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psico
Piccola patria di Alessandro Rossetto a Venezia 70: Nord-Est, terra di nessuno | Indie-eye - Cinema Si noti l'odio traboccante razzista che esce da queste parole pronunciate dalla critica nord est, a proposito del film. Denaro facile, torbidi intrecci sentimentali, miti metropolitani e osservatori strapaesani, in Piccola patria, presentato nella sezione Orizzonti di Venezia 70, la realtà deborda nello scenario squallido e televisivo di un reality Ricchezza cresciuta in fretta su radici contadine e sottocultura dominante, perdita di identità, valori e tradizioni, alienazione e assenza di prospettive che non mirino al guadagno ad ogni costo, tutto questo esplode colpito oggi dallo tsunami della crisi finanziaria che, dopo aver sgonfiato la bolla economica degli ultimi decenni, mostra su quali esili basi fosse fondata. QUI COME AL SOLITO, QUESTA REGIONE E' PRESA ANCORA DI MIRA CON PAROLE PESANTI, TRABOCCANTI D'ODIO. SOCIETA' SENZA VALORI, SOLDI A VOLONTA', IL CONTADINATO, L'ossessione dei radical chic ancora messo in discussione. Andiamo oltre; le due ragazze con il vuoto pneumatico in testa, l’albanese che vive in roulotte e sembra migliore di tutti gli altri del posto, padri e madri vuoti simulacri di ruoli perduti per sempre, l’amico di famiglia porco che scopa la figlia dell’amico, il ricatto col filmino hard, e le botte, quelle sempre, basta uscire da una discoteca fumati e strafatti) è il ritratto di una piccola patria molto coerente in tutte le sue parti LO STRANIERO SEMPRE e comunque buono. Qui a differenza del cinema usa stavolta si usa il ragazzo albanese, nella grande mela, il negro, visto sempre come vincente e ricco di quei valori spirituali persi dai giovani bianchi viziati. LA CRITICA DICE CHE IL REGISTA EVITA GLI STEREOTIPI: SI GIUDICHI; spietato film simbolo di un Nord-Est gaudente e bigotto, figlio del boom economico degli anni ’60, conformista e arrivista ma ancora capace di sana autoironia, assume qui il tono amaro di una cupa leggenda da
hinterland indifferenziato, dove esistenze di basso profilo sono il prodotto di una realtà devastata, nel territorio e nella qualità di vita. Ragazze insofferenti della banale routine di paese vivono una condizione di frontiera molto simile a quella degli
States di
Cassavetes, salvo essere a due passi dall’Adriatico e invece di sconfinate praterie vediamo occhieggiare le ciminiere di Marghera addossata a Venezia.Denaro facile, torbidi intrecci sentimentali, miti metropolitani e osservatori strapaesani, in
Piccola patria la realtà deborda nello scenario squallido e televisivo di un
reality.Il ricatto sessuale di Luisa (
Maria Roveran) ai danni di Menon (
Diego Ribon ) con la complicità di Renata (
Roberta Da Soller ) e l’uso strumentale di Bilal (
Vladimir Doda) l’albanese ignaro di tutto, è cronaca annunciata. Alla fine quello che si perde è il rispetto di sé, il denaro, l’amore, e si rischia anche la vita. QUI LA FORTE MISOGINIA DEL REGISTA NON VIENE NEPPURE PENSATA. L'ALBANESE viene sfruttato dalle due ragazze terribili. Stavolta il maschio straniero è vittima della prepotenza femminile. Il solito film di denuncia razzista e xenofoba del nord est con pretese intellettuali per rendere il tutto più credibile, specie per darsi quell'importanza da superiore e di sofismo intellettivo che caratterizza la nostra società attuale.