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  1. #31
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    Predefinito Re: Sangue Germanico nella Chiesa Cattolica, l'alba di un nuovo Impero Nordico

    ]



    Il retaggio etnico/ideologico dei barbari indoeuropei è ancora molto presente all'interno della Chiesa Cattolica.
    Come si può essere dichiaratamente di destra (o nazifascisti) e allo stesso tempo portare il verbo del signore con in dosso un abito talare??
    La vera vocazione ti rende esente da una appartenenza ideologica/politica, un prete non dovrebbe schierarsi politicamente e ideologicamente, tanto meno dalla parte di estrema destra.
    L'Italia è piena di preti-vescovi (e via dicendo) dichiaratamente di destra, senza che essi risiedano appositamente in Vaticano.
    Se è vero che "Chi va a Roma diventa un Romano", un prete di etnia nordica dichiaratamente di estrema destra in Italia, rimarrà sempre un prete nordico razzista-omofobo e sessista, sia che sia in Vaticano o in Pianura Padana!!!
    Ultima modifica di GILANICO; 18-02-14 alle 14:49

  2. #32
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    Predefinito Re: Sangue Germanico nella Chiesa Cattolica, l'alba di un nuovo Impero Nordico

    Citazione Originariamente Scritto da Eridano Visualizza Messaggio
    Altra stronzata mediterranea tramandata dalla scuola e da tutto quello che le sta intorno.
    quindi non è vero che i barbari invasori erano perlopiù analfabeti? che quando sentirono il bisogno di superare le consuetudini tribali dandosi un diritto scritto si rivolsero alle compilazioni teodosiane del V secolo?
    insomma, se in tutta italia si parlano lingue e dialetti romanzi la colpa è della squola?

  3. #33
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    Predefinito Re: Sangue Germanico nella Chiesa Cattolica, l'alba di un nuovo Impero Nordico

    Citazione Originariamente Scritto da Parsifal Corda Visualizza Messaggio
    Questo era vero già dei romani di fronte alla cultura greca, non c'è n'è da vergognarsi.
    assolutamente ineccepibile

  4. #34
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    Predefinito Re: Sangue Germanico nella Chiesa Cattolica, l'alba di un nuovo Impero Nordico

    Lei saprà benissimo che le lingue dialettali del nord (per fare un esempio) sono state tramandate verbalmente da generazioni a generazioni nel corso dei secoli, sono un misto di latino innestato sulle precedenti lingue celtiche e germaniche parlate tra la Transpadana e Cispadana.

  5. #35
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    Predefinito Re: Sangue Germanico nella Chiesa Cattolica, l'alba di un nuovo Impero Nordico

    Citazione Originariamente Scritto da GILANICO Visualizza Messaggio
    Lei saprà benissimo che le lingue dialettali del nord (per fare un esempio) sono state tramandate verbalmente da generazioni a generazioni nel corso dei secoli, sono un misto di latino innestato sulle precedenti lingue celtiche e germaniche parlate tra la Transpadana e Cispadana.
    l'elemento latino è prevalente, poi su di esso hanno operato gli innesti germanici. non sono in grado di dire se elementi celtici preromani siano sopravvissuti fino ad oggi.

  6. #36
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    Predefinito Re: Sangue Germanico nella Chiesa Cattolica, l'alba di un nuovo Impero Nordico

    Dovrebbe leggere il "saggio di vocabolario della Gallia cisalpina e celtico" di Pietro Monti del 1845

  7. #37
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    Predefinito Re: Sangue Germanico nella Chiesa Cattolica, l'alba di un nuovo Impero Nordico

