimento (reato che prevedeva la pena di morte) ma poi "graziato" ed esiliato. Altri ripareranno in Austria.
    Intanto attorno al Principato accadono eventi "curiosi", anche se è abbastanza probabile che questi fatti non avessero legami diretti con il tentato golpe. Il 25 marzo la Svizzera mobilita le truppe di frontiera lungo il confine con la Germania, mentre il 26 i tedeschi concentrano forze militari nei pressi del lago di Costanza e nel Vorarlberg.
    Pochi giorni dopo, all'inizio di aprile, una riunione a Schaan in cui si propugnava l'unione economica con la Germania viene interrotta dalla polizia del Liechtenstein.
    Il 3 aprile la grande maggioranza degli aventi diritto di voto (circa il 95%, 2’492 su 2’610) firmano una petizione in cui si dichiara la propria fedeltà alla corona e si chiede la prosecuzione degli accordi economici con la Svizzera. Nei mesi successivi la Confederazione prenderà misure per aiutare l'economia del Liechtenstein.
    Infine, alle successive elezioni parlamentari nel Principato il VDBL si dissolve nel nulla.
    la conferma che con la monarchia i regimi estremisti di destra come di sinistra sarebbero stati impossibili, a meno di abbattere la monarchia

  2. #92
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    Predefinito Re: Seconda guerra mondiale e paesi neutrali : I parte la Svizzera

    Citazione Originariamente Scritto da Ringhio Visualizza Messaggio
    Se mi date un po di tempo, vi fornisco un testo strepitoso propio in merito alla Svizzera e all'ipotesi difensive in caso di una sua eventuale invasione.
    Un libro molto raro che mi è stato regalato da un esperto in materia, una decina di anni fa quando ancora esistevano i forum di libero.
    Se hai tempo e voglia, lo vedrò volentieri. Per intanto puoi darci il titolo del libro?

  3. #93
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    Predefinito Re: Seconda guerra mondiale e paesi neutrali : I parte la Svizzera

    « SVIZZERA: Sola, piccola e resistente
    TIME, Lunedi 7 dicembre 1942

    Nazioni più grandi della Svizzera sono state consumate dalla furia nazista per un minor numero di peccati. La Svizzera è democratica; è "
    poliglotta"; il suo più grande gruppo razziale è il tedesco. La sua cultura è inguaribilmente liberale e il suo più grande partito politico è quello socialdemocratico. È casa e simbolo dei più grandi esperimenti mondiali di internazionalismo che i nazisti detestano: la Società delle Nazioni e la Croce Rossa. Ora, con la guerra nel Mediterraneo, la Svizzera è diventata automaticamente colpevole del peccato capitale: essere sulla strada di Hitler.

    Anche se nessuna proposta di modificare queste circostanze erano ancora state fatte dai suoi vicini dell'Asse, la settimana scorsa gli svizzeri erano preoccupati. Le truppe tedesche, completando l'occupazione della Francia, avevano chiuso l'ultimo corridoio della Svizzera con il mondo esterno: il Paese è ormai una piccola, isolata anomalia democratica nel profondo dell'Europa totalitaria. L'intensificazione della propaganda tedesca in Svizzera ha portato molti svizzeri a credere che la Germania potrebbe voler riempire l'ultima lacuna in questo ideale pan-germanico il più presto possibile. La propaganda tedesca sta attaccando la Svizzera con una regolarità che ha suggerito una campagna consapevole. Il giornale nazista svizzero Die Front sta assecondando le lamentele della Wilhelmstrasse accusando il governo di "
    terrore, repressione, imbrogli e ingiustizia".

    L'Asse ha altre due armi di pressione. Uno è lo strangolamento economico. La principale linea vitale per l'economica della Svizzera, attraverso il Mediterraneo e il nord Italia, è diventata un filo molto sottile suscettibile di essere tagliato in una mezza dozzina di punti. La sua linea vitale secondaria, via terra da Lisbona attraverso la Francia, potrebbe essere tagliata da un momento all'altro. Infine, con le loro truppe su ogni frontiera, i tedeschi hanno l'arma della invasione militare.

    Paesi meno ostinatamente indipendenti avrebbero ceduto molto tempo fa, ma la reazione della Svizzera alla nuova situazione è stato quello di rispondere all'ovvia domanda prima ancora che fosse posta. Scrive il democratico Volksrecht: "
    È della massima importanza che non permettiamo in alcun modo di dubitare che nemmeno nella situazione più disperata capitoleremo volontariamente, e prima di poter essere piegati dovremo essere battuti." Queste non erano parole vuote. Anche la Svizzera aveva alcuni assi nella manica:

    - Contro la propaganda gli svizzeri hanno dimostrato il sano, distaccato istinto di un popolo che ha conosciuto e amato la libertà lungo.

    - Contro pressione economica gli svizzeri sanno che possono tagliare le forniture di preziosi strumenti di precisione che si stanno facendo per la Germania; si può vietare l'uso dei vitali assi ferroviari tra la Germania e l'Italia.

    - Contro attacco gli svizzeri hanno assi da giocare. Distruggerebbero i tre grandi trafori alpini del Lotschberg, del San Gottardo e del Sempione. Uomo per l'uomo, la Svizzera ha probabilmente il secondo miglior esercito d'Europa. Il suo stato maggiore, sotto il sagace, diminutivo [??], popolare generale Henri Guisan (il quarto in generale nella storia svizzera), ha costruito nelle Alpi un nocciolo difensivo che un esercito tre volte più grande di quello svizzero (600.000 uomini) potrebbe impiegare preziosi mesi per spezzare. L'esercito svizzero può essere mobilitato in mezz'ora.

    Con queste carte la settimana scorsa gli svizzeri hanno continuato con fiducia ma sobriamente a fare ciò che nessun altra piccola nazione in Europa poteva fare: far funzionare la Svizzera come gli svizzeri pensavano che dovesse funzionare. Sette soldati dell'esercito svizzero sono stati condannati a morte per tradimento - la prima condanna a morte per spionaggio militare della storia svizzera - nonostante gli avvertimenti del gornale nazista svizzero Die Front, secondo cui "
    sparare i primi colpi può essere pericoloso". A Zurigo, spettatori in piedi hanno applaudito la signora Miniver, che i critici salutato come "un documento commovente di coraggio democratico". La censura svizzera ha vietato il settimanale di Goebbels Das Reich perché ha stampato una caricatura di cattivo gusto del presidente Roosevelt. Il Volksrecht rispose con vigore al capo della stampa nazista Dietrich che la Svizzera stava abbandonando la "neutralità spirituale": "Respingiamo l'eunucheria spirituale. Basta con la castrazione mentale, che va sotto il nome di neutralità spirituale! I capi di Stato delle grandi potenze avrebbero dovuto ora imparare che né amore né simpatia possono essere comandati". »
    SWITZERLAND: Alone, Little & Tough - TIME
    (originale in inglese, traduzione di Google e mia)

  4. #94
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    Predefinito Re: Seconda guerra mondiale e paesi neutrali : I parte la Svizzera

    Dell'anno scorso, ma comunque...

    « 75 anni fa la prima vittima svizzera nella Seconda guerra mondiale
    Il giovane Rudolf Rickenbacher venne abbattuto in uno scontro con caccia tedeschi che avevano sconfinato nel Giura


    Rudolf Rickenbacher sale sul suo Messerschmitt 109 prima di essere abbattuto (Forze aeree svizzere)

    “Un pilota svizzero deceduto servendo la patria”. È quanto riporta uno scarno comunicato dello Stato maggiore dell’esercito con cui il 5 giugno 1940 venne data la notizia della prima vittima elvetica nel Secondo conflitto mondiale. Il luogotenente Rudolf Rickenbacher morì infatti il giorno prima in uno scontro a fuoco contro caccia tedeschi che erano sconfinati in territorio svizzero.

    Nel pieno della battaglia di Francia, una squadriglia tedesca era penetrata nella Svizzera nord-occidentale, sorvolando la regione del Giura, allo scopo di saggiare la reazione elvetica. Il giovane pilota era decollato con i colleghi alle 15 e 35 dall’aeroporto di Olten su un caccia di fabbricazione tedesca, un Messerschmitt bf 109, per intercettare gli intrusi. Nei pressi di Saignelégier (Giura) venne quindi colpito dopo aver aperto il fuoco contro gli aerei tedeschi. Il suo apparecchio prese fuoco e non potendo contare sul paracadute, rimasto danneggiato in quei concitati frangenti, fece un volo di 1'800 metri.

    Nello scontro aereo due caccia tedeschi furono abbattuti - e alcuni altri riportarono danni - dall’aviazione rossocrociata. Il maresciallo nazista Göring, come era in uso nei cieli secondo antichi codici cavallereschi, inviò una corona alle esequie del 25enne Rudolf Rickenbacher, che si tennero tre giorni dopo nel piccolo villaggio di Lotzwil. Corona che venne fatta a pezzi dalla popolazione locale.

    Quattro giorni dopo, l’8 giugno 1940, velivoli della Luftwaffe distrussero un secondo apparecchio militare svizzero, uccidendo i due occupanti e ferendone un terzo nei pressi di Porrentruy, sempre nel Giura. Nello scontro un caccia tedesco venne a sua volta abbattuto e un secondo aereo germanico fu costretto all’atterraggio e il suo equipaggio catturato.

