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  1. #201
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    Predefinito Re: Seconda guerra mondiale e paesi neutrali : I parte la Svizzera

    « Villaggio Pestalozzi, 75 anni dopo
    Dopo la Seconda Guerra Mondiale dava rifugio agli orfani di tutta Europa e ancora oggi continua nella sua missione: educare alla convivenza pacifica

    Immediatamente dopo la Seconda Guerra Mondiale nasceva a Trogen, nel canton Appenzello, il Villaggio Pestalozzi. Allora ospitava bambini orfani di tutta Europa. A 75 anni di distanza, l’istituzione si festeggia, benché la sua attività sia profondamente cambiata.
    Il Villaggio dedicato al grande pedagogo svizzero Johann Heinrich Pestalozzi è immerso nel verde: 25 edifici ospitano oggi diverse classi svizzere, ma anche provenienti dall’estero. In questi giorni ci sono anche gli allievi del liceo di Immensee. Sono qui per immergersi nei temi che stanno a cuore al villaggio, temi che per l’anniversario sono raccontati anche in un’esposizione.

    “Abbiamo seguito laboratori tematici, abbiamo parlato di discriminazione, lavorato sui rapporti sociali e pure fatto del bricolage”, racconta Mael. "Ci siamo occupati di razzismo, protezione degli animali, diritti umani e anche dell’ambiente”, sottolinea Luca. “Stare insieme una settimana permette di scoprire se stessi e gli altri”, spiega Peter. “Io sono sorpresa di quanto si possa imparare giocando, non me lo sarei aspettata”, dice Nadine.

    Da un ventennio, i corsi per le scuole sono al centro delle attività del Villaggio Pestalozzi. Inizialmente, i fondatori volevano dare ai bimbi orfani della Seconda Guerra Mondiale una casa e un’istruzione. Migliaia di volontari si sono impegnati gratuitamente, sia sul cantiere che raccogliendo i fondi per la grande opera: la Svizzera, risparmiata dalla distruzione, voleva restituire un po’ della sua fortuna ai giovani dei Paesi meno fortunati. E così, dal 1946, generazioni di orfani sono arrivati da tutta Europa e poi anche dal Tibet, per trovare qui un po’ di serenità. E ancora oggi il mandato è lo stesso: educare alla convivenza pacifica in Svizzera. E da alcuni decenni anche con progetti all'estero, come spiega la responsabile dei programmi internazionali, Miriam Zampatti.

    Nello scantinato di una di queste case, generazioni di giovani hanno scritto il loro nome. Anche gli allievi di Immensee lasciano il loro saluto, dando continuità a 75 anni di storia.
    »
    https://www.rsi.ch/news/svizzera/Vil...-14838999.html

  2. #202
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    Predefinito Re: Seconda guerra mondiale e paesi neutrali : I parte la Svizzera

    « “Hanno combattuto dalla parte giusta”
    Durante la Seconda guerra mondiale, oltre 460 cittadini svizzeri hanno combattuto nelle file della Resistenza francese. Al ritorno in Svizzera, molti di loro sono stati condannati a pene detentive per aver prestato servizio militare all'estero. Un'iniziativa parlamentare li vuole ora riabilitare.

    Paul Aschwanden, nato nel Canton Svitto nel 1922, è l'ultimo di cinque fratelli e sorelle. I genitori si separano quando ha due anni, la madre lo affida a un istituto per l'infanzia. Finita la scuola, Paul fatica a inserirsi nel mondo del lavoro. Interrotto un apprendistato in un'officina di verniciatura, lavora saltuariamente come bracciante, operaio, fattorino.
    Nel 1940, poco prima dell'offensiva tedesca sul fronte occidentale, attraversa la frontiera franco-svizzera a Basilea e si arruola nella legione straniera a Mulhouse. Ha 18 anni.
    Dopo sei mesi di formazione militare in Algeria, deve scegliere se combattere contro le truppe britanniche in Medio Oriente o costruire strade nel Sahara. Paul sceglie la seconda opzione. Nel marzo del 1943, dopo lo sbarco statunitense in Marocco e Algeria, insieme ad altri ex-legionari passa dalla parte degli Alleati, arruolandosi nelle Forces françaises libres (FFL) del generale De Gaulle.
    Paul partecipa alla campagna d'Italia, quindi nell'agosto 1944 sbarca in Provenza. Si guadagna una Croce di guerra e la promozione a sottoufficiale. Tornato in Svizzera nel settembre 1945 è condannato a quattro mesi di detenzione con la condizionale.
    Al pari di Paul Aschwanden, la maggior parte dei cittadini svizzeri che combatterono nella Resistenza francese erano ex-legionari confluiti nelle FFL. Altri lavoravano nella Francia occupata prima di entrare in contatto con le formazioni armate antinaziste; la metà di loro aveva la doppia cittadinanza. Altri ancora lasciarono la Svizzera per unirsi alle formazioni partigiane francesi (Forces françaises de l'iIntérieur, FFI) o si arruolarono nelle FFL muovendo dai loro luoghi di residenza a Londra, in Africa o in Medio Oriente.
    Al ritorno in Svizzera, 200 di loro furono condannati a pene detentive, con o senza la condizionale, e in alcuni casi furono espulsi dall'esercito o persero i diritti politici. Altri rimasero in Francia, per sottrarsi alle sanzioni. Alcuni, già condannati in contumacia in Svizzera, caddero in battaglia.

    Chi erano i resistenti svizzeri?