    Citazione Originariamente Scritto da Duca Bianco Visualizza Messaggio
    l'elemento latino è prevalente, poi su di esso hanno operato gli innesti germanici. non sono in grado di dire se elementi celtici preromani siano sopravvissuti fino ad oggi.
    In tutta la Padania esistono ancora numerose isole linguistiche germaniche, che nel tempo hanno influenzato i dialetti locali. In provincia di Bolzano è dominante il Tirolese, e la lingua germanica è parlata pure nelle provincie di Aosta, Vercelli e Verbania (Walser), Verona e Vicenza (Cimbri), Trento (Mochèni) e Udine (Carinziani). Comunità germanofone si trovano in particolare anche in Friuli Venezia Giulia a Sauris (Zahre), a Timau (Tischlbong) e in Val Canale (Kanaltal), in Veneto a Sappada (Plodn).
    Si tratta di quel che resta, anche in seguito alle persecuzioni “itaglianistiche” del ventesimo secolo, della contrazione di aree ben più vaste dove si parlavano lingue alemanniche o germaniche. In particolare, il Mochèno era parlato anche in Val Piné e in alta Val Sugana; il Tirolese nella Val d’Adige fino a Lavis, lo Slapper o Slambrot nelle Valli di Leno e in Vallarsa (fino alle porte di Trento dove era diffuso fino al 1300) e il Cimbro nella trentina Val Ronchi e in gran parte delle zone collinari delle provincie di Verona (Bern) e di Vicenza (Cimbria, fino al XIV secolo).
    Il linguista Bertani, che si occupa specificamente degli idiomi emiliano-romagnoli, ha inoltre documentato in particolare l’influenza della lingua longobarda nei dialetti del Reggiano.
    A parte questo, bisogna poi rilevare che “Dall'incontro tra latino e idiomi germanici nascono le lingue romanze, e il Latino colto della Chiesa, che ufficialmente sarebbe l'erede del Latino di Roma. Abbiamo quindi il latino classico(che poi si evolverà in mediolatino) e il latino volgare parlato dai più, che si evolve nelle diverse forme di lingue Volgari nate dall'influenza delle lingue germaniche.“
    s.cicciotti volgare
    Lo studio più importante su questo tema rimane il classico saggio del linguista Enrico Zaccaria, intitolato “L’elemento germanico nella lingua italiana”.
    Lo studioso afferma che: “L'idioma germanico, dopo il latino, è quello che più di ogni altro contribuì alla formazione della lingua italiana, come in generale delle romanze: costituisce la sua fonte secondaria o Nebenquelle, per dirla col Kluge.”
    Lo Zaccaria sottolinea che già Ludovico Antonio Muratori, nel ‘700, “notò che se si fossero conosciuti pienamente i dialetti delle province italiane, e massimamente quelli dell'Italia settentrionale, l’influsso germanico sarebbe apparso assai notevole, benché anche nella lingua scritta fosse non trascurabile. E mettendo mano alle prove, il Muratori nella Dissert. 33 rilevò che un certo numero di voci dialettali del Modenese sono di evidente origine germanica. Questa opinione del padre della storia italiana, grande dunque per il suo tempo anche nel campo delle ricerche linguistiche, è poi stata mirabilmente confermata in seguito dagli studi del Biondelli, del Mussafla, del Rosa, del Pozzo, del Caix e dell'Ascoli; e apparirà anche più giusta quando si possiederà interamente la lessicografia dei dialetti dell'Alta Italia.”
    Il suo studio procede pure a una individuazione e classificazione geografica delle parole di origine germanica. E’ interessante riportare la sua classificazione di carattere cronologico:
    “Lo stabilire, almeno approssimativamente, il tempo della introduzione del vocabolo è stato uno degli obbiettivi propostimi nel mio lavoro. Ho dunque procurato di determinare, per quanto mi era possibile, se esso debba riferirsi al periodo anteriore alle invasioni (1° sec-400), se a quello delle invasioni (400-700), a quello dell'antico alto tedesco (600-1100), del medio alto tedesco (1100-1500), o del tedesco moderno (1500-1900).”
    Pochi ricordano che le popolazioni germaniche erano presenti in misura notevole nell’Italia del Nord, ben prima delle cosiddette invasioni barbariche, o migrazioni dei popoli. Già nell’età imperiale vi fu infatti un afflusso di popolazioni non italiche, in prevalenza orientali a Roma e nel Sud, in prevalenza nordiche nel Nord Italia. Particolarmente rilevante fu poi la presenza dei popoli germanici nell’esercito romano, a partire dal primo secolo dopo Cristo. A partire dalla metà del secondo secolo tale presenza era già assai rilevante, e andò crescendo fino al quarto secolo, quando arrivò a rappresentare quasi il 90% dell’esercito, gran parte del quale fu posizionato nell’Italia del Nord, in quella che era stata ribattezzata l’Italia annonaria, sottoposta (già allora….) a pesanti tassazioni, e al compito di foraggiare le ingenti truppe ivi stanziate.