    Svizzera e Germania Nazista stavano precipitosamente imboccando la strada del conflitto armato aperto. Per evitare la guerra, che avrebbe visto contrapporsi 230 aerei svizzeri a 4'000 velivoli della Luftwaffe, il Generale Guisan il 20 giugno ordinò ai piloti elvetici di non aprire il fuoco sull’avversario. Una decisione mal digerita, non solo dagli aviatori elvetici, ma che in ogni caso risparmiò altri lutti nella Confederazione, di fronte alle concrete minacce d'invasione provenienti da Berlino.
    »
    75 anni fa la prima vittima svizzera nella Seconda guerra mondiale - Tvsvizzera.it - La televisione svizzera per l?Italia

  5. #95
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    Predefinito Re: Seconda guerra mondiale e paesi neutrali : I parte la Svizzera

    « L'Italia fascista e la Svizzera nella Seconda Guerra mondiale

    Nel nostro contributo tenteremo di mettere a fuoco l'atteggiamento dell'Italia fascista verso la Svizzera durante la guerra, privilegiando il periodo chiave dell'estate 1940. Si tratta in somma di valutare quale è stato il peso dell'Italia all'interno dell'Asse nella politica comune adottata verso la Confederazione.
    L' atteggiamento dell' Italia fascista e di Mussolini fra le due guerre era stato caratterizzato da una politica ufficiale improntata all' amicizia, con fasi però di tensione dovuta a incidenti
    di vario tipo:
    - le agitazioni antifasciste in Ticino soprattutto nei primi anni del fascismo;
    - l'arresto di Cesare Rossi da parte della polizia italiana nei pressi di Campione nel 1928;
    - il volo di Bassanesi nel 1930;
    - il problema dell'irredentismo in Ticino.

    Malgrado le solenni promesse di amicizia, Mussolini non aveva esitato a incoraggiare iniziative più discrete miranti alla propaganda culturale e politica e alla diffusione del fascismo in Ticino e nel resto della Svizzera.
    Basterà qui citare il caso delle sovvenzioni versate nel 1930-31 a un membro del governo ticinese - il conservatore Angiolo Martignoni - allo scopo precipuo di influire sulle elezioni politiche nel cantone. Senza dimenticare il notevole aiuto offerto direttamente da Mussolini al movimento fascista del colonnello Fonjallazl. Anche Georges Oltramare e la sua Union nationale di Ginevra erano stati fortemente aiutati e finanziati dall' Italia, nel contesto della crisi etiopica e delle sanzioni decise dalla Società delle Nazioni contro l' Italia.

    Fino alla guerra, il regime fascista aveva investito somme considerevoli per la sua propaganda in Svizzera, somme molto più importanti di quelle spese dalla Germania nazista. Con quali risultati? Un movimento come quello di Fonjallaz e delle sue comparse ticinesi aveva senz' altro contribuito a discreditare ancor più l'immagine del fascismo italiano, e ad accrescere l'ostilità della popolazione ticinese ...
    Il diario di Galeazzo Ciano, genero di Mussolini e ministro degli affari esteri dal 1936 al 1943, è un documento fondamentale, che contiene fra l'altro accenni ai sentimenti profondi di Mussolini verso la Confederazione.
    Dopo l' Anschluss austriaco del marzo 1938, Mussolini confida a Ciano che così «
    si è tolto un equivoco dalla carta europea. Ed elenca i tre che ancora esistono e che, a suo avviso, dovranno in questo ordine, seguire la stessa sorte: Cecoslovacchia, Svizzera e Belgio ».

    Quando la Svizzera nel maggio 1938 ritorna alla neutralità integrale, sganciandosi dalla Società delle Nazioni ormai in crisi, l'Italia riconosce ufficialmente la neutralità della Confederazione, ma il Duce commenta, come riferisce sempre Ciano: «
    Quando dico che la Svizzera è il solo paese che può essere democratico, credono che sia un complimento ed è un 'ingiuria atroce. Sarebbe come dire a un uomo che solo lui può essere gobbo ed eunuco. Solo un paese vile, brutto ed insignificante, può essere democratico. Un popolo forte ed eroico tende all'aristocrazia. »
    Il 30 novembre 1938, dopo il Patto di Monaco e l'annessione dei Sudeti da parte della Germania, Mussolini espone di fronte al Gran Consiglio del fascismo i suoi progetti di espansione per i prossimi anni («
    le linee direttive del programma fascista negli anni a venire »). Fra questi progetti per il futuro c'è anche il Ticino.
    Come riferisce il diario di Bottai, presente alla seduta, Mussolini dichiara: «
    Infine terremo di mira la Svizzera. La Svizzera sta crollando. I giovani svizzeri non sentono la Svizzera. Noi porteremo il nostro confine al Gottardo. ».

    Testimonianze, queste, che permettono di vedere dietro i discorsi ufficiali quali sono i sentimenti profondi del dittatore italiano verso la Confederazione: un equivoco sulla carta destinato verosimilmente a sfasciarsi, nel qual caso l'Italia dovrà cercare di raggiungere il Gottardo. E che mostrano anche il disprezzo viscerale per le istituzioni democratiche e per la neutralità.
    Queste dichiarazioni, però, come pure l'opera nascosta di propaganda incoraggiata dal Duce, non devono portarci a credere che prima dello scoppio della guerra Mussolini perseguisse piani concreti di aggressione.
    È certo che al di là delle frasi dette a Ciano, o di talune velleità mussoliniane per il futuro, nessun serio progetto fu preparato contro la Confederazione. Anche se, all'epoca, soprattutto in Ticino, e sotto il fuoco della roboante propaganda italiana, si poté a volte pensare il contrario. Il governo fascista doveva ovviamente tener conto di argomenti di peso, come gli importanti scambi commerciali fra i due paesi e i notevoli investimenti svizzeri nell' economia italiana. Senza parlare della presenza in Svizzera di oltre 100'000 regnicoli che nella Confederazione avevano trovato lavoro. Prima dello scoppio della guerra mondiale era impensabile, insomma, che Mussolini potesse seriamente concepire il progetto di uno sconvolgimento dell'assetto della Svizzera neutrale.
    Occorre quindi distinguere fra dichiarazioni spregiudicate e sprezzanti come quelle fatte a Ciano, o l'opera di penetrazione e di propaganda, e la preparazione di piani concreti, che non ci furono.

    L'entrata in guerra dell'Italia e la posizione di Mussolini verso la Svizzera


    Nei suoi colloqui di Salisburgo con Hitler e Ribbentrop dell' 11 e 12 agosto 1939, Galeazzo Ciano scoprì bruscamente la cieca determinazione dei suoi interIocutori, «presi dal demone della distruzione», di entrare in guerra contro la Polonia. Il ministro degli affari esteri, che pure aveva notevolmente contribuito all' alleanza fra Italia e Germania, concretizzata nel «Patto d' acciaio» del maggio 1939, riuscì provvisoriamente a calmare i bollori di Mussolini, impaziente di seguire le orme dei Tedeschi. Così, nel settembre 1939 l'Italia dichiarò la sua neutralità, o per meglio dire la sua «non belligeranza».
    Era impensabile, però, che il Duce potesse rimanere a lungo estraneo al conflitto. Egli voleva la « sua parte del bottino », daottenersi prima di tutto in Jugoslavia, e più precisamente in Croazia e Dalmazia. Più fondamentalmente, come mostra il diario di Ciano alla data 27 maggio 1940, Mussolini voleva la sua guerra: «
    In fondo non è ch'egli [Mussolini] vuole ottenere questo o quello: vuole la guerra. Se pacificamente potesse avere anche il doppio di quanto reclama, rifiuterebbe ».

    Finalmente, il 10 giugno 1940, quando le sorti della Francia invasa dalla Wehrmacht sembrano già decise, Mussolini annuncia l'entrata in guerra dell'Italia. Nel suo discorso promette che l'Italia non trascinerà però nel conflitto gli stati vicini, e menziona fra questi, al primo posto, la Svizzera. Anche la Grecia è citata fra questi paesi da non toccare, la Grecia che però sarà aggredita nell'ottobre seguente dalle forze italiane ...
    La promessa italiana di rispettare la Confederazione è seguita dall'altra promessa di Roma di garantire come sino ad allora il transito attraverso i porti italiani delle merci destinate alla Svizzera. Si tratta di un elemento molto importante per l' approvvigionamento della Confederazione. Nel settembre 1939, un accordo di transito era stato concluso fra i due paesi: un accordo giudicato dagli esperti elvetici come «molto favorevole». Un testo nel quale Roma si impegnava a permettere il transito delle merci ( soprattutto gli idrocarburi), destinate alla Svizzera, attraverso i porti di Genova, Vado Ligure, Savona e Trieste. Fino al luglio 1943, il governo italiano rispetterà l'accordo firmato nel 1939, e durante la sola annata 1941 circa un milione di tonnellate di merci (l'equivalente di 100'000 vagoni ferroviari) giungeranno nella Confederazione attraverso i porti italiani.

    Il 18 giugno 1940, il ministro d'Italia a Bema, Attilio Tamaro, invia a Roma un importante rapporto nel quale descrive il colloquio appena avuto col suo collega tedesco, Kercher. Questi, verosimilmente su incarico di Berlino, gli aveva chiesto « ...
    se non penso che uno Stato come la Svizzera abbia perduto la ragione della sua esistenza nell'Europa che sta per uscire dalla guerra. Mi ha detto quindi che «molti» germanici sono dell'opinione che la parte tedesca della Confederazione, appunto perché tedesca, debba essere ricongiunta al Reich per completare l'unità nazionale. Non mi è sembrato personalmente contrario a questa idea. Ha soggiunto però che in Germania si pensa che il Duce sia ostile a una spartizione della Svizzera, e che solo perciò non si possa fare. Infatti, ha continuato, il Ticino è poca cosa, mentre la parte tedesca è importante ».
    Nel seguito del suo rapporto, Tamaro scrive di aver avuto l'impressione, ascoltando il ministro Kocher, che i Tedeschi hanno l'intenzione, nel caso di una spartizione della Svizzera, di annettersi anche il Vallese, per giungere sino al Sempione. li diplomatico italiano confessa di non conoscere le idee del suo governo circa il futuro della Svizzera. Riconosce che essa «
    può sembrare perdere la ragione d'essere nelle grandi trasformazioni in corso », ma pensa che il Duce rimanga favorevole all' esistenza della Confederazione. li diplomatico conclude il suo rapporto con questa riflessione: « Se però lo svolgimento elementare di tutte le situazioni portasse a mutazioni anche sulle Alpi e l'andamento della politica d'alleanza rendesse non più pericoloso lo stabilimento del Reich sul Gottardo, resterebbe sempre necessario per noi [. .. ] ottenere non solo il massiccio del Gottardo, ma anche i suoi fianchi: tutto il Vallese e tutta l' Engadina