    "Non si trattava di un gruppo omogeneo", dice lo storico svizzero Peter Huber, autore di un libro (In der Résistance. Schweizer Freiwillige auf der Seite Frankreich, uscito nel 2020), che per la prima volta ha ricostruito i percorsi di vita dei combattenti svizzeri nella Resistenza francese, le loro vicende militari e le conseguenze che hanno subito al loro rientro in Svizzera.
    Nella maggior parte dei casi, i volontari svizzeri erano di origini proletarie o piccolo borghesi. Erano giovani, spesso provenivano da situazioni familiari difficili e avevano alle spalle un percorso formativo e professionale accidentato. Molti di loro avevano precedenti penali, in genere dovuti ai tipici delitti delle classi subalterne (p. es furto o vagabondaggio). A differenza dei volontari che parteciparono alla guerra di Spagna, però, solo di rado avevano esperienze di militanza politica.
    Alcuni, non la maggioranza, avevano tuttavia sentimenti antifascisti. Altri, soprattutto chi aveva la doppia cittadinanza franco-svizzera, erano mossi da patriottismo. Altri ancora fuggivano dalle difficoltà della vita civile. Tra i legionari, la decisione di passare dalla parte della Resistenza fu anche una semplice questione di sopravvivenza. "In quasi tutte le biografie traspare tuttavia anche lo sgomento di fronte all'umiliazione della Francia e alla megalomania di Hitler", precisa Huber.

    Verso la riabilitazione

    Già nel 2006 un'iniziativa parlamentare ha sollevato la questione di una riabilitazione dei volontari antifascisti svizzeri in Spagna e dei combattenti svizzeri nella Resistenza francese. Tre anni dopo il Parlamento svizzero ha riabilitato chi aveva combattuto a fianco delle truppe repubblicane spagnole, escludendo invece chi aveva partecipato alla Resistenza francese. L'esclusione è stata motivata con la carenza di informazioni e di ricerche storiche, in particolare sulle motivazioni dei volontari.
    La pubblicazione dello studio di Peter Huber nel 2020 ha fornito la base scientifica per riconsiderare la questione. Due iniziative parlamentari parallele, inoltrate dalla consigliera nazionale di Ensemble à Gauche Stéfanie Prezioso e dalla consigliera agli Stati verde Lisa Mazzone, chiedono la riabilitazione formale, senza risarcimento, dei volontari svizzeri nella Resistenza francese. Come già per i combattenti nelle file della repubblica spagnola, "le condanne dell'epoca non corrispondono al sentimento di giustizia prevalente", si legge nel testo dell'iniziativa.
    Le ricerche di Huber mostrano un quadro eterogeneo delle scelte dei volontari svizzeri, dove a motivazioni nobili si accompagnano sovente anche considerazioni opportunistiche. Quali sono allora le ragioni per una riabilitazione? "I combattenti svizzeri nella Resistenza francese, indipendentemente dalle loro motivazioni, hanno contribuito alla sconfitta del nazifascismo e alla salvaguardia della Svizzera", osserva Huber.
    "In un periodo storico in cui si assiste alla rinascita di sentimenti d'ispirazione fascista e dove c'è un tentativo scoperto di equiparazione tra nazifascisti e resistenti, è importante distinguere chi ha combattuto dalla parte giusta", osserva dal canto suo Stéfanie Prezioso. "Non si tratta di celebrare degli eroi, ma la riabilitazione è un modo di ribadire i valori democratici difesi nella battaglia antifascista, oggi messi in discussione."
    La Commissione degli affari giuridici del Consiglio nazionale ha deciso con ampia maggioranza, il 29 ottobre scorso, di dare seguito all'iniziativa parlamentare. I volontari svizzeri nella Resistenza francese potrebbero dunque presto ottenere lo stesso riconoscimento tardivo che è spettato prima di loro ai volontari in Spagna e alle persone che aiutarono i profughi perseguitati dal nazismo.

    La Resistenza nascosta

    Al di là della riabilitazione, la ricerca di Peter Huber ha avuto anche il merito di attirare l'attenzione, anche se solo parziale, sulla partecipazione di decine migliaia di stranieri – tra cui 30'000 soldati delle colonie dell'Africa subsahariana – alla liberazione della Francia. "Dopo il 1945 in Francia questo contributo è stato dimenticato a causa di una 'nazionalizzazione' della Resistenza a fini identitari", afferma lo storico. "In Svizzera, d'altro canto, la vicenda dei volontari nella Resistenza francese non ha trovato posto in un discorso incentrato sul mito del generale Guisan e sulla volontà difensiva dell'esercito".
    Nel libro di Huber emergono saltuariamente anche vicende di donne coinvolte nelle attività della Resistenza francese. "Le donne, non essendo soggette all'obbligo di prestare servizio militare, non erano punibili ai sensi del Codice penale militare. I loro nomi non si trovano perciò negli atti della giustizia militare, ma piuttosto in quelli dei consolati", osserva lo storico. "Suppongo che ci fossero più volontarie svizzere di quelle che ho rintracciato nelle mie ricerche."
    Cresciuta a Le Locle, nel canton Neuchâtel, Gabrielle Mayor sposa nel 1928 un casaro con il quale si stabilisce a Dôle, sul versante francese del massiccio del Giura. Due anni dopo l'occupazione della Francia da parte delle truppe tedesche, la coppia entra in contatto con ambienti antifascisti. La loro fattoria diventa sede del comando di una rete della Resistenza e dispone di due ricetrasmittenti, utilizzate da agenti dei servizi d'informazione britannici.
    Nel giugno del 1944, in seguito a un lancio di armi alleate, la rete è scoperta. Gabrielle è arrestata. Il fratello avverte immediatamente il consolato svizzero a Besançon. In settembre, Gabrielle è deportata in Germania e finisce nel campo di concentramento di Ravensbrück. Solo tre mesi dopo l'arresto, l'ambasciata svizzera a Berlino si informa presso le autorità tedesche sul luogo di detenzione e sulle accuse contro la cittadina svizzera.
    Gabrielle è liberata il 4 febbraio 1945 e rientra in Svizzera. In seguito alla detenzione soffre di gravi problemi di salute. Per anni vive in ristrettezze finanziarie. Nel 1959 otterrà un primo contributo della Confederazione per le vittime svizzere del nazionalsocialismo. La cifra è però inferiore a quella richiesta inizialmente perché Gabrielle Mayor, in quanto "membro militante della Resistenza", è ritenuta responsabile di quanto le è accaduto.
    »
    https://www.swissinfo.ch/ita/-hanno-...usta-/47121620

