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Discussione: Lerciume comunista

  1. #801
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    Predefinito Re: Lerciume comunista

    l'unica bella di zucchero è stata l'azione cattolica che a quei tempi aveva ancora senso.

  2. #802
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    Predefinito Re: Lerciume comunista


    Confessione di un intellettuale: sono del tutto inutile - Blondet & Friends


    Maurizio Blondet 18 aprile 2016 4
    Mentre ripercorro nel libro di Gianantonio Valli “Giudeobolscevismo” i crimini e le atrocità inenarrabili del comunismo – in gran parte fatti a me noti – mi sorprendo a ripensare alla inutilità della mia vita di giornalista-intellettuale anticomunista. Per quanti decenni io ho (con altri, migliori di me) combattuto il comunismo diffondendo informazioni sui suoi delitti? Almeno tre. Per trenta o quarant’anni abbiamo lottato, in eletta minoranza, contro la filosofia – ideologia – marxleninista, ne abbiamo mostrato la fallacia, l’abbiamo combattuta sul piano delle idee del pensiero; abbiamo dibattuto, pubblicato libri, articoli: tutto inutile.
    Inutile. I comunisti italiani – un buon 30% della popolazione votava PCI e un altro 10% i partiti più a sinistra, più totalitari – restavano ermeticamente chiusi nella loro fede, inconcussi, refrattari ai nostri argomenti, idee, informazioni che provavano il fallimento del sistema che ardevano di portare anche in Italia. Più impressionanti erano gli intellettuali: all’80 per cento almeno simpatizzanti per il totalitarismo rosso. Esaltavano Fidel, sventolavano il Libretto Rosso di Mao. Occupavano cattedre universitarie, giornali, tv, case editrici; l’ intero “mondo della cultura” era in mano loro; l’orribile Piccolo Teatro di Strehler era il luogo dove la potente Cgil precettava lavoratori pagando il biglietto perché “le masse” potessero abbeverarsi al verbo brechtiano (e salvassero Strehler dalle poltrone vuote).
    Giornalisti, intellettuali, attori e professori usavano continuamente e con sciolta competenza la terminologia e le categorie marxiste, adottavano pienamente ed esclusivamente il materialismo storico come mezzo d’interpretazione del mondo. Nelle università celebri (allora) docenti sfondavano noi studenti con esegesi infinite de Il Capitale, dei Grundrisse,di “Che Fare?” di Vladmir Ulianov Lenin, come nel Medio Evo ci si applicava all’esegesi del Vangelo o di Aristotile: Ipse Dixit. Credo che i giovani oggi, diciamo i trentenni, non possano nemmeno immaginare come dominasse e trionfasse, nella cultura italiana, il pensiero unico comunista.
    E come noi, la minoranza intellettualmente antagonista, venisse censurata, derisa, aggredita – anche fisicamente – ed esclusa dai centri di diffusione della cultura, Occupavano tutto lo spazio. Nemmeno l’uscita diArcipelago GuLag di Solgenitsyn – la piena, documentata e non smentibile rivelazione dell’universo concentrazionario sovietico – li scosse; si rifiutavano di leggere “quel reazionario, quel cristiano fascista” – allo stesso modo in cui l’Aristotelico canzonato da Galileo si rifiutava di guardare nel cannocchiale. Nei salotti, gli intellettuali “à la page” si vantavano di non averlo letto. Il sistema culturale riuscì persino a ritardarne la pubblicazione in Italia di qualche anno, se ben ricordo.
    Monolitico, inattaccabile, ci appariva ed era il Comunismo. E di colpo, un giorno è scomparso.
    Puf! Sparito. Volatilizzato.
    Da Stalin a Rockefeller – via Bronfman

    E ovviamente, non perché i suoi adepti siano stati convinti dalle nostre idee e toccati dalle nostre battaglie filosofiche. No, noi non possiamo affatto vantarci di aver vinto il comunismo coi nostri articoli e informazioni documentate. Non abbiamo convertito nemmeno uno di loro. Che cosa è stato, allora? Ovviamente, il collasso del sistema sovietico. Ma questo non basta a spiegare la rapidità e spigliatezza con cui intere legioni di politici, scrittori, teatranti, cinematografari e ideologi hanno dismesso l’habitus marxista e tutto il bagaglio di convinzioni e studi su cui avevano centrato la vita, il loro prestigio e costruito la loro carriera, per trenta o quarant’anni. Voglio dire: il crollo del comunismo sovietico è stato una immane tragedia (come ha ben detto Putin); ma appunto per questo, uno si sarebbe aspettato, da parte di quelli, un minimo di elaborazione del lutto, segni di smarrimento e di dolore; dopotutto, fra loro c’erano molti che a suo tempo avevano pianto per la morte di Stalin.
    Comunisti a Washington, 1989Ma quale lutto. Ricordo ancora con ammirato stupore la disinvolta velocità con cui Achille Occhetto, capo dell’allora più grosso partito comunista d’Occidente, si recò in visita dal miliardario ‘canadese’ Edgar Bronfman capo del Congresso Ebraico mondiale, per fare sdoganare sé e il PCI presso i poteri del capitalismo globale. Bronfman, che oltre che padrone della Seagram (Whisky) era anche insignito dal regime della Germania Est della massima onorificenza comunista, la Stella dell’amicizia dei Popoli, aveva già reso lo stesso servizio a Gorbaciov; poche ore dopo l’incontro col miliardario ebreo – maggio 1989 – Occhetto si incontrò (cito da Repubblica) “con David Rockefeller”, fu intervistato dai “ due maggiori quotidiani Usa: il Washingon Post e il New York Times”, rese omaggio “al cimitero di Harlington, dove riposano i fratelli Kennedy, e al monumento ai caduti del Vietnam”, e poi fu impegnato in “una fitta serie di colloqui con esponenti del Congresso” Usa. Tenne anche “conferenze pubbliche al Carnegie Endowment for Peace di Washington, e al Council on Foreign Relations”. Penso sia inutile precisare che in quel fruttuoso viaggio, Occhetto fu accompagnato da un solo altro esponente del comunismo: Giorgio Napolitano. Ne uscì, lui e il partito, candeggiato e legittimato a prendere il potere in Italia al posto della DC: ovviamente dopo libere elezioni. Aiutato, è vero, dalla valorosa magistratura che, con geometrica sincronicità, gli spazzò via i partiti potenzialmente concorrenti, la DC di Andreotti e Forlani e il Psi di Craxi con la leggendaria operazione “Mani Pulite”.
    LA MISSIONE DI OCCHETTO - la Repubblica.it
    Fu il più acrobatico e ammirevole salto sul carro del vincitore cui abbia assistito nella mia vita. Abbandonata la classe operaia alla grandine della globalizzazione e alla concorrenza dei salari cinesi messicani, romeni – la deindustrializzazione, il massacro salariale del ‘proletariato’ – , il PCI si dedicò a difendere “minoranze oppresse” più comode: i finocchi, e i parassiti pubblici, anzitutto. Ma il punto veramente stupefacente fu il nuovo atteggiamento dei dirigenti e della “cultura di sinistra” al completo: il comunismo e la sua storia di sangue e di gloria, non li riguardava più. I suoi delitti, i milioni di morti – crimini che i dirigenti PCI e i suoi intellettuali organici avevano giustificato, anzi rivendicato come necessari passi della “dittatura del proletariato” nell’avanzata verso la “società senza classi” in mezzo secolo di dibattiti e scontri dialettici (e fisici) con noi anticomunisti – non avevano più niente a che fare con loro. Da allora, a nessuno di essi è mai capitato di usare il linguaggio marxiano: ed è gente che per anni ha frequentato la “scuola di formazione politica alle Frattocchie”, dove di quel linguaggio, e di quella filosofia si veniva imbevuti. Erano diventati un foglio bianco. A me è capitato di citare Marx, di difendere la sua critica al capitalismo globale (una pars destruens veramente profetica); a loro, mai. D’Alema bombardava l’antico compagno Milosevic con la NATO, e si comprava lo yacht da regate da un paio di miliardi di lire, come se mai avesse letto la sardonica frase di Karl sul “modo di esistenza che crea la coscienza” (traduco: chi vive da ricco, pensa e giudica da ricco e difende il sistema sociale anche più ingiusto, perché lo sente naturale e meritevole). E Walter Veltroni? “Mai stato comunista”, disse. Ed era iscritto al Pci dall’età di 14 anni. Credeva d’essersi iscritto ad una bocciofila.
    Mai le idee hanno avuto un ruolo