    li rapporto del ministro Tamaro incita le autorità fasciste a precisare per iscritto le rivendicazioni italiane in caso di spartizione della Confederazione. Alcune note di sintesi sono redatte a partire dal 22 giugno, note che sviluppano il concetto della famosa «
    Catena mediana delle Alpi », tesi già avvalorata negli anni precedenti da numerose pubblicazioni incoraggiate da Roma, col contributo di pochi irredentisti, fra cui il ticinese Aurelio Garobbio. Questa tesi è così riassunta in un appunto del Ministero degli affari esteri italiani: « Il confine naturale della Penisola sulle Alpi Centrali è dato dalla Catena mediana e comprende politicamente tutto il Canton Vallese, la conca di Orsera (Andermatt) nel Canton Uri, tutto il Canton Ticino, tutto il Cantone dei Grigioni, la plaga di Ragaz nel Canton San Gallo, per un'area totale di kmq. 15'500 con 430 '000 abitanti ». A inizio giugno, già prima dell'arrivo a Roma del rapporto del ministro Tamaro, lo Stato maggiore italiano era stato incaricato di preparare i piani militari per un' eventuale operazione diretta contro la Svizzera. La prima diretti va in tal senso, del 7 giugno, firmata dal generale Roatta, contempla solo l'occupazione del Ticino, ed inizia con questa premessa: « Nell'eventualità che venga da altri violata la neutralità svizzera, e che risulti necessario che le forze italiane occupino il saliente ticinese ... ». Risulta perciò che l'Italia non ha l'intenzione di prendere l'iniziativa di un'aggressione, ma si riserva di agire se « altri » - cioè l'alleato tedesco - darà il via ad un'operazione militare contro la Confederazione.
    Nelle settimane successive, lo Stato maggiore italiano elabora nuovi piani che prevedono diverse soluzioni in caso di uno «smembramento» della Svizzera. li piano d'operazione del 15 luglio, ad esempio, contempla una « soluzione radicale », vale a dire ilraggiungimento dell'obbiettivo della «Catena mediana delle Alpi». li testo mette però in evidenza alcuni seri problemi collegati a un simile obbiettivo.
    Ecco il passaggio centrale:

    «
    SOLUZIONE RADICALE:
    1 - Tale soluzione - che comporta lo smembramento della Confederazione e la ripartizione del suo territorio fra tre nazioni confinanti sulla base dei limiti etnico-linguistici che inquadrano le varie nazionalità costituenti la popolazione della Svizzera - non risponde in pieno ai nostri interessi (come è già stato affermato dal Duce), perché: -la grande maggioranza della popolazione della Svizzera (72%) è di nazionalità tedesca, mentre l'Italia (7%, compreso 1% di ladini) viene buona ultima, dopo la Francia (20,4%);
    - non conviene all'Italia di estendere maggiormente il contatto diretto (confine) con una nazione militarmente più forte ed animata dafortissime mire espansionistiche, quale è la Germania; [...]»

    Questo passaggio, molto illuminante, confenna che Mussolini non era favorevole ad una spartizione della Svizzera, perché la porzione riservata all'Italia sarebbe stata irrilevante in confronto a quella destinata alla Germania. Il Duce, d'altra parte, dato il « fortissimo espansionismo » dei Tedeschi, temeva che una spartizione della Confederazione portasse ad un'estensione del confine fra l'Italia e il Reich.
    I piani militari elaborati dallo Stato maggiore italiano, su mandato di Mussolini, vanno quindi considerati come documenti preparati per far fronte all'eventualità in cui «altri» - cioè l'alleato tedesco - avesse preso l'iniziativa di aggredire la Svizzera. In tal caso, l'Italia doveva essere pronta a far valere le sue rivendicazioni, per cercare di ottenere il massimo possibile, pur essendo cosciente che una partecipazione allo smembramento della Svizzera avrebbe fatto sorgere difficoltà e conflitti con il temuto alleato tedesco. Tutto sommato, Mussolini non era animato dalla volontà di difendere per principio la neutralità elvetica, ma da considerazioni di realismo politico.

    Risulta perciò che nell'estate 1940, solo la Gennania nazista poteva prendere l'iniziativa di un' aggressione contro la Svizzera. All'inizio di giugno, gli incidenti aerei sopra l'Ajoie, nel corso dei quali aviatori svizzeri abbattono velivoli tedeschi rei di avere violato lo spazio aereo elvetico, suscitano la viva irritazione di Hitler. Così, il 19 giugno, Ribbentrop invia a Berna una nota minacciosa esigendo le scuse del governo svizzero e aggiungendo che nel caso di nuovi incidenti, il Reich non si limiterà più ad una protesta diplomatica ma garantirà i suoi interessi «in un altro modo».

    D'altra parte, come ha mostrato Klaus Urner, Hitler persegue l'obbiettivo dello «strangolamento economico » della Confederazione. Il 18 giugno, nel corso dell'incontro con Mussolini al Brennero, il dittatore tedesco incita il Duce ad intraprendere l'offensiva contro la Francia sulle Alpi, in modo da effettuare il congiungimento con le armate tedesche che avevano invaso la Francia dal nord, per realizzare l' accerchiamento completo del territorio della Confederazione. Questo piano non riuscirà, data la notevole resistenza delle truppe francesi sulle Alpi. La Svizzera disporrà così di quello che è stato chiamato il «buco di Ginevra», cioè la possibilità di comunicare attraverso il territorio ginevrino con la Francia di Vichy, non occupata dai Tedeschi fino al novembre 1942. Da metà giugno, imponenti forze tedesche sono schierate in Francia nelle vicinanze immediate della frontiera del Giura. Durante la loro avanzata, le truppe tedesche avevano scoperto i documenti che rivelavano gli accordi segreti conclusi dopo l'inizio della guerra fra i responsabili dell'esercito francese e il generale Guisan, all'insaputa del Consiglio federale.
    Secondo questi accordi, in caso di aggressione della Svizzera, truppe francesi sarebbero dovuto entrare dal Giura per prestare man forte all'esercito svizzero. Hitler era stato immediatamente avvertito della scoperta, ma aveva preferito non farne uso ufficialmente, forse per lasciar pendere una minacciosa spada di Damocle sulle autorità elvetiche. Il 24 giugno, alla vigilia dell'entrata in vigore dell'armistizio concluso con la Francia di Vichy, Hitler impartisce gli ordini per la preparazione in tutta fretta di un piano d'operazione contro la Svizzera. Il 25 giugno, il presidente della Confederazione Pilet-Golaz pronuncia il suo celebre discorso nel quale non evoca né la democrazia né l'esercito. Un discorso tutto teso a non irritare i Tedeschi, e percepito da una parte dell'opinione svizzera come una capitolazione.

    Nei giorni seguenti, su iniziativa del generale Guisan e del Consiglio federale, convinti che la guerra è ormai finita, inizia la smobilitazione parziale dell' esercito. Il famoso Ridotto nazionale, al quale Guisan farà allusione il 25 luglio nel suo discorso del Griitli, non è ancora operativo, e lo sarà soltanto a partire dal maggio del 1941. Appare perciò molto difficile sostenere che in questa fase estremamente critica, l'esercito svizzero, male armato e in fase di smobilitazione, abbia potuto costituire un serio fattore di dissuasione nei confronti del Reich.
    A questo proposito, è interessante leggere quanto scrive l' 8 agosto 1940 nel suo diario il capitano von Menges, l'ufficiale tedesco incaricato dell'elaborazione del piano d'operazione contro la Svizzera: «
    Lavoro allo studio per la Svizzera, la situazione essendosi modificata in seguito alla smobilitazione iniziata e al nuovo spiegamento svizzero. La Svizzera sa che noi la teniamo, dato che abbiamo scoperto in Francia i documenti sulla collaborazione fra gli Stati maggiori franco-svizzeri, ma che non abbiamo ancora pubblicati. Però essi continuano a tenere dei propositi incendiari nella loro stampa. lo non credo che la Svizzera si difenderebbe con le armi. Sarebbe una follia ».

    Per fortuna sua, la Svizzera non fa parte però degli obbiettivi prioritari dell' espansionismo nazista. Hitler è ben più preoccupato dalla guerra contro la Gran Bretagna che continua a resistere e dalla preparazione dell'attacco contro l'Unione sovietica, cui egli accenna di fronte ai suoi generali già il 30 luglio 1940.
    Per i dirigenti nazisti, risulta in definitiva più utile lasciar sussistere una Svizzera politicamente indipendente, ma la cui economia sia in grado di contribuire allo sforzo di guerra del Reich.
    Il 9 agosto 1940, è concluso l'accordo in base al quale il governo elvetico versa un credito di 150 milioni di franchi alla Gennania, somma elevata l'anno seguente a 850 milioni. Da parte sua, la Banca nazionale svizzera effettua i primi acquisti di oro proveniente dalla Reichsbank, fornendo in cambio i pregiati franchi svizzeri, accettati da tutti i belligeranti. il mantenimento dell'asse di transito attraverso il Gottardo fra la Germania e l'Italia è un altro argomento di non poco peso che gioca in favore del rispetto dell' indipendenza svizzera.