  3. #203
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    Predefinito Re: Seconda guerra mondiale e paesi neutrali : I parte la Svizzera

    « Questi svizzeri che si unirono alla resistenza francese
    Da trecento a cinquecento svizzeri, principalmente di lingua francese, si unirono alle Forze Francesi Interne. Chi erano, perché se ne stavano andando? Questo è ciò che lo storico Luc van Dongen ha cercato, che riassume qui la sua indagine

    Nonostante una serie di interventi parlamentari che richiedessero la loro riabilitazione legale, poco si dice degli svizzeri che si impegnarono militarmente nella Resistenza durante la Seconda Guerra Mondiale. Eppure, questo è un fenomeno significativo: possiamo stimare alcune centinaia (probabilmente tra 300-500) il numero di svizzeri - in particolare di lingua francese - che andarono a combattere in Francia nelle Forze Francesi Interne ( FFI), dopo che questi divennero un esercito "regolare", subordinato agli alleati e posto sotto il comando del generale Kœnig (sbarco nel giugno 1944).

    Tale stima può essere fatta dalle sentenze emesse dai tribunali militari svizzeri, che hanno condannato almeno 130 cittadini, tra il 1944 e il 1945, per essersi impegnati nella Resistenza francese o per aver tentato di farlo. Questo perché gli FFI furono considerati un "esercito straniero" dall'ottobre 1944 (con effetto retroattivo nel giugno dello stesso anno). E l'articolo 94 del codice penale militare punisce tutti gli svizzeri arruolati in un esercito straniero. Tre esempi ci consentono di definire meglio i contorni di questo "impegno resistente".

    Lucien B., apprendista meccanico di Ginevra, aveva 17 anni quando si unì alla FFI nel maggio 1944 a Bellegarde, quando vi andò per portare soldi a sua nonna con la città appena caduta nelle mani dei tedeschi. Dopo essere stato arruolato come soldato disarmato, era incaricato di tagliare i rifornimenti tedeschi, dello scavo delle trincee e dell'abbattimento degli alberi. Quindi completò un breve addestramento militare e fu inviato in un altro campo. Fu mandato in missione nella piana di Port, dove fu arrestato dalle truppe russe di Vlassov. Consegnato ai miliziani francesi a Bourg, subì un mese di incarcerazione a Lione, poi fu liberato dalla FFI. Entrò quindi nel 2 ° reggimento straniero del nuovo esercito francese. Gli fu offerta la possibilità di tornare a casa nel settembre del 1944. Ma alla fine di ottobre, è tornato in Francia per unirsi ai Franchi Tiratori e Partigiani (FTP). Dopo diversi viaggi avanti e indietro - ancora ovviamente illegali - tra la Svizzera e la Francia, fu catturato a Grand-Saconnex nel febbraio del 1945, quando tentò nuovamente di attraversare il confine. Lucien B., che passa per "un bravo ragazzo, obbediente, di buon comando, taciturno", sarà condannato a 4 mesi di reclusione, per passaggio di frontiera illegale e servizio militare straniero.

    Benjamin M., montatore di impianti di riscaldamento di Vaud di 24 anni, attraversò illegalmente il confine nell'agosto del 1944, nella regione di Saint-Gingolph, mentre era disoccupato. Il 19, ha firmato un impegno indefinito in un gruppo FTP in Alta Savoia, che lo avrebbe impiegato come armaiolo e capo di equipaggiamento. Sfortunatamente, ha inviato diverse lettere - e persino una foto! - ai suoi conoscenti, che saranno intercettati e nei quali esprime il suo orgoglio per essere in grado di "iniziare una nuova vita". Non senza ironia, chiese a uno dei suoi amici di dare il suo ordine di marcia al suo capitano, con i suoi migliori saluti e ringraziamenti per le istruzioni militari impartite, che gli davano "un prezioso contributo oggi" ... Detto capitano, precisamente, sembrava non tenere in grande considerazione la persona, dal momento che lo descrive come un "soldato medio", capace di "colpi alla testa" e "intriso di idee comuniste". Ma in termini di comunismo, Benjamin M. sembra semplicemente essere stato un militante molto attivo della Gioventù Socialista di Renens. Nel dicembre del 1944, un tribunale militare lo condannò a 15 mesi di carcere e 2 anni di privazione dei diritti civili, per le stesse ragioni di Lucien B.

    Per quanto riguarda Conrad Hentsch (1897-1970), della banca privata Hentsch & Cie, il suo caso presenta un profilo completamente diverso. Figlio di Edouard-Emile Hentsch e Marguerite Girod, trascorse parte della sua giovinezza in Svizzera, ma combatté nella prima guerra mondiale in Francia (Croix de Guerre). Nel 1919, si unì alla banca anglo-sudamericana a Parigi, prima di iniziare la sua carriera con Hentsch & Cie (1927). Con doppia cittadinanza, fu mobilitato come capitano della riserva nell'esercito svizzero nel 1939-1940, quindi dispensato dal servizio militare. Il 17 agosto 1944, ricevette personalmente una lettera da Pierre de Leusse, rappresentante non ufficiale del generale de Gaulle in Svizzera, che lo invitava a imbracciare le armi: “Avevo promesso di segnalarti quando sarebbe arrivato il momento. I nostri compagni dall'altra parte chiedono dirigenti. Per rispondere a questa chiamata urgente [...], dovresti essere in grado di unirti all'FFI il più presto possibile." Hentsch quasi non esita, poiché si unisce immediatamente ai ranghi dell'Armata Segreta, con i suoi due figli, dopo aver attraversato il Col de Coux. Da Morzine, fu assegnato a Thonon, poi a Maurienne, dove partecipò a diverse operazioni. Tornerà in Svizzera il 19 settembre, quando si annuncia ufficialmente alle autorità svizzere. Una procedura giudiziaria costellata di appelli condurrà infine alla condanna dei tre membri della famiglia di Hentsch a un mese di reclusione sospesa per attraversamento illegale della frontiera.