    Insisto, per i lettori più giovani: mai in questa metamorfosi è stata questione di “idee”. Di revisione di idee sbagliate, di riconoscimento di idee vere e giuste. Mai. Le idee sono semplicemente state abbandonate, come si abbandona un vestito fuori moda. Come i pantaloni a zampa d’elefante, il marxismo-leninismo “non si portava più”.
    Il fenomeno, più che nei politici, fu sbalorditivo negli intellettuali, quelli che vivevano di idee, e di “quelle” idee – o almeno così credevamo noi. Fu chiarissimo che quelle idee le avevano sostenute finché aiutavano alla carriera. Peggio: noi anticomunisti dovemmo constatare che gli avversari intellettuali avevano seguito, massicciamente, “la moda”. Per anni ed anni, essere comunisti o compagni di strada, è stato di moda. Era “attuale” e moderno, faceva stile essere rosso. Era “la tendenza del momento” per cui si veniva invitati nelle tv, a scrivere opinioni sui grandi giornali, nei salotti buoni, negli ambienti che contano, e nelle direzioni mediatiche potenti. Di colpo, con sicuro istinto, gli intellettuali di sinistra sentirono che il marxismo non “non è più in voga”; e mai si son fatti cogliere, da allora, a portare una cosa così vecchio stile, così poco fine, come il “socialismo reale”; quello “sovietico” poi, figurarsi.
    S’intende che sono rimasti di moda, adottando le mode sociali della sinistra “attuale”: non più quella totalitaria (su cui avevano giurato, e che volevano imporre al Paese), ma quella libertaria. Radical-chic. Sessantottina. Edonista. Paolo Mieli, allora direttore del Corriere, indicò la stradaon articoli che proclamavano “il ritorno al Privato”. Prima, era stato di moda il contrario: “Il Privato è politico”, “Tutto è politica”, la ”rivoluzione sociale, il collettivismo” richiedevano il sacrificio di ogni intimità. Adesso, contrordine compagni: tornate al privato. Agli amori, agli ed alle amanti dei vari sessi, alle regate, alle cene sulle terrazze romane immortalate da Ettore Scola, alle vacanze intelligenti fra “noi che siamo à la page”. I Vip Non aspettavano altro, gli intellettuali rossi.
    Augusto del Noce, amico e maestroS’intende che noi anticomunisti, non siamo divenuti di moda. Mai. Eravamo fuori moda quando denunciavamo che i milioni di morti erano prodotti di un sistema politico-ideologico radicalmente sbagliato, che aveva idee errate sull’uomo e la natura; siamo rimasti fuori moda anche dopo che il crollo del socialismo sovietico e quello maoista dava ragione alle nostre idee. Siamo rimasti la minoranza “noiosa”, passatista, “reazionaria” e peggio “clerico-fascista” di prima. Da questi insulti era chiaro il vero motivo per cui non ci invitavano nelle terrazze romane immortalate da Scola: ai loro occhi, vestivamo gli abiti di una moda passata da un secolo, forse da secoli. I secoli di quel passato in cui ciò che importavano, erano i concetti di “vero” e di “falso”, non di “attuale e inattuale”.
    Non che, personalmente, me ne lamenti. Essere eternamente “inattuale” e fuori moda è il destino che ho scelto, perché per me è insopportabile “vivere nella menzogna” (come diceva Solgenitsyn). So che in questo sono in migliore compagnia di quella che si spartisce i posti nei salotti e nelle terrazze, e mi rallegro dei pochi amici e di qualche lettore che condivide la stessa passione.
    Però l’esperienza di una vita mi ha insegnato – tardi – il mio, il nostro errore: ci siamo battuti per le idee, illudendoci che queste fossero gli strumenti per influire sulle convinzioni collettive. Dovevamo invece cercare di influenzare “le mode” e “le credenze”.

    Abbiamo fatto appello all’intelligenza, alla ragione: si poteva essere più scemi? Ci ha ingannato l’antica definizione di Aristotile: l’uomo è un animale pensante. Che esista vita intelligente sulla Terra, è una illusione difficile da vincere, perché ci auto-celebra. Come disse Mark Twain dopo aver letto il proprio necrologio sui giornali, “la notizia è grandemente esagerata”.
    In genere, l’uomo – inteso come specie – non pensa affatto. A meno che non ci venga forzato. Considera ‘pensiero’ quello funzionale, utile al lavoro, meccanico; non a caso simulabile da un computer. Le idee generali gli sono estranee, capirle gli richiede troppo studio, applicazione – una perdita di tempo. La sua incapacità di vedere i nessi causali fra fenomeni apparentemente distanti è impressionante; in specie, delle piaghe sociali presenti gli sfuggono le cause che sono nel passato. Anzi, come scoprì a sue spese già Socrate, chi gli pone “le grandi domande” lo irrita, tanto da voler chiamare la forza pubblica perché faccia tacere il disturbatore con la cicuta; oggi, invocando la psico-polizia.
    La faccio breve: l’uomo in genere, vive di credenze. Oggi come nel sesto secolo avanti Cristo, o come ai tempi di Tommaso d’Aquino. Ricordo la distinzione di Ortega y Gasset: “Per le idee ci si batte, si discute per affermarle, magari si puo’ perfino morire per le idee – nelle credenze, semplicemente, si sta”. Vuol dire: nelle credenze, l’uomo ci abita. Sono il paesaggio mentale che trova attorno a sé dalla nascita, e in ogni dato tempo gli paiono la realtà stessa. Non si rende conto di quanto siano cambiate dai tempi di Socrate; gli sembra che siano sempre esistite quelle di oggi. E quelle d’oggi gli paiono indiscutibili, solide come l’acciaio. O come le montagne del suo paese natìo.
    Meglio la repressione…

