« La guerra dei nervi (da "La Svizzera in guerra", Werner Rings)
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La neutralità morale
Alla tattica del cuscino applicata da Motta il ministro della Propaganda del Reich contrappose molto presto il proprio concetto della neutralità, col quale Berlino voleva tentare di vincere l'ostinazione elvetica e di riuscire a chiudere alla fin fine la bocca alla stampa svizzera.
Secondo il concetto svizzero, la neutralità è, in linea di principio, un affare di Stato. Essa obbligalo Stato a non prendere parte in caso di guerra per alcuna delle potenze belligeranti. Ma non impone alcun obbligo al privato cittadino. [...]
Secondo la tesi tedesca, invece, la neutralità dello Stato viene assicurata solo fino a quando la stampa e anche il cittadino non prendono posizione, e questo anche in tempo di pace. [...] Agli occhi dei tedeschi, dunque, la neutralità non era solo una questione giuridica, ma era soprattutto una questione di opinioni.
Il Terzo Reich esigeva dunque una neutralità morale, che gli avrebbe permesso di considerare come violazione di neutralità qualsiasi atteggiamento critico della stampa.
Berlino valutava a tal punto quesa sua invenzione che il Ministero della propaganda diede in seguito, nel febbraio 1940, istruzioni segrete alla stampa e alla radio tedesca: « Il ministro ordina di non minacciare "con le armi" gli Stati enutrali, ma di ispirare loro gradualmente terrore in modo che interpretino la neutralità secondo i concetti da noi illustrati ». [...]
Andava dunque chiarito un altro punto: in caso di emergenza, di fronte al pericolo di guerra, poteva sussistere la libertà di stampa? [...]
Si decise di mantenere la libertà di stampa. Sembrava seplicemente assurdo pretendere che il popolo rinunciasse a uno dei diritti fondamentali della democrazia per il quale era pronto a battersi. Non si poteva salvaguardare la democrazia abolendo uno dei suoi diritti.
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Controllo della stampa e censura
Il controllo della stampa era organizzato dai militari, ma il tono era quello dato dai civili.
Nella maggior parte dei casi le decisioni erano quelle prese dalle commissioni di controllo e di reclamo, composte da tre ufficiali e e da quattro giornalisti o uomini politici. La voce dei civili aveva la prevalenza, in caso di incertezza. Le redazioni potevano inoltre ricorrere contro le decisioni degli organi di controllo. [...]
Le sanzioni gravi vennero applicate raramente. C'erano più di 400 giornali in Svizzera e numerose riviste. Nel corso dei sei anni di guerra ci furono solo cinque sospensioni a tempo illimitato. Colpirono tre giornali frontisti, un giornale socialista e uno comunista. Le sospensioni temporanee furono venti: giornali o riviste borghesi, 9; giornali o riviste socialiste, 8; giornali o riviste frontiste, 3. Undici giornali soltanto furono sottoposti temporaneamente alla censura preventiva.
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Questa distribuzione di ruoli, la già citata "tattica del cuscino", poteva, come in questo caso, far perno su una sola persona. Edgar Bonjour, censore a Basilea, era stato obbligato a proibire lo scritto dell'amico Karl Barth. Non appena uscito dall'ufficio stampa, si affrettò ad aiutare Barth nella distribuzione del testo da lui stesso vietato. Come libero cittadino, sentì impellente il dovere di farsi garante di ciò che poco prima, come autorità di controllo, aveva dovuto proibire.
Ma controlli sulla stampa e censura sui libri finirono per raggiungere lo scopo prefissato. Addomesticarono, livellarono libertà di opinioni e di espressione. E, in un certo senso, riuscirono anche ad alterare e falsare il quadro che l'osservatore straniero poteva farsi della Confederazione. [...] Ma fu proprio questa moderazione, in parte spontanea, in parte obbligata, ad avere une ripercussione internazionale con la quale nessuno aveva fatto i conti: la stampa e la radio svizzera si guadagnarono la fama di essere la voce della verità. Visto che non si lasciavano influenzare dalla propaganda di parte, passarono per fonti sicure ed attendibili. Ci si poteva fidare di loro. Così perse mordente anche quella guerra dei nervi promossa dal Terzo Reich e diretta anche contro di esse.