    Non c’è bisogno di sottolineare la rilevanza del periodo dell’arrivo delle popolazioni germaniche in Padania, tanto più notevole se si ricorda che in quell’epoca si verificò un enorme abbassamento dell’intera popolazione dell’Europa, e di quella dell’Italia in particolare, devastata da guerre, epidemie e carestie.
    L’arrivo di un intero popolo, come quello longobardo, composto di circa 200.000-300.000 persone (ma qualche storico dice che furono 500.000), e di altre popolazioni germaniche, pur meno numerose, come i Goti e i Franchi, ebbe quindi un impatto etnico rilevantissimo in una Padania molto spopolata.
    Nel periodo medioevale, e fino al sedicesimo secolo, si verificarono poi le discese dei vari imperatori in Italia, con annessi eserciti germanici, e il fenomeno degli eserciti di mercenari, ugualmente composti in gran parte di elementi teutonici(in particolare soldati svizzeri e lanzichenecchi).
    Lo Zaccaria rileva infine pure l’influsso linguistico del tedesco moderno, dovuto essenzialmente alla presenza dell’Impero austriaco nel Lombardo-Veneto.
    Nel XIII secolo, poeti e scrittori come Bonvesin da la Riva, Ugo di Perso, Girardo Patecchio, Uguccione da Lodi, Pietro da Bersagapé, Giacomino da Verona e altri utilizzavano la lingua padana. Afferma in proposito Gerhard Rohlfs che “La stretta parentela esistente fra il tipo linguistico occitanico e quello della lingua “lombarda” degli Italiani settentrionali conferiva alla loro lingua un’aura naturale e letteraria. Molto tempo prima dell’influsso poetico esercitato da Dante e Boccaccio, nell’Alta Italia si era sviluppata una koiné padana (di tipo veneto-lombardo) di ampio uso letterario. Nel corso del Duecento questa koiné era già sulla via di assurgere a lingua letteraria nazionale. Essa veniva già sentita, e non di rado, come una lingua romanza indipendente, allo stesso livello delle lingue francese e “toscana”.“
    Per koiné lombardo-veneta si intende il volgare illustre dell'Italia settentrionale (in particolare Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto), in uso principalmente tra il XII ed il XV secolo. Presso le fonti medioevali viene chiamata semplicemente "lingua scritta" oppure lombardo (nel senso medievale il toponimo "Lombardia" indicava un territorio molto più esteso, comprendente quasi tutto il Nord Italia).
    Salimbene de Adam, attorno al 1280, nella sua "Cronica" parla di un Fra Barnaba il quale: "optime loquebatur Gallice, Tuscice et Lombardice" (parlava fluentemente il francese, il toscano ed il lombardo).
    Anche al di là delle Alpi si trovano testimonianze letterarie sul Lombardo, come ad esempio le Leys d'amors provenzali, una grammatica in versi scritta tra il 1323 e il 1356 a Tolosa e attribuita a Guillem Molinier.
    Nelle "Leys d'amors" si trova un passo molto citato, iniziando da Friedrich Diez, per arrivare al Rohlfs: "apelam lengatge estranh coma frances, engles, espanhol, gasco, lombard". Si noti che in questo passo sono citate le lingue che confinavano con il provenzale: Francese, Inglese (in quel tempo gli inglesi occupavano vasti territori in Francia), Spagnolo, Guascone e Lombardo.
    Ne "La civil conversazione" (Brescia, 1574) dello scrittore piemontese Stefano Guazzo, si trova ancora un riferimento(ben oltre il XV secolo) alla polemica tra toscano e lombardo:
    “S'io havrò a fuggire le voci peggiori, converrà bene, che in lor vece usi delle Toscane, il che facendo darò occasione di ridere a gli ascoltanti, mescolando zucche con lanterne, cioè le parole Lombarde con le Toscane.”
    Fu Adolfo Mussafia, docente presso l'Università di Vienna, a evidenziare l'esistenza della koiné lombardo-veneta, nel suo lavoro Monumenti antichi di dialetti italiani (1861). A favore dell'esistenza di un volgare illustre, che sarebbe stato in uso nell'Italia settentrionale, si era già espresso Bernardino Biondelli, in seguito furono studiosi come Carlo Tenca, Bartoli, Salvioni, Ascoli e Contini (quest'ultimo, per la "Lauda dei Servi della Vergine" riconosce che "la lingua è la koiné padana").