    Come dicevo, oggi l’uomo posto moderno vive di credenze esattamente come l’uomo medievale. Solo, le sue credenze sono cambiate: oggi, per esempio, crede nell’evoluzionismo, come ieri credeva in Dio, e prima ancora negli dèi dell’Olimpo. Crede nella scienza (di cui non sa quasi nulla) con fede superstiziosa. Crede al “pluralismo delle opinioni”, anche se non ne ha che di quale permesse dal conformismo vigente. Sicché, oggi devo ammettere: fece bene la Chiesa, che per secoli, invece di fare appello all’intelligenza dell’uomo, gli ha imposto sì, anche imposto con le brutte, se occorreva – le credenze. Ha fatto bene perché doveva salvare l’uomo dalla dannazione eterna;e quanti più uomini possibile; non c’era spazio per il dubbio, il dubbio che è “sempre” implicito nel dibattito delle idee, e che l’uomo-massa non sa tollerare e maneggiare, anzi non sopporta, da cui viene devastato.
    Dominavano allora credenze che miravano al bene dell’individuo e della società, imponendo l’onestà, i dieci comandamenti, il diritto romano, la cura del debole e del povero e la vergogna per l’egoismo edonista. Credenze per le quali valeva la pena di mantenerle ed imporle esercitando anche la giusta “repressione”, anche accendendo qualche rogo ogni tanto. Le credenze che si fanno dominare oggi, sono al contrario rovinose per l’individuo e la società: il darwinismo, il capitalismo come sistema “oggettivo” al quale “non ci sono alternative”, il libertarismo, l’illusione della felicità nel sesso. Non solo queste credenze procurano la dannazione eterna (a cui potete permettervi di non credere), ma fanno degli esseri umani delle amebe vili e crudeli, insensibili al prossimo e al povero, e delle società delle poltiglie incapaci di sopravvivere e di battersi contro la propria dissoluzione.
    Il contrario della “libertà di pensiero”, ci viene oggi insegnato, è il “principio di autorità”: basare le proprie convinzioni sull’autorità di Aristotile, San Tommaso o Cristo, è oscurantismo e dogmatismo. E lo dicono folle ed intellettuali “progressisti” che fanno continuamente appello a principio di autorità. E su quali ”autorità” confidano! Certe “autorità” che, se le masse avessero ancora un istinto di conservazione, ne starebbero bene alla larga. Enzo Veronesi per la cancerologia, Draghi per la politica monetaria, Mario Monti per l’economia. Tributano il massimo rispetto per Eugenio Scalfari, per Saviano, per il residente Obama; credono all’autorità di Umberto Eco. Alla Bonino e Pannella. Gli operatori di Borsa fidano nell’autorità al Fondo Monetario, al Financial Times, al Wall Street Journal. L’autorità della NATO, e dell’UE, strappano genuflessioni alla gran massa dei cittadini: non si discute, “ce lo chiede l’Europa!” (per poi scoprire che i nostri governanti hanno firmato trattati come quello di Dublino senza prevedere che ci avrebbe incastrato con un milione di profughi sul territorio, e l’adesione alla moneta unica ci avrebbe asservito a Berlino: cosa non del tutto imprevedibile, se si sanno collegare cause ed effetti). Sempre più intellettuali laicisti esaltano addirittura l’autorità di Papa Bergoglio, pensate a che punti si son ridotti.
    Da quando hanno dismesso la dogmatica bolscevica, gli intellettuali progressisti hanno adottato il nuovo insieme di dogmi annesso al capitalismo terminale, che riduce la democrazia al mercato e il cittadino al consumatore-standard; il politicamente corretto è ovviamene l’indizio più forte del sistema di censura che rivela il totalitarismo – anche nel socialismo reale vigeva la proibizione di chiamare le cose col loro nome, e c’era “il divieto di far domande”.
    Il sistema di credenze dell’uomo antico, e di quello cristiano, avevano un rigore e una logica; quello dell’uomo post-moderno è sgangherato. Specialmente quello dell’uomo italiano, che ha sempre usato pochissimo le facoltà intellettuali; adesso che crede di essersi “liberato dall’Autorità”, e anche dagli obblighi “culturali” che gli imponeva il Partito – come visione ripetuta e precettata della Corazzata Potiomkin del giudeo bolscevico Eisenstein nei cineforum comandati, vive come in una vacanza mentale perpetua – agevolata dalla scomparsa del lavoro industriale, che obbligava le masse senza testa a rigore di atti, coordinamenti, orari, apprendimenti, in una parola disciplina e dignità. Parte integrale della nuova dogmatica – delle nuove credenze – è la “emancipazione” dalle credenze antiche, che si devono vivere non tanto come false, quanto “superate”, fuori moda. Si dà il caso che per duemila anni, le credenze dell’italiano lo abbiano indotto a produrre arte, bellezza artigianale, cattedrali romaniche, musica, pittura – tutte attorno al tema centrale, quello della chiesa e del palazzo (umanistico). Oggi, le sue credenze lo rendono sterile e afasico, privo di parola e di espressione. E’ o non è un indizio preoccupante?
    Ma inutile lottare con lui, cercare di far appello alla sua intelligenza. Lo so per lunga fallimentare esperienza. Se potessi tornare indietro, punterei sulle mode, su come crearle e influenzarle. Perché le “credenze”, quelle in cui si sta, sono ovviamente, all’inizio delle mode, così si impongono. Come sono, come siamo stati sciocchi.
    Se il popolo permetterà alle banche private di controllare l’emissione della valuta, con l’inflazione, la deflazione e le corporazioni che cresceranno intorno, lo priveranno di ogni proprietà, finché i figli si sveglieranno senza casa.

  3. #803
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    Predefinito Re: Lerciume comunista

    Il Forteto, Fiesoli e il Mostro di Firenze: intervista a Jacopo Alberti ~ OK!Mugello : OK!Mugello