    Per alcuni mesi, però, i pericoli per la Svizzera sussistono, come mostra questa annotazione tratta dal diario redatto dal grande industriale della gomma Alberto Pirelli, uomo di fiducia di Mussolini per diverse importanti missioni all'estero. Alla data del lO settembre 1940, Pirelli riassume in questi termini un suo colloquio con un alto funzionario del Ministero italiano degli esteri: «
    Problemi Jugoslavia, Grecia e Svizzera rimandati. Ci fu un giorno in cui sembrava che la rottura fosse questione di ore [l' allusione alla «rottura» deve riferirsi alla Grecia]. Quanto alla Svizzera, Ciano sembra non entusiasta di spartirla ma Ribbentrop sembra nettamente favorevole - ed anche per le eventuali delimitazioni (Maloja) bisognerà ... fare quello che ... ». La frase è monca, ma i tre puntini stanno verosimilmente ad indicare che in ogni modo l'Italia dovrà fare quel che deciderà l'alleato tedesco. L'informazione è comunque importante, perché rivela che ancora all'inizio di settembre, un uomo dell'influenza di Ribbentrop non aveva rinunciato all'idea di una spartizione della Svizzera. Poche settimane dopo la data dell' annotazione di Pirelli appena citata, le sorti della Svizzera sembrano chiarirsi, e la minaccia di un' aggressione scomparire. il 26 settembre 1940, infatti, una nota dello Stato maggiore dell'esercito italiano, firmata dal generale Roatta, precisa quanto segue: « Si informa che, in seguito a superiore decisione [Mussolini], studi e predisposizioni concernenti l'esigenza «S» [cioè i piani d'operazione concernenti la Svizzera], devono essere sospesi ». il che sta a indicare che Mussolini, probabilmente in seguito ad un accordo con Hitler, aveva dato ordine di sospendere la preparazione di qualsiasi piano d' operazione destinato alla Svizzera.
    Il Duce, però, non aveva rinunciato ad intervenire militarmente in Grecia, uno Stato che egli aveva elencato nel suo discorso del 10 giugno fra quelli da non toccare. il 19 ottobre, nell'imminenza dell' aggressione alla Grecia, Mussolini invia ad Hitler un'importante lettera nella quale gli annuncia che egli è deciso «
    a rompere gli indugi e prestissimo » con quel paese. Una parte della lettera è dedicata a quelle che il dittatore italiano chiama le « posizioni inglesi sul continente ». Scrive Mussolini: « Credo che nell'ipotesi di un prolungamento della guerra Voi siate d'accordo con me nel ritenere indispensabile di scardinare le superstiti posizioni inglesi nel Continente europeo. Questo scardinamento è un' altra condizione della vittoria. Esse sono le seguenti: Portogallo, Jugoslavia, Grecia, Turchia, Egitto, Svizzera. [...] Sono sicuro che non Vi sorprenderete di vedere anche la Svizzera compresa fra le superstiti posizioni continentali della Gran Bretagna. Col suo incomprensibile atteggiamento ostile la Svizzera pone da sè il problema della sua esistenza ».

    Nella sua biografia di Mussolini, lo storico Renzo de Felice ha commentato questo passo, scrivendo che in esso «
    il 'Duce' offriva a Hitler una sorta di mano libera - sino allora negatagli - per smembrare, se lo avesse voluto, la Svizzera ». Anche noi pensiamo che sino ad allora, il Duce avesse piuttosto contribuito a « frenare » l'alleato tedesco, sulla base di considerazioni realistiche cui abbiamo accennato precedentemente. Va sottolineata però la notevole pericolosità della suggestione fatta da Mussolini ad Hitler: è quasi un incitamento ad agire contro la Confederazione. L'esito della campagna di Grecia costringerà il dittatore italiano a ridimensionare ogni sua ambizione.
    L'aggressione, iniziata il 18 ottobre senza l'accordo di Hitler, si trasforma rapidamente in una sconfitta umiliante per le forze italiane ricacciate addirittura all'interno dell' Albania dall' esercito greco. Come ha scritto Renzo de Felice, la sconfitta italiana in Grecia costringerà il Duce a rinunciare alla sua « guerra parallela », condotta cioè parallelamente a quella dell'alleato tedesco, per limitarsi ad una molto più modesta « guerra subordinata ». A partire dalla sconfitta italiana in Grecia, ogni iniziativa militare - e quindi anche un'eventuale operazione riguardante la Svizzera - è ancor più saldamente di prima nelle mani dei Tedeschi.

    Anche in materia di relazioni finanziarie con la Svizzera, l'Italia non fa che seguire !'iniziativa e l'esempio della Germania. Infatti, quando la Germania ottiene, il9 agosto 1940, un credito di 150 milioni dalla Svizzera, l'Italia si rivolge a sua volta al governo elvetico per richiedere somme ingenti, addirittura 300 milioni di franchi!
    TI 23 agosto, il governo svizzero le accorda un credito di 75 milioni (che verrà poi raddoppiato l'anno seguente), e che servirà alla fornitura di armi e munizioni per l'esercito italiano.
    Nel prendere una tale decisione, il Consiglio federale si basa su considerazioni di natura politica: si tratta in somma di una concessione tesa a mantenere l' «amicizia di Mussolini», e ad assicurare l'utilizzazione del porto di Genova per il transito di merci destinate alla Svizzera. Durante l'estate del 1941, in seguito al nuovo credito di 850 milioni di franchi concesso da Berna al Reich, il governo italiano esigerà dalla Svizzera, con grande insistenza, nuove ingenti somme di denaro. Le richieste italiane verranno accompagnate da minacciose campagne di stampa nel tentativo di intimidire le autorità svizzere per indurle a cedere: senza gran risultato però, data la posizione di fermezza assunta dal governo elvetico, su consiglio del ministro di Svizzera a Roma, Paul Ruegger.

    Durante la guerra, la linea del Gottardo rappresenta per Italia e Germania un asse di transito di grande importanza. È attraverso il Gottardo che passano gran parte delle merci - soprattutto il carbone - che il Reich fornisce all'alleato italiano. Il livello massimo di questo traffico sarà raggiunto nel 1942, con una media mensile di oltre 500'000 tonnellate, di cui oltre i 3/4 di carbone! La messa a disposizione della linea, se obiettivamente rappresenta un contributo allo sforzo bellico delle potenze dell'Asse, è un dovere al quale la Svizzera è tenuta in base alla Convenzione del Gottardo del 1909 (firmata anche dalla Germania e dall'Italia).
    Questa prestazione elvetica controbilancia in qualche modo il notevole contributo che il porto di Genova dà all'approvvigionamento della Svizzera. In definitiva, la linea del Gottardo ha rappresentato per la Confederazione un elemento dissuasivo di grande importanza.

    Quale Stato neutro, la Svizzera svolge durante il conflitto un ruolo notevole in veste di «Potenza protettrice», incaricata cioè di difendere gli interessi di circa 35 Stati belligeranti presso i loro rispettivi nemici. È un compito che implica fra l'altro la visita e l'invio di soccorsi ai prigionieri di guerra e ai civili internati, il rimpatrio di civili e di diplomatici, ecc.
    La Confederazione si assume l'incarico di difendere gli interessi dell' italia presso una decina di paesi in guerra con il Regno, particolarmente negli Stati Uniti dopo la loro entrata in guerra con l'Italia nel dicembre 1941, come pure nella Gran Bretagna e nell'insieme dell'Impero britannico.
    Sono i funzionari svizzeri che nel 1941 organizzano il rimpatrio della numerosa colonia italiana d'Etiopia (circa 28'000 persone), in seguito all'occupazione da parte delle truppe britanniche dell' Africa orientale italiana.
    Le autorità elvetiche sono dell'avviso che il ruolo svolto dalla Svizzera, come potenza protettrice, contribuisce in un certo modo a garantire la sicurezza del paese, dato che la sua azione si svolge a profitto dei due campi di belligeranti.

    Conclusione

    In seno all'Asse, l'Italia fascista costituisce il polo minore, di gran lunga il più debole militarmente, per di più male informato dei progetti tedeschi. La scelta e la decisione dell'iniziativa sono nelle mani di Hitler, benché Mussolini nutra inizialmente il desiderio di condurre la sua «guerra parallela » in modo autonomo. Comunque, gli obiettivi prioritari del Duce, all'inizio della guerra, si trovano in Jugoslavia e nei Balcani.
    Roma si accorge presto - come mostra il rapporto steso dal ministro Tamaro nel giugno 1940 - che le ambizioni della Germania in caso di spartizione della Svizzera sono esorbitanti.
    All'Italia toccherebbe soltanto una piccola parte del territorio elvetico - il Ticino -, e quasi nulla delle sue ricchezze economiche. Questo disaccordo fra gli appetiti tedeschi e italiani contribuisce forse a spiegare perché, nel periodo critico dell'estate 1940, nulla sia stato intrapreso contro la Confederazione da parte di Hitler. È durante questo periodo critico che il capo del Dipartimento politico, Marcel Pilet-Golaz, sviluppa la sua politica di profilo basso, fatta di concessioni tese a salvare l'essenziale.
    Da parte sua, Mussolini teme che un' eventuale spartizione della Svizzera porterebbe ad un' estensione del confine con l'alleato tedesco. Alleato sì, ma temuto per il suo espansionismo e per il suo superiore armamento.

    Forse la Svizzera è « un equivoco della carta europea » come il Duce aveva in precedenza dichiarato a Ciano, però essa può rivelarsi assai utile per l'Italia come Stato tampone. Non è perciò la volontà di rispettare per principio la neutralità della Confederazione che induce Mussolini a non prendere iniziative concrete contro di essa, ma sono considerazioni strategiche e improntate al realismo politico. L'iniziativa del Duce nell'ottobre 1940, quando egli suggerisce ad Hitler lo « scardinamento » della Svizzera, da lui considerata come una « posizione inglese » sul continente, appare comunque assai pericolosa. Si tratta però di un suggerimento che giunge in un momento nel quale i progetti tedeschi si spostano altrove. Poco dopo, la disastrosa sconfitta subita in Grecia avrà come effetto di neutralizzare gli eventuali propositi bellicosi del dittatore italiano, costringendolo a rinunciare definitivamente alla sua « guerra parallela ».
    Dopo il periodo - critico per le sorti della Svizzera - dell' estate 40, la politica delle potenze dell' Asse è ormai condizionata da altri progetti, primo fra tutti quello della preparazione della guerra all'Est. Inoltre, le autorità elvetiche sanno sfruttare assai abilmente gli elementi dissuasivi di cui il paese dispone. Le prestazioni economiche e finanziarie, che la Svizzera fornisce alla Germania ma anche all'Italia, rivestono un innegabile valore politico e protettivo per la Confederazione. Né va dimenticata l'importanza che l'asse del Gottardo riveste per il transito di merci fra la Germania e l'Italia, come pure il ruolo svolto da Berna per la protezione degli interessi tedeschi e italiani presso i loro nemici.