Questa conseguenza, indesiderata dalle potenze dell'Asse, è stata abbastanza profonda. E ne sono la prova, per esempio, i commenti sulla politica mondiale, presentati regolarmente alla radio della Svizzera Romanda da Réné Payot e dal professore di storia J.R. Von Salis alla radio della Svizzera tedesca.
La voce del professor Von Salis
Soltanto dopo la guerra si seppe che molti europei, spesso a rischio della vita, ascoltavano questi commenti, tutti i venerdì, dalle 19.10 alle 19.25.
« Noi vivevamo da un venerdì all'altro, ci nutrivamo delle sue parole. » scrisse un ascoltatore a Von Salis. E un altro: « Stavamo in ascolto, a rischio della vita, in solaio, nascosti sotto una coperta di lana ».
Nei campi di concentramento, si ascoltava questa voce ogni venerdì con apparecchi costruiti alla buona, con mezzi di fortuna. E si annotavano in stile telegrafico le notizie principali e i commenti. I foglietti con le notizie venivano stracciati e distribuiti separatamente. Altri detenuti si incaricavano di ricostruirli e di leggerli.
In Jugoslavia e Cecoslovacchia, tecnici ed ingegneri che sapevano il tedesco si incaricarono di seguire regolarmente le trasmissioni, per informare poi il personale delle officine e delle fabbriche.
Ma tra gli ascontatori più devoti, che poi diffondevano le dichiarazioni del professore di storia, c'erano anche ufficiali tedeschi nei territori occupati, ufficiali inglesi in Nord Africa, oltre al personale del servizio informazioni dell'esercito britannico nonché del servizio stampa britannico.
L'ex cancelliere austriaco Schuschnigg, che ascoltava i commenti nel campo di concentramento in cui era detenuto, più tardi scrisse su Von Salis e sulla sua Weltchronik: « Niente ironia, niente sarcasmo; soltanto la realtà oggettiva e chiara in cui vibrava l'intima partecipazione. Non si poteva dimenticare che erano in gioco non soltanto cifre e dati interessanti, ma vite umane, una somma incalcolabile di tragedie umane da una parte e dall'altra ».
Soltanto con l'esame in retrospettiva si riesce a rendersi conto del fatto che la Weltchronik occupava, in un certo senso, un posto a parte nel campo della neutralità politica. Veniva a rappresentare un caso assolutamente singolare.
Uno dei primi atti ufficali del Presidente Pilet-Golaz, quando assunse la direzione del dipartimento politico, fu quello di chiamare il professor Von Salis con l'incarico di commentare regolarmente alla radio gli avvenimenti mondiali. Non gli diede alcuna consegna politica, né gli pose condizioni di sorta. E questo era già, di sé, qualcosa di straordinario.
Quando Von Salis avvertì per iscritto la direzione della radio che avrebbe cessato immediatamente la sua collaborazione il giorno in cui la libertà di pensiero avesse subito costrizioni inammissibili, gli venne risposto che nessun organo di controllo avrebbe mai effettuato alcuna cansura, e che il suo testo sarebbe stato semplicemente letto dalla direzione.
È singolare anche il fatto che Von Salis non avesse accesso ad informazioni segrete o a documenti diplomatici, e che non avesse nemmeno contatti con autorità politiche e militari. Doveva accontentarsi di quello che ogni comune lettore di giornali in Svizzera poteva sapere. Era obbligato a confrontare da solo le informazioni rese pubbliche ed i comunicati ufficiali. Doveva interpretarli e preoccuparsi continuamente che le sue idee generali, le sue inclinazioni politiche, non influenzassero il suo giudizio obiettivo. Von Salis, un isolato, un uomo che scriveva quel che pensava nella clausura monacale del suo castello di Brunegg in Argovia, parlava alla radio come un cittadino qualsiasi. Non rappresentava nessuno e niente. Non era che sé stesso.
Di tanto in tanto, soprattutto nel corso dei primi anni, il direttore della radio svizzera gli propose di sopprimere questa o quella frase, o di attenuare qualche conclusione. E la rinuncia, qualche volta, gli fu difficile.
A Berlino, non si era però propensi a lasciare Von Salis libero di dire sempre la sua. Per tre volte il governo del Terzo Reich chiese al Consiglio Federale di sostituirlo con un altro commentatore. Ma né il governo centrale, né la direzione generale della Radio svizzera si piegarono mai a queste ingiunzioni.
La cosa venne portata a conoscenza di Von Salis soltanto dopo la fine del conflitto. »