    Carlo Tagliavini, si esprime nel seguente modo: "Nell'Italia settentrionale gli scrittori lombardi e veneti stavano formando una κοινή letteraria che si manifestò con autori come Bonvesin de la Riva, Giacomino da Verona, Uguccione da Lodi, Girardo Patecchio, etc...".
    La Padania corrisponde più o meno al territorio noto prima dell’700 come Lombardia, cioè l’antica Longobardia maggiore che comprendeva quasi tutto il Nord Italia. All’interno della Padania (che comprende anche la cosiddetta Svizzera italiana e la Repubblica di San Marino) esistono alcune zone che non sono di lingua padana, bensì occitana, francoprovenzale, altotedesca, slovena, ladina e friulana, mentre all’esterno della Padania esistono alcune zone di lingua padana in Slovenia e Croazia (zone dell’Istria e della Dalmazia), Francia (Mentone e Bonifacio), Monte Carlo, Sud America (ad esempio, in alcuni Stati del Brasile milioni di persone parlano una lingua padano-veneta).
    In effetti, il termine padano è una specie di abbreviazione per «padano-alpino-liguro-appeninico», o qualcosa di simile. Un’alternativa possibile sarebbe «norditaliano», ma data l’associazione immediata di «norditaliano» con lo Stato italiano, non è detto che un sanmarinese o un ticinese si identifichino volentieri con questo termine.
    Un’altra alternativa sarebbe «lingua lombarda», in quanto, un tempo, i «norditaliani» erano noti dapperttutto come «lombardi». Si possono citare come esempi di questo uso «Lombard Street» a Londra, «Rue des Lombards» a Parigi, i crediti «Lombard» nel settore finanziaro, ecc. Ma questi «Lombards» non erano tutti milanesi o mantovani. Molti erano veneziani o genovesi, come Marco Polo o Cristoforo Colombo. Genova era nota come «porta della Lombardia», intesa come Longobardia.
    Considerando i tratti distintivi del sistema padano è evidente che i dialetti di Torino, Milano, Genova, Bologna e Venezia presentano alcune differenze tra di loro, ma è altrettanto evidente che sono più affini tra di loro che non ai dialetti di Napoli, Bari o Palermo —e nemmeno a quelli di Firenze, Siena o Pisa.
    Per chiarire meglio la situazione delle divergenze interne della lingua padana Sergio Salvi fa un paragone tra Padania e Occitania:
    “Trattandosi di due comunità relativamente vaste, le varietà regionali esistenti al loro interno appaiono sensibili. Ma non tali da negare un chiaro denominatore comune. Ciò appare evidente sul piano linguistico. Le affinità tra i diversi dialetti nei quali si articolano i due ambiti sono comunque maggiori delle diversità: il provenzale è infatti assai più vicino all’alverniate che non al borgognone (che è infatti un dialetto francese). È la stessa situazione del romagnolo nei confronti del piemontese (ma non nei confronti del pur limitrofo toscano, con il quale le divergenze sono nette)”.
    Salvi, nel suo saggio su “La lingua padana”, da cui traggo le note che seguono, ricostruisce la storia del progressivo riconoscimento del padano nell’ambito delle lingue romanze da parte degli studiosi di linguistica.
    Nel 1873 Graziadio Isaia Ascoli individua un nuovo gruppo linguistico definendolo col termine "francoprovenzale". Questo gruppo linguistico presenta alcune caratteristiche fonetiche della lingua occitana (provenzale) ed alcune caratteristiche fonetiche del francese.
    Clemente Merlo, nella sua Italia dialettale, identifica tre grandi gruppi di dialetti sulla base delle loro affinità linguistiche: l’Italiano settentrionale, il Toscano e l’Italiano centro-meridionale.
    Nel 1937 Gerhard Rohlfs individua nella pensiola italiana due confini linguistici meglio conosciuti come Linea La Spezia - Rimini e Linea Roma - Ancona.
    Nel 1950, Wartburg (La disarticolazione degli spazi linguistici romanzi) ha teorizzato, sempre sulla base di alcuni eloquenti tratti linguistici ritenuti fondamentali, una divisione territoriale della Romània in due parti ancora più grandi: Romània occidentale (che comprendeva le vecchie Galloromania, Iberoromania e Retoromania) e Romània orientale (Italoromania e Dacoromania).
    Il confine tra le due aree, il più importante ai fini della classificazione delle diverse lingue in esse comprese, correva proprio in Italia, sulla “linea gotica”, cioè lungo lo spartiacque dell’Appennino tosco-emiliano.
    Nel 1952, Angelo Monteverdi, nel suo Manuale di avviamento agli studi romanzi, affermerà che il gruppo di dialetti da lui definito “Alto italiano” (che corrispondeva all’”Italiano settentrionale” di Merlo) poteva considerarsi, da un punto di vista glottologico, una lingua e sé stante. Sarà la prima, e la più autorevole enunciazione di indipendenza linguistica di quella lingua che noi chiamiamo oggi Padano.