    L'Italia cerca di approfittare al massimo - seguendo l'esempio dell'alleato tedesco - della situazione critica della Svizzera per esigere da essa somme eso bitanti destinate a finanziare il suo sforzo bellico, e accompagna le sue richieste con articoli minacciosi pubblicati sui giornali del regime. Ma i diplomatici svizzeri - primo fra tutti il ministro a Roma, Paul Ruegger - capiscono l'antifona e incitano il Consiglio federale a non cedere. Con l' evolvere della guerra in un senso favorevole agli Alleati, l'Italia fascista diventa sempre più l'anello debole dell' Asse, all'interno del quale essa esercita un ruolo sempre più ridotto, fino al crollo del regime nel luglio 1943.
    »
    http://m4.ti.ch/fileadmin/DECS/DS/Ri...a_mondiale.pdf

  6. #96
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    Predefinito Re: Seconda guerra mondiale e paesi neutrali : I parte la Svizzera

    « Il numero di ebrei respinti alla frontiera svizzera rivisto al ribasso
    Il numero degli ebrei respinti al confine franco-svizzero durante la Seconda Guerra Mondiale potrebbe essere significativamente inferiore a quello avanzato dal rapporto Bergier, secondo il lavoro di Ruth Fivaz Silbermann presentato a Ginevra il Sabato.

    La storica, che ha lavorato 19 anni per il suo dottorato di ricerca "La fuga in Svizzera", ha rintracciato 2.844 ebrei respinti al confine franco-svizzero durante la seconda guerra mondiale, utilizzata da due terzi dei rifugiati che volevano sfuggire alla Germania nazista.

    Durante la seconda guerra mondiale, più di 15.000 ebrei si sono presentati al confine franco-svizzero, poco meno del 20% - o 2844 - sono stati allontanati, secondo la sua ricerca.

    Tra questi, il ricercatore dell'Università di Ginevra ha identificato 248 ebrei che furono deportati e uccisi dopo il loro ritorno dalla Svizzera. Ma gi archivi erano incompleti, si stima che oltre a queste poche centinaia di ebrei, altri che non sono stati identificati sono stati uccisi dopo il loro respingimento dalla Svizzera.

    24'398: il numero della Commissione Bergier

    Con il suo lavoro, Ruth Fivaz Silbermann mette in discussione il numero di 24'398 civili respinti durante la seconda guerra mondiale, utilizzata per il rapporto Bergier, che si stimava includesse una maggioranza di ebrei.

    La commissione di esperti istituita dalla Svizzera per far luce sulla questione dei fondi non riscossi, tuttavia, non ha studiato la questione di quante persone sono state respinte alla frontiera, dato che questo non faceva parte del suo mandato. È su questo che si basano anche le critiche odierne dello storico francese Serge Klarsfeld.

    Il numero 24'398 utilizzato nella relazione viene da uno studio del 1996 di Guido Koller, uno storico nell'Archivio federale a Berna. Esso comprende anche persone di altre fedi e alcuni rifugiati sono stati espulsi più volte - secondo Etta Dagan, che abbiamo incontrato alle 19 : 30. Questo è il motivo per cui il numero dei respingimenti è necessariamente superiore a quello delle persone effettivamente respinte.

    Contattato da RTS, Georg Kreis, membro della Commissione Bergier, e Guido Koller non hanno voluto prendere una posizione rispetto alla voluminosa tesi (oltre 1000 pagine) di Ruth Fivaz Silbermann, che essi non hanno letto. Entrambi, tuttavia, hanno ben accolto il fatto che i nuovi studi forniscono un quadro più preciso della politica svizzera e le sue conseguenze in questo conflitto globale che causò 6 milioni di vittime ebree in tutto il mondo tra il 1939 e il 1945.

    Lavori precedenti

    Per Ruth Fivaz Silbermann non è stata la sola a gettare, con le sue indagini, nuova luce sulla politica svizzera del tempo. Altri due storici, ebrei come lei, sono arrivati negli ultimi anni alla stessa conclusione della ricercatrice ginevrina, sapendo che il numero degli ebrei respinti è stato più modesto di quello riportato del rapporto Bergier.

    Serge Klarsfeld, che ha lavorato sugli archivi dell'Olocausto, aveva indicato, sette anni fa, che 3.000 ebrei furono respinti dalla Svizzera.

    Per quanto riguarda Henry Spira, autore dello studio più completo sul confine del Giura, egli ritiene che le cifre sono state sovrastimate in quanto includono tutti i passaggi volontari della frontiera: ad esempio, i rifugiati che entrarono in Svizzera dal confine settentrionale per poi fuggire tramite Ginevra o tutti i rifugiati che sono rientrati volontariamente dal 4 agosto 1944, quando la Francia, il Belgio e l'Olanda sono stati liberati.

    Rothmund riabilitato?

    Ruth Fivaz Silbermann ha anche scoperto che Heinrich Rothmund, il direttore della divisione di polizia del Dipartimento di giustizia e polizia che ha incarnato la durezza della politica svizzera, è stato ben più morbido nell'attuazione della decisione del Consiglio federale di chiudere confina a ebrei il 4 Agosto 1942.

    « Non era in alcun modo antisemita », ha detto la ricercatrice che ha scoperto alcuni documenti che indicano una politica meno restrittiva applicata da Heinrich Rothmund.
    »
    https://www.rts.ch/info/suisse/86550...la-baisse.html
    (originale in francese, traduzione mia)

  7. #97
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    Predefinito Re: Seconda guerra mondiale e paesi neutrali : I parte la Svizzera

    « L'intervento di Walter Stucki nel 1944 è stato benefico
    Ogni anno, l'associazione elvetica nel Borbonese rende omaggio all'ambasciatore svizzero Walter Stucki il giorno della loro festa nazionale, il 1.o agosto.

    Davanti al monumento dei morti di Vichy, una cinquantina di persone si è riunita ieri per una cerimonia dal doppio significato.
    Come ogni anno in occasione della festa nazionale svizzera del 1.o agosto, gli aderenti all'Associazione Elvetica nel Borbonese celebrano il loro attaccamento alla Patria d'origine e, nello stesso tempo, rendono omaggio a Valter Stucki.

    Il salvatore di Vichy

    Ambasciatore svizzero in Francia dal 1938 al 1944, si trovava a questo titolo a Vichy sotto l'occupazione. Dopo l'evacuazione del maresciallo Pétain da parte dei tedeschi, il 20 agosto 1944, prende in mano la situazione. È grazie al suo pressante intervento presso le forze francesi dell'Interno e del comandante tedesco che la città fu salvata da una probabile distruzione, dato che i combattimenti erano sul punto di scoppiare.

    Un centinaio di suoi compatrioti vivono ancora oggi nel Borbonese, dove una sessantina hanno aderito all'associazione. Dopo la deposizione del bouquet e la lettura di un'allocuzione del Presidente della Confederazione svizzera, Doris Leuthard, è prevista una colazione al castello di Bost a Bellerive.
    »
    https://www.lamontagne.fr/vichy/vie-..._12503914.html
    (originale in francese, traduzione mia)

  8. #98
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    Predefinito Re: Seconda guerra mondiale e paesi neutrali : I parte la Svizzera

    Segnalo un videodocumentario creato da Marco Grünenfelder e Jan Baumgartner come lavoro di maturità alla Scuola Cantonale di Zugo. È in tedesco, e anche per la mia scarsa conoscenza della lingua non posso "garantire" su quanto viene detto, ma di certo i video sono molto interessanti.
    Dura circa 35 minuti.


  9. #99
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    Predefinito Re: Seconda guerra mondiale e paesi neutrali : I parte la Svizzera

    « Una "ambasciata" della Resistenza francese a Ginevra nel 1943-1944

    Durante la seconda guerra mondiale, la Francia legale di Vichy e la Francia gollista hanno avuto antenne in Svizzera, che brillano per la loro discrezione, come se, per loro, la Confederazione non avesse alcun interesse. Nel 1943 i movimenti della zona sud, che daranno i natali al Movimenti Uniti della Resistenza (MUR), impiantarono una delegazione a Ginevra che sarà alla base del "
    caso svizzero" una delle crisi più gravi nella Resistenza francese.

    Per questi movimenti, non è una questione di "
    andare a letto" con gli americani, ma di accedere ai finanziamenti di Washington per supplire alla mancanza di sostegno fornito dalla Francia Libera, ricevere armi e materiale, trasmettere più rapidamente e sicuramente informazioni agli Alleati, organizzare i canali di passaggio. Attraversare il confine svizzero-francese significa attraversare altre frontiere. Per il MUR e il giovane capitano Henri Frenay, capo di Combat, il movimento più importante e meglio strutturato nella zona libera, si tratta anche di mantenere un'indipendenza politica e tattica dal generale de Gaulle, pur allineandosi con il simbolo che rappresenta.
    A Berna, Allen Dulles, capo dell'OSS in Svizzera e rappresentante personale del presidente Roosevelt, sostiene l'iniziativa. Tutto questo in un momento in cui la sfiducia segna i rapporti tra de Gaulle e gli Stati Uniti.

    Delegazione generale della resistenza in Svizzera

    L'"ambasciata" suscita l'ostilità radicale di Jean Moulin, incaricato di unificare la Resistenza sotto l'unica autorità del generale de Gaulle. Parla di "
    tradimento" e cerca di silurare la Delegazione istituita per iniziativa di Henry Frenay. L'"affaire suisse" provoca dibattiti violenti all'interno della resistenza e degli organi della Francia libera. Henri Frenay e Combat accusano Jean Moulin di "crimine", in quanto ciò mette in pericolo l'esistenza della delegazione. Vi era una profonda incomprensione tra la resistenza interna, che si è sviluppato in modo endogeno sul suolo nativo senza riferimento al gollismo, e la Francia combattente del generale de Gaulle, a Londra, rappresentata in Francia da Jean Moulin. La Resistenza sogna di riscattare la Francia da sola, de Gaulle vuole raggiungere lo stesso obiettivo senza la Resistenza...