    Tre casi che testimoniano a modo loro di una sorta di "ondata" di arruolamenti nella resistenza francese al tempo della liberazione della Francia (estate-autunno 1944). Certamente, alcuni non hanno aspettato che lo sbarco si avverasse, ma le loro azioni, a causa della peculiarità della giustizia militare già menzionata, sono quasi sfuggenti, almeno attraverso le fonti scritte disponibili. Quindi, i drammatici eventi della Liberazione furono seguiti con passione nella Svizzera romanda e non mancarono di impressionare gli spiriti, specialmente tra i giovani. Un agente di polizia di Friburgo ha anche osservato il 24 agosto sui giovani di età compresa tra 14 e 18 anni: « Influenzati dal cinema e dalla lettura di romanzi economici, [sognano] costantemente avventure. Questi giovani, per lo più disoccupati e affetti da una scarsa istruzione familiare, si eccitano l'uno con l'altro. Non c'è un giorno che non si incontrino al Grand Place, installato su una panchina, discutendo delle gesta dei "ragazzi della macchia". La propaganda che viene fatta sull'attività dei Maquis sembra aver fatto loro perdere completamente la testa. Tutti sognano solo di unirsi a questi eroi e di vivere una vita avventurosa in loro compagnia. Molti di questi giovani stanno facendo un lavoro dannoso. Cercano di circondarsi di gloria dichiarando ai loro compagni di essere in contatto con persone influenti e che la loro partenza nella macchia non è altro che una questione di giorni e persino ore. Questo bluff ha successo e strani rumori circolano in città. I genitori si commuovono e il disagio incombe sulle case di famiglia »...

    La documentazione relativa a questo fenomeno di arruolamento è incompleta e intrinsecamente distorta dalla logica del processo: l'imputato non dice tutto e i tribunali cercano solo di scoprire cosa li interessa. Possiamo facilmente immaginare che gli interessi della giustizia non siano necessariamente quelli dello storico! Tuttavia, alcuni punti possono essere sollevati.

    1) Gli impegni furono generalmente di breve durata, anche se a volte ripetuti, come mostra l'esempio di Lucien B. Costretto a scegliere, nel dicembre 1944, tra la naturalizzazione francese, per poter continuare a servire nell'FFI, o la Legione Straniera, la maggior parte dei volontari svizzeri sceglie la seconda opzione. Presteranno servizio principalmente nella vicina Francia, ma alcuni si troveranno nel Nord Africa o nell'Indocina.

    2) Gli impegni erano spesso individuali, anche in piccoli gruppi, e non sembrano essere collegati a partiti e movimenti politici (né del resto ai circoli di "resistenza" interni), a differenza, ad esempio, dei brigadisti svizzeri, che pure si appoggiarono al movimento comunista svizzero e internazionale e i volontari delle Waffen-SS, che hanno beneficiato di importanti staffette tra i movimenti frontisti e pro-Hitler. Ciò non significa che non esistesse alcuna rete per aiutare i candidati svizzeri, ma le reti utilizzate, come in alcune occasioni, non sembravano rientrare nei sistemi comunista e socialista della Svizzera romanda. Quando un volontario ha approfittato dell'aiuto di una rete, ad esempio per attraversare il confine, passava per una delle reti resistenti francesi a Ginevra (Delegazione generale della Resistenza in Svizzera, rete del colonnello Groussard, ecc.), oppure da una rete svizzera di aiuti alla resistenza, come quella dei coniugi Reymond a Vevey, che ha collaborato con i combattenti della resistenza francesi.

    3) Dal secondo punto segue una terza caratteristica: le reclute rappresentano un gruppo con scarso profilo politico, contrariamente a quanto suggerisce l'esempio dell'attivista Benjamin M. Non abbiamo a che fare con un'esplosione antinazista rivendicata come tale (mentre i brigadisti non facevano mistero della loro solidarietà con i repubblicani e gli svizzeri Waffen-SS erano spesso molto difficili da negare alle loro inclinazioni hitleriane). Certo, gli accusati abbastanza spesso riconoscono le loro simpatie per la causa resistente, persino la loro ostilità verso Hitler (soprattutto dopo l'attacco incendiario a Saint-Gingolph, scatenato dai tedeschi il 23 luglio 1944), ma il motivo ideologico non è preponderante . Più decisivo sembra essere stato il legame culturale e sociale con la Francia (francofilia, presenza di genitori o esperienza vissuta in questo paese, ecc.). Ma gli amanti della Francia non si sono tutti impegnati nella Resistenza! Doveva esserci un piccolo detonatore, da ricercare nelle condizioni sociali dei volontari al momento della loro partenza.

    4) In effetti, l'impegno resistente è stato principalmente il risultato di persone socialmente "disponibili", o in cerca di rottura, o addirittura "marginali". Quindi principalmente giovani single (90% sotto i 30 anni), ma non disoccupati (solo il 10% disoccupati, contro il 50% tra i brigatisti). Molte persone hanno problemi familiari, uno stato depresso, problemi finanziari, problemi con la legge, una delusione amorosa ... Basti dire che Conrad Hentsch è un'eccezione, qualunque sia il credito che diamo alle informazioni da sentenze militari.

    5) Secondo i documenti, molti dei volontari presentavano disturbi mentali. Ma anche in questo caso è necessaria cautela, poiché tali disturbi, se riconosciuti dai tribunali, riducono la responsabilità della persona interessata e quindi anche la sanzione. Molto più credibile è il gusto per l'avventura che continua a tornare. Va notato che l'80% dei combattenti erano lavoratori manuali (operai, muratori, ecc.), Molti dei quali erano attratti dall'avventura militare o semplicemente dall'azione.