    Il Forteto, Fiesoli e il Mostro di Firenze: intervista a Jacopo Alberti

    Rodolfo Fiesoli
    La convulsa vicenda de “Il Forteto” è da anni al centro della cronaca giudiziaria nazionale e non per questo, malgrado fatti accertati e condanne esplicite, la verità riesce ad emergere compiutamente. Inganni, coperture istituzionali e atteggiamenti reticenti rendono tuttora difficile una ricostruzione organica dell’universo facente capo a Rodolfo Fiesoli. Un universo in cui molti, forse troppi, sono entrati in veste di compagni di merende: anche se pochi “ricordano”.
    Per approfondire l’argomento, OK!Mugello ha intervistato Jacopo Alberti, consigliere regionale della Lega Nord e membro della Commissione d’inchiesta bis, istituita dopo il processo di primo grado di giugno, in cui 16 dei 23 imputati per il caso Forteto sono stati condannati: anche se, in attesa dei successivi gradi di giudizio, tutti, compreso Fiesoli, rimangono a piedi libero.
    Jacopo Alberti – commissione d’inchiesta
    Giuseppe Prezzolini, uomo di cultura che non ha bisogno di presentazioni, nel 1921 dava alla stampe “Codice della vita italiana”, libro critico e sarcastico contro i vizi e le attitudini del popolo italiano, ma ancora attualissimo. “Gli Italiani si dividono in due categorie – scrive all’inizio Prezzolini – i furbi e i fessi”, ecco, quanti sono in questa storia i Furbi, entrati in contatto con Fiesoli e compagnia, che hanno goduto di vantaggi materiali o quanto meno assecondato o taciuto certi fatti (comunque per fini personali), e che adesso vogliono passare per Fessi? Cioè non ricordano, non hanno mai saputo, non c’erano, non conoscevano, o peggio si contraddicono, e non vogliono – o non possono – arrivare fino alla verità?
    Ci sono indubbiamente gravi zone d’ombra in questa storia, domande senza risposta. Ed è precisamente come hai detto: qui c’è chi ha fatto il furbo, e vuole passare per fesso. Mi chiedo perché la procura della Repubblica non ha mai aperto un indagine ufficiale sul caso de “Il Forteto” negli anni successivi ai primi processi e alle prime accuse. Come è stato possibile che dopo il 1985, a seguito della condanna per atti di libidine violenta e corruzione di minorenni, a Fiesoli e Goffredi venissero, da subito, affidati altri ragazzi. Perché negli anni in cui il dottor Michele Giuttari era impegnato come capo della squadra mobile di Firenze, e quindi della SAM (squadra speciale anti-mostro), non gli fu passata nessuna documentazione riguardo al Forteto? Evidentemente si cercava il mostro, e non i mostri. Sono sconcertanti le dichiarazioni, quando ci sono state, dei vari testimoni che abbiamo ascoltato nelle ultime settimane; a parte i soliti “vuoti di memoria”, molti hanno fatto intendere che non era il caso d’indagare, ed era decisamente più conveniente, anche per fini personali, lasciare lo status quo. Il mio auspicio è che la Procura di Genova prenda in seria considerazione l’ipotesi d’avviare un’ indagine in merito alle cupe triangolazioni fra Procura, Asl e Tribunale dei Minori.
    Riguardo le ultime audizioni della Commissione, può ricostruirmi l’incontro avuto l’11 dicembre con Cesare Micheli e Massimo De Berardinis, entrambi con un ruolo dirigenziale nell’Asl di Firenze nel settore della salute mentale, in cui ci sono state le ennesime posizioni divergenti? La famosa telefonata anonima…
    Allora Micheli è arrivato nel Mugello nel ’78 dopo aver vinto un concorso, quando già c’erano i primi processi a carico di Fiesoli e Goffredi (dopo un anno dalla creazione della comunità agricola), e ha continuato ad esercitare fino al 2002 in qualità di coordinatore del dipartimento di salute mentale. De Berardinis, invece, come dirigente responsabile della Unità funzionale salute mentale dell’Asl 10 di Firenze, arriva nel ’97, e viene invitato ripetutamente e molto calorosamente ad intrattenere rapporti d’amicizia con la comunità. Sollecitato con insistenza da Goffredi, un pomeriggio si reca al Forteto e trova diversi colleghi magistrati. Si fece un’idea negativa di quell’esperienza, di quei personaggi, e soprattutto della relazione che si teneva con loro. Come è noto, nel 2000 la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha condannato l’Italia a pagare una multa di 200 milioni di lire come risarcimento dei danni morali per l’affidamento alla comunità di due bambini. Successivamente al fatto, De Berardinis riceve una telefonata anonima che lo invita a prendere atto di quanto successo. Chiama allora Micheli, suo superiore, per chiedere spiegazioni: ne nasce un’accesa discussione. Micheli minimizza, difende il Forteto, e dice che la condanna è figlia di una campagna politica strumentalizzata e avversa. Poco dopo, il direttore generale della struttura, Menichetti, chiama De Berardinis e gli intima, o gli chiede, di lasciar perdere il Forteto. In tutto questo, stranamente, Micheli in commissione ha disconosciuto la chiamata, il diverbio con Berardinis e si è chiamato fuori sulla responsabilità dell’affido dei minori. In pratica “non ricorda”. Ma la faccenda, non è difficile dirlo, non torna. C’è un muro di difesa costruito intorno al Forteto.
    Il Magistrato Piero Tony invece? Anche lui è stato sentito lo stesso giorno. Chi ruolo ha questo personaggio nell’intricata storia del Forteto?
    Il magistrato Piero Tony una volta è andato al Forteto a cucinare il risotto al nero di seppia, sua specialità culinaria. Piero Tony è stato presidente del Tribunale dei minori dal 1998 al 2005, dopo averne già fatto parte dall’84 al ’91, e proprio in questo periodo ci furono circa 50 affidamenti al Forteto. Trovo gravissimo che un magistrato, un procuratore della Repubblica abbia avuto un rapporto così stretto con Fiesoli. Tutti sapevano e non era possibile non sapere. Ovviamente Tony scarica su Gian Paolo Meucci la responsabilità. Ora, si fa presto e non è giusto parlare di un morto (Meucci scompare nel 1986), considerato il padre del diritto minorile italiano, ma la verità è che all’interno del Tribunale dei minori c’era un assoluta deferenza per quest’uomo. Se Meucci diceva che una cosa andava bene, andava bene. Aveva rapporti stretti con Goffredi e Fiesoli e nessuno osava andargli contro per via del suo carisma e della sua persona: c’è chi, tra i magistrati, se ne è andato dal tribunale per non scontrarsi con Meucci. E fu lui nell’85 a screditare il lavoro di Carlo Casini, additandolo come ultracattolico che non vedeva di buon occhio la “famiglia funzionale” proposta dal Forteto. Solo che quella politica è continuata anche dopo la sua morte: cioè il fatto di non ostacolare Fiesoli e Goffredi, in anni in cui la comunità appariva “un modello”, dove i ragazzi stavano “magnificamente bene”. Durante la presentazione del libro Fili e nodi, dello stesso Fiesoli, fatta a Prato nel 2011, Tony difendeva a spada tratta il Forteto, dipingendo la condanna inflitta nell’85 un esempio di “malagiustizia”.
    Poco prima di Natale, l’intera aula consigliare della Regione ha approvato un ordine del giorno, presentato da Stefano Mugnai e Giovanni Donzelli, con cui ci si impegna a “sospendere qualsiasi rapporto economico e politico della Regione con i vertici di Legacoop e Confcooperative, fino a quando non concorderanno con la commissione la data della loro audizione in merito la loro posizione sui gravi fatti accertati al Forteto”. Si è aperta una polemica poi, dopo la reazione “sconcertata” degli stessi enti, sul fatto che non ci sia mai stata una richiesta ufficiale inoltrata dalla commissione. Anche Giani, Presidente del consiglio regionale, ha affermato che la situazione è da monitorare. Cosa è successo?
    Vorrei chiarire: chiunque sia apparso davanti la commissione è stato contattato per telefono o tramite mail. Non capisco cosa vogliono per presentarsi, una raccomandata? I rapporti tra cooperative e Forteto ci sono stati eccome, anche perché c’è una parte agricola e produttiva nella struttura di Fiesoli. Pensa che nel 2013 il Governo Letta ha mandato due ispettori ministeriali per esprimersi sulla situazione del Forteto. Questi hanno steso una dichiarazione in cui si scrive esplicitamente che sarebbe stato giusto il commissariamento. Nel frattempo, però, cade il Governo e va su Renzi, e Giuliano Poletti diventa Ministro del lavoro. Faccio notare solo che, stranamente, Poletti dal 2002 fino al 2014 è stato Presidente di Legacoop Nazionale, e dal 2013 Presidente dell’alleanza delle Cooperative Italiane: nel momento in cui entra nel Governo tutta la precedente documentazione viene dichiarata nulla, e dell’ipotesi di commissariamento, ritenuto adeguato in quella circostanza, non se ne fa niente. Si ferma tutto. In più, i vertici di Legacoop e Confcooperative hanno difeso Fiesoli anche dopo il pronunciamento degli ispettori ministeriali. E’ senz’altro grave che non si presentino. Ora vediamo cosa succederà.
    Come procedono i lavori della Commissione? Le prossime udienze quali saranno?
    I prossimi ad essere ascoltati, lunedì 11 gennaio, saranno l’assistente sociale Maria Antonietta Cimarosa, Vinicio Biagi, dirigente della regione Toscana – già al centro di varie polemiche per aver firmato un documento nel 2001 in cui sostanzialmente difendeva i principi proposti dal Forteto -, Roberto Leonetti, attualmente responsabile del dipartimento di salute mentale della Asl 10, e l’avvocato Mauro Miranda. Strano, poi, è il caso di Bruno Vespa: nonostante abbia dichiarato di aver avuto pressioni sulla messa in onda di una puntata riguardante il Forteto, non risponde alle mail e si rifiuta di venire. Noi lo abbiamo invitato ma lui non risponde. Purtroppo, in quanto commissione regionale e non parlamentare, non abbiamo un reale potere: perché non presentarsi davanti ad una commissione parlamentare sarebbe come non farlo davanti ad un giudice; mentre noi non possiamo esercitare un potere coercitivo né obbligare nessuno, e davanti ai ripetuti “non lo so”, “ non ricordo”, “ non so niente”, siamo come bloccati. In più pare che ci sia l’idea di non voler rinnovare la commissione ad aprile: sarebbe come mettere una pietra sopra alla faccenda. Questa commissione d’inchiesta bis è nata con il compito di venire a capo delle complicate trame di coperture politiche ed istituzionali, e forse è questo il lavoro più difficile. Insieme, senz’altro, a quello di cercare di tutelare i lavoratori esterni, quelli che magari non c’entrano nulla. Saranno tutelati solo se ci sarà un commissariamento della struttura, con un dirigente esterno a Legacoop. La parte agricola del Forteto ha un ruolo significativo nel territorio, ma bisogna chiedersi anche quanto sarebbe stato possibile fattura milioni e milioni (circa 20 all’anno) se non ci fosse stato il clima di protezioni politiche che c’è stato. C’è tanto, invece, ancora da scavare per arrivare alla verità. E non è facile.
    Bruno Vespa
    Mi può parlare del giro di finanziamenti attorno al Forteto?
    Dal 1997 ad oggi per il Forteto la regione Toscana ha erogato 1, 254 milioni di euro. Poi sono arrivati ulteriormente finanziamenti dalla comunità europea, anche attraverso fondi per l’agricoltura, che non sono quantificabili. Voglio riportare un fatto. Nel 1979 il tribunale incarica la dottoressa Carla Niccheri Gineprari, psichiatra, di effettuare una perizia su Goffredi e Fiesoli per valutare se la comunità avesse ragione di esistere, se era possibile affidare dei bambini a quelle due persone. Bene, emerse che non solo non c’era un adeguato livello di scolarizzazione ma che non esistevano le condizioni perché dei bambini venissero affidati. Sono state lette quelle dichiarazioni prima di decidere se stanziare o no i finanziamenti? Com’è possibile, poi, si sia dato del denaro anche dopo la sentenza Europea?
    Secondo lei, l’Italia è un Paese normale?
    Assolutamente no. Con queste dinamiche l’Italia è un Paese pazzo. Il fatto che la vicenda del Forteto rischi di andare alla deriva lo dimostra. Finché non ci sarà il sincero pentimento di qualcuno, un mea culpa, non si faranno grandi passi in avanti. Il Forteto è stata una setta. C’è un muro di connivenze e complicità difficile da abbattere e molti di quelli che avrebbero dovuto vedere, non hanno visto. Ma è giusto che chi possa parlare, adesso lo faccia.
    A fronte dell’intervista potrebbero essere sconvolgenti alcune analogie emerse tra la storia di Fiesoli e Goffredi con altri compagni di merende: Vanni, Lotti, Pacciani; cioè i protagonisti dell’orrenda serie di omicidi che sconvolsero Firenze il 1968 e il 1985. Proprio Michele Giuttari, cui si faceva riferimento prima (sentito anche dalla commissione Forteto, e rivelatosi il testimone più utile e sincero fino ad ora), ha presentato nel 2007, in qualità di capo della squadra mobile fiorentina, un fascicolo di 260 pagine riguardante la ricerca dei possibili mandanti del Mostro. In quelle pagine, di indiscusso valore, torna più volte il nome del “Profeta” Fiesoli e dell’ideologo Goffredi. Calamendrei (il farmacista di San Casciano coinvolto nelle indagini e poi scagionato) pare avesse contatti con entrambi. Senza mezzi termini, il Forteto è giudicato nello scritto come “meritevole di indagini approfondite”. Ovviamente, Michele Giuttari, per approfondire, non ha mai ricevuto nessuna delega ufficiale. Prove indiscutibili, attualmente, non esistono. Corrispondenze, coincidenze e sospetti, però, portano alla conclusione che queste due storie, entrambe orrende per l’Italia, abbiamo in qualche modo collimato in un dato periodo e con determinate modalità. Come afferma Jacopo Alberti in chiusura, resta ancora molto da analizzare.
    La certezza, da aggiungere al fatto che “Il Forteto” sia stato una comunità/setta di abusi e soprusi psicologici e fisici, rimane una: nel corpo politico giudiziario della Toscana c’è una ferita aperta e sanguinante da ricucire. Nasconderla, è un insulto alla dignità di chi crede nella giustizia.