    Nel 1969, Heinrich Lausberg, nel suo fondamentale e monumentale Linguistica romanza propose una tripartizione: Romània occidentale, Romània orientale e Sardegna (la cui individualità linguistica è tale da porre l’isola fuori da entrambi i settori principali).
    Lausberg, forse il più grande linguista romanzo dei nostri tempi, parla espressamente di una lingua romanza occidentale indipendente, che chiama “Italiano settentrionale”.
    Il confine tra Romània occidentale e orientale passa anche per lui lungo l’Appennino tosco-emiliano.
    Di là dai vezzi terminologici personali, che portano a qualche minima discrepanza, gli studiosi “seri”, unanimemente riconosciuti per tali dal mondo accademico internazionale, concordano con la classificazione alla quale la linguistica romanza, attraverso l’iter di un secolo e mezzo di studi sempre più approfonditi, è ormai giunta con Lausberg.
    Giovan Battista Pellegrini nel saggio I cinque sistemi dell’Italoromanzo (1972, ripubblicato nel 1975 in Saggi di linguistica italiana) riconosce piena autonomia a cinque comunità di lingue.
    Essi sono, secondo le sue parole: “1) l’italiano settentrionale o cisalpino nel quale includo anche il ligure, il veneto e l’istrioto; 2) il friulano; 3) il sistema dei dialetti centromeridionali; 4) il sardo; 5) il toscano”
    Lo stesso Pellegrini scrive del resto che l’Italiano è “di fondamento chiaramente toscano, anzi fiorentino (sia pure con apporti di varie regioni) [...] Esso diverge profondamente dagli altri sistemi linguistici peninsulari e insulari”. E aggiunge che “il sistema italoromanzo toscano diverge dagli altri [...] in misura uguale o superiore rispetto alle altre lingue neolatine” . Più chiari di così, è davvero difficile essere, con buona pace dell’”unità nazionale” e dell’Italoromania, spesso una vera e propria “italomanía”.
    Tra l’Italiano standard, supposta “lingua guida” delle varie comunità di dialetti chiamate da Pellegrini “italoromanze”, e il Padano, la divergenza è dunque, secondo Pellegrini stesso, “uguale o superiore” a quella esistente tra lo stesso Italiano e il Francese standard oppure il Castigliano, il Portoghese, il Romeno e così via (“rispetto alle altre lingue neolatine”, dice Pellegrini).
    Nel 1982 lo studioso australiano G. Hull, attualmente consulente linguistico per le Nazioni Unite, individua una unità linguistica tra i territori del Nord Italia e i territori ladini. Per definire questa macroarea linguistica lo stesso Hull usa il termine 'Padania'.
    Il più noto dei linguisti italiani, Tullio De Mauro (Linguistica elementare, Laterza, Roma-Bari 1998) afferma con chiarezza (anche se con una terminologia contorta): “Diciamo neolatini o romanzi i volgari direttamente derivati dal latino - il portoghese, il castigliano (comunemente detto spagnolo), il catalano, il provenzale o occitano, il francese, il toscano, che dal Cinquecento fu detto italiano, e gli altri due grandi blocchi di dialetti italiani, i dialetti italoromanzi settentrionali sia galloitalici sia veneti, e i dialetti italoromanzi centromeridionali.”
    Il “blocco” di dialetti o “sistema linguistico” o “comunità di lingue”, cioè il Padano, è ormai riconosciuto anche da De Mauro quale lingua romanza a se stante. L'illustre linguista (e italianista unitarista) afferma nella sua "Storia linguistica dell'Italia unita" ed.Laterza: "I dialetti italiani, anche considerando solo i caratteri salienti, vanno distinti in almeno tre gruppi: il gruppo settentrionale, o galloitalico, limitato a sud dalla cosiddetta linea La Spezia-Rimini; il gruppo toscano, con i dialetti di transizione; e, infine, il gruppo meridionale". "La diversità dei dialetti non riguarda soltanto la loro forma esterna, ma anche la loro tipologia funzionale: i dialetti settentrionali sono orientati verso una più economica utilizzazione dei fenomeni e un più esteso sfruttamento dei caratteri distribuzionali ai fini della determinazione morfologica (queste due caratteristiche sono entrambe salienti del cosiddetto "tipo europeo moderno", realizzatosi in modo specialmente netto nel francese e nell'inglese[sic!]); i dialetti centromeridionali, invece, sono rimasti fermi a una distribuzione meno economica dei fenomeni e a una morfologia più vicina al "tipo europeo arcaico", proprio del latino, e ancor oggi prevalente nelle aree meridionali europee".