    Il sospetto si stabilisce nel cuore della Resistenza; oggi, l'episodio genera ancora polemiche. Robert Belot, professore presso l'Università di tecnologia di Belfort-Montbéliard, e Gilbert Karpman, specialista in crittologia, danno nuova luce ä questo problema doloroso, sfruttando i documenti privati ​​e inediti del generale Javet, capo della delegazione a Ginevra, così come tutti i messaggi parzialmente o totalmente cifrati della Resistenza, scambiati tra la Svizzera e la Francia. Jean Moulin ei servizi gollisti non escono per niente bene da questa lunga indagine iniziata quando Robert Belot pubblicò "
    La France sans de Gaulle".

    Il generale d'aviazione Jules Davet, piuttosto monarchico, l'avvocato Philippe Monod, personalità di sinistra appartenente a
    Combat, e Pierre de Benouville, venuto dall'estrema destra e reclutato da Frenay, formano il nocciolo duro della delegazione. Benouville, uomo chiave della Francia resistente in Svizzera e futuro braccio destro del costruttore di aerei Marcel Dassault, prima della guerra ha lavorato alla Revue Hebdomadaire, dove ha conosciuto Bernard Barbey, Capo dello Stato Maggiore Particolare del General Guisan, fino al 1939 Segretario Generale della rivista. È Barbey che lo presenta a Roger Masson ... Benouville, ancora oggi associato al tradimento all'origine dell'arresto di Jean Moulin, diventato l'eroe assoluto dopo la sua Pantheonizzazione. La delegazione è dunque ben nota alle autorità svizzere, così come al conte Pietro de Leusse, rappresentante del generale de Gaulle in Svizzera dalla fine dell'anno 1942. Numerose reti francesi sono impiantate sul territorio svizzero, come la rete Bruno, guidata dal comandante Pourchot, addetto militare presso l'ambasciata francese a Berna.

    La Svizzera, un "santuario" per la Resistenza

    Essere in grado di attraversare la frontiera franco-svizzera e lavorare in territorio svizzero rappresenta un interesse strategico per la Resistenza francese interna, che deve assolutamente stabilire legami con l'esterno per avere accesso al mondo libero. Anche se il generale de Gaulle menziona la Svizzera solo quattro volte nelle sue
    Memoires de Guerre, e solo in connessione con le operazioni militari del 1944, la Confederazione funge da santuario e rifugio per la Resistenza.

    I collegamenti radio dalla Francia sono difficili a causa della mancanza di attrezzature e del formidabile servizio di radiogoniometria tedesco. La stampa svizzera, l'unica relativamente libera in Europa, consente ai resistenti di apprezzare meglio la situazione internazionale e la collaborazione del regime di Vichy con la Germania. Pacchetti di giornali romandi attraversano regolarmente il confine. I servizi americani trasferiscono fondi alla Resistenza con la complicità di alcune banche svizzere. Resistenti francesi scoperti trovano in Svizzera un rifugio ma anche una base da dove possono continuare la lotta. Le persone alla macchia vicino al confine, nel Giura, in Savoia, Alta Savoia e Ain, vi si recano a passare un po' di tempo nella tranquillità. Parenti di resistenti, membri di famiglie molto minacciate in Francia, tra gli altri fratelli, sorelle e cugini del generale de Gaulle, Pierre Mendes-France e i suoi genitori, trovano rifugio in Svizzera.

    Tutto ciò richiede attraversamenti clandestini del confine in entrambe le direzioni, e quindi contrabbandieri e passatori che agiscono spesso all'insaputa delle autorità cantonali e federali. Tuttavia, la collaborazione tra le guardie di frontiera svizzere e i Servizi Segreti lascia molto a desiderare, con i primi a non perdere l'occasione di arrestare onorevoli corrispondenti dei Servizi guidati dal colonnello brigadiere Roger Masson, con il rischio di bruciarli.

    Il Servizio Segreto ha bisogno di informazioni

    È una
    neutralità benevola, la volontà di non vedere i molti funzionari, il sostegno delle autorità svizzere a tutti i livelli ma soprattutto del servizio di intelligence, che rende possibili queste attività. Il Comando dell'esercito e il Consiglio Federale hanno un bisogno impellente di informazioni sulla Germania e sulla Francia occupata, sui movimenti della Wehrmacht entro un raggio di trecento chilometri dal confine, sulle intenzioni dei leader politici e militari tedeschi. A volte si tratta di ottenere materiali non reperibili in Svizzera, tra cui diamanti industriali grezzi o compressori aeronautici.
    La divisione "
    Francia" del servizio segreto svizzero, agli ordini del colonnello Cuenoud, collabora attivamente con la resistenza. Il capitano Clement, capo della filiale di Ginevra del servizio segreto svizzero e Roger Farquet collaborano con Benouville. Al confine, i servizi svizzeri si occupano della posta non confidenziale della delegazione a Ginevra, ma devono aspettare che gli americani o il generale Javet vogliano comunicare con loro. Vi è quindi una forte tentazione di aprire le buste, di fare copie, persino di sequestrare determinati documenti, di fare ciò che la Delegazione chiama "saccheggio discreto". Sul confine franco-ginevrino, l'abate Desclouds e i suoi scout, Gilbert Ceffa assicurano il passaggio di persone e posta.

    A Porrentruy, il primo tenente Denys Surdez, in civile insegnante a Bassecourt e capo militare dell'ufficio
    Ajoie, autorizza il belfortese Albert Meyer, un membro della rete Bruno e futuro generale, la cui rete salverà più di mille persone, ad attraversare il confine a Boncourt o Damvant, senza essere controllato dai doganieri. Meyer fornì a Surdez informazioni sull'ordine di battaglia tedesco in Francia fino al 1942, quando il Capitano Clement a Ginevra ne prese il posto. La famiglia Quain de la Queue au Loup a Boncourt, in particolare Yvonne, che ha studiato a Lebetain ä nel Territorio di Beifort ed è sposata con un francese, così come il Monnod trecento metri più in la, in Francia, fanno passare informazioni, resistenti, rifugiati e contrabbandieri.

    Robert Belot, con
    L'Affaire suisse. La Resistance a-telle trahi de Gaulle (1943-1944), apporta, involontariamente, correzioni molto serie alle affermazioni distorte del rapporto Bergier che tace scrupolosamente il fatto che molti svizzeri e i servizi segreti di Roger Masson hanno fatto la guerra al fianco degli Alleati! Anno dopo anno, critiche sempre più aspre contro il rapporto della Commissione Bergier, mai in Svizzera un'opera storica ha subito un tale diluvio! »
    E-Periodica - Une « ambassade » de la Resistance française ä Geneve en 1943-1944 (PDF)
    (originale in francese, traduzione di Google e mia)

  10. #100
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    Predefinito Re: Seconda guerra mondiale e paesi neutrali : I parte la Svizzera

    « La traccia della guerra nella vita svizzera

    Werner Richter – Foreign Affairs – luglio 1944

    Mentre la guerra in Europa raggiunge il suo culmine la posizione della Svizzera diventa più precaria.
    I territori di tutti gli altri Stati neutrali – Spagna, Irlanda, Turchia e Svezia – hanno una linea costiera. Tutti quanti – anche la Svezia – hanno la possibilità di contattare direttamente gli Alleati. La Svizzera è completamente intrappolata nell’Europa dominata dalla Germania. Per ora, Hitler non ha utilizzato questo vantaggio per attraversare i confini svizzeri. Ma se le truppe tedesche vengono espulse dalla pianura padana o dalla Francia orientale o meridionale, potrebbero cercare di continuare la loro resistenza sul suolo svizzero. I piani tedeschi per l'ultima, suprema battaglia sulla
    "linea interna" possono coinvolgere la vitale rete svizzera di ferrovie che collega la Francia con l'Austria e la Germania con l'Italia.

    Confrontati a queste possibilità, il governo svizzero ha richiamato più truppe e ha messo in servizio i giovani di 19 anni. L’esercito svizzero con i suoi 500'000 uomini ha ricevuto ordine di non permettere a soldati stranieri di attraversare il confine se non disarmati e inviati in un campo di internamento.

    Questo determinato esercito svizzero è molto peculiare. È fondamentalmente una milizia, basata su brevi periodi di servizio. Ma al momento è stata mobilitata per quattro anni, ed è considerata come un’esercito permanente di prim’ordine. Negli anni tra il 1940 e il 1943, cioè fino allo sbarco degli alleati in Italia, è stata l'unica forza militare mobilitata sul continente europeo a non obbedire agli ordini di Hitler. Ogni soldato svizzero è obbligato dalla legge a intraprendere una regolare istruzione di tiro fin da quando è uno scolaro. In tempo di pace porta il suo fucile militare a casa, con una scorta di munizioni; se appartiene ad un’unità di cavalleria, utilizza il suo cavallo. La mobilitazione svizzera del 1939, che era proporzionalmente la più grande d'Europa, comprendente il 40% di tutti gli uomini svizzeri, fu completata in due giorni. Oltre all’esercito, la Svizzera ha anche una guardia territoriale addestrata e società di tiro anche nel più remoto villaggio. Sono veramente pochi i cittadini svizzeri a non possedere un fucile militare, un elmetto di metallo e munzioni in casa.

    L’esercito svizzero controlla i principali passaggi attraverso le Alpi e le montagne del Giura e difende la frontiera del Reno nel nord. È appoggiato da estese fortificazioni, la cui costruzione è iniziata molto tempo prima della guerra. La più possente di esse – nel cosiddetto
    “massiccio centrale”, le imponenti Alpi tra il Sempione e il San Gottardo – è ritenuta impenetrabile. E fin dal 1940, quando il mondo venne a conoscenza del modello della Blitzkrieg, quasi ogni villaggio svizzero è stato trasformato in una piazzaforte difensiva. In queste fortificazioni la Svizzera ha investito più di 175 milioni di dollari. Inutile aggiungere che le ferrovie alpine, principale bersaglio di un aggressore, sono minate e possono essere fatte saltare, se necessario, già dalla prima ora di un’invasione.