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    Predefinito Re: Lerciume comunista

    Il Forteto, Fiesoli e il Mostro di Firenze: intervista a Jacopo Alberti ~ OK!Mugello : OK!Mugello


    Il Forteto, Fiesoli e il Mostro di Firenze: intervista a Jacopo Alberti

    Rodolfo Fiesoli
    La convulsa vicenda de “Il Forteto” è da anni al centro della cronaca giudiziaria nazionale e non per questo, malgrado fatti accertati e condanne esplicite, la verità riesce ad emergere compiutamente. Inganni, coperture istituzionali e atteggiamenti reticenti rendono tuttora difficile una ricostruzione organica dell’universo facente capo a Rodolfo Fiesoli. Un universo in cui molti, forse troppi, sono entrati in veste di compagni di merende: anche se pochi “ricordano”.
    Per approfondire l’argomento, OK!Mugello ha intervistato Jacopo Alberti, consigliere regionale della Lega Nord e membro della Commissione d’inchiesta bis, istituita dopo il processo di primo grado di giugno, in cui 16 dei 23 imputati per il caso Forteto sono stati condannati: anche se, in attesa dei successivi gradi di giudizio, tutti, compreso Fiesoli, rimangono a piedi libero.
    Jacopo Alberti – commissione d’inchiesta
    Giuseppe Prezzolini, uomo di cultura che non ha bisogno di presentazioni, nel 1921 dava alla stampe “Codice della vita italiana”, libro critico e sarcastico contro i vizi e le attitudini del popolo italiano, ma ancora attualissimo. “Gli Italiani si dividono in due categorie – scrive all’inizio Prezzolini – i furbi e i fessi”, ecco, quanti sono in questa storia i Furbi, entrati in contatto con Fiesoli e compagnia, che hanno goduto di vantaggi materiali o quanto meno assecondato o taciuto certi fatti (comunque per fini personali), e che adesso vogliono passare per Fessi? Cioè non ricordano, non hanno mai saputo, non c’erano, non conoscevano, o peggio si contraddicono, e non vogliono – o non possono – arrivare fino alla verità?
    Ci sono indubbiamente gravi zone d’ombra in questa storia, domande senza risposta. Ed è precisamente come hai detto: qui c’è chi ha fatto il furbo, e vuole passare per fesso. Mi chiedo perché la procura della Repubblica non ha mai aperto un indagine ufficiale sul caso de “Il Forteto” negli anni successivi ai primi processi e alle prime accuse. Come è stato possibile che dopo il 1985, a seguito della condanna per atti di libidine violenta e corruzione di minorenni, a Fiesoli e Goffredi venissero, da subito, affidati altri ragazzi. Perché negli anni in cui il dottor Michele Giuttari era impegnato come capo della squadra mobile di Firenze, e quindi della SAM (squadra speciale anti-mostro), non gli fu passata nessuna documentazione riguardo al Forteto? Evidentemente si cercava il mostro, e non i mostri. Sono sconcertanti le dichiarazioni, quando ci sono state, dei vari testimoni che abbiamo ascoltato nelle ultime settimane; a parte i soliti “vuoti di memoria”, molti hanno fatto intendere che non era il caso d’indagare, ed era decisamente più conveniente, anche per fini personali, lasciare lo status quo. Il mio auspicio è che la Procura di Genova prenda in seria considerazione l’ipotesi d’avviare un’ indagine in merito alle cupe triangolazioni fra Procura, Asl e Tribunale dei Minori.
    Riguardo le ultime audizioni della Commissione, può ricostruirmi l’incontro avuto l’11 dicembre con Cesare Micheli e Massimo De Berardinis, entrambi con un ruolo dirigenziale nell’Asl di Firenze nel settore della salute mentale, in cui ci sono state le ennesime posizioni divergenti? La famosa telefonata anonima…
    Allora Micheli è arrivato nel Mugello nel ’78 dopo aver vinto un concorso, quando già c’erano i primi processi a carico di Fiesoli e Goffredi (dopo un anno dalla creazione della comunità agricola), e ha continuato ad esercitare fino al 2002 in qualità di coordinatore del dipartimento di salute mentale. De Berardinis, invece, come dirigente responsabile della Unità funzionale salute mentale dell’Asl 10 di Firenze, arriva nel ’97, e viene invitato ripetutamente e molto calorosamente ad intrattenere rapporti d’amicizia con la comunità. Sollecitato con insistenza da Goffredi, un pomeriggio si reca al Forteto e trova diversi colleghi magistrati. Si fece un’idea negativa di quell’esperienza, di quei personaggi, e soprattutto della relazione che si teneva con loro. Come è noto, nel 2000 la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha condannato l’Italia a pagare una multa di 200 milioni di lire come risarcimento dei danni morali per l’affidamento alla comunità di due bambini. Successivamente al fatto, De Berardinis riceve una telefonata anonima che lo invita a prendere atto di quanto successo. Chiama allora Micheli, suo superiore, per chiedere spiegazioni: ne nasce un’accesa discussione. Micheli minimizza, difende il Forteto, e dice che la condanna è figlia di una campagna politica strumentalizzata e avversa. Poco dopo, il direttore generale della struttura, Menichetti, chiama De Berardinis e gli intima, o gli chiede, di lasciar perdere il Forteto. In tutto questo, stranamente, Micheli in commissione ha disconosciuto la chiamata, il diverbio con Berardinis e si è chiamato fuori sulla responsabilità dell’affido dei minori. In pratica “non ricorda”. Ma la faccenda, non è difficile dirlo, non torna. C’è un muro di difesa costruito intorno al Forteto.
    Il Magistrato Piero Tony invece? Anche lui è stato sentito lo stesso giorno. Chi ruolo ha questo personaggio nell’intricata storia del Forteto?
    Il magistrato Piero Tony una volta è andato al Forteto a cucinare il risotto al nero di seppia, sua specialità culinaria. Piero Tony è stato presidente del Tribunale dei minori dal 1998 al 2005, dopo averne già fatto parte dall’84 al ’91, e proprio in questo periodo ci furono circa 50 affidamenti al Forteto. Trovo gravissimo che un magistrato, un procuratore della Repubblica abbia avuto un rapporto così stretto con Fiesoli. Tutti sapevano e non era possibile non sapere. Ovviamente Tony scarica su Gian Paolo Meucci la responsabilità. Ora, si fa presto e non è giusto parlare di un morto (Meucci scompare nel 1986), considerato il padre del diritto minorile italiano, ma la verità è che all’interno del Tribunale dei minori c’era un assoluta deferenza per quest’uomo. Se Meucci diceva che una cosa andava bene, andava bene. Aveva rapporti stretti con Goffredi e Fiesoli e nessuno osava andargli contro per via del suo carisma e della sua persona: c’è chi, tra i magistrati, se ne è andato dal tribunale per non scontrarsi con Meucci. E fu lui nell’85 a screditare il lavoro di Carlo Casini, additandolo come ultracattolico che non vedeva di buon occhio la “famiglia funzionale” proposta dal Forteto. Solo che quella politica è continuata anche dopo la sua morte: cioè il fatto di non ostacolare Fiesoli e Goffredi, in anni in cui la comunità appariva “un modello”, dove i ragazzi stavano “magnificamente bene”. Durante la presentazione del libro Fili e nodi, dello stesso Fiesoli, fatta a Prato nel 2011, Tony difendeva a spada tratta il Forteto, dipingendo la condanna inflitta nell’85 un esempio di “malagiustizia”.