    Il De Mauro fa pure alcune fondamentali osservazioni di carattere linguistico-geografico: "Da un punto di vista strettamente geografico la diversità tra le varie zone dell'Italia è assai notevole: in particolare la natura rende disagevoli le comunicazioni tra la pianura padana e la Toscana". "Così gli Appennini, pur meno alti delle Alpi e meno impervi dei Pirenei, hanno segnato fratture etnolinguistiche più profonde delle altre due catene montuose".
    In quanto comunità di lingue locali non ancora perfettamente normate, la lingua padana ha un’esistenza effettiva più potenziale che attuale (come era potenziale fino ad alcuni anni fa la lingua catalana, e lo è ancora oggi la lingua occitana). In realtà, come dalla variante locale più microscopica si può agevolmente risalire a una unità più vasta in grado di comprenderla, così lo stesso discorso vale per le lingue locali maggiori nei confronti della lingua generale padana. Così come è facile risalire dalla parlata di Colcavagno al Monferrino e dal Monferrino al Piemontese, è altrettanto facile giungere dal Piemontese al Padano. Ma non si può giungere dal Piemontese (e dal Padano) al Toscano (cioè all’Italiano) senza cambiare lingua. Sarebbe addirittura meno traumatico, da un punto di vista esclusivamente linguistico, passare dal Padano al Francese o al Castigliano.
    Le lingue padane locali concordano in alcuni tratti fondamentali, considerati decisivi dalla scienza linguistica, che le fanno portatrici di un’originalità spiccata nell’ambito delle lingue romanze. Il più vistoso di questi tratti (in genetica si chiamerebbe il “marcatore” inequivocabile del Padano) è il seguente: i pronomi personali, nella prima e nella seconda persona singolari, che in tutti gli altri idiomi romanzi derivano direttamente da ego e tu latini, assumono in Padano una forma diversa (“obliqua”, dicono i linguisti).
    Tutti conosciamo il refrain di una celebre canzonetta napoletana: “Io, mammata e tu”. Tralasciando mammata (“tua madre”), l’io e il tu di questo refrain diventano, in tutti i dialetti padani, mi e ti, oppure, in Bolognese e in Romagnolo (ma è soltanto una variante fonetica) me e te.
    Anziché da ego e tu, pronomi soggetto latini, i pronomi soggetto padani derivano infatti da altri casi: dagli accusativi me e te, oppure dai dativi mihi e tibi. In Padano, i pronomi oggetto e quelli soggetto sono gli stessi. Mentre l’Italiano centro-meridionale continua l’uso latino, il Toscano parlato attua un compromesso (“io” e “te”) non accolto nell’Italiano standard (che perpetua anch’esso le forme latine “io” e “tu”). Questa caratteristica morfologica appare davvero stupefacente se si pensa che il comportamento di tutte le altre comunità di dialetti romanze rimane fedele sempre al Latino. Al mi/me del Padano fanno infatti riscontro il portoghese eu; il castigliano yo; il catalano jo; il francese je; il franco-provenzale jo, z˘o; l’occitano iéu; il retoromanzo jeu; il friulano jo; il toscano io; gli italiani centromeridionali i, io, eo, eu, iu; il sardo eo. Sono tutti chiaramente derivati da ego.
    Anche per questo si può dire, dantescamente, che la Padania è la terra dove il “mi” suona.
    Robert Lafont, studioso occitano, afferma: “La Padania è un territorio delimitato da una lingua che, come tale, resterebbe argomento esclusivo dei linguisti se non fosse il luogo di un insieme complesso di fenomeni storici e sociali dai quali scaturisce un sentimento di appartenenza. La scienza linguistica fonda la Padania di diritto: la rivendicazione padanista, culturale e politica, trasforma il diritto in fatto. Lo spazio padano è definito linguisticamente, ma è anzitutto uno spazio di storia.”
    Non è certo un caso se questo “spazio di storia” presenta tratti propri anche e soprattutto fuori dalla dimensione linguistica. Esiste infatti un “modello” padano (come ne esiste uno occitano) di società, di arte, di cultura, di mentalità, di costume e di economia, rilevato dagli studiosi delle discipline di pertinenza e dalla stessa opinione pubblica: e la corrispondenza tra questa vera e propria struttura, che coinvolge un popolo e un territorio, ed è stata prodotta dalla storia, e la lingua, anch’essa prodotta dalla storia sul medesimo territorio dallo stesso popolo, appare allora in tutta la propria evidenza."