    In realtà, per favorire l'impegno è sempre stata necessaria una combinazione di fattori. Ma qualunque sia l'alchimia speciale di cause e motivazioni ogni volta, la giustizia militare ha condannato i combattenti che ha scoperto, in base al principio che il crimine del servizio militare straniero costituisce « un vero pericolo per il paese in quanto gli autori di questi crimini sono numerosi ». A questo crimine ne sono stati generalmente aggiunti altri: attraversamento illegale della frontiera, inosservanza delle prescrizioni di servizio, abuso e deterioramento delle attrezzature, rifiuto di servire, diserzione, ecc. Delle 85 sentenze di primo grado, il 70% dei volontari ha ricevuto una pena detentiva inferiore a 1 anno, il 17% di una pena tra 1 e 2 anni e il 13% di una pena tra 2 e 5 anni. Se le frasi più frequenti erano di 2, 3 o 6 mesi, un terzo era ancora per più di 1 anno (con perdita dei diritti civili). I cittadini con doppio passaporto, che in linea di principio non erano responsabili del reato di servizio straniero, furono tuttavia condannati per altri motivi, come abbiamo visto con Conrad Hentsch. Questi sono tuttavia pochi tra i casi riscontrati, perché potevano raggiungere la Francia con mezzi legali.

    Le convinzioni passarono quasi inosservate. In ogni caso, non scatenarono polemiche quanto quelle dei brigatisti, e non interessarono le menti tanto quanto quelle dei Waffen svizzeri, che intervenne in un contesto particolarmente ricettivo a tutto ciò che riguardava i nazisti. Non si può dire che la Svizzera sacrificasse le circostanze assolvendo coloro che si erano impegnati dalla parte dei vincitori, mentre travolgeva quelli che avevano fatto la scelta opposta. Prova di ciò è la continuità delle condanne oltre l'8 maggio 1945. E la Svizzera ufficiale ha fatto di tutto per limitare questo argomento alla riservatezza. Quando il vice console svizzero di Nancy chiese a Berna, per esempio, di comunicare alla madre del giovane Joseph Lanz la decorazione che suo figlio, uno svizzero morto in azione (c'erano effettivamente anche morti dalla parte svizzera), aveva ricevuto, un funzionario annotò a margine della lettera: "D'accordo, ma non vogliamo avere nulla a che fare con la decorazione assegnata a L.".

    Dopo la guerra, il tema brilla per la sua assenza nel dibattito pubblico, anche se la Francia ha intrapreso diversi passi nel 1945-1947. Il 29 giugno 1945, ad esempio, lo stesso generale Kœnig intervenne con il ministro svizzero a Parigi, Carl J. Burckhardt. Secondo quest'ultimo, il generale francese gli fece le seguenti osservazioni: « Avevo sotto il mio comando un numero piuttosto elevato di svizzeri che, poiché hanno combattuto per la Francia, si trovano attualmente in una situazione difficile per quanto riguarda il proprio paese. Vorrei parlare a loro favore. In primo luogo, rappresentano una tradizione molto antica del vostro Paese, poi hanno combattuto mirabilmente, ciascuno individualmente, facendo il più grande onore alla Svizzera e al suo spirito militare. Ora ci sono alcuni che sono stati presi dal famoso "Heimweh". Vorrebbero tornare a casa e non possono. Perorate la loro causa, signore. » Burckhardt trasmetterà semplicemente queste parole al capo del dipartimento degli affari esteri, senza commenti.

    https://www.letemps.ch/opinions/suis...ance-francaise
    (originale in francese, traduzione di Google e mia)

  4. #204
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    Predefinito Re: Seconda guerra mondiale e paesi neutrali : I parte la Svizzera

    « Svizzera, base arretrata della Resistenza
    Per la Resistenza, il nostro paese neutrale rappresentava una vera risorsa strategica. Ma la sua "ambasciata" clandestina a Ginevra è stata anche il fermento delle lotte interne.

    Nei suoi "Ricordi di guerra", il generale De Gaulle menziona la Svizzera solo quattro volte. Non solo! Il leader carismatico della Francia libera, l'uomo del famoso appello del 18 giugno 1940, ne parla solo nel contesto delle operazioni militari della Liberazione. Eppure, sottolinea lo storico Robert Belot in "L'affaire Suisse" (1), il nostro paese ha rappresentato una vera risorsa per la strategia della Resistenza francese. In più di un modo, ha persino giocato un « ruolo decisivo ». Per potersi sviluppare e agire, la Resistenza interna necessitava di collegamenti con « le France » esterne (Londra, Algeri, Stati Uniti) e con gli Alleati. Due vie transfrontaliere si aprivano ad essa, nell'Europa liberticida dell'epoca: da un lato la Spagna non belligerante, dall'altro, la Svizzera neutrale. La Spagna è stata un « transito » verso l'Inghilterra o il Nord Africa, ma non un rifugio, essendo il regime politico ideologicamente favorevole all'Asse. La Svizzera, per la sua neutralità - sebbene inizialmente favorevole a Pétain - e la sua cultura francofona e francofila nella sua parte romanda, ha funzionato come spazio di « collegamento », persino di ritiro e rifugio.

    Esigenze critiche

    La resistenza francese, con le sue molteplici ramificazioni, aveva esigenze sempre più grandi, sia in materia di comunicazione, di intelligence, di finanziamento o nelle attrezzature. La funzione svizzera di « relè » era quindi estremamente utile. Il suo spazio sicuro ha permesso alla Resistenza di entrare in contatto diretto con le potenze alleate, mentre i collegamenti radio dalla Francia erano limitati, a causa della mancanza di attrezzature e della pericolosità, essendo che la ragiogoniometria permetteva di identificare i trasmettitori. La Svizzera è stata anche un « centro finanziario » tra la Resistenza e gli Alleati, come dettagliato dal giornalista e storico Jean-Pierre Richardot nel libro «Une autre Suisse»(2). Nel maggio del 1943, ad esempio, l'agenzia di intelligence americana OSS confermò tramite telegramma di aver fornito aiuti per due milioni di franchi alla Resistenza nell'Alta Savoia e altri due milioni per il Mouvements Unis de la Résistance (MUR) a Ginevra.