    Poco prima di Natale, l’intera aula consigliare della Regione ha approvato un ordine del giorno, presentato da Stefano Mugnai e Giovanni Donzelli, con cui ci si impegna a “sospendere qualsiasi rapporto economico e politico della Regione con i vertici di Legacoop e Confcooperative, fino a quando non concorderanno con la commissione la data della loro audizione in merito la loro posizione sui gravi fatti accertati al Forteto”. Si è aperta una polemica poi, dopo la reazione “sconcertata” degli stessi enti, sul fatto che non ci sia mai stata una richiesta ufficiale inoltrata dalla commissione. Anche Giani, Presidente del consiglio regionale, ha affermato che la situazione è da monitorare. Cosa è successo?
    Vorrei chiarire: chiunque sia apparso davanti la commissione è stato contattato per telefono o tramite mail. Non capisco cosa vogliono per presentarsi, una raccomandata? I rapporti tra cooperative e Forteto ci sono stati eccome, anche perché c’è una parte agricola e produttiva nella struttura di Fiesoli. Pensa che nel 2013 il Governo Letta ha mandato due ispettori ministeriali per esprimersi sulla situazione del Forteto. Questi hanno steso una dichiarazione in cui si scrive esplicitamente che sarebbe stato giusto il commissariamento. Nel frattempo, però, cade il Governo e va su Renzi, e Giuliano Poletti diventa Ministro del lavoro. Faccio notare solo che, stranamente, Poletti dal 2002 fino al 2014 è stato Presidente di Legacoop Nazionale, e dal 2013 Presidente dell’alleanza delle Cooperative Italiane: nel momento in cui entra nel Governo tutta la precedente documentazione viene dichiarata nulla, e dell’ipotesi di commissariamento, ritenuto adeguato in quella circostanza, non se ne fa niente. Si ferma tutto. In più, i vertici di Legacoop e Confcooperative hanno difeso Fiesoli anche dopo il pronunciamento degli ispettori ministeriali. E’ senz’altro grave che non si presentino. Ora vediamo cosa succederà.
    Come procedono i lavori della Commissione? Le prossime udienze quali saranno?
    I prossimi ad essere ascoltati, lunedì 11 gennaio, saranno l’assistente sociale Maria Antonietta Cimarosa, Vinicio Biagi, dirigente della regione Toscana – già al centro di varie polemiche per aver firmato un documento nel 2001 in cui sostanzialmente difendeva i principi proposti dal Forteto -, Roberto Leonetti, attualmente responsabile del dipartimento di salute mentale della Asl 10, e l’avvocato Mauro Miranda. Strano, poi, è il caso di Bruno Vespa: nonostante abbia dichiarato di aver avuto pressioni sulla messa in onda di una puntata riguardante il Forteto, non risponde alle mail e si rifiuta di venire. Noi lo abbiamo invitato ma lui non risponde. Purtroppo, in quanto commissione regionale e non parlamentare, non abbiamo un reale potere: perché non presentarsi davanti ad una commissione parlamentare sarebbe come non farlo davanti ad un giudice; mentre noi non possiamo esercitare un potere coercitivo né obbligare nessuno, e davanti ai ripetuti “non lo so”, “ non ricordo”, “ non so niente”, siamo come bloccati. In più pare che ci sia l’idea di non voler rinnovare la commissione ad aprile: sarebbe come mettere una pietra sopra alla faccenda. Questa commissione d’inchiesta bis è nata con il compito di venire a capo delle complicate trame di coperture politiche ed istituzionali, e forse è questo il lavoro più difficile. Insieme, senz’altro, a quello di cercare di tutelare i lavoratori esterni, quelli che magari non c’entrano nulla. Saranno tutelati solo se ci sarà un commissariamento della struttura, con un dirigente esterno a Legacoop. La parte agricola del Forteto ha un ruolo significativo nel territorio, ma bisogna chiedersi anche quanto sarebbe stato possibile fattura milioni e milioni (circa 20 all’anno) se non ci fosse stato il clima di protezioni politiche che c’è stato. C’è tanto, invece, ancora da scavare per arrivare alla verità. E non è facile.
    Bruno Vespa
    Mi può parlare del giro di finanziamenti attorno al Forteto?
    Dal 1997 ad oggi per il Forteto la regione Toscana ha erogato 1, 254 milioni di euro. Poi sono arrivati ulteriormente finanziamenti dalla comunità europea, anche attraverso fondi per l’agricoltura, che non sono quantificabili. Voglio riportare un fatto. Nel 1979 il tribunale incarica la dottoressa Carla Niccheri Gineprari, psichiatra, di effettuare una perizia su Goffredi e Fiesoli per valutare se la comunità avesse ragione di esistere, se era possibile affidare dei bambini a quelle due persone. Bene, emerse che non solo non c’era un adeguato livello di scolarizzazione ma che non esistevano le condizioni perché dei bambini venissero affidati. Sono state lette quelle dichiarazioni prima di decidere se stanziare o no i finanziamenti? Com’è possibile, poi, si sia dato del denaro anche dopo la sentenza Europea?
    Secondo lei, l’Italia è un Paese normale?
    Assolutamente no. Con queste dinamiche l’Italia è un Paese pazzo. Il fatto che la vicenda del Forteto rischi di andare alla deriva lo dimostra. Finché non ci sarà il sincero pentimento di qualcuno, un mea culpa, non si faranno grandi passi in avanti. Il Forteto è stata una setta. C’è un muro di connivenze e complicità difficile da abbattere e molti di quelli che avrebbero dovuto vedere, non hanno visto. Ma è giusto che chi possa parlare, adesso lo faccia.
    A fronte dell’intervista potrebbero essere sconvolgenti alcune analogie emerse tra la storia di Fiesoli e Goffredi con altri compagni di merende: Vanni, Lotti, Pacciani; cioè i protagonisti dell’orrenda serie di omicidi che sconvolsero Firenze il 1968 e il 1985. Proprio Michele Giuttari, cui si faceva riferimento prima (sentito anche dalla commissione Forteto, e rivelatosi il testimone più utile e sincero fino ad ora), ha presentato nel 2007, in qualità di capo della squadra mobile fiorentina, un fascicolo di 260 pagine riguardante la ricerca dei possibili mandanti del Mostro. In quelle pagine, di indiscusso valore, torna più volte il nome del “Profeta” Fiesoli e dell’ideologo Goffredi. Calamendrei (il farmacista di San Casciano coinvolto nelle indagini e poi scagionato) pare avesse contatti con entrambi. Senza mezzi termini, il Forteto è giudicato nello scritto come “meritevole di indagini approfondite”. Ovviamente, Michele Giuttari, per approfondire, non ha mai ricevuto nessuna delega ufficiale. Prove indiscutibili, attualmente, non esistono. Corrispondenze, coincidenze e sospetti, però, portano alla conclusione che queste due storie, entrambe orrende per l’Italia, abbiamo in qualche modo collimato in un dato periodo e con determinate modalità. Come afferma Jacopo Alberti in chiusura, resta ancora molto da analizzare.
    La certezza, da aggiungere al fatto che “Il Forteto” sia stato una comunità/setta di abusi e soprusi psicologici e fisici, rimane una: nel corpo politico giudiziario della Toscana c’è una ferita aperta e sanguinante da ricucire. Nasconderla, è un insulto alla dignità di chi crede nella giustizia.