    I soldati svizzeri sono sempre stati dei combattenti brillanti, sia nelle guerre svizzere che (dopo che il Paese ha adottato la sua politica di
    “neutralità eterna”) in servizio all’estero. Più di 750 marescialli e generali di origine svizzera hanno servito in eserciti stranieri. Oggi ci sono pochi ufficiali professionisti nell’esercito svizzero. L’attuale comandante in capo, il generale Guisan, non è uno di essi. È una peculiarità di questa autentica milizia di avere al comando dei corpi d’armata e delle divisioni dei colonnelli che nella vita civile sono avvocati, banchieri, industriali, medici. Solo in tempo di guerra la Dieta svizzera elegge un generale. Guisan, come l’anziano Cincinnato, proviene dall’aratro; è un abbiente proprietario terriero nella parte francofona della Svizzera. In lui è fusa la volontà di resistenza svizzera; la sua popolarità è immensa. La fotografia di questo piccolo e robusto uomo dai capelli grigi è presente in quasi ogni casa del Paese.

    II

    Per secoli la Svizzera è andata per la sua strada nel continente, una piccola e solitaria repubblica tra potenti monarchie. Resistere da soli contro la maggior parte dell'Europa non è un'esperienza nuova per essa. Né è questa la prima minaccia dell'aggressione tedesca a cui ha dovuto resistere.
    I contadini che formarono il nucleo della federazione svizzera separandosi dalla Germania asburgica più di 650 anni fa erano tedeschi per razza e lingua, e oggi circa tre quarti degli svizzeri parlano tedesco (pur con un imprecisato numero di dialetti ampiamente diversi).

    È un assioma dell'imperialismo tedesco considerare gli svizzeri come ribelli. Infatti, fino al XVII secolo la parola
    "svizzero" in Germania aveva lo stesso significato del successivo termine "giacobino".
    Questo è il mptivo per cui, di regola, le relazioni tra Germania e Svizzera si fanno tese appena in Germania appaiono tendenze imperialistiche. Finché la Germania era uno Stato federale senza grandi ambizioni le relazioni tra i due Paesi sono state delle migliori. Nell’era classica della letteratura e della musica tedesca i due Paesi formavano quasi una singola entità nel campo spirituale. Con l’ascesa del Reich di Bismarck e con il conseguente regno di Guglielmo II divennero due entità estranee. Nonostante ciò, i vecchi rapporti popolari dell’era pre-bismarckiana è stata forte abbastanza da dividere le simpatie svizzere durante la prima guerra mondiale. Il pericolo di una reale spaccatura del sentimento nazionale svanì con l’entrata nella scena tedesca di Hitler. Sebbene questo austriaco fosse del tutto ostile alla dinastia degli Asburgo, rinnovò le vecchie rivendicazioni asburgiche contro la Svizzera, ignorando il fatto che un gran numero di svizzeri di origine francese e italiana si sono uniti alla Confederazione nel lungo intervallo dalla dominazione asburgica. Per la Germania nazista, gli svizzeri sono ancora considerati traditori del loro
    "sangue tedesco". Le mappe naziste nelle scuole e altrove hanno sempre mostrato la Svizzera come parte del "Grossdeutsches Reich".

    Fin dal 1933 la Svizzera investì 100 milioni di franchi per rinforzare l’esercito, in questo mostrando più lungimiranza di molte delle grandi potenze. Nel 1936 un prestito per la difesa nazionale è stato sottoscritto per un’ammontare quattro volte superiore in pochi giorni. Questo tipo di risposta alle sfide naziste è stata inevitabile. Lo sviluppo politico e spirituale tra le due nazioni negli ultimi ottant’anni hanno scavato un abisso tra di esse. Mentre il Reich divenne sempre più l'incarnazione dell'imperialismo, del centralismo, della divinizzazione dello stato e della negazione dell'individuo, la Svizzera divenne sempre più saldamente attaccata ai principi della sua origine: democrazia, federalismo e libertà individuale. Maggiore era il rischio a cui questi valori erano esposti, più forte è stata la devozione del cittadino svizzero nei loro confronti.

    Questo non singifica che lo svizzero è, o si considera, un superuomo; sarebbe il primo a scartare quest’idea. La sua capacità di autocritica lo distingue dai popoli autoadoranti. Come ogni essere umano sano di mente non esalta la morte. Il patetico slogan tedesco, “Siamo nati per morire per la Germania”, non ha alcun senso per lui. Allo stesso tempo si aggrappa così fermanmente alle sue tradizioni, ai suoi costumi e al suo codice di decenza che lo stile di vita che il
    “Nuovo Ordine” di Hitler vorrebbe imporgli gli sembra una non-esistenza. E l’orribile miseria portata in tutti i Paesi che sono stati trascinati nel "Nuovo ordine" è oggi chiaro anche per il più semplice cittadino svizzero. Essendo esso una persona sensata, lo svizzero ha fatto un semplice calcolo ed ha deciso che il rischio di morire è preferibile alla certezza di un’esistenza in cui vivere non avrebbe alcun valore.

    Non va negato, tuttavia, che nel 1940, quando il bilanciamento delle grandi potenze attorno alla Svizzera si spezzò rapidamente, questa ferma risoluzione ha momentaneamente vacillato. L’incertezza non era visibile ovunque nel Paese, ma esisteva specialmente nelle regioni influenzabili dalla Francia di Pétain. Costoro sentivano e leggevano frasi sospette quali
    “ripensare” (umdenken), “reimparare” (umlernen), “riassestamento” (neuordnen). Molte persone meditarono sull’asserita inevitabilità della “Nuova Europa” in cui la Svizzera avrebbe dovuto inserirsi.

    In quell’afosa estate, mentre solo l’assediata Gran Bretagna continuava la lotta, e quando la sua resistenza sembrava senza speranza a molti, è stato l’esercito svizzero a sollevare il morale della popolazione. Il generale Guisan richiamò 650 alti ufficiali al praticello del Rütli sul lago di Lucerna, il luogo in cui in tempi leggendari si racconta che la Federazione venne fondata. Qui comunicò un ordine per l’esercito, dicendo chiaramente
    “da soldato a soldato” che era in gioco l’esistenza della Svizzera e che per l’esercito non ci poteva essere alcun compromesso con quelle potenze che il Patto Federale – la costituzione federale vecchia di 650 anni – definiva “la malizia del mondo” (die Arglist der Welt). Ha poi detto che la nuova posizione di forza recentemente assegnata all’esercito nel “Massiccio Centrale” avrebbe permesso di rinforzare il rispetto per l’indipendenza svizzera di fronte a chiunque.

    Il successo di Giusan fu quasi magico. Nessuno osò contraddirlo, l’onda del disfattismo velocemente svanì. Assieme a questo, l’esempio di come i britannici si assunsero il proprio calvario e il successo della Battaglia d’Inghilterra resero rapidamente la volontà degli svizzeri di difendere i propri diritti più ferma che mai. L’esercito svizzero non aveva l’entusiasmo dei giovani guerrieri, ma aveva la fredda determinazione di uomini temprati. Un aggressore non avrebbe potuto contare sulla loro pietà.

    Le industrie svizzere pagarono il pegno per l'indipendenza del Paese. Attraverso accordi commerciali con la Germania, la Svizzera ottenne dall'Europa dominata dalla Germania e attraverso i porti occupati dalla Germania i beni di cui aveva bisogno per sopravvivere. Ha poche risorse naturali e la sua struttura economica è sempre stata basata sul commercio estero, con importazioni che superano di gran lunga le esportazioni. Ora compra il suo carbone in Germania, il suo ferro in Svezia, il suo grano oltremare. In cambio, spedisce parte della propria produzione all'estero. Fornita con Navicerts di entrambi i belligeranti, invia alcuni dei suoi orologi, tessuti, scarpe, modisteria, prodotti chimici e così via alle Americhe e persino alla Russia.

    I tedeschi, naturalmente, escludono da tali spedizioni tutti i beni che considerano materiali di guerra. Con l'obiettivo di bilanciare la sua neutralità, la Svizzera cerca di frenare allo stesso modo l'esportazione di materiale bellico in Germania. Questo è un compito piuttosto disperato, poiché non c'è quasi un prodotto che non rafforzi la macchina da guerra di un paese totalitario, anche solo liberando operai per lavori di guerra più importanti. In pratica importa poco che i prodotti delle fabbriche di macchine utensili svizzere, delle sue fabbriche di orologi ad alta precisione, dei suoi laboratori farmaceutici, siano materiali bellici tedeschi nel senso immediato o potenzialmente. Ma la Svizzera fa del suo meglio per mantenere il principio di neutralità e il governo svizzero si riserva il diritto di decidere su tutti gli ordini tedeschi. A volte ne ha rifiutati categoricamente, preferendo rimanere per mesi senza alcun accordo commerciale piuttosto che fare esportazioni che riteneva incompatibili con la sua neutralità. Ad esempio la Svizzera rifiutò di trasformare la pelle tedesca in stivali da soldato e acconsentì a lavorarla solo per produrre scarpe per bambini. La linea principale della politica seguita dalla Svizzera nei suoi negoziati con la Germania è di pagare sempre più le importazioni con il lavoro anziché con le merci e di cercare di limitare il lavoro nelle merci civili. Ha accettato, ad esempio, di riparare le automobili tedesche, ma ha rifiutato gli ordini per la riparazione di carri armati o camion dell'esercito.

    L'opinione pubblica svizzera non gradisce questo scambio con la Germania, ma preferisce tacere, rendendosi conto che è inevitabile. Anche gli industriali svizzeri preferirebbero esportare solo gli alleati, se non altro per il fatto che potrebbero essere sicuri di essere pagati al momento della resa dei conti finale. Ma tutti sanno che se la Svizzera si fosse rifiutata di accettare un grado limitato di cooperazione commerciale con la Germania, sarebbe presto stata costretta a morire di fame e sarebbe entrata nella lista dei paesi occupati, mentre le sue fabbriche sarebbero andate avanti a pieno regime sotto la gestione nazista. Il governo svizzero ora insiste che tutti gli impianti di esportazione siano gestiti da cittadini svizzeri. Ha espressamente vietato loro di sottomettersi a qualsiasi controllo straniero. Anche l'area del baratto svizzero-tedesco si è ristretta. Se i recenti segnali di disoccupazione in Svizzera sono il risultato di una diminuzione degli ordini tedeschi, questo certamente non è il risultato di una contrazione dei bisogni tedeschi. Probabilmente deriva principalmente dal bombardamento della Ruhr, un conseguente calo della quantità di carbone tedesco che può essere inviato in Svizzera e la riduzione, a sua volta, delle esportazioni svizzere. Forse potrebbe anche indicare un ulteriore ritiro dei commercianti svizzeri da un cliente condannato.