    Ambasciata sotterranea

    Per facilitare l'accesso a fonti di finanziamento, migliorare le comunicazioni con il mondo esterno e ricevere armi, una sorta di « ambasciata » clandestina del MUR fu creata nella primavera del 1943 a Ginevra. Il suo iniziatore fu il resistente Henri Frenay, fondatore del movimento di liberazione francese, meglio conosciuto con il nome del suo giornale « Combat ». Questa « delegazione svizzera » ha ricevuto il sostegno americano da Allen Dulles, capo dell'OSS per l'Europa e futuro capo della CIA, che ha promesso un grande sostegno finanziario in cambio di servizi di intelligence. Ma questa iniziativa della Resistenza interna non piacque agli inglesi, che fino a quel momento avevano avuto il monopolio sulla fornitura di attrezzature, né a Jean Moulin, responsabile dell'unificazione della Resistenza, che vi vedeva una concorrenza con il governo della Francia libera, in un momento in cui le relazioni tra de Gaulle e l'alleato d'oltreatlantico si tingevano di sfiducia. La crisi, che è degenerata in un « Affaire suisse », si risolverà con la tragica scomparsa del più famoso combattente della resistenza francese (leggi sotto).

    Settori strutturati

    Se Jean Moulin « utilizzò » brevemente la Svizzera solo per un ritorno in Francia nel 1942, trasmettendo messaggi dalla rappresentanza britannica a Berna e organizzando circuiti finanziari, molte reti francesi furono istituite sul territorio svizzero. Lo storico Robert Belot cita ad esempio la rete di intelligence « Bruno », che è stata schierata ai margini dell'ambasciata francese a Berna, attraverso il servizio di intelligence francese. « Bruno » era guidato dal comandante Gaston Pourchot, vice addetto militare, che aveva filiali a Basilea, Zurigo, Losanna e Ginevra e poteva contare su 250 agenti mobili, agendo in totale illegalità. Questa rete consentì la diffusione di informazioni segrete, principalmente militari, ma anche il passaggio di agenti che facevano regolarmente la spola o combattenti della resistenza « bruciati », che arrivarono « per mettersi al sicuro » in Svizzera e continuare la lotta a distanza. Ad Ajoie, uno dei principali trafficanti, il Belfortese e il futuro generale Albert Meyer, permise la fuga e il salvataggio di oltre un migliaio di persone, compresi i genitori del politico Pierre Mendès France. Un'altra rete prese su una scala considerevole: quella del colonnello Georges Groussard. Nelle sue memorie, questo ex capo di stato maggiore della regione parigina, ripudiato da Vichy, stimava che i combattenti della resistenza francesi stabiliti nella Confederazione fossero « molto più informati che a Londra sul particolare clima in cui i francesi si stavano evolvendo ».

    La Svizzera complice

    Anche la Svizzera ha beneficiato di queste reti, in particolare della divisione "Francia" del Servizio di intelligence dell'esercito (SR), che aveva urgentemente bisogno di informazioni sulla Germania e la Francia occupata. Ne ha approfittato anche per le importazioni illecite di attrezzature. Il capitano Pierre Clément, capo della SR svizzera per il settore di Ginevra, dopo la guerra ha riconosciuto di aver chiesto a Félix Plottier del MUR di ottenere in Francia compressori per aerei per la difesa nazionale svizzera.

    Tabella per qualificarsi

    Questa tabella è ovviamente valida. La Svizzera ufficiale ha potuto aiutare solo marginalmente la Resistenza. E se gli agenti dei servizi speciali prestavano regolarmente la loro assistenza ai francesi, anche i combattenti della resistenza, persino i rifugiati sul suolo svizzero, venivano repressi o incarcerati, per informazioni a favore di una potenza straniera, valichi di frontiera illegali, documenti falsi o violazioni del nazionale ridotto. Per non parlare del contrabbando ...

    1 - «L’Affaire suisse – La Résistance a-t-elle trahi deGaulle?», Robert Belot et Gilbert Karpman, EditionsArmand Colin, 2009.
    2 - «Une autre Suisse – Un bastion contre l’Allemagne nazie», Jean-Pierre Richardot,Ed. du Félin/Ed. Labor et Fides, 2002
    »
    https://www.rts.ch/docs/histoire-viv...%C3%A9sistance
    (originale in francese, traduzione di Google e mia)

    Luce sull'affare svizzero
    L'affare svizzero, nel 1943, rivela l'esistenza di « due culture resistenti e le difficoltà della comprensione reciproca tra resistenza interna e resistenza esterna », commenta lo storico Robert Belot, in un articolo del « Dictionnaire de la France libre » (Ed. Laffont, 2010). Queste « culture » divergenti sono infatti perfettamente incarnate da Henri Frenay, il combattente della resistenza interna, e da Jean Moulin, responsabile di unire l'intera Resistenza sotto l'autorità del Generale de Gaulle. Per il primo, la creazione di una « ambasciata » clandestina a Ginevra era il mezzo ideale per garantire al Movimento Unito della Resistenza (MUR) il sostegno finanziario previsto dagli Stati Uniti. Impedirlo sarebbe stato « un crimine contro la resistenza ». Per Jean Moulin, al contrario, un'iniziativa del genere equivaleva a lanciare « un pugnale alle spalle del generale de Gaulle ». Robert Belot, basandosi su archivi eccezionali, decodificato dallo specialista di crittografia Gilbert Karpman, sgonfia oggi la controversia. « Ora si comprende che Frenay e il MUR non volevano organizzare un'operazione antigaullista, ma semplicemente trovare soldi per finanziare i maquis », ha detto. Accidenti! L'onore della Svizzera è salvo!
    La spada dello spirito
    Grazie all'impegno degli editori di libri e riviste, nonché a reti amichevoli, la Svizzera è stata in grado di offrire a un certo numero di intellettuali francesi la possibilità di impugnare la « spada dello spirito ». « La Svizzera fa parlare la Francia! » Commenta lo storico Robert Belot, osservando che « la provincia » oltre il Giura è diventata, durante il conflitto, una « capitale di speranza e sopravvivenza ». Se la libertà di espressione era limitata dal principio di neutralità e da speciali misure in tempo di guerra, le case editrici impegnate continuavano a vedere la luce del giorno: l'Università di Friburgo (LUF) ha persino creato una nuova collezione, intitolato « Le Cri de la France ».
    I giornali hanno anche dato voce agli autori ostili al regime di Vichy. Questo è stato il caso di Friburgo, ad esempio, con « L’Indépendant », che ha pubblicato una serie di articoli non firmati sulla Francia gollista, attirando critiche dallo stato maggiore territoriale. La stampa rimase relativamente libera, ma le pubblicazioni critiche contro l'Asse furono comunque censurate più di 2.000 volte e furono vietati quasi 200 articoli che attaccavano gli Alleati. Va notato che fino al 1942, circa 150.000 giornali sono entrati in Francia ogni giorno, la stampa romanda ha così partecipato al mantenimento di un certo livello di informazione. Questo flusso fu in seguito proibito da Vichy.