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  5. #805
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    Predefinito Re: Lerciume comunista

    Volevo metterlo nella "Mafia" ma questo mi sembra proprio il 3D giusto.
    Sarà felice Freezer (non per i buffoni della LN, ovvio).

    Zoom

    Sciolto per mafia il paese di don Camillo e Peppone

    Emilia-Romagna.Crisi a Brescello. La Lega Nord: il provvedimento è nostra vittoria
    Se il popolo permetterà alle banche private di controllare l’emissione della valuta, con l’inflazione, la deflazione e le corporazioni che cresceranno intorno, lo priveranno di ogni proprietà, finché i figli si sveglieranno senza casa.

  6. #806
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    Predefinito Re: Lerciume comunista

    Citazione Originariamente Scritto da ventunsettembre Visualizza Messaggio
    Volevo metterlo nella "Mafia" ma questo mi sembra proprio il 3D giusto.
    Sarà felice Freezer (non per i buffoni della LN, ovvio).

    Zoom

    Sciolto per mafia il paese di don Camillo e Peppone

    Emilia-Romagna.Crisi a Brescello. La Lega Nord: il provvedimento è nostra vittoria
    Grazie , è un segno di quello che è in realtà il mondo dell'emilia rossa , che geograficamente sta in Padania , ma in realtà è una cosa a parte , un luogo squallido , privo di anima e radici .
    Il Silenzio per sua natura è perfetto , ogni discorso, per sua natura , è perfettibile .

  7. #807
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    Predefinito Re: Lerciume comunista

    Citazione Originariamente Scritto da Freezer Visualizza Messaggio
    Grazie , è un segno di quello che è in realtà il mondo dell'emilia rossa , che geograficamente sta in Padania , ma in realtà è una cosa a parte , un luogo squallido , privo di anima e radici .

    Solo guareschi poteva dare vita a personaggi del genere.

  8. #808
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    Predefinito Re: Lerciume comunista

    Chicco Testa

    Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.


    on. Chicco Testa
    Luogo nascita Bergamo
    Data nascita 5 gennaio 1952
    Titolo di studio laurea in filosofia
    Professione dirigente d'azienda, giornalista
    Partito PCI (1987-1991), PDS (1991-1994)
    Legislatura X, XI
    Gruppo PCI (1987-1992), Comunista - PDS (1992-1994)
    Coalizione nessuna
    Collegio Ancona (1987-1992), Brescia(1992-1994)
    Incarichi parlamentari
    • Membro della VIII commissione (Lavori Pubblici)
    Pagina istituzionale
    Enrico Testa, detto Chicco (Bergamo, 5 gennaio 1952), è un dirigente pubblico e privato, nonché politico italiano e presidente diAssoelettrica.
    Indice

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    Biografia[modifica | modifica wikitesto]

    Laureato in Filosofia presso l'Università degli Studi di Milano.
    Attivista ecologista con Legambiente (1980-1987)[modifica | modifica wikitesto]

    Dal 1980 al 1987 è stato Segretario nazionale, e successivamente Presidente nazionale, di Legambiente, che ha contribuito a fondare.
    Deputato per PCI e PDS (1987-1994)[modifica | modifica wikitesto]