  8. #38
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    Predefinito Re: Sangue Germanico nella Chiesa Cattolica, l'alba di un nuovo Impero Nordico

    Si ma gran parte di quei barbari furono scacciati dalla Gallia Cisalpina prima delle invasioni barbariche, perché erano troppo bellicosi e incivili, se no anche allogeni, molti furono sterminati e deportati con l'arrivo della civiltà italica.
    Dopo la caduta del civile impero Italico è normale che la penisola fu invasa più e più volte e in diversi periodi da orde di patristi incivili e barbarici, non solo la Pianura Padana, ma anche il centro e il sud.
    Ultima modifica di GILANICO; 19-02-14 alle 02:05

  9. #39
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    Predefinito Re: Sangue Germanico nella Chiesa Cattolica, l'alba di un nuovo Impero Nordico

    "Lo studioso afferma che: “L'idioma germanico, dopo il latino, è quello che più di ogni altro contribuì alla formazione della lingua italiana, come in generale delle romanze: costituisce la sua fonte secondaria o Nebenquelle, per dirla col Kluge.”"

    Un modo in più per odiare e ripudiare totalmente la lingua Italiana attuale e rimpiangere l'antica lingua latina, almeno in quel tempo gli idiomi preindoeuropei erano di gran lunga superiori a quelli rimasti in vita tutt'oggi.
    Ultima modifica di GILANICO; 19-02-14 alle 02:18

  10. #40
    Blut und Boden
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    Predefinito Re: Sangue Germanico nella Chiesa Cattolica, l'alba di un nuovo Impero Nordico

    Odiare tutto ciò che è italia e italiano è ovvio e doveroso per chi dall'italia ha avuto solo danni e malvagità.
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

 

 
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