  5. #205
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    Predefinito Re: Seconda guerra mondiale e paesi neutrali : I parte la Svizzera

    Accadde ieri, ottant'anni fa.

    La polizia svizzera arresta alcuni soldati che avevano cercato di contrabbandare verso la Germania informazioni sulle fortificazioni e l'armamento dell'esercito elvetico. Tra di essi vi è anche Ernst Schrämli, che sarà in seguito condannato a morte.

    - - -

    Già che ci sono, una piccola curiosità.

    Sono finito di nuovo su questa foto, che ritrae la celebre staffetta partigiana Tina Anselmi.



    Ora, l'arma che porta aveva attirato la mia attenzione; trattasi a prima vista di un Suomi KP-31 finlandese, mitra usato e prodotto su licenza da vari Paesi, tra cui la Germania. L'URSS lo copiò per realizzare il PPSh.
    La versione però ha una particolarità, che (assieme all'alzo per la mira) lo distingue da tutti gli altri modelli; un innesto per la baionetta sotto la canna. Ora, tra quelli che l'hanno prodotto su licenza, solo in Svizzera si è avuta la curiosa pensata che mettere una baionetta su un mitra fosse una buona idea.
    Alla fine, quello nella foto è un Hispano-Suiza MP43/44, prodotto in circa 20'000 esemplari ad esclusivo uso dell'esercito svizzero e mai esportato, salvo che in un'occasione; quando venne fornito, in numero che non riesco a precisare, ai servizi segreti alleati in Svizzera, e dal Ticino contrabbandato ai partigiani in Italia con una buona dotazione di munizioni.



    From Top:
    Swiss MP 43 produced by Suomi, adjustable curved sight
    Swiss MP43/44 produced by Hispano-Suiza, flip sight
    Swiss MP43/44 produced by Hispano-Suiza, flip sight, bayonet mount

  6. #206
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    Predefinito Re: Seconda guerra mondiale e paesi neutrali : I parte la Svizzera

    Prima di tutto...
    Citazione Originariamente Scritto da Halberdier Visualizza Messaggio
    [...]
    Sono finito di nuovo su questa foto, che ritrae la celebre staffetta partigiana Tina Anselmi.
    [...]
    ... un'errata corrige. A quanto pare (e non so come) il nome riportato laddove avevo cercato informazioni era sbagliato. Non si tratta di Tina Anselmi, ma della meno conosciuta Prosperina Vallet...
    Devo aver visto la foto in un articolo su Tina Anselmi senza verificare, o qualcosa del genere...
    https://www.rainews.it/archivio-rain...1bc8d10a4.html

    Detto questo...

    Accadde oggi, ottant'anni fa.

    Joseph Göbbels scrive sulla rivista Reich: « Svizzera e Svezia trascurano la più elementare valutazione della sicurezza e della futura esistenza dei loro Paesi [...] Se questi Paesi neutrali non sono pronti a combattere assieme a noi per la vittoria tedesca, dovrebbero almeno pregare Dio per tale vittoria. Ma non riescono a capirlo [...] le loro tendenze politiche inclinano al bolscevismo. »
    (citazione ripresa da "La Svizzera nel mirino")

  7. #207
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    Predefinito Re: Seconda guerra mondiale e paesi neutrali : I parte la Svizzera

    Accadde oggi, ottant'anni fa.

    La Germania vieta qualsiasi spedizione di pacchi postali dalla Svizzera verso l'estero. Il motivo è che l'industria svizzera utilizzava queste spedizioni per inviare discretamente verso la Gran Bretagna articoli industriali di alta precisione ad uso militare, tra cui cronografi e parti per la strumentazione di aerei, che la Germania aveva vietato alla Svizzera di esportare verso gli Alleati; alcune di queste merci, come i cuscinetti a sfere di rubino prodotti dall'industria orologiera, erano realizzate quasi solo in Svizzera. Per aggirare l'ostacolo, si ricorse appunto a spedizioni anonime tramite prestanome, finché la Germania non scoprì il trucco.
    A seguito di questo divieto, l'industra svizzera continuò comunque a rifornire gli Alleati di queste merci di grande importanza strategica, principalmente camuffandole da articoli più innocui (ad esempio orologi, o riempiendo gli orologi stessi di parti di alta precisione normalmente non necessarie) ma anche tramite contrabbando, organizzandosi con i servizi segreti britannici e i gruppi clandestini filobritannici in Francia. Era un contrabbando a due sensi, dato che la Svizzera esportava merci finite e importava materie prime, semilavorati e altre merci che altrimenti non avrebbe potuto procurarsi (a quanto ricordo furono importate anche parti per motori d'aereo in questo modo).
    Tale contrabbando proseguirà fino alla seconda metà del 1944, quando gli Alleati raggiungeranno la frontiera svizzera. Ci fu un curioso avvenimento, a riguardo; le truppe americane che raggiunsero la frontiera catturarono alcuni "individui sospetti" che si aggiravano nell'area, che in seguito si scoprì essere agenti britannici impegnati in questo contrabbando. Ovviamente i soldati non ne sapevano niente, da qui l'arresto.