    Eletto alla Camera dei deputati per due legislature, nelle liste del PCI nelle elezioni del 14 giugno 1987, poi riconfermato con il Pdsfino al 1994.
    Nell'XI Legislatura ha proposto disegni di legge per la prevenzione, il controllo e l'informazione in materia di ricerca, sperimentazione e produzione di nuove combinazioni di materiale genetico[1], la disciplina della valutazione d'impatto ambientale[2], l'individuazione del danno pubblico ambientale[3] e il trasferimento del Corpo forestale dello Stato presso il Ministero dell'Ambiente[4].
    Dirigente industriale[modifica | modifica wikitesto]

    Dal 1994 al 1996 è stato Presidente del Consiglio di Amministrazione di ACEA, Azienda Comunale Energia e Ambiente del Comune di Roma.
    Nello stesso periodo è stato membro del CNEL (Consiglio Nazionale Economia e Lavoro) e Presidente CISPEL (Confederazione Italiana dei Servizi Pubblici).
    Dal 1996 al 2002 è stato Presidente del Consiglio di Amministrazione di Enel e membro del Consiglio di Amministrazione di Wind. Durante la sua presidenza, Enel è stata parzialmente privatizzata con un IPO del valore di 15 miliardi di euro ed è stata fondata Wind, il terzo operatore mobile italiano. È stato inoltre membro dell'Expert Advisory Committee dello European Carbon Fund e Presidente del Comitato Organizzativo del 20º Congresso Mondiale dell'Energia, promosso dal WEC-World Energy Council e che si è svolto a Roma dall'11 al 15 novembre 2007.
    È stato membro del Consiglio di Amministrazione del gruppo Riello (leader italiano nei sistemi di riscaldamento) dal 2002 al 2004. Dal 2002 al 2005 è stato membro delloEuropean Advisory Board di The Carlyle Group (Private Equity), Presidente del Consiglio di Amministrazione di S.T.A. S.p.A. (Agenzia per la Mobilità del Comune di Roma) e Presidente del Kyoto Club. È stato inoltre Presidente, fino al 2008, della società Roma Metropolitane, appartenente al Comune di Roma, volta allo sviluppo della rete metropolitana.
    Dal 2004 al 2012 è stato Managing Director di Rothschild Italia.
    Chicco Testa è Presidente di Telit Communications Plc; AD di Telit Communication SPA; Presidente di Sorgenia; Presidente di E.VA Energie Valsabbia; Vice Presidente di Idea Capital Funds SGR. Dal 5 luglio 2012 è Presidente di Assoelettrica[5].
    Nel 2008 ha scritto il libro Tornare al nucleare? L'Italia, l'energia, l'ambiente in cui ripercorre vent'anni di discussione pubblica italiana sulle politiche ambientali ed energetiche e non esclude l'uso del nucleare come fonte energetica. Dal 27 luglio 2010 e fino al termine della sua attività, è stato Presidente del Forum Nucleare Italiano.
    Nel 2014 ha scritto con Patrizia Feletig il saggio Contro (la) natura. Perché la natura non è né buona, né giusta, né bella in cui capovolge la prospettiva e, approfondendo alcuni dei temi più controversi degli ultimi tempi - dal rapporto con le tecnologie ai paradossi del cibo a Km zero e delle terapie naturali, fino alla nascita dell'"ambientalista collettivo" - invita a riflettere su cosa si intende oggi per natura.
    Attività giornalistica[modifica | modifica wikitesto]

    Chicco Testa è giornalista pubblicista e interviene su numerose testate italiane, fra le quali: Corriere della Sera, Il Foglio, Il Sole 24 Ore e diverse testate nel settore dell'energia. È stato consulente de L'aria che tira - Noi e l'economia, programma televisivo in onda su La7. Dal luglio 2015 collabora con l'Unità, dove dall'ottobre dello stesso anno firma la rubrica quotidiana ControVerso.
    È legato sentimentalmente alla giornalista e scrittrice Annalisa Chirico.
    Opere[modifica | modifica wikitesto]


    • Tornare al nucleare? L'Italia, l'energia, l'ambiente, Einaudi (collana "Gli Struzzi"), 2008.
    • Contro (la) natura. (con Patrizia Feletig), Venezia, Marsilio (collana "I Grilli"), 2014
    • Chi ha ucciso le rinnovabili, (con Patrizia Feletig e G. Bettanini), 2013

    Note[modifica | modifica wikitesto]



    Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]



    Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]




    https://it.wikipedia.org/wiki/Chicco_Testa
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

  9. #809
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    Predefinito Re: Lerciume comunista

    Prima ambientalista antinuclreare, poi filo nucleare.
    Comunista, membro dei Rothschild.
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

  10. #810
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    Predefinito Re: Lerciume comunista

    Dite a Chicco Testa (manager Rothschild) che le masse lo adorano

    di Antonio Tomacelli[COLOR=#C1C0C0 !important]16/08/2010 - 15:14 [COLOR=#C1C0C0 !important]31 commenti[/COLOR][/COLOR]



    Il contadino DEVE essere povero. Si rassegnino i vari PaoliParisi e GianfranchiSoldera della situazione, per loro non c’è riscatto. Ad affermarlo con forza è un insolito Chicco Testa sulle pagine del Riformista che, spalleggiato dal Giornale di Berlusconi, si scaglia con veemenza contro i vini che costano tanto e contro CarlinSloufud Petrini, accusato di “Leso Comunismo” e “fighettismo continuato e aggravato”.

    Ma cos’ha detto il povero Carlin di tanto offensivo? Ecco il passaggio incriminato: “la prossima vendemmia, particolarmente abbondante, non farà che aumentare il processo di svendita del vino sfuso, con il risultato che il Barolo sarà pagato due euro e mezzo al litro e il Barbaresco poco più di uno. Bisogna invece produrre di meno e aumentare la qualità per mantenere i prezzi”.
    Apriti cielo: il Chicco Furioso, che non vedeva l’ora di bere del buon Barolo per due euro al litro, non ci ha visto più dalla rabbia. Dalla poltrona di managing director della Banca Rothschild (!), Chicco ha vergato un editoriale in cui ha preso le difese di precari e cassintegrati “che non possono spendere soldi per certi vini”. “Abbassiamo i prezzi, più Barolo per tutti!” strilla Chicco, correndo al capezzale del proletariato morente, con assoluto sprezzo del ridicolo. Ma lo sa Chicco che un “managing director della Banca Rothschild” dovrebbe evitare di dire certe cazzate? Lo sa Chicco che se i prezzi del Barolo crollano a perderci saranno per primi i contadini e produttori di vino (speso è la stessa persona)? Temo di no, e credo pure che il Chicco Furioso non abbia la minima idea di come si faccia il vino buono, ma noi di Intravino (sez. Servire il Popolo) siamo qui per spiegarglielo.
    Allora, caro il mio managerdellabancaRothschild, poniamo due ipotesi e la prima la chiameremo:
    Testa di Comunista: i produttori tirano fuori da un ettaro di vigna 400 quintali di uva (se pò ‘ffà). Risultato: invece del Barolo si ottiene una specie di cocacola dei poveri che scontenta i proletari che bevono e impoverisce i proletari che la producono. Meglio allora l’ipotesi due, detta anche del:
    Comunista di Testa: dando retta a Carlin Petrini (basse rese, alta qualità, alto prezzo) si ottiene almeno un risultato, quasi due: si arricchiscono i contadini e il vino è molto, ma molto più buono.
    Ai precari e cassintegrati invece pensaci tu Chicco, dall’alto della tua poltrona targata Rothschild. O della sedia a sdraio del lido di Capalbio. O del cavallo su cui eri mentre il Corriere ti intervistava: tutto pur di non lavorare, eh Chicco?

    Chicco Testa contro Carlo Petrini per un bicchiere di Barolo in più | Intravino


    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

 

 
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