    III

    In campo politico, la Svizzera è costantemente sotto pressione. Ancora e ancora, i nazisti hanno cercato di usare le trattative commerciali per estorcere concessioni politiche. Hanno chiesto la completa smobilitazione dell'esercito svizzero. Hanno cercato di costringere gli svizzeri a unirsi al blocco anti-bolscevico, ad aprire le ferrovie svizzere al traffico militare tedesco e ad imbavagliare alcuni giornalisti svizzeri. Hanno avanzato la tesi secondo cui la neutralità svizzera obbligava lo stato a impedire a qualsiasi cittadino di esprimere un'opinione sfavorevole all'Asse. Il governo ha fermamente respinto tutte queste richieste.

    I nazisti hanno inondato il paese di propaganda e hanno diffuso molta letteratura anti-svizzera in Germania. L'Istituto per la storia della Nuova Germania di Hitler pubblicò un volume di 7.000 pagine - "Il Reich e la malattia della cultura europea" di Christopher Steding - per dimostrare che la Svizzera e gli altri piccoli Stati confinanti con la Germania non avevano diritto di esistere.
    La stampa svizzera è stata vietata in Germania, un giornalista svizzero dopo l'altro è stato espulso e ai residenti svizzeri in Germania non è stato permesso di ascoltare la radio svizzera. Le trasmissioni alleate in Svizzera sono state bloccate da interferenze tedesche. E di tanto in tanto le truppe di frontiera svizzere sono state ammonite da altoparlanti tedeschi che affermavano che sarebbero state massacrate nelle ore successive.

    Ma l'attacco alla fiducia in sé stessi degli svizzeri è inutile. La maggior parte dei giornali e delle riviste tedesche nelle edicole svizzere rimane invenduta. I film tedeschi sono mostrati in teatri semivuoti o sono accolti da fischi e urla di risentimento (come è successo di recente a Zurigo nel caso del film del raid di Dieppe). Ovunque in Svizzera si ripetono le parole di Zwingli, il riformatore svizzero, a Lutero, il tedesco: "Le tue idee sono diverse dalle nostre". Non si dimentica che quando i nazisti sembrarono ad un passo dalla vittoria annunciarono la loro intenzione di rivedere la Pace di Westfalia del 1648, che documentava solennemente l'indipendenza della Svizzera dalla Germania. Si ricorda il vanissimo discorso pronunciato da Goebbels nei confronti dei giornalisti svizzeri nel 1941 - che ogni paese in cui la Germania ha un interesse strategico perde il diritto all'esistenza. E viene data grande credibilità alla ben fondata voce che nel 1940 Hitler, Darlan e Mussolini accettarono di dividere il paese. In breve, gli svizzeri sanno che la loro libertà dipende interamente dalla vittoria degli alleati. I loro sentimenti profondi sono stati esemplificati di recente dall'atteggiamento calmo e disciplinato che il paese ha assunto in occasione del tragico bombardamento americano di Sciaffusa.

    Questo atteggiamento, inoltre, non è affatto passivo. Il governo svizzero non ha mai avuto illusioni sulla follia di cercare di comprare la benevolenza nazista per appeasement. I pochi iniziali sostenitori del movimento nazista in Svizzera furono severamente aboliti. Oggi ogni assalto contro i principi della democrazia è punito come un crimine contro lo stato. Il diritto svizzero considera la difesa di tutte le ideologie totalitarie come sinonimo di cospirazione. Le spie vengono consegnate ai tribunali militari per il processo, con il chiaro intento di punirle il più severamente possibile. A volte sono condannati a morte, sebbene prima della guerra questa pena fosse stata praticamente abolita. Un maggiore della divisione corazzata Interlaken ha recentemente affrontato un plotone di esecuzione.

    Quando un decreto tedesco affermava che la proprietà degli ebrei tedeschi in Svizzera era stata confiscata al Reich, la Corte d'appello di Zurigo - a pochi minuti di volo dalle basi dei bombardamenti tedeschi - condannò questa legge e dichiarò che
    "costituirebbe un intollerabile violazione del nostro senso di giustizia". E quando la Gestapo sequestrò un rifugiato ebreo sul territorio svizzero a Basilea come spia, il governo svizzero protestò e mantenne ostinatamente la sua protesta, a prescindere dai rischi, finché il prigioniero non fu rilasciato. Quando uno dei rapitori della Gestapo venne catturato, finì in prigione per diversi anni.

    Uno dei problemi più complessi che affliggono gli svizzeri è come affrontare la quinta colonna tedesca, composta, come altrove, da
    "turisti" tedeschi, viaggiatori commercianti, ingegneri. In realtà, naturalmente, sono tutte spie, ma dal momento che godono della protezione della legazione tedesca non possono essere espulse facilmente. Vi sono, inoltre, i cosiddetti "Svizzeri di carta", persone nate in Germania e naturalizzate grazie a pratiche troppo liberali dei tempi passati. Queste sono le persone che quando è iniziata la guerra hanno iniziato a riscoprire il loro "cuore tedesco" e hanno iniziato a fare del loro meglio per creare problemi, sminuendo la forza di difesa del Paese e diffondendo il disfattismo. La quinta colonna è diretta da un alto funzionario del partito nazista, sfacciatamente chiamato “Landesleiter Schweiz”. Nel 1936 il governo svizzero rifiutò di consentire a qualsiasi straniero dichiarasse una tale autorità di entrare nel Paese. Ma la Germania trasferì un ardente diplomatico nazista dalla Legazione tedesca a Praga, lo nominò consigliere della legazione a Berna, e poi quando possedette l'immunità diplomatica lo rese “Landesleiter Schweiz”. Riuscì a rendere i consolati tedeschi delle filiali della polizia di Himmler e a mescolare diplomazia, spionaggio, sabotaggio, Gestapo e attività della quinta colonna nel solito modo nazista. Tutti i tedeschi che vivono in Svizzera, compresi quelli con sentimenti anti-nazisti, sono costretti a collaborare con i leader nazisti, pena la perdita della cittadinanza e la confisca dei loro beni in Germania. Il pericolo derivante da tali attività, tuttavia, non è davvero eccezionale. Questi agenti tedeschi sono ben noti alla polizia svizzera e in caso di un'invasione sarebbero in prigione entro poche ore.

    L'unità di intenti della Svizzera rimane intatta tra gli allarmi. Qui al centro dell'Europa dominata dall'Asse si sono recentemente tenuto elezioni democratiche, in seguito a una campagna elettorale in cui la libertà di parola è stata rispettata. I socialdemocratici sono emersi da queste elezioni come il gruppo più forte della Dieta, con 56 seggi.

    IV

    Il problema interno più critico è stato l'approvvigionamento di cibo. Ultimamente la situazione è migliorata, sebbene le razioni rimangano in generale considerevolmente inferiori a quelle degli Stati Uniti. Come risultato di una campagna chiamata
    "piano Wahlen", dal nome del capo dell'Istituto federale dell'agricoltura, l'area coltivata fu aumentata di circa 140.000 acri dalla primavera del 1941 alla fine del 1943. Oggi il paese è quasi auto- sufficiente nella produzione di patate, frutta e verdura. Tuttavia, circa un terzo del grano consumato deve ancora essere ottenuto dall'estero; per trasportarlo, è stata creata la nuova marina mercantile svizzera con capacità di 150.000 tonnellate. E la scarsità di carne ha fatto diventare gli svizzeri quasi vegetariani. Il grande pericolo del 1939 - che il paese potrebbe essere costretto ad arrendersi per carestia - è stato tuttavia rimosso. Il signor Wahlen raggiunse in campo economico ciò che il generale Guisan aveva compiuto nella sfera militare. Gli storici del futuro potrebbero chiamare questi due uomini i salvatori della Svizzera.

    La fedeltà con cui la Svizzera ha svolto la sua grande funzione di porto di rifugio e di intermediario tra le nazioni in guerra è troppo nota per aver bisogno di elaborazione. Il paese che un tempo ospitò John Knox e in seguito gli Ugonotti è oggi un rifugio per più di 60.000 uomini e donne fuggiti dal Nuovo Ordine. La Svizzera ha dato loro un aiuto caloroso e concreto, con una spesa di oltre 100.000.000 di franchi di fondi federali. Accoglie per alcuni periodi decine di migliaia di bambini provenienti da paesi devastati dalla guerra, come la Francia o la Jugoslavia. È la sede della Croce Rossa Internazionale. Mediante la mediazione svizzera e il lavoro non retribuito di molte migliaia di svizzeri, i prigionieri di guerra feriti vengono scambiati, i campi di prigionia vengono ispezionati e milioni di esseri umani, cacciati dalle loro case, sono stati in grado di contattare nuovamente, almeno per posta, con i loro cari.

    La Svizzera riconosce sul suo territorio, ma una nazionalità - la nazionalità svizzera. Le leggi di quella nazionalità sono indipendenti dalla lingua, dal sangue e dalla razza. Sono responsabili solo per la volontà dei cittadini svizzeri. L'idea svizzera ha resistito alla più dura prova dell'umanità.
    Con la sua semplice esistenza, la Federazione svizzera parla con forza all'Europa. Che l'Europa sia preparata o persino in grado di ascoltare questa lezione, ora o in futuro, nessun uomo saggio può saperlo. Ma per loro stessi, gli svizzeri sanno che la loro federazione è sopravvissuta grazie alla loro fanatica volontà di restare uniti, in base alla legge e alla giustizia.
    »
    https://www.foreignaffairs.com/artic...ern-swiss-life
    (originale in inglese, traduzione di Google e mia)

 

 
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