    « Certi materiali importanti per la guerra ci vengono dalla Svizzera, con la connivenza delle autorità. Questi materiali comprendono speciali equipaggiamenti per la RAF, rubini per strumentazioni, macchine utensili, cronografi, teodoliti, per un valore di £300'000 all’anno. »
    Stato Maggiore Britannico, 29 novembre 1943 (Citazione ripresa da "La Svizzera nel mirino")

  8. #208
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    Predefinito Re: Seconda guerra mondiale e paesi neutrali : I parte la Svizzera

    Accadde... ieri, ottant'anni fa.

    Con decisione del Consiglio Federale, viene decretata la chiusura delle frontiere svizzere ai rifugiati "illegali" (ovvero senza diritto di asilo secondo le leggi internazionali allora vigenti). Significò nei fatti chiudere le frontiere a tutti quei rifugiati che non erano perseguitati per le loro attività politiche o che non erano militari o combattenti. Ovvero i civili, in particolare gli ebrei.
    La misura, in realtà, verrà applicata alla lettera solo per pochi giorni. In seguito a forti proteste da parte della popolazione e di varie associazioni, tale decisione verrà prima ufficialmente attenuata, permettendo l'ingresso ad alcune categorie vulnerabili (bambini con le famiglie, donne, anziani,...), e poi discretamente disattesa dalle stesse autorità che la dovevano applicare. Lo stesso Eduard von Steiger, che con la metafora della "barca piena", aveva pubblicamente introdotto e difeso la chiusura dei confini, respingendo in modo aspro molte critiche, contattò i comandi di frontiera chiedendo loro di essere più permissivi possibile. E questo mentre continuava, pubblicamente, a difendere una prassi restrittiva.
    Questo atteggiamento risultò evidente dal numero di rifugiati "illegali" accolti nei giorni successivi. I primi giorni dopo il "blocco" crollarono quasi a zero, per poi rapidamente aumentare e superare, a fine mese, il numero di quelli accolti a luglio. A settembre, ovvero il primo mese completo di applicazione della "chiusura delle frontiere", vennero accolti più profughi civili "illegali" che in tutti i mesi precedenti dell'anno.
    Alla fine, dei rifugiati "illegali" che si presentarono alla frontiera, in media tra l'85% e il 95% di essi venne accolta, per la maggior parte mentre le frontiere per loro venivano dichiarate chiuse.

    « [...] la decisione del 13 agosto 1942 NON è stata applicata sul terreno (le cifre sono quelle della Commissione Bergier, che non ne ha però tratto l'evidente conclusione). Un'analisi più dettagliata dimostra che fu applicata una prassi più restrittiva nei giorni successivi alla decisione, ma i rifugiati illegali che si sono presentati in seguito (ripetiamolo, quasi tutti ebrei) sono stati in realtà accolti, nella loro grande maggioranze, DOPO che la frontiera era stata dichiarata ufficialmente chiusa.
    In altre parole vi fu, nello stesso momento in cui la barca era stata dichiarata piena, un contrasto molto evidente tra la linea ufficiale delle autorità, rimasta a lungo molto rigida, e la prassi effettiva alle frontiere. È a questo momento che il Consigliere federale von Steiger, che gestiva il dossier e a cui dobbiamo l'immagine della barca piena, ha ufficiosamente consigliato ai responsabili della regione di Ginevra di non applicare la linea ufficiale, cosa che hanno largamente fatto, allora come in seguito. Lo stesso contrasto si poté osservare nelle tre ondate successive di rifugiati, anche se la linea ufficiale si era progressivamente addolcita a partire dal 1943, diventando quindi sempre meno contraddittoria nei confronti della prassi effettiva.
    »
    Auschwitz non era in Svizzera - Jean-Christian Lambelet (Ripreso da "La Svizzera alla berlina?", GLSV)

  9. #209
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    Predefinito Re: Seconda guerra mondiale e paesi neutrali : I parte la Svizzera

    Accadde nei giorni scorsi...

    26 agosto
    In una riunione con i vari Gauleiter, Hitler annuncia che: « A uno Stato come la Svizzera, che non è che una pustola sulla faccia d’Europa, non può essere consentito di continuare. »
    Proseguirà poi definendo gli svizzero-tedeschi « un ramo bastardo del nostro popolo ».
    (citazione ripresa da "La Svizzera nel mirino")

    (giusto un reminder per chi ancora crede alla favola di Hitler che rispettava la Svizzera...)

    1.o settembre
    Come parte di una nuova serie di preparativi per un'invasione tedesca della Svizzera, ai soldati della Wehrmacht viene distribuito segretamente un opuscolo denominato « Kleines Orientierungsheft Schweiz », destinato ad illustrare loro l'avversario contro cui avrebbero dovuto combattere.
    Tra le altre cose vi stava scritto:
    « Il sistema di milizia svizzero permette l’arruolamento completo di tutti gli abili al servizio a costi relativamente bassi. Da sempre mantiene nel popolo svizzero un vivace spirito combattivo e permette a questo piccolo Paese la messa a punto di un esercito veloce nell’impiego, molto forte e organizzato in modo efficace. Il soldato svizzero si distingue per il suo amore per la patria, la sua durezza e tenacia.
    [...]
    In sintesi, possiamo dire che oggi la difesa svizzera ha raggiunto un grado che consente all'esercito di opporre una seria resistenza nelle zone di confine e di resistere nel Ridotto Nazionale per molto tempo.
    [...]
    La determinazione del governo e della popolazione a difendere la neutralità svizzera contro qualsiasi aggressore è al di là di ogni dubbio. »
    (citazioni da "La Svizzera nel mirino" e da Wikipedia)

  10. #210
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    Predefinito Re: Seconda guerra mondiale e paesi neutrali : I parte la Svizzera

    Citazione Originariamente Scritto da Halberdier Visualizza Messaggio
    la Svizzera, che non è che una pustola sulla faccia d’Europa...Proseguirà poi definendo gli svizzero-tedeschi « un ramo bastardo del nostro popolo ».
    e dove avrebbe sbagliato?
    Una Cina, una Yugoslavia, una Russia, una Corea, una Palestina, un'Irlanda. E zero USA

 

 
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